IL FARO DEI SOGNI

Corsica

« Older   Newer »
  Share  
view post Posted on 29/2/2024, 20:10     Top   Dislike
Avatar

Blogger

Group:
Administrator
Posts:
66,753
Reputation:
+1,770
Location:
Polo Nord and nomade virtuale 😂😂🥶🐧🐧

Status:




L'eredità di Pisa



La memoria dell'influenza pisana è perpetuata dalla toponomastica, che si sviluppa a partire da questo periodo, dall'onomastica (sono tuttora diffusi in Corsica molti cognomi d'origine toscana), dalla lingua locale (toscaneggiante soprattutto nella regione di Bastia e del Capo còrso) e da alcuni dei più pregevoli esempi d'architettura romanica rimasti nell'isola, testimonianza dell'impegno anche edilizio (chiese ed edifici pubblici: su tutte le cattedrali di Nebbio, Mariana, S. Michele di Murato, S. Giovanni di Carbini, S. Maria Maggiore di Bonifacio, S. Nicola di Pieve) e infrastrutturale (strade, ponti, fortezze e torri).

Anche dopo l'inizio del dominio genovese, Pisa mantenne sempre stretti rapporti con la Corsica, come testimoniato anche dal ricco corpus documentario relativo alla Corsica presente ancor oggi presso la Curia della città toscana, cui fu a lungo annesso un collegio per seminaristi còrsi.

Tuttora l'arcivescovo di Pisa si fregia del titolo ecclesiastico di primate di Corsica (e Sardegna).

Poco noto, ma significativo, il fatto che il Nielluccio, uno dei vitigni più diffusi sull'isola (affine al Sangiovese di Toscana) e base del vino còrso Patrimonio, è stato importato in Corsica dai Pisani nel XII secolo.

A partire dal dominio pisano, e nei secoli a seguire, sino al XX secolo, non vengono mai del tutto meno i rapporti culturali dell'isola con Pisa e la Toscana, testimoniati anche dalla penetrazione di elementi schiettamente toscani e, persino, di interi brani della Divina Commedia di Dante nel ricchissimo repertorio di proverbi e canti tradizionali polifonici (paghjelle) dell'isola.

Nel frattempo prende prestigio in Corsica anche il volgare toscano, che ne diviene la lingua ufficiale.

Pisa sarà anche la prima delle sedi universitarie (seguita da Roma e Napoli) frequentate dai còrsi: diverrà così proverbiale anche nell'isola dire parla in crusca di coloro che facevano sfoggio di un perfetto italiano: tale abitudine resterà popolare sino a gran parte del XIX secolo. Hanno studiato a Pisa Carlo e Giuseppe Bonaparte, Francesco Antonmarchi - medico a Sant'Elena di Napoleone -, il poeta Salvatore Viale, l'igienista Pietrasanta, medico di Napoleone III venendo, nel caso degli Angeli, Farinola, Pozzo di Borgo e altri a far parte del collegio docente e rettorale dell'Università toscana. Fu solo da Napoleone III in poi che si andò abbandonando l'uso di andare a studiare a Pisa, in quanto questi nella sua politica di francesizzazione forzata dell'isola, tra le varie misure che introdusse vi fu quella di togliere validità ai diplomi presi dai giovani corsi nelle università italiane.



Segue

 
Web  Top
view post Posted on 5/3/2024, 19:32     Top   Dislike
Avatar

Blogger

Group:
Administrator
Posts:
66,753
Reputation:
+1,770
Location:
Polo Nord and nomade virtuale 😂😂🥶🐧🐧

Status:



La parentesi aragonese e la penetrazione genovese


12 giugno 1295, a complicare il quadro della Corsica, che - dopo la sconfitta di Pisa alla Battaglia della Meloria - sfuggiva al controllo pisano, intervenne papa Bonifacio VIII (1294-1303), con la sua investitura in favore di re Giacomo II di Aragona (impegnato nella lotta per la Reconquista) a sovrano del nascente regno di Sardegna e Corsica (Trattato di Anagni).

Gli Aragonesi, tuttavia, si risolsero ad attaccare la Sardegna solo nel 1324, mettendo così termine a qualsiasi velleità residua, da parte dei Pisani, di controllo del nord sardo e della Corsica.

La Corsica resta frattanto vittima di una sostanziale anarchia sino al 1347, quando viene convocata una grande assemblea di caporali e dei baroni che, sotto la guida di Sambucuccio d'Alando, decidono di porsi sotto la protezione di Genova e di offrire alla Repubblica ligure la sovranità totale sull'isola, da esercitarsi a mezzo di un governatore.

Secondo l'offerta, la Corsica avrebbe pagato regolari tributi a Genova, che a sua volta avrebbe offerto protezione dalla mai sopita piaga che erano le scorrerie dei saraceni (poi corsari barbareschi che proseguiranno con fasi alterne sino al XVIII secolo), e garantito il mantenimento delle leggi còrse e delle sue strutture e consuetudini di autogoverno locale, regolati dal Consiglio dei Dodici per il Cismonte, e dal Consiglio dei Sei per il Pumonte. Gli interessi isolani sarebbero stati rappresentati presso Genova da un «oratore».

Intanto l'intera Europa era afflitta dal flagello della peste nera, che giunse anche in Corsica mietendovi numerosissime vittime proprio mentre si affermava la supremazia genovese.

L'accordo tra caporali e baroni venne presto violato e sia gli uni, sia gli altri, si opposero l'un l'altro mentre insieme contrastavano l'instaurarsi concreto della signoria genovese in Corsica. Di tale situazione approfittò re Pietro IV di Aragona per ribadire la propria sovranità sull'isola.

In questo quadro prese le mosse il barone Arrigo della Rocca, conte di Cinarca, il quale con l'appoggio delle truppe aragonesi nel 1372 prese il controllo quasi totale dell'isola, lasciando solo il nord estremo e poche piazzeforti marine al controllo Genovese.

Il suo successo spinse i baroni del Capo còrso ad appellarsi a Genova, che pensò di risolvere il problema investendo del governatorato dell'isola una sorta di compagnia commerciale detta «Maona», formata da cinque persone, e tentando di coinvolgervi Arrigo, ma senza risultati.

La Maona era un consorzio di commercianti - a volte a carattere familiare - che fu impiegato spesso da Genova, soprattutto a cavallo tra XIII e XV secolo, con funzioni di governo anche nelle colonie orientali.

Tra le prime maone quella dell'isola di Chio, nell'Egeo, istituita nel 1347, dai cui aderenti ebbe origine la celebre famiglia patrizia genovese dei Giustiniani.

Nel 1380, perdurando le tensioni, quattro dei cinque membri della Maona rassegnarono a Genova i loro incarichi, lasciando il solo Leonello Lomellini a esercitare le funzioni di governatore. In tale veste Lomellino fondò, nel 1383, la città di Bastia, destinata a divenire il nucleo più importante della dominazione genovese e la capitale dell'isola (sino allo spostamento ad Ajaccio di tale funzione, sull'iniziativa di Napoleone al XIX secolo).

Fu solo nel 1401, a seguito della morte di Arrigo, che l'autorità genovese fu formalmente ristabilita su tutta l'isola, anche se Genova stessa, nel frattempo, cadeva nelle mani dei francesi: dal 1396 al 1409, infatti, Carlo VI di Francia fu signore della Repubblica di Genova, che gestì attraverso il governatore Jean II Le Meingre detto Boucicault.

Sotto il governo di questi, nel 1407, fu fondato il Banco di San Giorgio, un potente consorzio di creditori privati cui verrà affidata nel tempo l'amministrazione delle entrate dello Stato e il governo di numerose terre e colonie, inclusa la Corsica.

Lomellino fu dunque reinviato in Corsica nel 1407 come governatore per conto di Carlo VI di Francia e vi dovette affrontare Vincentello d'Istria il quale, avendo ottenuto privilegi dalla Casa d'Aragona, s'era fatto frattanto signore di Cinarca e, raccolta attorno a sé tutta la Terra di Comune, inclusa Bastia, s'era proclamato Conte di Corsica già nel 1405.

Gli sforzi di Lomellino non ebbero alcun successo e nel 1410 Genova (intanto tornata indipendente) controllava sull'isola esclusivamente le piazzeforti di Bonifacio e di Calvi.

Ancora una volta una ribellione intestina avrebbe minato la virtuale indipendenza della Corsica: la ribellione di un feudatario e del vescovo di Mariana portò alla perdita di controllo da parte di Vincentello sulla Terra di Comune e, mentre egli si recava a richiedere aiuto in Spagna, i genovesi ebbero buon gioco a completare rapidamente la riconquista dell'intera isola.

Ma il complesso gioco delle alleanze e delle rivalità locali non consentì a tale riconquista di essere duratura.

A rimettere la situazione in movimento fu lo scisma d'Occidente e la lotta per l'investitura papale accesa attorno all'ultimo antipapa avignonese, Benedetto XIII, sostenuto dai vescovi còrsi favorevoli a Genova da un lato, e quella dell'antipapa Giovanni XXIII, sostenuto da quelli favorevoli a Pisa.



Segue

 
Web  Top
view post Posted on 9/3/2024, 12:00     Top   Dislike
Avatar

Blogger

Group:
Administrator
Posts:
66,753
Reputation:
+1,770
Location:
Polo Nord and nomade virtuale 😂😂🥶🐧🐧

Status:




Vincentello, riuscito a sbarcare sull'isola con una forza militare aragonese, approfittò così delle rivalità incrociate e prese facilmente controllo della Cinarca e di Ajaccio.

Accordatosi con i vescovi pro-pisani, estese la sua influenza alla Terra di Comune e costruì il castello di Corte: nel 1419 l'influenza genovese sull'isola era nuovamente ridotta ai soli centri di Calvi e Bonifacio, mentre Vincentello, con il titolo di viceré di Corsica, stabiliva dal 1420 la sede del proprio governo a Biguglia.

Fu in questa situazione che Alfonso V di Aragona si presentò con una grande flotta nel mare di Corsica, con l'intento di prendere possesso personalmente dell'isola formalmente parte del Regno di Sardegna e Corsica.

