Sette secoli di Corsica romana
Il dato sul primo serio interessamento di Roma all'isola lo si ricava da un testo di argomento insospettabile: è infatti in Teofrasto, il botanico greco, che si legge di una spedizione romana in Corsica finalizzata alla fondazione di una città.
Le 25 navi della spedizione incorsero però in un inatteso inconveniente, rovinandosi le vele con la selvaggia e gigantesca vegetazione, i cui rami crescevano e si sporgevano dai golfi e dalle insenature dell'isola sino a lacerarle irrimediabilmente; e, per completare il disastro, la zattera che caricava 50 vele di ricambio affondò con tutto il carico.
La spedizione sarebbe avvenuta intorno al IV secolo a.C., a questo periodo infatti diversi studiosi, fra i quali il Pais, riferiscono il brano del botanico.
Fallita la spedizione, non era cessata l'attenzione dell'Urbe per il mare e per questo interesse giunse anche, all'incirca nel 348 a.C., a stipulare due trattati con Cartagine, entrambi riguardanti Sardegna e Corsica; ma se rispetto alla prima isola i passaggi dei trattati sono ben chiari, i patti sulla seconda sono tutt'altro che nitidi, al punto che Servio osserva che in foederibus cautum est ut Corsica esset medio inter Romanos et Carthaginienses.
Anche Polibio, narrando dei trattati, non menziona la Corsica e da questo silenzio, insieme al fatto che l'isola non figurava nemmeno nelle descrizioni dei territori a controllo cartaginese, il Pais e altri dedussero che la facoltà di controllarla che tempo prima Cartagine aveva pattuito con gli Etruschi, si fosse da questi trasmessa a Roma.
Tuttavia lo stesso Pais ricorda, per converso, che Cartagine non aveva mai rinunziato a mire sull'intero Mediterraneo, e che riponeva nella Corsica un interesse specifico, giacché a partire dal 480 a.C. ne assoldava periodicamente fidati mercenari; questa circostanza, unita a una facile riflessione sull'importanza strategica di un'isola a vista, anzi dirimpettaia delle rive liguri, toscane e laziali, punto quindi di osservazione e di attacco, parrebbe smentire l'ipotesi di un disinteressamento di Cartagine come causa del silenzio dei trattati.
I trattati imperituri non durano mai quanto promettono e Roma era infatti impegnata nella prima guerra punica, già dal 264 a.C., quando il console romano Lucio Cornelio Scipione nel 259 sbarcò presso lo Stagno di Diana, a circa 3 km da Aleria, e assediò la città; sebbene l'invasore contasse sull'effetto sorpresa, Aleria resistette a lungo e dopo la capitolazione Scipione la saccheggiò con accanimento, ciò che secondo Floro avrebbe diffuso lo sgomento nelle popolazioni corse.
Prima di potersi dedicare a terminare l'occupazione della Corsica, Scipione si allungò in Sardegna dove i locali erano in rivolta contro Roma, secondo lo Zonara poiché sobillati dal generale cartaginese Annone; sulla rivolta non vi sono dubbi, ma sono state espresse perplessità a proposito dell'asserita fomentazione cartaginese, ad esempio il Dyson definì l'asserzione di Zonara a cryptic passage.
A ogni buon conto, Scipione uccise Annone e ne organizzò il funerale.
Nonostante al rientro del console a Roma si celebrasse il suo trionfo per la vittoria su Cartaginesi, Sardi e Corsi, nondimeno si rese necessario 23 anni dopo, nel 236 a.C., che il senato capitolino dichiarasse guerra ai Corsi e inviasse una spedizione di conquista guidata da Licinio Varo, non coerente con il relato di già avvenuta occupazione dell'isola pervenuto da alcuni storici romani.
Il comandante Varo, comunque, conscio delle proporzioni non schiaccianti della flotta assegnatagli, studiò di far precedere l'attacco principale da un'operazione decentrata meno impegnativa, onde affievolire le difese corse, e fece sbarcare sull'isola un corpo separato di spedizione al comando dell'ex console Marco Claudio Clinea.
Prima di questa operazione, Clinea aveva già reso pericolante la sua reputazione presso i Romani, avendo osato andare in battaglia contro l'avviso degli àuguri e avendo pure commesso un sacrilegio consistente nell'avere (o aver fatto) strangolare dei galli sacri; ansioso di riguadagnare prestigio, mosse da solo contro il nemico e ne fu sconfitto.
I Focei lo obbligarono a siglare un umiliante trattato presto sconfessato da Varo, che lo ignorò o lo infranse, a seconda dei punti di osservazione, e attaccò quando gli avversari, paghi del trattato e non più allertati, proprio non se lo attendevano.
Varo vinse facilmente e conquistò territori della parte meridionale dell'isola; poi tornò a Roma dove chiese la celebrazione di un trionfo, che gli fu però negato.
Quanto allo strangolatore di galli, Clinea, Roma decise di lasciarlo in mano ai Corsi presumendo che lo avrebbero ucciso per esser in qualche modo venuto meno (con l'attacco guidato da Varo) al trattato sottoscritto, ma questi lo liberarono e anzi lo rinviarono a Roma indenne; il Senato non si perse d'animo e, dopo averlo riportato in città, lo condannò a morte, inducendo Valerio Massimo a chiosare che hic quidem Senatus animadversionem meruerat.
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