IL FARO DEI SOGNI

Buddismo Inquadramento come religione

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Inquadramento come religione. Il Buddhismo, nella sua definizione più ampia, è una tradizione culturale composta da dottrine, regole di comportamento e istituzioni che in una varietà di modi si ricollegano agli insegnamenti di Buddha. Se per religione intendiamo (dal latino religo, legare) il concetto di legarsi a un Dio, il buddismo non è una religione. Il Budda, infatti, non è una divinità, ma un “potenziale” presente vita universale e in quella di ogni essere vivente. Se alla religione diamo un senso più ampio, in quanto “tensione” dell’essere umano verso l’assoluto che è in lui oltre che fuori di lui, allora il buddismo può essere definito una religione. Agli albori dei suoi venticinque secoli di storia, il buddhismo nacque come disciplina spirituale. La sua evoluzione e diffusione hanno portato a definire il pensiero buddhista come “dottrina filosofica” o “religione ateistica”. Fattore fondamentale che, infatti, lo differenzia dalle tradizionali religioni è l’assenza di uno o più Dei. Accanto a questo, nella filosofia originaria, riveste notevole importanza l’assenza di dettami comportamentali imposti ai fedeli, così come sono assenti anche riti (di iniziazione o di altro tipo). Fanno eccezione solo le regole comportamentali (rivolte ai monaci ed alle monache) ed eventuali riti nati in periodi di gran lunga successivi alla vita del Buddha. Si tratta comunque di riti differenti per ogni corrente del buddhismo e facoltativi, poiché nati dalla tradizione e cultura popolare piuttosto che dalla filosofia buddhista in sé.
Appare, inoltre, molto riduttivo parlare di un buddismo perché invece bisognerebbe parlare di un fascio di buddhismi, nemmeno troppo omogenei tra loro. In effetti le indicazioni e i sistemi dottrinali che formano l'oggetto predominante del corpus degli antichi indirizzi di pensiero detti bauddha (in quanto si ricollegano all'insegnamento dei Buddha) comportano un' opzione soteriologia sotto diversi aspetti quasi “antireligiosa”, almeno secondo il modo tradizionale in cui noi definiamo una religione. I tratti che sembrano individuare le varie scuole buddiste, sin dal loro apparire, sono: la svalutazione sistematica del rito e delle sue premesse concettuali; la negazione di un Dio personale, responsabile del mondo; l’esistenza di un sé/atman, destinato a sopravvivere alla morte (arrivando alla liberazione o trasmigrando di vita in vita); l' insistenza sull’ impegno personale, come condizione del raggiungimento della liberazione indipendentemente dalla grazia della divinità.
Il buddismo, nel suo complesso, si prefigge solo di indicare la strada per sviluppare una saggezza individuale sempre più vasta, necessaria per il raggiungimento della felicità tanto bramata da ogni singolo individuo. Felicità che è ricercata e può essere raggiunta allo stesso modo da qualunque essere umano. Il buddhismo è una dottrina estremamente pragmatica. Nel cercare di risolvere il problema fondamentale della sofferenza umana non propone un’unica soluzione. Riconoscendo che gli esseri umani hanno necessità molto
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diverse tra loro, attitudini e abilità differenti, riconosce anche che i sentieri che conducono alla pace e alla felicità possono essere molteplici. Come comunità spirituale, la sua coesione si è diffusa come un senso generale di fratellanza. Senza un’autorità centralizzata manifesta, il buddhismo ha prosperato per oltre duemila e cinquecento anni; è fiorito in una molteplicità di forme, rinnovando continuamente, attraverso lo studio e la pratica, il suo radicamento nell’insegnamento del Buddha. Questo tipo di approccio pluralistico, in cui ciascun individuo è responsabile, è molto coerente con l’approccio democratico.
Origini. La storia del Buddhismo inizia nel VI sec. a.C. nell'area del subcontinente indiano in un epoca di grandi mutamenti economici e sociali che comportarono un intenso ripensamento del fenomeno religioso verso l'antica verità rivelata nei testi sacri il buddismo nasce come negazione dell’esistenza di un Dio personale o di un principio assoluto e rifiutava la tradizione sacra della rivelazione contenuta nel Veda.