Caduta Calvi, Bonifacio continuò a resistere, assumendo nel frattempo il singolare ruolo di elemento di speranza per i còrsi, che, sperimentato il violento dominio aragonese e oppressi da livelli di tassazione insopportabili, preparavano la rivolta al loro nuovo signore e, in buona parte, si riavvicinavano a Genova.

Nel frattempo la lunga resistenza di Bonifacio convinse gli assedianti a togliere il blocco alla città che, ottenuta la conferma dei propri privilegi, divenne di fatto una sorta di microrepubblica indipendente posta sotto protezione genovese.

Poco dopo, anche a causa dell'eccessiva tassazione, scoppiò una rivolta generale contro Vincentello, il quale, durante un tentativo di riparare in Sicilia, fu catturato con un colpo di mano nel porto di Bastia e, condotto a Genova come ribelle e traditore, vi fu decapitato il 27 aprile del 1434.

La lotta tra fazioni pro-genovesi e pro-aragonesi proseguì sull'isola, e il doge genovese Giano di Campofregoso riprese il controllo della Corsica, strappata dalla superiore artiglieria della Repubblica a Paolo della Rocca (1441).

In occasione di tale riconquista fu fondata e fortificata la città di San Fiorenzo (1440).

La reazione aragonese portò al culmine la lotta. Nel 1444 sbarcò sull'isola, inviata da papa Eugenio IV, un'armata pontificia forte di 14 000 uomini, che fu però sbaragliata dalle milizie còrse controllate da Rinuccio da Leca, a capo di una lega che raccoglieva quasi tutti i caporali e i baroni locali.

Una seconda spedizione fu invece vittoriosa e Rinuccio stesso cadde ucciso in battaglia di fronte a Biguglia.



***
La signoria del Banco di San Giorgio e di Genova
***



Il 1447 può essere considerato un anno di svolta nella storia del controllo genovese sulla Corsica. Energico e colto (introdusse a Roma lo spirito del Rinascimento), sale su trono papale Tommaso Parentucelli (Niccolò V), sarzanese e dunque legato alla Repubblica di Genova. Senza indugio egli riasserisce i diritti papali sull'isola (le cui piazzeforti erano sotto il controllo delle truppe pontificie) e contestualmente li trasferisce a Genova.

La Corsica viene così a essere largamente controllata dalla Repubblica ligure con l'eccezione della Cinarca, sotto nominale controllo aragonese attraverso il più concreto dominio dei Signori locali, e della Terra di Comune, la quale, attraverso un'assemblea dei suoi capi, nel 1453 decide di offrire il governo dell'intera isola al Banco di San Giorgio, la potente compagnia commerciale e finanziaria istituita a Genova nel 1407, che l'accetta.

Cacciati gli Aragonesi dall'isola (del loro passaggio rimarrà in Corsica solo l'emblema della Testa Mora, sviluppato a seguito della Reconquista), il Banco di San Giorgio iniziò una vera e propria guerra di annientamento contro i baroni isolani, la cui resistenza organizzata venne meno nel 1460, quando i superstiti furono costretti all'esilio verso la Toscana.

Occorsero ancora due anni di lotte per pacificare l'isola, arrivando così al 1462, quando il capitano Genovese Tommasino da Campofregoso, la cui madre era còrsa, fece leva con successo sui diritti della propria famiglia per riaffermare il pieno controllo della Repubblica anche nell'interno dell'isola.

Solo due anni dopo, nel 1464, Genova - e con essa la Corsica - cadde sotto l'influenza di Francesco I Sforza, duca di Milano.

Alla sua morte, nel 1466, l'autorità milanese nell'isola svanì sotto le consuete spinte anarchiche nell'interno e, ancora una volta, solo le città costiere rimasero effettivamente sotto la tutela delle potenze continentali.




Segue

 
Web  Top
view post Posted on 13/3/2024, 11:47     Top   Dislike
Avatar

Blogger

Group:
Administrator
Posts:
66,753
Reputation:
+1,770
Location:
Polo Nord and nomade virtuale 😂😂🥶🐧🐧

Status:




Nel 1484 Tommasino da Campofregoso persuase gli Sforza ad affidargli il governo dell'isola, facendosi consegnare le fortezze.

Nel frattempo consolidò il proprio potere interno, stringendo relazioni con Gian Paolo da Leca, il più potente dei baroni isolani.

Entro tre anni la situazione cambiò nuovamente. Un discendente dei Malaspina, che già avevano incrociato i loro destini con quelli della Corsica nell'XI secolo, Jacopo IV d'Appiano principe di Piombino, fu invitato a intervenire da quanti erano avversi a Tommasino, e così il fratello del principe, Gherardo, conte di Montagano, si proclamò conte di Corsica e, sbarcato sull'isola, si impadronì di Biguglia e di San Fiorenzo.

Piuttosto che opporsi a Gherardo, Tommasino restituì discretamente le proprie prerogative in favore del Banco di San Giorgio, che nel frattempo rifondò e fortificò Ajaccio (1492) presso il sito dell'antica Aiacium romana.

La decisione di Tommasino fu contestata da altri componenti della sua famiglia e dal Leca non appena il Banco ebbe ragione di Gherardo.

Il Banco rivolse allora le proprie armi contro i turbolenti baroni còrsi, che costrinse alla ragione dopo una lunga e sanguinosa lotta protrattasi sino al 1511.

Durante il proprio governo, il Banco di San Giorgio diede complessivamente prova di scarsa lungimiranza e acume politico, preferendo cinici tatticismi e la ricerca del profitto più immediato alla elaborazione di una strategia di integrazione, instaurando così una sorta di regime coloniale sull'isola.

Le colture, in particolare quella boschiva, vennero promosse, ma i proventi erano in larga parte incamerati dal Banco, che affliggeva l'isola con una tassazione in grado di soffocare in partenza qualsiasi reale possibilità di sviluppo locale.

Lungo tutte le coste dell'isola vennero riadattate e in gran parte costruite ex novo dozzine di torri d'avvistamento e difesa (molte delle quali visibili tuttora) a realizzare un sistema di allerta contro le incursioni dei corsari barbareschi, integrato dal pattugliamento navale.

Seppure non del tutto eliminato (sussisterà sino al XVIII secolo), il flagello fu posto sotto controllo, ma più allo scopo di proteggere i cespiti coloniali che a quello di offrire pace e protezione alla popolazione còrsa, che continuerà a subire le sanguinose incursioni dei corsari virtualmente lasciati liberi di agire nelle zone costiere reputate dal Banco prive di interesse economico e strategico.

Le istituzioni locali - tra le quali si distingueva per la sua concezione politica l'organizzazione della Terra del Comune[48]- furono in gran parte abolite o svuotate di ogni significato concreto.

I notabili locali ebbero precluso l'accesso a un pieno godimento della cittadinanza, per non parlare dell'accesso all'oligarchia repubblicana genovese, del tutto negato per definizione.

Gli accenni di ribellione vennero generalmente repressi con grande durezza, facendo più volte ricorso alla pena capitale; in alternativa, applicando ciecamente il principio del divide et impera, furono lasciate scoppiare scientemente - o vennero subdolamente incoraggiate - faide locali o focolai di guerra civile, reputandosi tali scontri utili a fiaccare le forze e il morale dei signori dell'isola e dunque a prevenire alleanze che potessero dar luogo a una sollevazione generale. In tal modo venne incoraggiato lo sviluppo delle piaghe della vendetta e del banditismo, che si radicarono, anziché essere estirpate.[senza fonte] Tutto questo mentre in Europa - e soprattutto nella vicina Italia peninsulare - fioriva il Rinascimento.

Alle sfortune politiche si aggiunsero pestilenze e carestie, che non fecero che contribuire al processo d'impoverimento e imbarbarimento dell'isola, oltre che a inasprire un'avversione verso il dominio genovese.




Segue

 
Web  Top
view post Posted on 17/3/2024, 20:45     Top   Dislike
Avatar

Blogger

Group:
Administrator
Posts:
66,753
Reputation:
+1,770
Location:
Polo Nord and nomade virtuale 😂😂🥶🐧🐧

Status:




La prima conquista francese e Sampiero Còrso



A cavallo della prima metà del XVI secolo la Francia - già da tempo in espansione come stato nazionale e potenza europea - inizia a rivolgere il suo interesse al Mediterraneo e, dunque, alla Corsica e alla penisola italiana.

In questo quadro, Enrico II di Francia concepisce il progetto di impossessarsi dell'isola, anche in considerazione della politica genovese, sfruttando il risentimento di quei còrsi che prestano servizio nelle armate francesi come soldati di ventura.

Concluso nel 1553 un trattato di alleanza con il sultano ottomano Solimano il Magnifico, il re di Francia si assicurò non solo la neutralità, ma la collaborazione della flotta turca nel Mediterraneo.

Vale la pena di ricordare brevemente che solo 18 anni dopo, nel 1571, l'avanzata ottomana verso l'Europa sarà fermata a Lepanto da una flotta multinazionale nella quale spicca l'assenza della Francia.

Poco dopo, la flotta franco-ottomana[50] si presentò davanti alle coste dell'isola e l'attaccò, ponendo l'assedio contemporaneamente a tutte le piazzeforti costiere.

Bastia cedette quasi senza combattere, mentre Bonifacio resistette molto a lungo e s'arrese solo dietro la promessa alla guarnigione di ottenere salva la vita, promessa poi disattesa dagli ottomani che, una volta penetrati nella cittadella, massacrarono tutti i difensori e si abbandonarono al saccheggio.

Presto cadde l'intera isola, con l'eccezione della sola Calvi che continuò la propria resistenza. E dopo la Corsica, l'armata turca attaccò e saccheggiò la Sardegna.

Preoccupato dall'azione francese (che apriva le porte alla potenza turca nel cuore del Mediterraneo occidentale), intervenne l'imperatore Carlo V d'Asburgo, il quale invase a sua volta l'isola alla testa delle sue truppe e di quelle di Genova.

Negli anni successivi, tedeschi, spagnoli, genovesi, francesi e còrsi si combatterono con ferocia, massacrandosi attorno ai castelli e alle piazzeforti dell'isola.

