La guerra è la forma di convivenza tra i popoli più antica che conosciamo.
Ernesto Balducci sosteneva che la guerra fosse la sostanza primaria dell'intera civiltà umana, almeno a partire dalla svolta del Neolitico, ma forse potremmo addirittura risalire al primo fratricidio compiuto da Caino, subito dopo la Caduta dal Giardino dell'Eden.
E d'altronde basta leggere un sussidiario delle scuole medie per rendersi conto che è proprio così: la storia che conosciamo è una ininterrotta sequenza di guerre per il dominio del mondo.
Le cose mutarono con "the great new fact", come lo chiamò Winston Churchill, e cioè con l'esplosione della bomba atomica a Hiroshima.
Da quel momento la guerra dovette iniziare a mutare natura, in quanto non era più possibile dispiegare tutte le proprie forze per distruggere l'avversario, senza distruggere anche se stessi.
La guerra perciò diventò "fredda", almeno quella tra le grandi potenze, che continuarono a guerreggiare direi di nascosto o per interposta nazione, producendo comunque milioni e milioni di vittime.
Oggi la guerra è una commedia tragica, che, come sempre però, scarica i suoi terribili effetti sulle donne, sui bambini, sui vecchi, su tutta questa povera gente che scappa con le solite buste ricolme di misere cose, massacrati da cannoni e bombe intelligenti e carri armati, che arricchiscono le oligarchie di sempre.
Oggi la pazzia di questo mondo sembra giungere ad una nuova soglia, la sua follia suicidaria, come la definiamo da decenni, arriverà proprio al suicidio vero e proprio?
Guardando la TV ascoltiamo inverosimili personaggi inneggiare alla resistenza armata a tutti i costi, senza un minimo dubbio sull'efficacia, nel 2023, di una guerra, pur legittima, in queste condizioni di squilibrio di forze, e sugli effetti di morte e di sofferenza di una risposta appunto militare, magari supportata da armamenti offerti perfino da noi.
Ma possibile che non ci sia alternativa tra la resa e il massacro?
Possibile che questi Potenti e Grandi della terra negli ultimi decenni non abbiano saputo far altro che amplificare la retorica della pace, e fomentare al contempo ogni tipo di conflitto economico e militare in ogni parte del pianeta?
Quando esplose la bomba atomica, Gandhi disse: "Non mossi muscolo quando seppi che una bomba atomica aveva distrutto Hiroshima. Al contrario dissi tra me: a meno che il mondo non adotti ora la non-violenza, questo significherà sicuramente il suicidio dell'umanità".
Questo credo sia il tempo delle nuove decisioni, dobbiamo dire chiaramente e decidere se vogliamo incrementare la guerra, che è sempre difensiva, come ci ha insegnato Clausewitz, o se vogliamo intraprendere un cammino antropologico del tutto nuovo, un cammino che solo un essere umano in costante trasformazione interiore potrà intraprendere, un cammino che richiede molto più coraggio di quello della reazione violenta, un cammino che accetti anche l'ipotesi di una invasione, che elabori forme di resistenza disarmata, di nuovo eroismo, di contenimento a tutti i costi della perdita di vite umane.
So bene quanto questa via sia ardua, e quanto tempo potrà richiedere, ma sono anche convinto che questa sia la sola e unica via da percorrere, e che si basi però su due precondizioni fondamentali:
Innanzi tutto, non si può lavorare per la pace e contemporaneamente alimentare una società oligarchica, imperialistica, e consumistica, come scrisse ancora Gandhi: la pace è impossibile "se le grandi potenze della terra non rinunciano al loro programma imperialistico. E questo sembra a sua volta impossibile, se le grandi nazioni non cessano di credere nella competizione che uccide l'anima e di desiderare la moltiplicazione dei bisogni e quindi l'accrescimento dei beni materiali".
Non c'è pace cioè se non ripenseremo dalle fondamenta le nostre società bulimiche, altro che valori dell'Occidente… quali valori? quelli espressi nell'onnipervadente pubblicità che imperversa anche oggi tra un'immagine di morte e l'altra, interrompendo col suo "minuto d'oro" qualsiasi parola o discorso o resto di umanità?
La seconda precondizione per riorientare la nostra umanità verso forme sociali di vita postbellica è la consapevolezza che la guerra nasce prima di tutto nel cuore degli individui, e che quindi è lì che va disciolta e guarita, giorno dopo giorno, con una inedita pedagogia della liberazione, e in fondo, della gioia.
Non svolteremo mai verso una civiltà postbellica se non comprenderemo il nesso indissociabile tra vita spirituale e politica, reinventando le forme di un'azione storica vissuta sempre alla luce dello Spirito, eterna luce beata che tutto rinnova, purifica, e lascia fiorire.
E anche qui resta cruciale la lezione di Gandhi: "Per me la politica spogliata della religione è una porcheria assoluta, sempre da evitare".
Sapremo muoverci storicamente e anche politicamente a partire da queste profondità? sapremo scavalcare i pensieri lillipuziani di questi ceti politici dominanti, accecati dalla loro ingordigia e dalla loro ignoranza colossale?
Io credo di sì, anzi ne sono certo, è solo questione di tempo, anche se in questo tempo il dolore delle vittime cresce, e sembra divenire intollerabile.
Ma per chi vive in un orizzonte spirituale autentico anche la morte non è mai una sconfitta finale, e in fondo solo chi spera di oltrepassare VIVO le soglie della morte può accettare di non resistere violentemente al male, o addirittura di morire per contenerne gli effetti mortali, rifiutandosi di odiare perfino il proprio assassino.
A questa soglia siamo arrivati, a questo punto di rottura, a questo bivio, a questa estrema decisione tra Distruzione finale e Ricominciamento radicale.
Marco Guzzi