Il suo fondatore è il Buddha, Siddhartha Gautama, nato nel 566 a.C. nel Nepal meridionale, da una famiglia ricca e potente (il padre era Re di uno degli Stati dell’India del Nord). Sin da ragazzo aveva evidenziato una forte tendenza alla contemplazione, osservando la crudeltà del mondo in cui viveva, la sofferenza umana nacque in lui la sensazione di vivere in una prigione dorata. Da quel momento si dedicò all’ascesi e alla meditazione. Raggiunse l’”illuminazione perfetta” e arrivò al “nirvana”. Capì, dunque, che il suo scopo era quello di diffondere la dottrina a tutti, dedicandosi alla predicazione dando vita a nuove comunità monastiche. Dopo la sua morte il suo insegnamento, si diffuse nel mondo. E’ importante ricordare che il budda è un essere umano non è una divinità, ma un “illuminato”, cioè è colui che ha compreso il funzionamento della vita e che ha deciso di condividere la propria illuminazione e di ricercarla sempre, perché non è un qualcosa di statico. Fondamentali sono questi due aspetti di saggezza e compassione, uno senza l’altro non danno l’illuminazione e questi due aspetti devono essere collegati. Il buddismo non è una filosofia sistematica, basata sulla legge di causa/effetto. Il Budda non ha lasciato nulla di scritto quindi i suoi discepoli hanno tramandato oralmente i suoi insegnamenti. Buddha è stato senza dubbio un grande rivoluzionario: ha lasciato alle spalle la ricchezza materiale ed il potere di un regno, ma soprattutto, in un’India popolata dalle migliaia di Dei del pantheon Induista, gestito dai potenti brahamini, i sacerdoti dell’epoca, ha negato l’esistenza di un Dio creatore, per mettere nelle mani di ogni uomo la responsabilità dei suoi pensieri e delle sue azioni. Nasce la legge del Karma: il bene e il male sono la conseguenza delle nostre azioni, e il Buddha arriva ad affermare: “Non credete ai testi sacri, possono essere manipolati. Cercate con le vostre forze la verità e sperimentatela.” Su tratta di un messaggio forte che spinge alla ricerca e alla libertà in ogni campo, non solo in quello spirituale, anche in quello ideologico, perchè è dentro di noi che si trovano le risposte.



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“Ogni Uomo è un Buddha

inconsapevole -dicono i Maestri – eliminare il veleno dell’ignoranza dalla nostra mente significa scoprire Buddha in noi e in ogni essere vivente.” E’ la fiducia verso l’essere umano, l’apertura verso la creazione di una società costruita sull’attenzione verso gli altri. E’, alla fine, la conquista della meta inseguita da ogni uomo: la liberazione dalla sofferenza e la conquista della felicità, ottenuta capendo ed aiutando il prossimo. E’ una felicità personale, ma sempre condivisa, la vera ricchezza spirituale. Il Grande Veicolo, il Mahayana, enfatizza il compito di portare ogni essere vivente alla liberazione dalle sofferenze e spinge l’individuo a lavorare profondamente su se stesso, ma sempre con la motivazione di aiutare gli altri. Per questo il Buddismo perde il suo connotato di religione per diventare, a seconda delle pratiche, scuola di pensiero, filosofia, psicologia, o una vera e propria dottrina sociale volta a creare una comunità di uomini attenti ai bisogni di tutti e in armonia con il Creato. La figura centrale del Buddismo Mahayana è, infatti, il Boddisattva: colui che rinuncia al conquistato Nirvana e ritorna sulla terra per svolgere il suo compito di aiuto spirituale e materiale, un uomo che sa scegliere, sulla base del momento e del luogo dove vive, i mezzi più idonei a raggiungere i suoi scopi altruistici. Il Dalai Lama è considerato un Boddisattva: basta ricordare la sua instancabile opera per la pace, l’uso dei mezzi di comunicazione di massa, i viaggi nel mondo, l’attenzione verso le moderne tecnologie.
Le Quattro Nobili Verità. Il cuore dell’insegnamento del Buddha si trova nelle Quattro Nobili Verità. La prima nobile verità è generalmente tradotta dagli studiosi come ‘La Nobile Verità della Sofferenza’ e viene interpretata nel senso che la vita per il buddhismo non è niente altro che sofferenza e dolore. Ma in realtà questa è una traduzione approssimativa, superficiale e restrittiva perché il buddhismo non è pessimista né ottimista ma realista; guarda alle cose con oggettività. Il termine dukkha come Prima Nobile Verità ha un significato filosofico più profondo in quanto va oltre la comune sofferenza includendo idee come quelle di imperfezione, vacuità. Lo spiritualista, guidato da un Maestro, viene educato a essere più profondo nelle sue considerazioni prendendo coscienza di ogni aspetto della vita, primo passo verso l’illuminazione spirituale. Il Buddha non nega che ci sia la felicità nella vita quando dice che c’è sofferenza. Al contrario, ammette diverse forme di felicità, materiali e spirituali, tutte incluse nel dukkha. La gioia è uno dei sette “Fattori dell’Illuminazione”, qualità che sono essenziali da coltivare per realizzare il Nirvana. La Seconda Nobile Verità è quella dell’origine di dukkha, essa insegna che il dolore è generato dal desiderio-ignoranza che si articola in tre modalità: la prima è caratterizzata dal costante sforzo di trovare qualcosa di permanente e stabile in un mondo transitorio; la seconda dall’errata percezione di sé per cui non si comprende che non esiste un sé autosufficiente (anatta), un sé che ha esistenza propria; la terza dal desiderio di auto-annullamento, che nei casi estremi può portare al suicidio e che in ogni caso non libera da nulla. Per esaminare
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l’aspetto filosofico più profondo della Seconda Nobile Verità, bisogna far riferimento alla teoria del karma e della rinascita.
