IL FARO DEI SOGNI

Categoria:Gruppi etnici in Birmania

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Khmu



I khmu sono un gruppo etnico di origine mon khmer e fanno parte dei popoli khmuici stanziati nelle zone montane del sud-est asiatico settentrionale. Alcuni dei nomi alternativi per i khmu sono: kho mu (in Vietnam), kmhmu, khomu, khamu, mun xen, xa cau, kha cau, cam mu, kho mu.

Hanno un legame etnico molto stretto con i mlabri, una tribù estremamente primitiva al confine settentrionale tra la Thailandia e il Laos che conta tra le 500 e le 600 persone.[1]



Storia
Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Lao theung.

La migrazione dei khmu e delle genti mon kmer avvenne nella preistoria dalla Cina meridionale, quindi furono probabilmente i primi abitanti del sudest asiatico. Si stanziarono prevalentemente nelle fertili pianure del Mekong, gli odierni Laos ed Isan, coltivando il riso.[2] La migrazione successiva, quella dei tai kadai, il cui ramo in questa zona avrebbe preso il sopravvento nelle pianure, dette terre lao loum, è avvenuta circa 1000 anni fa, anch'essa dalla Cina meridionale.

Le popolazioni mon khmer, compresi i khmu, soccombettero ai nuovi arrivati e furono costretti a spostarsi nelle zone basse delle montagne (terre lao theung), dove ancora oggi la maggior parte sono stanziati, o a migrare nei paesi circostanti. In Laos gli abitanti delle zone di bassa montagna sono a loro volta conosciuti come lao theung. In quel periodo i lao loum (bassi Lao o Lao delle pianure, il nome con cui i lao si autodefiniscono), gli assegnarono il soprannome khaa (in lingua lao: ຂ້າ) che significa schiavi, venivano infatti impiegati per svolgere i lavori più umili.[3]
Distribuzione geografica

I khmu sono presenti in Laos, dove rappresentano il più grande gruppo etnico dopo quello dei lao,[4] Vietnam, Myanmar, Thailandia e Cina (dove non sono inclusi nell'elenco ufficiale delle etnie cinesi, e sono censiti come indistinto gruppo etnico). Migrazioni del ventesimo secolo hanno visto i khmu spostarsi anche nei paesi occidentali
Secondo una stima del 2010 la popolazione totale è di circa 800.000 anime e la distribuzione è la seguente:[4]

700.000 in Laos, specialmente nelle province di Luang Prabang e di Xieng Khouang
50.000 in Vietnam, nelle province settentrionali
15.000 in Thailandia, nelle province a ridosso del confine settentrionale con il Laos[4]
10.000 in Cina, dove sono inclusi nel gruppo dei blang nell'ambito dei 56 gruppi etnici ufficialmente riconosciuti dal governo. I khmu sono concentrati soprattutto nello Yunnan
8.000 in USA, una grande quantità di rifugiati dalla guerra del Vietnam si sono stabiliti a Richmond (California). Sempre in California hanno sede la Federazione Nazionale Khmu[5] ed il Centro Nazionale Cattolico Kmhmu[6]
2.000 in Francia
100 in Myanmar (questo dato si riferisce ad una stima del 2008). Sono presenti esclusivamente nello Stato Shan orientale.[7]

Economia

Sebbene le loro condizioni di vita siano nel corso dei secoli migliorate, sono ancora ad un livello inferiore rispetto a quelle delle etnie dominanti. I khmu si occupano soprattutto di agricoltura oltreché di caccia e pesca. Le principali colture sono il tè, la patata dolce, il pepe, il tabacco e lo zenzero.[4]
Lavorano nei campi in gruppi e la coltura del riso è affidata alle donne[8]. Il riso viene insilato in alte strutture per proteggerlo dai topi.[9] Per dissodare il terreno praticano il debbio, che consiste nel bruciare i residui colturali lasciati dal raccolto precedente.