Nel frattempo andava completandosi l'insediamento dei Gesuiti nell'isola, principalmente per opera di fra Silvestro Landini, inviatovi direttamente da Sant'Ignazio di Loyola; il frate fondò due Case, ad Ajaccio e a Bastia, e tranne una piccola parentesi in Lunigiana, intorno al 1548, visse per la maggior parte del suo tempo nell'isola, ove morì, a Bastia, nel 1554.

Si giunse così al 1556, allorché venne conclusa una tregua che momentaneamente lasciava alla Francia il controllo di tutta l'isola con l'esclusione di Bastia, frattanto riconquistata dai genovesi e dagli imperiali. Il governo francese, più moderato di quello genovese, si guadagnò le simpatie locali, anche grazie all'azione dei còrsi in armi al servizio di Parigi, tra i quali spiccava, con il grado di colonnello, la figura del soldato di ventura Sampiero di Bastelica.

Nel 1559, tuttavia, la conclusione della pace di Cateau-Cambrésis dispose la restituzione della Corsica al Banco di San Giorgio.

Gli esattori del Banco procedettero immediatamente a imporre pesanti tasse, tese a recuperare le spese di guerra (tasse che gran parte dei còrsi si rifiutarono o non furono in grado di pagare) e, in violazione del trattato, che prevedeva un'amnistia generale, procedettero alla confisca di tutti i beni di Sampiero, di sua moglie Vannina d'Ornano, e di altri còrsi che avevano servito a fianco della Francia.

Sampiero, riparato in Provenza, non si diede per vinto e si mise a operare per raccogliere attorno a sé una parte significativa dei notabili dell'isola avversi a Genova, mentre parallelamente cercava appoggi per il suo progetto di strappare l'isola alla Repubblica ligure.

Si rivolse pertanto a Caterina de' Medici, che regnava in Francia a seguito della morte del marito durante i festeggiamenti in celebrazione della pace di Cateau-Cambrésis, la quale però rifiutò di coinvolgere la Francia in un'operazione che avrebbe riaperto la lunga guerra appena conclusa.

Non ebbe miglior sorte un analogo tentativo operato verso Cosimo de' Medici, che pure mirava a farsi signore di Corsica, ma s'era prefissato di ottenerla solo attraverso trattative con le potenze europee (senza nulla ottenere), convinto com'era che la Toscana non fosse in condizione di sfidarle apertamente.




Segue

 
Web  Top
view post Posted on 21/3/2024, 11:38     Top   Dislike
Avatar

Blogger

Group:
Administrator
Posts:
66,753
Reputation:
+1,770
Location:
Polo Nord and nomade virtuale 😂😂🥶🐧🐧

Status:




Fallito un ulteriore tentativo di farsi appoggiare dai Farnese di Parma, Sampiero - riuscito a munirsi di credenziali diplomatiche francesi - giunse a recarsi di persona in Nordafrica e a Costantinopoli a supplicare il Sultano di intervenire e di fare della Corsica una provincia ottomana, ciò che sembrerebbe rendere chiaro, meglio di ogni altro esempio, a quale punto fosse giunta Genova nel farsi detestare dai còrsi, raccolti attorno all'ormai ex colonnello del re di Francia.

La missione di Sampiero in oriente si concluse in un nulla di fatto anche perché nel frattempo Cosimo I, venuto a sapere del disegno del Còrso di installare la potenza ottomana proprio di fronte alle coste toscane, aveva avvertito dell'iniziativa i Genovesi, i cui ambasciatori avevano preceduto Sampiero e convinto i ministri ottomani a respingerne le richieste.

Mentre Sampiero era in missione in oriente, la moglie Vannina d'Ornano, titolare di feudi confiscati da Genova, aveva tentato di recuperarli cercando personalmente un'intesa con la Serenissima Repubblica[senza fonte].

Sampiero, venuto a conoscenza della faccenda al suo ritorno in Francia, non esitò a reagire a quello che considerava un tradimento sanguinoso, uccidendo un amico còrso lasciato a vegliare sulla sua sposa e strangolando personalmente la moglie e le due dame di compagnia cui l'aveva affidata durante la sua assenza.

Sampiero rivendicò gli omicidi come delitto d'onore e sfuggì così alla giustizia francese. Guidato da una singolare pervicacia e - con ogni probabilità - da una buona dose di disperazione legata anche alle sue vicende personali, sbarcò nel luglio 1563 con un pugno di seguaci a Propriano, nel golfo di Valinco, con l'intenzione di cacciare i genovesi dall'isola.

Questi, nel frattempo, riconosciuto seppur tardivamente il ruolo politicamente negativo giocato dal Banco di San Giorgio nell'amministrazione della Corsica, ne avevano assunto direttamente il controllo a partire dal 1562, installando un governatore nell'isola.

In breve tempo Sampiero raccolse e consolidò le alleanze locali preparate da tempo, mettendo assieme 8000 uomini con i quali condusse una sanguinosa serie di colpi di mano, cui il governo genovese s'oppose tanto in armi, quanto facendo leva sulle rivalità tra i maggiorenti isolani.

Dopo anni di guerra caratterizzati da una ferocia senza pari e segnati da massacri, saccheggi, incendi di messi e di interi villaggi, i genovesi, facendo leva sull'odio mai sopito dei parenti di Vannina, riuscirono ad assoldare tra essi dei sicari che, nel 1567, uccisero a tradimento Sampiero e ne recarono la testa mozzata al governatore ligure. Il nome presunto dell'uccisore di Sampiero, Vittolo, passò così a rappresentare per antonomasia un sinonimo di traditore nella fantasia popolare isolana ed è ancora oggi impiegato con tale significato.

La lotta proseguì per qualche tempo guidata dal figlio giovanissimo di Sampiero, Alfonso, ma i còrsi insorti, perduta la guida esperta di Sampiero e a corto di risorse militari, si sfaldarono e cercarono la pace, cui si giunse nel 1569 con l'intesa tra Alfonso e il genovese Giorgio Doria[senza fonte].



Segue

 
Web  Top
view post Posted on 25/3/2024, 10:50     Top   Dislike
Avatar

Blogger

Group:
Administrator
Posts:
66,753
Reputation:
+1,770
Location:
Polo Nord and nomade virtuale 😂😂🥶🐧🐧

Status:



Un secolo e mezzo di pax genovese



Alla fine della guerra si giunse anche grazie al fatto che, già negli ultimi tempi della lotta, Genova sembrava aver compreso che l'eccessiva durezza mostrata nell'amministrazione e nello sfruttamento della Corsica erano il miglior sistema per incitare i suoi abitanti a trovare nella rivolta l'unica risposta alla miseria loro inflitta, e aveva pertanto avviato una politica più moderata ed equilibrata per garantirsi l'appoggio della popolazione.

Il dispositivo di pace prevedeva un'amnistia e la liberazione di ostaggi e prigionieri, la concessione ai còrsi delle libertà - prima negate - di movimento da e verso l'Italia e di disporre direttamente dei propri beni, un condono e una proroga fiscale di cinque anni. Ad Alfonso fu offerta la restituzione dei feudi d'Ornano che, confiscati, erano stati all'origine della tragedia di sapore shakespeariano che aveva coinvolto il padre e la madre, inteso che egli, con i suoi più stretti seguaci, s'esiliasse comunque, come poi fece passando in Francia.

Nell'ottica di pacificare l'isola in modo duraturo e di riconoscere significativi elementi di autogoverno locale, nel 1571 Genova - tornata a occuparsi direttamente della Corsica sin dalla fine dell'amministrazione del Banco di San Giorgio nel 1562 - istituisce gli Statuti civili e militari che, da allora in poi, regoleranno - almeno sulla carta - il diritto e l'amministrazione nell'isola.

Successivamente emendati ed estesi, gli Statuti furono nel complesso un buono strumento istituzionale e - nelle parti recepite nella Costituzione paolina del 1755 - e resteranno parzialmente in vigore sino all'annessione francese del 1769.

Dal punto di vista amministrativo la Corsica dipese, da allora in poi, da una sorta di ministero dedicato, con sede a Genova: il Magistrato di Corsica, che rendeva conto del proprio operato di fronte ai massimi organi della Repubblica, il Maggior Consiglio e il Minor Consiglio.

Sull'isola risiedeva un governatore genovese, coadiuvato da un vicario e dal consiglio dei nobili dodici, mediato dalla simile istituzione della Terra di Comune.

Il territorio fu suddiviso in province, ognuna delle quali aveva alla propria testa o un commissario (con sede a Bonifacio, Ajaccio e Calvi), o un luogotenente (con sede a Corte o Aleria, Rogliano, Algaiola, Sartene e Vico). Le fortificazioni furono riparate o consolidate e ingrandite e vennero munite di presidi più solidi che nel passato.

Le corti di giustizia furono riorganizzate e dotate di un complesso apparato burocratico.

La vita pubblica fu organizzata attorno a una ridefinizione accurata delle comunità rurali che divennero il nucleo base del territorio dal punto di vista istituzionale, fiscale e religioso, integrando l'antica rete delle pievi.

I villaggi, riuniti in parlamenti, eleggevano periodicamente i loro podestà o padri del comune, responsabili delle funzioni di amministrazione e di polizia locali, attraverso la carica, pure elettiva, di capitano della milizia.

Le comunità si governavano quindi in maniera largamente autonoma, senza ingerenze da parte della Repubblica, se non in casi eccezionali.

Nei paesi dell'entroterra fu così libera di svilupparsi una classe di notabili indicati come i principali.

Gli atti, sia privati sia pubblici (elezioni locali e grida governatorali), erano trascritti presso i registri notarili. Tali registri venivano regolarmente sottoposti al cancelliere della sede provinciale competente e, per un certo periodo, le autorità locali furono autorizzate a inviare propri rappresentanti presso il governatore o, addirittura, presso l'autorità centrale a Genova, per esprimere particolari esigenze, denunce di gravi abusi o richieste di aiuto in caso di calamità quali la siccità.

Il territorio fu suddiviso, dal punto di vista fiscale e produttivo, in circoli destinati a frutteti e vigne, prese, destinate alle semine, e terre comuni, patrimonio collettivo delle comunità, destinate al pascolo, alle colture temporanee e orticole, alla raccolta di frutti di bosco e legname.