La terza Nobile Verità è che esiste un’emancipazione, liberazione della sofferenza; essa riguarda ciò che pone termine a questa situazione: l’estinzione del desiderio; cioè lo spezzare le catene che intrappolano la coscienza sì da ottenere la liberazione. La quarta Nobile Verità riguarda la via da percorrere per ottenere la liberazione e realizzare il Nirvana, l’Ottuplice Sentiero che conduce alla cessazione del dukkha: 1. Retta Comprensione; 2. Retto Pensiero; 3. Retta Parola; 4. Retta Azione; 5. Retta Condotta; 6. Retto Sforzo; 7. Retta Consapevolezza; 8. Retta Concentrazione. Tutto l’insegnamento del Buddha tratta di questo sentiero. Le otto categorie devono essere sviluppate più o meno simultaneamente, secondo le capacità di ognuno. Sono tutte legate insieme e ognuna aiuta l’altra a svilupparsi. Questi fattori aspirano a favorire lo sviluppo e il perfezionamento dei tre elementi essenziali dell’addestramento e della disciplina buddhista: moralità, disciplina mentale, saggezza. La moralità si fonda su quella grande idea di amore universale e di compassione per tutti gli esseri viventi, che è alla base dell’insegnamento del Buddha. La saggezza sta a significare il lato intellettuale le qualità dello spirito. Questo sentiero è, per il buddismo, un modo di vivere che può essere seguito da ogni uomo.
L’insegnamento del Buddha e in modo peculiare la sua via di meditazione, si prefigge l’obiettivo di raggiungere uno stato di perfetta salute mentale, di equilibrio e di tranquillità interiore. La parola ‘meditazione’ in realtà esprime male il significato del termine originale che vuol dire ‘cultura ‘ o ‘sviluppo’, cioè cultura mentale o ‘’calma mentale’’ : essa mira a liberare la mente da tutto ciò che disturba (come i desideri sensuali, l’odio, le preoccupazioni) e tende a incentivare qualità come la concentrazione, la calma fino ad arrivare alla più elevata saggezza che consegue il “nirvana”. La meditazione permette di conciliare la disciplina dell’introspezione con la particolare intuizione derivante dalla saggezza.
Nirvana. Per il buddismo antico il Nirvana è la più alta esperienza spirituale, raggiungibile attraverso un lungo processo di conoscenza, di meditazione, di controllo dei sensi e di illuminazione: è la liberazione dal samsara, l'estinzione definitiva dell'”io”. Il percorso per il raggiungimento del Nirvana si sviluppa attraverso un inter meditativo, legato anche alla pratica dello yoga, riconosciuta dalla tradizione, a questa si accompagna la comprensione delle “quattro nobili verità”.
Canoni. La trasformazione degli ideali ascetici del buddismo, in un sistema di dottrina e in un codice di regole monastiche ha rappresentato il culmine del processo di astrazione della figura carismatica del fondatore e di trasformazione istituzionale di quello che era nato come un movimento di rottura. Ci fu il lavoro continuo, ma costante, per fissare gli insegnamenti del Budda. Sin dai primi secoli si avvertì la necessità di approfondire e di
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armonizzare, in una direzione coerente, i contenuti e le tecniche della meditazione. I canoni che sono pervenuti sino a noi costituiscono testi sacri particolarmente complessi, frutto di un elaborazione collettiva che ha visto lo sforzo di generazioni di monaci, per tramandare la memoria dell’insegnamento del suo fondatore. L'opera di trascrizione dei testi cominciò ad avvenire quattro secoli dopo la morte del Buddha. Tutte le “scuole” possedevano il loro corpus di scritture detto Tripitaka composto da tre sezioni: una che tramandava l'insegnamento del Buddha, il secondo che tramandava le regole della comunità monastica e il terzo che tramandava l'approfondimento teorico della dottrina, secondo le diverse tradizioni della scuola buddista.
Concili. Dopo la sua morte si riunirono in un Concilio (poiché erano monaci) e confrontandosi hanno formalizzato a voce il suo insegnamento. Anche dopo quando prendono la forma scritta, i Sutra restano con l’impronta di “io ho udito” che serve proprio a ribadire ciò che loro hanno udito dalla voce del loro Maestro scomparso. Sutra infatti è ripetere insieme, sicuri di aver sentito la stessa cosa e concordi di aver sentito quella cosa. Questo processo è durato circa 400 anni. Questo excursus ci serve a capire anche perchè ci sono varie scuole buddiste. Il Sutra del Loto è quello più importante. Momento di svolta nell’evoluzione del Buddhismo é dato dai quattro Concili, che cambiarono per sempre la storia del Buddhismo. Le divergenze tra l’ortodossia dei monaci più anziani e l’innovazione di quelli più giovani, si accentuarono nel secondo e nel terzo Concilio, nel corso del quale si sancì definitivamente la separazione dei due gruppi, ed infine, nel quarto Concilio, si proclamò la nascita della corrente dell’Hinayana (Piccolo Veicolo) formato dai monaci più intransigenti e quella della Mahayana (Grande Veicolo).