Guardie campestri e giudici specializzati si occupavano di vigilare sul rispetto degli Statuti nella conduzione delle terre.

Legislazione civile e criminale furono definite come mai prima, come pure la tassazione, resa più efficiente pur restando basata sulla taglia (l'imposizione diretta) e sulle gabelle come lo «scudo a botte» per il vino, le tratte per altri prodotti, il boatico (vendita forzosa a prezzo ridotto di orzo e grano alle guarnigioni di stanza sull'isola) e diversi monopoli (primo tra tutti quello sul sale) per quanto riguarda l'imposizione indiretta.

Le città costiere, alcune delle quali popolate in grande maggioranza da genti liguri (in particolare Calvi, Bastia e Bonifacio), godevano di diversi privilegi rispetto ai centri dell'interno (esenzioni fiscali, immunità particolari), venendo così a costituire un mondo a parte.

Sede dei governi provinciali, queste piccole capitali svilupparono un patriziato più affine a quello che cresceva nel frattempo in Italia, arricchendosi tanto con i traffici marittimi e con i compensi derivanti dall'esercizio di incarichi amministrativi legati al governo, quanto attraverso l'imprenditoria agricola sviluppata nell'immediato entroterra.

La classe del patriziato, detta dei nobili - ma in effetti si trattava una borghesia urbana - avevano in mano il mercato dei cereali, quello della pesca, quello dei prestiti e quello dell'artigianato e della produzione manifatturiera locali.

Saranno proprio gli esponenti di questa classe che, aspirando a sempre maggiori prestigio e ricchezze, si porranno nel XVIII secolo alla guida della rivolta popolare e costituiranno prima il nerbo della Corsica indipendente di Pasquale Paoli, e poi il primo elemento di legittimazione locale dei governi francesi.

La Repubblica, sia durante il XVII sia il XVIII secolo, riprese la parte migliore del lavoro già avviato dal Banco di San Giorgio nel mettere a frutto la coltivazione cerealicola nelle regioni litoranee, la coltura dell'ulivo (soprattutto in Balagna) e lo sfruttamento forestale (soprattutto i castagneti di Castagniccia).

La rete stradale dell'isola fu incrementata e migliorata (alcuni ponti genovesi sono ancor oggi in uso), mentre specialmente nel Cismonte e in tutte le città costiere ebbe luogo un'intensa attività di edificazione e di ristrutturazione edilizia che caratterizzò molti centri storici il cui aspetto è, ancor oggi, marcato dalla forte impronta stilistica ligure e barocca dovute a questo periodo.

Sulle coste fu rafforzato il dispositivo delle torri d'avvistamento e difesa, a causa della recrudescenza degli assalti barbareschi, che divennero particolarmente frequenti e distruttivi soprattutto nei due decenni successivi alla sconfitta subita dagli ottomani a Lepanto nel 1571.

Ciò che non deve stupire in quanto la pirateria venne a riempire lo spazio lasciato libero dall'impossibilità per gli ottomani di accedere altrimenti alle ricchezze prima disponibili attraverso i normali traffici loro negati a seguito del grave rovescio della loro flotta.

Le conseguenze di questo ventennio di attacchi, piuttosto ben documentati e distribuiti in un po' tutta l'isola, furono disastrose e comportarono l'abbandono di dozzine e dozzine di centri abitati di pianura come non avveniva da secoli.

È esemplare a questo proposito il caso di Sartene. Nel 1540 la sua regione contava undici centri maggiori che alla fine del secolo risultano tutti abbandonati tranne Sartene stessa, che fu fortificata e che costituì rifugio di tutta la popolazione del suo circondario sino al XVIII secolo quando, passato il pericolo, i centri minori poterono risorgere.

Nello stesso periodo l'isola fu colpita da gravi pestilenze che costituirono ulteriori ostacoli alla realizzazione dei piani di sviluppo predisposti dalla Repubblica, che nel complesso, per quanto ben congegnati sulla carta, non ebbero il successo sperato.

La stagnazione economica tenne dunque viva la storica tendenza all'emigrazione delle genti còrse, che continuarono a tentare di cercar fortuna sul continente, specialmente servendo - per tradizione consolidata - come militari al servizio delle potenze straniere, e anche sfidando la proibizione in tal senso emessa da Genova, preoccupata da questa emorragia che ostacolava i propri piani di sviluppo e spopolava le campagne.

Tale preoccupazione del resto, era ben spiegata dalle mancate entrate fiscali che derivavano dal mancato sviluppo e che assumevano un peso particolare considerando il declino finanziario della Repubblica, che s'era esposta a finanziare i sovrani di Spagna i quali, nel corso del XVII secolo, più volte mancarono di restituire alla scadenza prevista i cospicui prestiti concessi da Genova, sino a dichiararsi insolventi. In tal modo divennero inesigibili ricchezze vitali all'effettiva indipendenza e alle speranze di potenza della Repubblica ligure, già scossa dalla perdita progressiva di tutte le sue colonie d'oriente per mano dei Turchi e dal calo del volume dei suoi traffici con il Levante, indotto anche dalla concorrenza Francese, venutasi ad aggiungere, a partire dal XVI secolo, a quella storicamente esercitata dalla Repubblica di Venezia.

Oltre a ristabilire la proibizione formale a espatriare, nuovamente imposta ai còrsi a dispetto di quanto promesso inizialmente negli Statuti, Genova cercò in ogni modo di incoraggiare la valorizzazione delle terre dell'isola, istituendo anche a tale scopo la figura del Magistrato della coltivazione e concependo piani di sviluppo che però rimasero in buona parte inattuati, ma la cui bontà generale è testimoniata dal fatto che saranno molto più tardi fedelmente ricalcati da simili piani francesi (anch'essi, per altro, rimasti largamente inattuati).

Uno dei punti deboli di tali piani era costituito dal fatto che essi, piuttosto che su un intervento dello Stato (per altro di difficile attuazione, vista la sofferenza finanziaria della stessa Repubblica), basavano tutte le proprie speranze di attuazione sulla libera iniziativa privata attraverso un complesso sistema di infeudamenti ed enfiteusi che invece di avviare il circolo virtuoso produttivo sperato, finì per avviare l'erosione delle terre comuni alienandone la piena disponibilità alle comunità locali e favorendo l'arricchimento di alcuni Principali e Nobili senza alcun vantaggio per la collettività.

Tale fenomeno di espropriazione e immiserimento delle comunità còrse a favore di ricchi possidenti avrà un'accelerazione decisiva quando lo schema sarà riproposto dai francesi, e finirà per creare danni sociali tanto acuti da poter essere considerato tra le cause scatenanti delle insurrezioni che, per circa un cinquantennio, scoppiarono in Corsica dopo l'occupazione francese e che, per certi versi, sono paragonabili alle insorgenze che nell'Italia meridionale sottoposta al governo sabaudo all'indomani della caduta del Regno delle due Sicilie, daranno vita al fenomeno poi passato alla storia come Brigantaggio.

In questo quadro si inserisce come singolare la concessione ad alcune centinaia di greco-cattolici originari della Laconia (regione meridionale del Peloponneso) in fuga dal dominio ottomano.

A seguito di lunghe trattative (che richiedevano sostanzialmente l'accettazione del primato papale in campo religioso, come avvenuto per altre comunità arvanite di rito greco riparate in Italia) questi profughi furono installati nel 1676 nelle terre costiere a circa 50 km a Nord di Ajaccio.

Nella regione, detta Paomia, i greco-cattolici fonderanno una colonia che, spostata a Cargese a seguito dell'occupazione francese, ha mantenuto alcune tradizioni originarie, ivi compreso il rito religioso orientale, tuttora officiato.

Il mancato successo dei piani di sviluppo genovesi - che finì comunque per porre in modo acuto una questione agraria le cui conseguenze si faranno sentire sino ai nostri giorni - nel contesto di un'economia ancora improntata a uno sfruttamento sostanzialmente coloniale e di un restringimento progressivo all'esercizio effettivo delle poche libertà concesse ai còrsi, considerati di fatto come sudditi e non come cittadini dalla Repubblica, finì per far montare una crisi che doveva rivelarsi senza rimedio e che avrebbe condotto la Corsica a rompere definitivamente con Genova, sia pure in modo graduale e difficilmente percettibile sino all'esplosione della rivolta, a partire dal 1729.




Segue

 
Web  Top
view post Posted on 29/3/2024, 08:32     Top   Dislike
Avatar

Blogger

Group:
Administrator
Posts:
66,753
Reputation:
+1,770
Location:
Polo Nord and nomade virtuale 😂😂🥶🐧🐧

Status:



La fine della Guardia Corsa Papale a Roma



Tra i reparti militari interamente còrsi che operarono fuori dall'isola la Guardia còrsa papale fu il più famoso e quello di più lunga - plurisecolare - durata.

Malgrado l'incertezza dei documenti, si fa solitamente risalire al 1378 - in coincidenza con la fine della «cattività avignonese» - la fondazione, a Roma, di un corpo militare composto esclusivamente da còrsi con funzioni di guardia del pontefice e di milizia urbana.


Non sono conosciuti documenti attestanti l'istituzione di questo corpo militare in precedenza, anche se la presenza di una significativa colonia còrsa a Porto (Fiumicino) e poi in Trastevere (dove la chiesa di San Crisogono fu titolo nazionale e basilica cimiteriale dei còrsi) è certa almeno dal IX secolo e non è affatto da escludere un'organizzata presenza di milizie còrse nel seno delle armate papali anche assai prima del XIV secolo, stante il forte legame della Corsica con Roma, dalla quale l'isola dipese formalmente a partire dall'VIII secolo e sino alla sua definitiva entrata nell'orbita genovese.

La Guardia còrsa che, come vedremo, sarà ininterrottamente al servizio del papa per quasi tre secoli, precederebbe dunque di quasi 130 anni l'istituzione, nel 1506 della oggi ben più nota Guardia svizzera.

L'esistenza della Guardia còrsa si ebbe in seguito a un incidente occorso a Roma il 20 agosto 1662: Luigi XIV di Francia inviò a Roma suo cugino Carlo III, duca di Créquy, come ambasciatore straordinario con una scorta militare rafforzata, che finì in breve tempo - e quasi inevitabilmente - per causare una grave rissa presso il Ponte Sisto con alcuni militi della Guardia còrsa che pattugliavano le vie di Roma.

L'affronto dovette essere particolarmente grave (ne erano stati segnalati molti altri sin dal 1661, ma senza gravi conseguenze), perché anche i militi a riposo nella caserma della Guardia alla Trinità de' Pellegrini, presso Palazzo Spada, accorsero ad assediare il vicinissimo Palazzo Farnese, sede dell'ambasciatore francese, pretendendo la consegna dei militi francesi responsabili dello scontro.

Ne seguì una sparatoria, innescata dal casuale ritorno a Palazzo Farnese, sotto nutrita scorta militare francese, della moglie dell'ambasciatore.

Un paggio della signora di Créqui rimase mortalmente ferito e Luigi XIV ne approfittò per trarne pretesto per portare ai massimi livelli lo scontro con la Santa Sede, già avviato sotto il governo del cardinale Mazarino.

La reazione e le pretese del Re di Francia nei confronti del Papa danno la misura della potenza, ma anche della personalità e dei metodi adottati dal monarca, che ritirò l'ambasciatore da Roma, espulse quello del papa in Francia, procedette all'annessione dei territori pontifici ad Avignone e minacciò seriamente di invadere Roma se Alessandro VII non gli avesse presentato le sue scuse e non si fosse piegato ai suoi desideri, che comprendevano lo scioglimento immediato della Guardia còrsa, l'emissione di un anatema contro la loro nazione, l'impiccagione per rappresaglia di un certo numero di militi e la condanna al remo in galera per molti altri, la rimozione del Governatore di Roma e l'erezione nei pressi della caserma della Guardia di una colonna d'infamia a imperitura maledizione dei còrsi che avevano osato sfidare l'autorità francese.



Segue

 
Web  Top
view post Posted on 1/4/2024, 21:03     Top   Dislike
Avatar

Blogger

Group:
Administrator
Posts:
66,753
Reputation:
+1,770
Location:
Polo Nord and nomade virtuale 😂😂🥶🐧🐧

Status:




La rivolta contro Genova



Pur non minacciata da nuove invasioni (fatte salve le perduranti scorrerie corsare) e da nuovi cambi di regime e di potenza occupante, la Corsica, durante l'ultimo secolo di dominazione genovese volge - quasi in silenzio - verso una crisi che ne segnerà la storia in modo drammatico, e che condurrà l'isola a perdere il contatto con la propria naturale area culturale, etnografica e linguistica attraverso la sua difficile integrazione nello Stato francese.

Del resto già la penetrazione Genovese in Corsica, e poi il suo dominio, come abbiamo visto segnati da asperrime lotte, avevano contribuito - sebbene in misura assai minore di quanto avverrà con la sua francesizzazione - ad alienare la Corsica dall'alveo socioculturale e linguistico toscano e centro-italiano nel quale s'era sviluppata dal IX secolo: le grida del governo genovese, scritte in italiano, erano più comprensibili all'analfabeta pastore còrso che al gendarme di lingua ligure che accompagnava l'araldo che le annunciava nei villaggi dell'isola.

La crisi sofferta dalla Corsica durante il XVII secolo e poi nel XVIII è, inevitabilmente, conseguenza della crisi e del progressivo declino e indebolimento della Repubblica di Genova, nel più ampio quadro del declino generale che interessa tutta la Penisola italiana dopo il Rinascimento, in contrapposizione alla crescente influenza di altri stati europei.

Genova entra in una situazione di sensibile crisi ben prima di Venezia e si troverà a essere minacciata da vicino e poi occupata e disciolta come stato indipendente dalla Francia poco dopo aver perso la Corsica e, anzi, avendo speso gran parte delle proprie residue energie proprio nel vano tentativo di conservarne il controllo.

Conviene qui soffermarsi a evidenziare che la Liguria ha oggi una superficie (5 410 km²) nettamente inferiore a quella della Corsica e che, anche se al tempo della Repubblica il territorio metropolitano era maggiore (poco oltre i 6 000 km²), la Corsica rappresentava comunque circa il 60% dell'intero territorio controllato dalla Dominante.

Anche il dato demografico è impressionante: la Liguria, che oggi conta 1 760 000 abitanti, ne contava solo circa 370 000 nel Seicento (che passeranno a 523 000 alla caduta della Repubblica nel 1797) mentre la Corsica ne contava circa 120 000 nel XVII secolo e non giungevano a 165 000 alla fine del XVIII secolo.

Salta all'occhio, dunque, come la lotta che si svolse per quarant'anni (dal 1729 al 1768) tra Genova e la sua colonia insorta fosse una lotta per la sopravvivenza (e difatti Genova perderà la sua indipendenza meno di trent'anni dopo aver perso la grande isola), di come essa fosse più che impegnativa per la Repubblica, che controllava in continente un territorio inferiore a quello disputato e per di più senza disporre in patria di una base demografica schiacciante rispetto a quella còrsa.

A questo proposito va anche notato come la ferocia della guerra e il suo perdurare per decenni abbia influito drammaticamente sulla stentata crescita della popolazione còrsa, soprattutto a seguito delle stragi e delle distruzioni che continuarono ad affliggere la Corsica in lotta contro la Francia (con episodi significativi almeno sino al secondo decennio del XIX secolo) dopo che Genova s'era sfilata dalla lotta e attendeva, tutto sommato in pace, la sua fine come Stato indipendente.

Alla radice della rivolta còrsa contro Genova, accanto a un'avversione per il governo genovese (di solito ingigantita ad usum Delphini da buona parte della storiografia di marca francese), generata dalla mancata equiparazione della cittadinanza rispetto ai domini di terraferma della Repubblica, c'è la stagnazione della produzione di ricchezza indotta dallo scarso successo dei piani di sviluppo dell'isola.

La Corsica finì così a vivere di un'economia sostanzialmente di sussistenza, mentre altrove in Europa fiorivano i commerci e si realizzava l'accumulazione di immense ricchezze.

Sull'isola, invece, le misure prese dal governo della Repubblica al fine di stimolare l'agricoltura finiscono, nel loro affidarsi eccessivamente all'iniziativa privata, per far sorgere una borghesia in buona parte parassitaria, che vive (salvo qualche eccezione, come nel Capo còrso, dove prevale l'impresa commerciale legata ai trasporti navali) soprattutto di rendita fondiaria quando non di usura anche spicciola, ma fortemente dannosa, come ad esempio quando finisce per taglieggiare la transumanza pastorale e minacciare la stessa sussistenza delle comunità contadine sottraendo progressivamente spazio alle terre comuni.

Questo stato di cose fa crescere sino a livelli parossistici il livello di litigiosità locale e fa riesplodere e ingigantire progressivamente i fenomeni della vendetta e per conseguenza, del diffuso banditismo (cui fanno ricorso sia i còrsi braccati dalla giustizia per le faide, sia i pastori gettati sul lastrico dalle pretese dei principali proprietari terrieri e dei loro fattori), creando una situazione di allarme e malessere sociale diffuso, sino a configurare uno strisciante stato di guerra civile.

L'indifferenza sostanziale di Genova di fronte a tale evoluzione e la sua presenza sensibile solo al momento di esigere gabelle e di perseguire i delitti (neanche tutti e non sempre con efficacia), finisce per elevare parossisticamente la naturale tendenza isolana all'introversione e a far crescere a dismisura il sentimento di estraneità e di avversione che si diffonderà nell'isola contro la Repubblica.

Quando essa interverrà a tentare - troppo tardivamente e in modo incongruo - di porre un freno alla violenza diffusa, con la proibizione generale per i còrsi di portare armi (una proibizione particolarmente incomprensibile e inaccettabile per un popolo da sempre abituato a esse), anziché recare sollievo e pacificazione, contribuirà a rendere inevitabile la rivolta, anche grazie alla disparità di trattamento creata attraverso la concessione arbitraria di salvacondotti e indulti (rispetto al porto delle armi e al loro uso), unita alla singolare pratica di arruolare nelle proprie milizie i banditi che non riesce a catturare.

Sarà proprio la classe minoritaria dei notabili rurali e cittadini dell'isola, al cui sviluppo aveva dato impulso decisivo il complesso di misure economiche privatistiche del governo genovese, a far leva sulla situazione modesta e a volte miserabile del resto della popolazione (non dissimile però da quella di altre aree depresse d'Italia o di Francia) per avviare, dal 1729, la grande rivolta indipendentista còrsa.




Segue

 
Web  Top
view post Posted on 5/4/2024, 08:48     Top   Dislike
Avatar

Blogger

Group:
Administrator
Posts:
66,753
Reputation:
+1,770
Location:
Polo Nord and nomade virtuale 😂😂🥶🐧🐧

Status:



Dalla rivolta del 1729 a re Teodoro



Per compensare i mancati introiti fiscali dovuti alla proibizione del porto d'armi (molto diffuso e per il quale si pagava una tassa), nel 1715 Genova introdusse in Corsica la tassa generale dei due seini.

Tale tassa era stata varata come temporanea, ma era stata più volte prorogata senza che il divieto a girare armati e l'introduzione dei pacieri - magistrati preposti alla composizione pacifica delle vendette - avesse sortito effetti significativi.

Nel 1729 si parlò di nuovo di prorogare i due seini per altri cinque anni, proprio mentre i cattivi raccolti degli ultimi anni e l'indebitamento dei contadini assumeva livelli catastrofici.

Fu così che la spedizione periodica per l'esazione dei due seini effettuata dal luogotenente di Corte nella Pieve di Bozio, fece scoccare la scintilla insurrezionale nel cuore di quella Terra di Comune che, più socialmente e civilmente avanzata di altre regioni sin dal Medioevo, meno era atta a sopportare la crisi economica e il restringimento dei diritti che subiva.

Un distaccamento di soldati Genovesi fu circondato, disarmato, derubato e, spogliato di tutto, rimandato a Bastia mentre in tutta la regione suonavano le campane e in montagna il tradizionale corno marino dei pastori chiamava alla rivolta.