La corrente del Piccolo Veicolo è chiamata così perché è accessibile solo ad un numero ristretto di eletti, che accettano di praticare una vita ascetica e priva di desiderio, spogliandosi di tutti i legami col mondo esterno. Gli unici testi sacri sono quelli del Canone, divisi in tre “canestri”: quello della disciplina, quello dei discorsi del Buddha ed infine quello riguardante la Dottrina. L’unica scuola che oggi pratica ancora una forma ortodossa di Buddhismo, ed è dunque considerabile parte del Piccolo Veicolo, è la scuola Theravada. Essa prevede un forte rigore monastico e una forte meditazione individuale, attraverso i quali, solo i monaci, possono accedere allo stadio supremo di araht. Il ruolo dei laici, nel Theravada, è molto ristretto: essi possono solo comportarsi bene e meditare per rinascere poi come monaci/bhikku e tentare l’Illuminazione; devono, inoltre, sottostare, come i monaci, a una serie di norme etiche: non uccidere alcun vivente, astenersi dal furto, dalla lussuria e dal consumare bevande alcoliche. La dottrina Theravada è molto diffusa in Sri Lanka e nel Sud – Est Asiatico.



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Ogni vivente, secondo la

dottrina Mahayana, è circondato di un’essenza del Buddha, che può permettergli di raggiungere l’Illuminazione. La figura del Maestro, dunque, è sostituita da quella di bodhisattva: un essere che, avendo sfruttato al meglio la propria Essenza, ha raggiunto il nirvana, ma non può accedervi che dopo la liberazione finale di tutti i viventi della terra. Il bodhisattva, allora, deve aiutare le persone a liberarsi dal ciclo delle rinascite e, per farlo, utilizza i due strumenti che la tradizione da sempre gli attribuisce: la saggezza e la compassione. I testi sacri del Grande Veicolo sono di due tipi: i Sutra (i discorsi del Buddha) e i Sastra (trattati e commenti speculativi). Il Sutra più noto è quello del loto: in esso, si predica l’uguaglianza degli esseri del pianeta.
Esistono, inoltre, altre tradizioni che mostrano come la religione si é evoluta, aggiungendo alla sua originaria impronta indiana, elementi culturali ellenistici, dell’Asia centrale, dell’estremo Oriente e del sud-est asiatico: 1. La tradizione della Via di Mezzo che nega l’importanza del linguaggio come mezzo per spiegare i concetti, e apre la strada ad un’interpretazione del pensiero più intuitiva e meno razionalizzata; 2. Il Buddhismo tibetano che nasce con l’antico incontro tra la neonata filosofia indiana e la religione arcaica del Tibet (bon). La figura al centro dell’intero sistema spirituale è quella del Lama, il Maestro, per lo più un monaco, che guida i propri discepoli verso la totale comprensione della realtà e dell’esistenza. 3. Il Buddhismo Zen che si diffuse, partendo dal continente asiatico, in modo particolare in Giappone e Corea. Esso è la parte più radicale e, per certi versi, “rivoluzionaria”, del Grande Veicolo. Il concetto che troviamo al centro della dottrina Zen è quello di risveglio (zen, appunto), che deve avvenire in maniera del tutto improvvisa e personale, il soggetto deve abbandonare tutte le sue convinzioni per accedere alla verità.
Diritto monastico. Questo insieme di regole può essere considerato un vero e proprio ordinamento giuridico autonomo, particolarmente interessante per le sue peculiarità. Il centro è il Samgha, composto da quattro assemblee di monaci, monache, seguaci laici di sesso maschile e femminile. In senso stretto, l’espressione si riferisce solo alle prime due assemblee. All’interno di questa fratellanza, gli individui sono tutti uguali, indipendentemente dallo status sociale o dalla casta di provenienza. La sola differenza sta dall’anzianità di ordinazione. Scegliendo di vivere senza una casa, i monaci si distaccano dalle preoccupazioni per ciò che abitualmente si possiede. Tuttavia, essi non vivono in completo isolamento. La loro consuetudine di chiedere l’elemosina serve a rafforzare la consapevolezza di dipendere dagli altri. All’interno di una comunità, le decisioni vengono prese attraverso una votazione e le differenze appianate con il consenso generale. Così, il Samgha è un modello di eguaglianza sociale, di condivisione delle risorse e di processi democratici. La regolamentazione della vita del Samgha è dovuta allo stesso Buddha, il quale non nominò un suo successore e, secondo la tradizione, affermò che le regole per la
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via del Samgha sarebbero stati sufficienti a garantire la continuità. Queste regole costituiscono il Vinaya, tradotto genericamente come disciplina, che rappresenta il modello di condotta e incorpora le cinque regole fondamentali (non uccidere, non fornicare, non rubare, non mentire, non vantare farsi raggiungimenti spirituali, e non prendere sostante intossicanti). Il Vinaya è composto sia da norme di condotta sia da norme di struttura, il che, secondo la visione diffusa nella teoria generale del diritto, confermerebbe il suo carattere propriamente giuridico. Inoltre, anche se Buddha non nominò il successore con il tempo si è arrivati a cariche elettive. L’ordinamento del Samgha buddista rappresenta un tipico ordinamento di scopo, in cui le regole stabiliscono modello di condotta funzionale al raggiungimento del perfezionamento spirituale. Questa conoscenza del Dharma viene consolidata in standard di condotta e modelli di comportamento che si sono rivelati appropriati nel cammino di perfezionamento spirituale. Infine, questi principi non hanno rilevanza solo per i monaci ma sono in grado di informare le concezioni e le regole alla base dei concreti ordinamenti delle comunità buddhista e nelle loro diverse componenti.