Così ebbe origine una vera e propria jacquerie contadina che, all'inizio del 1730, scendendo dalla Castagniccia e dalla Casinca, si diede al saccheggio nella piana di Bastia, investendo parzialmente anche la capitale.

Genova inviò sull'isola come nuovo governatore Gerolamo Veneroso (che era stato doge dal 1726 al 1728) e si giunse a un'effimera tregua, invitando le comunità còrse a presentare le proprie istanze.

Nel dicembre del 1730 gli insorti, riuniti nella Consulta (assemblea) di San Pancrazio prendono misure sul finanziamento dell'insurrezione e la costituzione di milizie, coagulando un proprio gruppo dirigente attorno ad alcuni notabili: Andrea Colonna Ceccaldi, Luigi Giafferi e l'abate Raffaelli, a segnare l'adesione del basso clero a quella che presto diverrà causa nazionale.


Nel successivo febbraio 1731 una Consulta generale tenuta a Corte stabilisce formalmente le rivendicazioni da indirizzare al governo genovese, segnando una fase nella quale i notabili ormai alla guida della rivolta si preoccupano di moderarla (reprimendo discoli e malviventi) e di trovare sbocchi negoziali alla rivolta.

L'aprile seguente i teologi isolani si riuniscono a Orezza, assumendo un atteggiamento prudente, con l'invito alla Repubblica a esercitare i propri doveri per evitare disordini, verso i quali viene mostrata comprensione.

Il canonico Orticoni si reca in missione da una corte all'altra in Europa, difendendo le ragioni della propria gente specialmente presso la Santa Sede.

La rivolta còrsa diviene rapidamente un affare europeo e non manca di attirare l'attenzione dell'ambasciatore francese a Genova, che prontamente ne riferisce al proprio governo.



Segue

 
Web  Top
view post Posted on 9/4/2024, 20:23     Top   Dislike
Avatar

Blogger

Group:
Administrator
Posts:
66,753
Reputation:
+1,770
Location:
Polo Nord and nomade virtuale 😂😂🥶🐧🐧

Status:




Nel frattempo l'anarchia e i disordini tornano, dopo secoli, a insanguinare tutta l'isola: la colonia greca di Paomia viene aggredita e minacciata di massacro, segnando l'estensione della rivolta, prima confinata al Cismonte, anche al Pumonte, mentre s'avvia il contrabbando di armi specialmente da Livorno, con l'aiuto dei còrsi emigrati in Italia.

Alcuni insorti, fidando, come da tradizione, in appoggi esterni, invocano l'aiuto di Filippo V di Spagna (che prudentemente eviterà di invischiarsi nella vicenda) e, allo scopo, producono la riedizione della bandiera Aragonese con la Testa Mora: la benda che, nell'originale, copriva gli occhi della figura, viene spostata come una fascia sulla fronte a dare forma al motto che viene coniato per questo vessillo, «Adesso la Corsica ha aperto gli occhi».

Nell'agosto del 1731 Genova, rotti gli indugi e incapace di far fronte da sola alla ribellione, ottiene dall'Imperatore Carlo VI (preoccupato di prevenire un eventuale coinvolgimento di Filippo V) l'invio di una spedizione militare che sbarca in Corsica agli ordini del barone tedesco Wachtendonk in appoggio alle forze del commissario straordinario genovese, Camillo Doria.

Dopo aver subito una sconfitta a Calenzana (febbraio 1732), le truppe imperiali, forti di superiore artiglieria e di 8 000 uomini, hanno la meglio.

I capi della rivolta sono esiliati e l'arbitrato imperiale si fa garante, nel gennaio del 1733, delle graziose concessioni (in verità ben formulate per riuscire soddisfacenti) che il Minor Consiglio genovese approva al fine di disarmare le aspirazioni secessioniste e riportare la calma nell'isola.

Solo per poco, poiché già nell'autunno seguente (1733) scoppia un nuovo focolaio insurrezionale in Castagniccia, stavolta guidato direttamente da un notabile proveniente dalla massima istanza locale che Genova aveva voluto a collaborare con il proprio governatore, i Nobili Dodici.

Tra questi era stato precedentemente eletto Giacinto Paoli, che si trova a capo della nuova rivolta.

L'isola sfugge nuovamente al controllo genovese - salvo le città costiere - e gli insorti si organizzano con il crescente aiuto dei loro compatrioti in Italia.

Si giunge così al 1735, quando una nuova Consulta generale tenuta a Corte elabora, sotto la guida dell'avvocato Sebastiano Costa (un còrso rientrato dall'Italia a sostenere l'insurrezione) una dichiarazione costituzionale che di fatto costituisce la Corsica in Stato sovrano.

Il testo prefigura già la Costituzione paolina del 1755 e attira l'attenzione di Montesquieu, segnalando sin da allora come alla guida della rivoluzione còrsa si muovano uomini ispirati dai più avanzati concetti giuridici e illuministici già diffusi in Italia.

Nello stesso contesto la Corsica viene posta sotto la protezione della Vergine Maria e viene adottato come inno nazionale il canto sacro Dio vi salvi Regina composto alla fine del secolo precedente dal gesuita Francesco di Geronimo, originario di Grottaglie.

Lo Stato di Corsica concepito a Corte manca volutamente di un sovrano, con lo scopo più o meno palese - pur di liberarsi della Repubblica ligure - di indurre qualche regnante europeo a reclamare per sé la Corsica.

Tuttavia, pur se molti sono i monarchi che gradirebbero impadronirsi dell'isola, il complesso equilibrio raggiunto dopo la Pace di Vestfalia induce ciascuno alla prudenza e gioca a favore di Genova e dell'incredibile avventura di un certo barone Teodoro di Neuhoff (1694-1756), uno strano avventuriero della piccola nobiltà tedesca fuoriuscito dalla nativa Colonia e passato in Francia e Spagna prima di riuscire a convincere la comunità còrsa di Livorno a candidarsi al vacante trono di Corsica.

È così che, sbarcato nel marzo 1736 ad Aleria con armi, cereali e aiuti in danaro, riesce con notevole abilità ed eloquenza a farsi accogliere da Giacinto Paoli, Sebastiano Costa e Luigi Giafferi, che guidano l'insurrezione, come una sorta di Deus ex machina e farsi proclamare re di Corsica.

Alquanto perspicace, Teodoro dimostra di aver compreso alla radice quali siano le aspirazioni più profonde dei notabili isolani e si affretta a instaurare un ordine della nobiltà di Corsica, distribuendo con liberalità titoli magniloquenti ai capi degli insorti.

Ciò malgrado, subito si accesero dispute tra i nuovi nobili per accaparrarsi i titoli che sembravano più suggestivi, a riprova di quanto le aspirazioni dei notabili fossero legate al proprio avanzamento sociale (in modo non dissimile da quanto avverrà nelle altre rivoluzioni moderne), negato loro costituzionalmente da Genova.

Ai malumori collegati alle dispute intorno ai titoli nobiliari, si aggiunsero presto quelli assai più seri legati al venire al pettine dei nodi legati alle vane promesse di aiuti con le quali Teodoro aveva convinto i còrsi a farlo loro re. Ancora una volta dimostrando notevole tempismo e perspicacia, dopo solo otto mesi di regno l'effimero sovrano, sbeffeggiato dai genovesi, lasciò la Corsica nel novembre del 1736 con il pretesto di recarsi a reclamare personalmente gli "aiuti" millantati.

Ancora nel 1736 esce, scritto dall'abate còrso Natali, il Disinganno intorno alla Rivoluzione di Corsica, primo esempio significativo della fiorente letteratura apologetica - sempre scritta in italiano - che renderà popolare la lotta d'indipendenza dei còrsi presso gli ambienti illuminati di tutta Europa.

Teodoro riapparirà in Corsica solo due anni dopo, per un breve tentativo - subito fallito - di restaurazione e ancora nel 1743, con l'appoggio britannico, con identico esito.

La vita del re di Corsica si concluderà in povertà a Londra nel 1756 e la sua tragicomica vicenda sarà oggetto di curiosità in tutta Europa, al punto da meritargli un'opera (Teodoro a Venezia) di Paisiello, che ne aveva filtrato il personaggio già dileggiato da Voltaire nel suo Candido.




Segue

 
Web  Top
view post Posted on 14/4/2024, 19:58     Top   Dislike
Avatar

Blogger

Group:
Administrator
Posts:
66,753
Reputation:
+1,770
Location:
Polo Nord and nomade virtuale 😂😂🥶🐧🐧

Status:




Il primo coinvolgimento francese



Partito Teodoro la lotta continua in una situazione di sostanziale stallo.

Da un lato, i còrsi insorti e padroni dell'isola, ma incapaci di conquistarne le fortezze costiere, dall'altro i genovesi serrati nei maggiori centri litoranei, privi di risorse umane e finanziarie per poter lanciare una controffensiva e riprendere il pieno controllo della Corsica.

È in queste circostanze che Genova, rimasta senza alternative - pur di malavoglia e con comprensibile diffidenza - prende una decisione che si rivelerà fatale e accetta l'interessato aiuto che la Francia le offre, desiderosa com'è di mettere le mani sulla Corsica (prevenendo possibili analoghe mosse inglesi o spagnole) pur senza causare un conflitto aperto europeo.

La strategia della Francia di Luigi XV sotto il governo prima del cardinale de Fleury e poi di Germain Louis Chauvelin e del duca de Choiseul, consisterà sostanzialmente nell'installare proprie truppe in Corsica con il pretesto di sostenere il governo genovese, cui però presenterà il conto del mantenimento dell'armata, ben sapendo che la Repubblica difficilmente troverà le risorse necessarie a saldare il debito contratto.

Così nel febbraio 1738 sbarcano in Corsica le prime truppe francesi al comando del generale de Boissieux, che si atteggia a mediatore, senza tuttavia accontentare nessuno.

A dicembre una colonna francese viene ignominiosamente messa in fuga dagli insorti a Borgo e Boissieux viene sollevato dall'incarico, affidato di seguito a Maillebois. Questi prende in mano la situazione e attacca gli insorti.

Già nel luglio del 1739 Giacinto Paoli (seguito dal figlio Pasquale) e Luigi Giafferi sono costretti a riparare in esilio verso l'Italia.