Comunità dei monaci. Il buddismo è una religione fondata sull’ortoprassi, quindi sulle regole del comportamento. Sin dall' origine i seguaci del Buddha si riunirono in comunità, che ancora oggi costituiscono la base del buddismo. L'insegnamento del Buddha si propone come un cammino verso la verità, da verificare con l'esperienza personale, fondata sulla pratica. Per lungo tempo si pensò che solo la scelta monastica rappresentasse l'ideale “via di mezzo” tra le illusioni della vita mondana e le vertigini della vita ascetica, in grado di realizzare la predicazione. Nel periodo di predicazione del Buddha i discepoli formarono intorno a lui la prima comunità; gli antichi monaci si spostavano di villaggio in villaggio, dormendo all'aperto e vivendo di carità. Agli inizi la comunità era un gruppo non conformista e la varietà della composizione sociale dei monaci rifletteva la fluidità della società indiana dell'epoca, ma anche l'opposizione del Buddha alle caste e si traduceva, di fatto, in una critica politica al mondo brahamanico. Il nuovo ordine dei mendicanti senza fissa dimora costituiva, infatti, una società alternativa dove tutti potevano trovare rifugio e riscoprire un senso di appartenenza. Con il tempo le comunità divennero sedentarie; la loro vita era comunque fatta di povertà, silenzio, scandita dal tempo della questua, della meditazione e dello studio delle scritture. L'ideale monastico ha sempre rappresentato una mediazione tra le due opposte dinamiche del sacro: da un lato, il rifiuto del mondo e, dall'altra, l' andare nel mondo e vivere le angosce del quotidiano. Il Buddha diede vita, sin dall'inizio, anche a una comunità monastica femminile, stabilendo, tuttavia, per le monache delle regole più severe e imponendogli l'obbligo di sottostare a una guida spirituale maschile. Tutti i monaci sono tenuti alla regola della povertà (la questua rappresenta l'unico modo di trovare il sostentamento) e della castità.




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Karma e bioetica nella filosofia buddhista. Secondo l'insegnamento buddista, vita e morte sono due fasi di un “continuum”: la vita non comincia alla nascita né finisce con la morte. Nel pensiero buddista l’esistenza umana assume un valore particolare quando l’uomo inizia un cammino che gli consente di liberarsi della sua condizione di sofferenza e di conoscere la felicità, la lucidità e la libertà interiore. L’essere umano è una successione di nascite e morti, una serie continua senza interruzioni: egli muore e rinasce in un continuum che scorre, guidato dalla forza morale. Anche le nostre vite individuali fanno parte di questo grande ritmo cosmico. Al contrario di quello che normalmente si crede, per i buddhisti la vita non si basa sul karma, come per gli indù; essi sostengono che noi siamo fondamentalmente liberi, ma fino a quando le nostre vite non si collegano al “grande voto”, conduciamo una vita da “comuni mortali “, regolata dal karma e soggetta alle sue vicissitudini. Tutti gli insegnamenti buddhisti insistono sul quale sia il miglior modo per trasformare un karma infelice in una vita colma di soddisfazione. Secondo la filosofia buddista, esistono due tipi di karma: mutabile e immutabile. La morte è un esempio di karma immutabile: fa parte della vita, e per quanto possa essere ritardata, alla fine nessuna delle nostre azioni potrà evitarla. In ogni religione, culto o credenza il tema della vita e della morte è talmente fondamentale da incidere sul modo in cui ognuno modella la visione di ogni cosa. Sin dalla sua nascita, il culto buddhista ha dato molta importanza al tema della morte che, insieme alla nascita, alla malattia e alla vecchiaia, è una delle quattro sofferenze fondamentali dell’esistenza umana. Un’altra peculiarità della credenza buddista è samadhi, inteso come partecipazione alla vita eterna. Per restare in uno stato perpetuo di samadhi, i monaci buddhisti iniziano a mummificarsi sin da vivi, essi scelgono questa pratica per mantenere la classica postura del loto: gambe incrociate, tecniche di yoga, aspirando in modo lento, arrivano a sembrare veri e propri cadaveri imbalsamati. Il Buddismo, in merito alle riflessioni sul diritto alla vita, all’eutanasia, il suicidio e l’aborto assume una posizione contraria e, infatti, ritiene che questi siano moralmente inaccettabili in quanto comportano la distruzione intenzionale della vita. L’aborto è visto come un atto grave ed è altamente criticato e disapprovato dal buddhismo. Lo stato di mentale in cui una persona muore potrebbe influire sulla sua prossima rinascita e il trauma di un aborto potrebbe portare il feto ad una rinascita meno favorevole. Il suicidio è condannato e criticato ripetutamente nei testi buddhisti per diverse ragioni, il buddhismo non dà importanza alla morte, ma alla vita: la morte è considerata un’imperfezione, un difetto della condizione umana, qualcosa da sconfiggere e, pertanto, chi sceglie la morte come soluzione alla sofferenza non ha compreso la base della Prima Nobile Verità, che insegna che la morte è il problema, non la soluzione. Per quanto riguarda l’eutanasia, uno degli aspetti dell’insegnamento buddhista più importante riguardo la decisione di fine vita è il concetto di ahiusà, ovvero un’idea pan-indiana condivisa da buddhismo, induismo e gianismo, tradotto letteralmente come “non-male”, “non-violenza”, nella sua accezione,
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comprende anche il “rispetto per la vita”, ciò che in Occidente viene definito “inviolabilità della vita”. Sono però favorevoli alle cure palliative per la lotta al dolore fisico che accompagna il corpo umano negli ultimi istanti di una malattia (in Italia, a Castellina Marittima, esiste un luogo di ricovero dove si applicano tecniche buddiste di accompagnamento spirituale alla morte. E’ una struttura esterna a quella ospedaliera, legata a un monastero tibetano). Buddismo nel mondo (Sri Lanka, Myanmar, Bhutan). Il caso dello Sri Lanka è un chiaro esempio del peso che la religione buddhista assume a livello politico istituzionale. L’art. 9 Cost. stabilisce il dovere dello Stato di assicurare a tutte le confessioni il diritto di libertà religiosa e riconosce al buddhismo un ruolo preminente ponendo in capo allo Stato l’obbligo di proteggerlo e promuoverlo. In Sri Lanka, negli anni 2000 sono stati elaborati alcuni progetti di legge con lo scopo di riconoscere la personalità giuridica ad associazioni cristiane che operavano da tempo; tali progetti furono sottoposti al giudizio della Corte suprema, su impulso delle parti politiche che sostenevano il buddhismo. La principale accusa si sostanziava nella pericolosità delle stesse poiché svolgevano attività economiche accanto a quelle religiose in senso stretto, e manipolavano le persone per indurre a convertirsi al cristianesimo, violando così l'art. 10 Cost. che riconosce il diritto di libertà religiosa. La Corte suprema riconobbe fondate le argomentazioni e decise in senso favorevole ai ricorrenti. In Myanmar (ex Birmania) la costituzione del 2008 riconosce la speciale posizione del Buddhismo come fede professata dalla maggioranza dei cittadini. Le religioni, diverse dal buddhismo, sono riconosciute dalla costituzione come religioni presenti nell’unione. Gruppi nazionalisti guidati da monaci buddhisti nel 2015 hanno approvato leggi le cui norme erano segnatamente finalizzate a impedire o a rendere difficoltosa l’adesione a religioni diverse da quella buddista, ad es. norme che vietano la poligamia. Inoltre, è previsto che coloro che vogliono convertirsi ad una religione debbano sottoporsi agli interrogatori di una apposita Commissione che indaghi a fondo le ragioni della scelta. Anche in questo caso il Buddhismo ha discriminato le altre religioni ed ha dimostrato una chiusura verso l’integrazione. Oltre a ciò molto forte è la discriminazione verso la comunità mussulmana dei rohingya un gruppo etnico, di religione islamica, che vive nella parte settentrionale della Birmania, al confine con il Bangladesh. Secondo la legge sulla cittadinanza della Birmania, risalente al 1982, i Rohingya non fanno parte delle 135 etnie riconosciute dallo Stato e non hanno pertanto diritto alla cittadinanza birmana. Dalle repressioni del 2016 e 2017 sono rifugiati in campi profughi in Bangladesh. Secondo i rapporti delle Nazioni Unite essi sono una delle minoranze più perseguitate nel mondo. Anche in Bhutan la maggioranza della popolazione appartiene al Buddhismo. È una monarchia nella quale il sovrano, per legge, deve essere buddista. A livello costituzionale, il buddhismo, in quanto patrimonio spirituale del regno, è religione di Stato. Alle
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associazioni religiose è stato vietato di convertire le persone attraverso la promessa di ricompense o incentivi.