Nel 1741, considerando pacificata l'isola, Maillebois lascia Bastia senza che la Repubblica ligure, da sola, riesca a tenere davvero sotto controllo l'isola, che presto è di nuovo in fermento.

A nulla vale un nuovo compromesso offerto da Genova nel 1743, né la missione pacificatrice intrapresa sull'isola dal francescano Leonardo da Porto Maurizio, condotta nel 1744.

Nell'agosto 1745 una nuova Consulta rivoluzionaria convocata a Orezza mette un nuovo triumvirato alla testa della rivolta, composto da Gian Pietro Gaffori, Alerio Matra e Ignazio Venturini, mentre il còrso fuoriuscito Domenico Rivarola (ex podestà di Bastia nel 1724 e poi colonnello dell'armata sabauda) riesce a convincere Carlo Emanuele III di Savoia a tentare, con l'appoggio degli inglesi (anch'essi bramosi di mettere le mani sulla Corsica) e degli austriaci, una spedizione contro Bastia.

Tra il 1745 e il 1748, con l'aiuto inglese e sabaudo, Domenico Rivarola riesce a mettersi a capo di parte degli insorti e a impegnare duramente i Genovesi a Bastia, ma le divisioni tra i notabili còrsi minano i successi della sua iniziativa e nel 1748 Rivarola muore a Torino, ove s'era recato a cercare nuovi aiuti.

Messi di nuovo alle strette, i Genovesi dovettero ancora ricorrere alla Francia, che inviò a Bastia nuove truppe guidate dal Maresciallo de Cursay.

Questi, oltre a svolgere un ruolo di mediazione, avviò nella capitale dell'isola un'accademia e altre iniziative culturali che avevano lo scopo di installare e di irradiare la cultura francese nell'isola. Il troppo zelo dimostrato dal de Cursay nella sua azione propagandistica in favore della Francia esercitata presso i còrsi, suscitò le ire dei Genovesi.

La Repubblica reagì nel 1753, chiedendo e ottenendo la partenza del Maresciallo e delle sue truppe dall'isola. Frattanto alcuni sicari al soldo di Genova assassinavano il capo degli insorti, Gian Pietro Gaffori.

Va ricordato che queste ultime vicende si inquadrano nello svolgimento della Guerra di successione austriaca che, tra l'altro, porta all'occupazione di Genova da parte delle armate austriache (con il famoso episodio del Balilla, dicembre 1746), e a nuovi, durissimi colpi per la Repubblica, impoverita, invasa e costretta dall'ostilità dei Savoia ad affidarsi sempre più all'influenza della Francia.



Segue

 
Web  Top
view post Posted on 18/4/2024, 17:29     Top   Dislike
Avatar

Blogger

Group:
Administrator
Posts:
66,753
Reputation:
+1,770
Location:
Polo Nord and nomade virtuale 😂😂🥶🐧🐧

Status:



La Corsica indipendente di Pasquale Paoli


Dopo l'assassinio di Gaffori (per mano di còrsi assoldati da Genova e nel quale fu implicato suo fratello, che fu giustiziato), gli insorti impiegarono quasi due anni per trovare un accordo sulla nuova guida.

La scelta di un gruppo consistente di notabili dell'area settentrionale del Cismonte, forse anche per non chiamare in causa rivalità già consolidate nell'isola, cadde sul trentenne Pasquale Paoli, figlio di Giacinto, che era stato esiliato a Napoli dal 1739.

Pasquale, che aveva 14 anni quando aveva lasciato la Corsica, nel frattempo era divenuto un ufficiale di Carlo di Borbone e prestava servizio a Porto Longone (odierna Porto Azzurro) all'isola d'Elba.

«[Noi còrsi] Siamo Italiani per nascita e sentimenti, ma prima di tutto ci sentiamo italiani per lingua, costumi e tradizioni... E tutti gli italiani sono fratelli e solidali davanti alla Storia e davanti a Dio... Come Còrsi non vogliamo essere né servi e né "ribelli" e come italiani abbiamo il diritto di essere trattati uguale agli altri italiani... O non saremo nulla... O vinceremo con l'onore o moriremo con le armi in mano... La nostra guerra di liberazione è santa e giusta, come santo e giusto è il nome di Dio, e qui, nei nostri monti, spunterà per l'Italia il sole della libertà.»

(discorso di Pasquale Paoli dopo essere arrivato a Napoli nel 1750).

Formatosi nell'ambiente illuminista della Napoli di Antonio Genovesi e di Gaetano Filangieri, Pasquale Paoli - che si era preparato già da qualche tempo a rientrare nell'isola con un ruolo dirigente - avrebbe impresso una svolta decisiva alla rivolta còrsa: fu Paoli che gli fece assumere i connotati di prima vera (e ingiustamente oggi misconosciuta) rivoluzione borghese d'Europa, e sua è la prima costituzione (anch'essa ingiustamente poco nota) democratica e moderna, quella che regolò la vita della Corsica indipendente dal 1755 alla conquista francese 1769.

Giunto in patria il 19 aprile, Paoli raggiunse il fratello Clemente a Morosaglia e, tra il 13 e il 14 luglio 1755, venne proclamato generale di quella che ormai, con piena coscienza, si definiva come la Nazione còrsa.

L'elezione avvenne presso il convento francescano di Sant'Antonio di Casabianca. Emanuele Matra, notabile della regione di Aleria, raccolti intorno a sé un gruppo di maggiorenti avversi al partito di Paoli, non ne accettò l'elezione e diede vita a una vera e propria guerra civile per opporvisi.

Affrontato con polso di ferro e vinto entro novembre dal neoeletto Generale della Nazione (che, secondo il console francese a Bastia, riceveva appoggi britannici), il Matra, che era sostenuto dai genovesi, fu sconfitto e costretto all'esilio.

Malgrado il successo, Paoli dovrà affrontare ancora per anni le ostilità suscitate dai membri della famiglia Matra e dai loro alleati.

Tra il 16 e il 18 novembre 1755, riunita una Consulta generale a Corte (divenuta capitale dello Stato còrso), Paoli promulgò la Costituzione di Corsica.

La nuova costituzione teneva conto della struttura istituzionale preesistente, perfezionandola e migliorandola, e, pur dovendo adeguarsi alla situazione d'emergenza, di isolamento geografico, di guerra e di assenza di un vero riconoscimento internazionale del nuovo Stato che essa istituiva e regolava, contribuì a rendere Paoli molto popolare negli ambienti illuminati di tutt'Europa e tra i coloni inglesi insorti che daranno vita agli Stati Uniti d'America e alla loro Costituzione.

La Costituzione còrsa attirò l'attenzione di tutta Europa per la sua eccezionale carica innovativa e Paoli chiese la collaborazione di Jean-Jacques Rousseau per perfezionarla.

Il filosofo ginevrino rispose volentieri all'appello e redasse il suo Progetto di costituzione per la Corsica (1764).

La Costituzione assegnava alla figura del generale un ruolo particolare, paragonabile per certi versi, vista la situazione di guerra perdurante, a quella di un dittatore nell'antica Repubblica romana, affiancato da un Consiglio di Stato elettivo che rispondeva ai princìpi di collegialità e di rotazione, seguendo uno schema che traeva la sua ispirazione dal modello comunale sorto in Italia.

Si trattava quindi di una sorta di dispotismo illuminato, ove la massima autorità era sottoposta al controllo assembleare e votata a un'azione riformatrice ispirata dallo spirito dei lumi.

Le mai del tutto sopite fronde antagoniste e spinte anarchiche interne, unite alla costante minaccia esterna, costrinsero allo sviluppo di un sistema giudiziario severo e inflessibile (che resterà famoso con la locuzione giustizia paolina) e all'istituzione di una notevole pressione fiscale, accompagnata da un continuo e quasi disperato sforzo di sviluppo agricolo, economico (entro il 1762 la Corsica batterà la propria moneta) e commerciale.

La Corsica si dotò così di una propria flotta, battente la bandiera con la testa mora, per rompere il blocco navale genovese. Anche a tale scopo nel 1758 Pasquale Paoli fondò il porto di Isola Rossa, strategicamente ben posizionato per tagliare il traffico tra Genova, Calvi e San Fiorenzo. Sempre nel 1758, l'abate còrso Salvini diede alle stampe a Corte, in italiano, la Giustificazione della Rivoluzione di Corsica.

Una volta ridotta la Repubblica genovese a controllare poche piazzeforti costiere, spesso assediate, Paoli si diede con inesauribile energia a dare forma e concretezza all'autoproclamato Stato di Corsica in ogni campo, senza trascurarne alcuno, spaziando dalla giustizia all'economia.

Tollerante nell'ambito religioso (Paoli incoraggiò l'immigrazione ebraica dalla Toscana), il Generale ebbe la fiducia del clero locale, che del resto aveva sempre in larga parte appoggiato gli insorti, e buoni rapporti con lo Stato della Chiesa, anche nella speranza che ciò potesse condurre a un riconoscimento ufficiale dell'indipendenza còrsa.

Il nuovo Stato - come del resto quelli sorti più tardi dalle Rivoluzioni americana e francese - si caratterizzò come un regime controllato dalla borghesia isolana che era cresciuta sotto il dominio genovese e, per molti versi, grazie a esso, pur se attraverso gli strumenti democratici della convocazione periodica di assemblee che, anche nei più piccoli centri, eleggevano a suffragio universale i loro rappresentanti i quali, riuniti in consulte, a propria volta procedevano al rinnovo delle cariche amministrative e politiche ai vari livelli, sino al Consiglio di Stato che affiancava il Generale della Nazione.

Le elezioni erano a suffragio universale e il voto era un diritto per tutti i residenti leali allo Stato, a prescindere dalla nazionalità d'origine, dal sesso (potevano votare anche le donne) e dal censo o dalla religione (potevano votare tutti i maggiori di 25 anni).

In tal modo venne a realizzarsi l'aspirazione della classe dei notabili ad accedere alle alte funzioni nel governo, nell'amministrazione e nella giustizia, che erano state loro sempre negate dalla Repubblica genovese che, non accogliendo mai i còrsi nelle funzioni pubbliche, aveva a un tempo delineato il proprio dominio sull'isola come coloniale e, in ultima analisi, provocato la sollevazione della Corsica contro la propria autorità.

L'amministrazione locale dell'isola, guidata dal Generale e dal Consiglio di Stato - che s'insediarono nel "Palazzo Nazionale" di Corte - presiedeva al controllo delle province attraverso magistrati che ricalcavano le funzioni dei commissari e dei luogotenenti genovesi (che rispondevano al governatore dell'isola).

Sempre a Corte, Paoli fondò nel 1765 un'Università di lingua italiana (che era la lingua ufficiale dello Stato) destinata a formare i quadri del governo e la sua classe dirigente, mentre venne avviata la pubblicazione di un vero e proprio bollettino ufficiale dello Stato, i "Ragguagli dell'Isola di Corsica".

Accanto alla conservazione di parte della Costituzione degli statuti della Repubblica ligure, anche a livello locale vi fu una sostanziale conferma di buona parte degli istituti esistenti, inclusi i podestà, i padri del comune, i capitani della milizia, i pacieri e i guardiani (campestri).

La situazione di guerra condusse a considerare sottoposti a chiamata militare tutti gli uomini validi e all'organizzazione capillare di marce di addestramento.

Tali preparativi militari divennero vitali quando, dal 1764, i francesi tornarono in forze a presidiare Bastia, Ajaccio, Calvi e San Fiorenzo.




Segue

 
Web  Top
view post Posted on 22/4/2024, 18:08     Top   Dislike
Avatar

Blogger

Group:
Administrator
Posts:
66,753
Reputation:
+1,770
Location:
Polo Nord and nomade virtuale 😂😂🥶🐧🐧

Status:



La conquista francese


Con l'avvento del duca di Choiseul come ministro di Luigi XV, l'antico disegno di Parigi di mettere le mani sulla Corsica (già suggerito nella trattatistica politico-diplomatica francese del XVII secolo) prese un'accelerazione.

La Francia aveva subìto una dura sconfitta nella guerra dei sette anni, e aveva perso tutte le proprie colonie d'America, che, con il trattato di Parigi del 1763, erano passate sotto il controllo inglese.

Diveniva pertanto vitale difendere gli interessi francesi nel Mediterraneo, dove la potenza francese era minacciata dalla Spagna (che esercitava anche importanti influenze sul Regno delle Due Sicilie), dalla crescente presenza britannica - il cui interesse per estendere il proprio protettorato sulla Corsica non era ignoto a Parigi - e dall'estendersi del dominio austriaco sulla Penisola italiana, con l'acquisizione alla sua sfera d'influenza della Toscana (ove s'era estinta la casata dei Medici cui era subentrata la dinastia Asburgo-Lorena mentre la Lorena era stata in cambio riunita al Regno di Francia).

Individuata la Corsica come bene strategico di fondamentale importanza per il perseguimento della politica mediterranea francese, Choiseul perfezionò e portò a compimento il disegno - già delineato - per impossessarsene alle spese della Repubblica ligure e anzi atteggiandosi ad alleato di Genova.

La prima fase dell'operazione consistette nell'indurre Genova alla firma del trattato di Compiègne nel 1764, che stabiliva l'invio di truppe francesi in Corsica a sostenere la riconquista dell'isola da parte dell'antica Repubblica marinara, che si assumeva l'onere di finanziare l'intera operazione.

Una volta che l'armata francese passò a presidiare le città costiere dell'isola, Choiseul, invece di attaccare risolutamente Paoli, prese a parlamentare con il Generale dei Corsi, investendolo di minacce e blandizie attraverso il suo inviato Matteo Buttafuoco, un fuoriuscito còrso che serviva come ufficiale di Luigi XV.

Paoli tenne duro e respinse anche le lusinghe che paventavano un suo possibile ruolo preminente in una futura amministrazione francese dell'isola.

Nel frattempo le truppe del Re di Francia, lungi dall'aprire le ostilità contro i còrsi come promesso, restavano al sicuro nelle fortezze genovesi, incrementando così a dismisura il conto che Genova doveva pagare per la loro presenza secondo il trattato di Compiègne, sino a divenire forzosamente insolvente per mancanza delle risorse necessarie, come previsto da Choiseul.

L'impasse si prolungò così sino al 15 maggio 1768, quando Choiseul coronò il suo piano, costringendo Genova a firmare il trattato di Versailles.

Dunque la Corsica fu estorta a Genova quale garanzia per i debiti non onorati, e in un certo senso, artificiosamente creati.

Proprio come se si trattasse di una vendita (al chiaro scopo di esacerbare il disprezzo còrso verso i Genovesi) il trattato venne reso noto a Paoli contestualmente alla richiesta di fare atto di sottomissione al re di Francia.

La risposta del Generale fu la mobilitazione generale per resistere, armi alla mano, alle pretese di Parigi.

Mentre i genovesi lasciavano per sempre l'isola, il governo francese replicò avviando speditamente una campagna militare.

In un primo tempo le truppe del marchese di Chauvelin furono duramente sconfitte a Borgo nell'ottobre 1768. Paoli, sperando così di guadagnarsi il rispetto della Francia, anziché massacrarli, lasciò liberi i numerosi prigionieri francesi catturati.

Alle sue vane speranze di una composizione favorevole del conflitto, rispose l'arrivo in Corsica, agli ordini del marchese de Vaux, di forze francesi ancora più ingenti e dotate di una potente artiglieria.

La disperata ricerca d'aiuti internazionali da parte di Paoli non diede risultati di rilievo e così la campagna militare francese entrò nel vivo all'inizio di maggio del 1769, puntando direttamente verso il quartier generale còrso a Murato.

Per sbarrare la strada all'attacco, Paoli mise in campo tutte le forze a disposizione, compreso un contingente di fanteria mercenaria tedesca.

La battaglia decisiva si svolse il 9 maggio 1769 a Ponte Nuovo sul Golo, ove le milizie còrse cedettero con gravi perdite alla potenza della superiore artiglieria delle forze francesi, che erano appoggiate da contingenti di còrsi assoldati dai notabili rivali di Paoli, prontamente passati al fianco dei futuri padroni dell'isola.

Malgrado la sconfitta, i còrsi, per il coraggio dimostrato in battaglia, si guadagnarono l'ammirazione europea, specialmente presso gli intellettuali illuminati che vedevano in loro la prima sfida aperta all'Ancien Régime. Voltaire scriverà della battaglia sottolineando il valore dei còrsi che difesero il ponte, additandoli come esempio di eroica rivendicazione della libertà, mentre James Boswell, nel suo Account of Corsica (1768), già aveva paragonato Paoli a un novello Licurgo.

Paoli sfuggì alla cattura e, imbarcatosi per Livorno, raggiunse Londra dove fu accolto in un esilio onorato (fu ricevuto personalmente dal re Giorgio III e dotato di una pensione), mentre in Corsica restava il suo segretario Carlo Maria Buonaparte, padre di Napoleone, a tentare - assieme ad altri notabili - un'estrema resistenza.

La schiacciante e sanguinosa vittoria militare delle armi francesi, tuttavia, presto fece pendere decisamente la bilancia politica dalla parte della Francia e lo stesso Buonaparte finì per aderire al partito francese.




Segue

 
Web  Top
view post Posted on 26/4/2024, 19:24     Top   Dislike
Avatar

Blogger

Group:
Administrator
Posts:
66,753
Reputation:
+1,770
Location:
Polo Nord and nomade virtuale 😂😂🥶🐧🐧

Status:




Dall'Ancien Régime alla rivoluzione francese



Alla crescita del partito francese diede un contributo notevole l'intelligenza del conte di Marbeuf, già distintosi alla guida delle truppe di Luigi XV che occupavano l'isola in forze.

Mentre veniva, ancora una volta, mantenuta in vigore buona parte degli Statuti genovesi, venne formandosi per mezzo di sentenze ed editti reali un corpus legislativo denominato Code corse.

Ogni vestigia diretta dello stato paolino fu cancellata, a cominciare dalla chiusura dell'Università italiana di Corte.

Esportando sull'isola il modello assolutista e centralista francese, le antiche assemblee democratiche locali vennero abolite (ingraziandosi così i notabili locali, presto dotati di titoli nobiliari di secondo rango in cambio della loro adesione al nuovo regime), così come furono eliminati i privilegi goduti dalle città costiere, rovinandole totalmente dal punto di vista commerciale.

Il patrimonio demaniale fu accuratamente censito e fu preparato un Plan terrier teso a mettere a profitto l'isola a favore del re, che fu anche l'occasione per il rilancio degli antichi piani del Banco di San Giorgio per sfruttare le piane costiere (che divennero poi preda dei notabili locali pro-francesi) mentre il sistema fiscale ripropose, razionalizzate, le imposte genovesi.

L'arrivo di giudici e amministratori francesi in massa completò il quadro, facendo accorrere i notabili locali a sottomettersi al re di Francia pur di non vedersi esautorati nei ruoli amministrativi. I risultati del Plan terrier e dalla politica francese furono scarsi sul piano produttivo e disastrosi dal punto di vista politico, riducendo alla fame le comunità locali espropriate di ogni diritto dall'avidità dei nuovi proprietari.

L'unica operazione che poté dirsi riuscita fu l'installazione pacifica a Cargese, dei coloni greci che erano stati scacciati da Paomia e che s'erano rifugiati in Ajaccio durante tutto il corso della guerra.

Lungi dall'essere estirpata, la resistenza paolista continuava nei santuari montani, ed era accresciuta dalla disperazione dei contadini espropriati dalla voracità dei notabili passati alla Francia.

Particolarmente sanguinosa fu la repressione dell'insorgenza del Niolo, che s'era sollevato sotto la guida di alcuni còrsi: nel 1774 il maresciallo di campo Narbonne si rese protagonista della distruzione e l'incendio di interi raccolti e villaggi, oltre all'esecuzione di innumerevoli fucilazioni e impiccagioni, seguite da vere e proprie deportazioni di massa, con lo sterminio differito dei combattenti catturati, mandati a morire di stenti nelle oscure prigioni di Tolone.



Segue

 
Web  Top
29 replies since 3/1/2024, 12:54   1748 views
  Share