Il matrimonio. L’amore tra marito e moglie è considerato quasi religioso o sacro, definito “Sacra vita familiare”. Non è semplicemente l’unione di persone; la coppia si assume una grande responsabilità per tutta la vita, che si riflette nella struttura della società. Ognuno dei coniugi può influire in maniera positiva o negativa sulla crescita spirituale dell'altro. Importante è l’uso del termine Brahma: indica l’altissimo rispetto in cui è tenuta la relazione che unisce gli sposi. La cultura buddista si contraddistingue per il suo messaggio di pace, di equilibrio e serenità dell’anima che si raggiunge prestando attenzione ai piccoli dettagli della vita, anche quelli più semplici e quotidiani. Questa filosofia si adotta in tutti i momenti della propria esistenza, soprattutto in quelli di coppia dove l’armonia tra due esseri viventi è di fondamentale importanza. Le nozze, non essendo considerate sacramento, ma reciproco impegno degli sposi, non hanno valore legale. Questo rito ha una forte spiritualità, e l’intimità della coppia e dei loro sentimenti è condivisa con il resto della comunità. La cerimonia inizia con la lettura di alcuni capitoli del Sutra del Loto, in cui si sostiene la natura degli esseri viventi paritaria alla natura del Buddha. Molto bello e suggestivo è il rituale del sakè che coinvolge non solo gli sposi ma anche i testimoni (i protagonisti bevono ciascuno tre sorsi di questa bevanda a simboleggiare l’importanza delle proprie tre vite, quella del passato, quella presente e infine, quella del futuro). Nel momento in cui la coppia recita i propri voti può decidere di scambiarsi gli anelli, ma non si tratta di un passaggio obbligatorio; ciò che invece è necessario alla celebrazione, è ringraziare la statua del Buddha per la benedizione attraverso incenso e candele. Il luogo ideale ove celebrare un rituale simile sarebbe un Tempio, ma qualsiasi luogo a contatto con la natura andrà sicuramente bene. Nel matrimonio è importante la relazione che si viene a creare anche tra genitori e figli. I genitori sono “sacri” per i loro figli. Non è importante che tale vincolo sia riconosciuto giuridicamente dallo Stato.
Buddhismo in Italia. Il Buddhismo in Italia è la terza religione più diffusa, dopo il Cristianesimo e l'Islam: i fedeli stimati sono circa 140.000, che si raccolgono intorno a più scuole di pensiero buddista, tra le quali vanno annoverate quelle di Soka Gakkai, Theravāda, Mahāyāna, Vajrayāna, Zen. Rispetto ad altri Paesi occidentali, l'Italia solo dopo il secondo dopoguerra ha avvertito le influenze della cultura buddhista, questo sia per l’assenza di immigrazione da Paesi a maggioranza buddista, sia per la mancanza di legami coloniali con il mondo buddista. Si è assistita a una propagazione del buddhismo negli anni ‘60 grazie alla presenza sul territorio di un’Associazione Buddhista Italiana fondata a Firenze.



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Nel 1985 è stata creata l'UBI, Unione Buddhista Italiana con lo scopo di riunire i vari gruppi buddhisti (sono 40), senza alcuna ingerenza dottrinale o senza prediligere
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alcuna tradizione rispetto alle altre; essa è un’associazione apolitica e senza fini di lucro, cui aderiscono quasi tutte le scuole buddhiste, con le eccezioni principali della Soka Gakkai e del gruppo zen vietnamita Essere Pace. L'UBI aderisce all'Unione Buddhista Europea.
Nel 1991 l’UBI ha ottenuto il riconoscimento della personalità giuridica come ente religioso con Decreto del Presidente della Repubblica, si è avuto un primo tentativo di Intesa fra lo Stato italiano e l'U.B.I. nel 2000. Fallito questo tentativo sono stare riprese le trattative per redigere un nuovo testo di Intesa, approvato nel 2007 e tradotto in legge nel 2012, insieme all’Intesa con gli induisti. Tali Intese hanno avuto un effetto dirompente nel nostro assetto giuridico e hanno evidenziato la necessità dello Stato di “governare la differenza”; perché fino a quel momento il sistema delle Intese, in qualche modo, era stato monopolizzato dalla tradizione giudaico-cristiana. Occorre considerare, in primis, che tale Intesa ha messo in discussione il modello giuridico di relazioni dello Stato italiano con le confessioni acattoliche. Innanzitutto, molti studiosi hanno messo in discussione la natura religiosa del buddismo sottolineando che esso dovrebbe essere annoverata tra le pratiche filosofiche o addirittura psicologiche. Nella concezione “tradizionale” italiana di confessione religiosa era presente il rapporto con il “trascendente” che manca totalmente nel Buddismo, che è una credenza che si afferma tutta nell'immanenza. Ancora, sia per quanto riguarda la struttura gerarchica cioè sia per quanto riguarda il modello organizzativo la religione buddista è completamente differente rispetto ai modelli presenti nel panorama culturale del nostro Paese. Nel progetto di Intesa del 2000 si era molto dibattuto sui ministri di culto, che non esistono nella tradizione buddista perché i buddisti non hanno figure gerarchiche di riferimento, ma al massimo i maestri di Dharma, maestri spirituali, che ad es. non intervengono nei “sacramenti”, non sono intermediari con il Divino. Su questo punto nel 2000 si arenarono le trattative. Pur di arrivare alla stipulazione di un'Intesa nel 2007 si è preferito rinunciare alla peculiarità del buddismo e parlare di ministri di culto. Ancora, tale Intesa si differenza dalle altre perché perché manca il riferimento al matrimonio perché la tradizione buddista si disinteressa della celebrazione, esso è importante per la comunità ma non è importante ottenere il riconoscimento da parte dello Stato.
Giurisprudenza in Italia. Nel 2013 un detenuto presso la casa circondariale di Novara proponeva due reclami al Magistrato di sorveglianza con i quali denunciava il mancato ingresso di un maestro buddista zen e la mancata somministrazione di cibo vegetariano. Il magistrato di sorveglianza, con riferimento al mancato accesso del maestro buddista Zen, comunicava al detenuto che la questione andava “affrontata con modalità tecniche” che non dipendevano dal Magistrato di sorveglianza e neppure dalla Direzione
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dell’Istituto; con riferimento alla mancata somministrazione di vitto vegetariano, disponeva che secondo una sua precedente ordinanza, si consigliava la Direzione ad adottare tutte le misure possibili affinchè venisse sempre garantita la somministrazione del vitto in termini adeguati. Il detenuto proponeva ricorso in Cassazione che, nell’annullare il provvedimento emesso dal magistrato di sorveglianza, ha osservato che l'azione del magistrato di sorveglianza, che si è limitato a comunicare al ricorrente una relazione dell’amministrazione penitenziaria in merito alla non inclusione di maestri buddisti Zen nel novero dei ministri di culto abilitati all’ingresso nelle strutture penitenziarie, nonché un provvedimento in materia di vitto, si configura effettivamente come un mancato rispondere con motivazione specifica al reclamo del detenuto.
Soka Gakkai. E’ una delle comunità buddiste presenti sul nostro territorio che, però, non fa parte dell’UBI ed ha stipulato autonomamente un’Intesa con lo Stato. La Soka Gakkai è un’organizzazione laica nata in Giappone, basata sul buddismo di Nichiren Daishonin, monaco giapponese vissuto nel XIII secolo. L'idea del Budda, sia quello originario che quello di Nichiren, si manifesta con il dialogo, incentrandosi soprattutto sull’aspetto umano e sulla concretezza del qui ed ora, di quello che stiamo facendo in questo momento. Una volta ottenuta l’illuminazione occorre mettere in moto un altro tipo di meccanismo: la condivisione. Il Sutra del Loto è quello ritenuto più importante e il fondatore della Soka Gakkai lo scelse come insegnamento principale. In epoca moderna un educatore, Tsunesaburo Makiguchi, entrato in contatto con il buddismo di Nichiren ha visto delle affinità tra il suo pensiero di educatore ( teso a sviluppare il potenziale di ogni singolo bambino) e il pensiero di Nicherin. Ha così fondato un’organizzazione laica, la Soka Gakkai, che significa “società per la creazione del valore”, ne senso di dare valore a ogni singola esistenza della persona. Tsunesaburo è morto in carcere perchè durante la seconda guerra mondiale si è opposto al governo militarista giapponese, sia come educatore che dal punto di vista religioso perchè avevano imposto lo scintoismo come religione di Stato. Mentre quasi tutte le scuole di buddismo prevedono una filiazione con un monastero, la Soka Gakkai è assolutamente autonoma; inizialmente esisteva ma nel corso del tempo si sono staccati. Tutti dedicano la loro vita agli insegnamenti del Budda ma nessuno lo fa in maniera monastica, esclusiva. Esistono scuole nichireniste che fanno capo a dei monasteri ma nel 1991 sono stati scomunicati e si sono staccati definitivamente.
Mentre in altri Paesi europei la Soka Gakkai fa parte dell’UB, nel caso dell’Italia no e sono un’organizzazione molto più numerosa , rispetto alle altre. Da quando è arrivato nel 1961 il buddismo di Nichiren in Italia questo si è diffuso molto rapidamente. La Soka Gakkai ha avviato il percorso per l’Intesa per proprio conto, ed è durato circa 14 anni, fino all’approvazione nel 2017. L’intesa, come è noto, serve anche per regolare vari aspetti della religione: luoghi di culto, cimiteri, scuole (aspetto molto importante proprio perchè la Soka
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Gakkai nasce da un educatore e nel corso degli anni sono state fondate le cosiddette scuole Soka anche se in Italia non ci sono ancora, ma al di fuori del Giappone sono negli USA, per tutti gli ordini e gradi). Stringere l’Intesa con lo Stato li ha portati a dover rivedere quella che era la loro organizzazione interna (loro erano su base territoriale) oggi sono organizzate per regioni quindi hanno dei rappresentati regionali oltre ai nazionali. I matrimoni non esistono dal punto di vista religioso, l’unica cerimonia è il Gongyo ovvero la lettura di due capitoli del Sutra del Loto che viene fatta davanti al Gohonzon custodito nella propria abitazione. Qualsiasi cerimonia è il Gongyo, non c’è un’altra cerimonia. Si può fare una piccola cerimonia di commemorazione del morto, ma solo con il Gongyo, senza presenza della salma. Non ci sono i battesimi per i bambini e si può scegliere di appartenere a partire dai 16 anni. Quando in casa c’è un Gohonzon non se ne riceve un altro, questo verrà ricevuto quando si andrà via di casa. Il Gohonzon può essere tradotto letteralmente come “oggetto di devozione” e coloro che praticano il Buddismo di Nichiren Daishonin hanno in casa un altare in cui lo custodiscono. La pratica quotidiana, che consiste nel recitare alcune parti del Sutra del Loto di fronte al Gohonzon, è l’atto di riaffermare e riverire la dignità della propria vita e quella degli altri.



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