Altri prodotti sono quelli dell'artigianato, in particolare articoli di cesteria, ed altri in legno ed argento.[4] Oltre all'uso del denaro si usa molto anche il baratto.
Organizzazione sociale

Gli anziani sono tra le persone più importanti del villaggio e sono incaricati di risolvere le diatribe ed amministrare la giustizia locale.[10] Il capovillaggio è scelto dall'amministrazione statale, altro personaggio influente è l'uomo della medicina, un primitivo erborista che svolge la funzione di medico.
Cultura

La cultura viene tramandata attraverso la tradizione orale nelle riunioni serali attorno al fuoco, spesso fumando oppio o tabacco in pipe d'argento da loro stessi prodotte.[8][9] Le capanne in cui vivono sono fatte di legno col tetto in paglia ed hanno di solito due stanze, una per le ragazze da sposare ed una per il resto della famiglia.[10] I cimiteri si dividono in quattro zone, una per chi è morto di cause naturali, una per chi è morto di cause accidentali, una per i bambini ed una per chi è morto lontano da casa.[10] Alcuni anziani hanno il corpo completamente tatuato.[9]
Lingua

I khmu parlano la propria lingua che è di origine austroasiatica e Mon-Khmer e fa parte delle lingue khmuiche insieme a quelle khao, mlabri e xinh mun. I villaggi sono sparsi in un territorio molto vasto, e date le difficoltà di comunicazione, si sono sviluppati molti dialetti, alcuni dei quali molto diversi dagli altri. Non si è quindi potuto codificarla per iscritto, se non in una zona a cavallo della frontiera sino-laotiana in cui questa scrittura viene chiamata duota.[7] Il codice SIL per la lingua khmu è: KJG, mentre quello ISO è 639-2: mkh
Religione
Animismo

La grande maggioranza dei khmu pratica l'Animismo e lo Sciamanesimo, nei villaggi ci sono sciamani e sacerdoti che godono di grande rispetto. Particolare devozione viene riservata alle case degli spiriti protettori, chiamate Rroi gang.[8] Gli abitanti spesso circondano l'intero villaggio con uno steccato in quanto credono che sia sacro ed integrato con gli spiriti della terra, e l'accesso è garantito da tre o quattro cancelli. All'esterno vengono innalzati degli altari in onore degli spiriti per proteggere il villaggio dagli incendi e dalle tempeste.[10]
Buddhismo Theravada

Molti khmu si sono integrati con la classe dominante in Laos ed in Thailandia, e si sono convertiti alla religione di Stato, il Buddhismo Theravada. Altri frequentano i wat per imparare la lingua di Stato, ma non hanno rinunciato al loro credo né alla loro identità culturale.[4]
Cristianesimo

Vi sono circa 65.000 cristiani, l'8% della popolazione khmu, di cui 60.000 nel solo Laos. Con l'occupazione francese dell'Indocina, furono i primi che si convertirono[4]





fonte https://it.wikipedia.org/wiki/Khmu

 
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Popoli khmuici





I popoli khmuici formano un insieme di gruppi etnici stanziati nel sudest asiatico.


Distribuzione geografica

La maggior parte di queste etnie si trova nelle zone montane della catena Annamita, lungo il confine tra il Laos ed il Vietnam. Comunità minori vivono in Thailandia, Birmania e nella provincia cinese dello Yunnan. Sono presenti membri delle etnie khmuiche anche in occidente, dove si rifugiarono nel corso dei conflitti del sudest asiatico nel XX secolo.
Distribuzione etnica

I gruppi etnici che compongono la famiglia khmuica sono i seguenti:

Khmu
Khuen
Lua
Mal (conosciuti anche come tin in Thailandia e thin in Laos)
Mlabri (conosciuti anche come yumbri)
O du
Phai
Pray
Xinh mun
Phong
Khang

Per tradizione gli etnologi comprendono tra i popoli khmuici anche i khao ed i bit, ma recenti studi linguistici suggeriscono che facciano parte invece dei popoli palaungici.
Origini
Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Storia del Laos.

Si crede che i popoli khmuici siano migrati dalla Cina in Laos circa 4.000 anni fa. Facevano probabilmente parte di una più grande etnia che ha diffuso le lingue austro asiatiche circa 10.000 anni fa, stanziata nell'odierna Cina.
Lingue

Le varie lingue khmuiche ed i relativi dialetti fanno parte della famiglia linguistica austro-asiatica. La migrazione nel sudest asiatico ed i contatti con le culture dei mon e dei khmer hanno portato alcuni linguisti ad inglobare le lingue khmuiche nella famiglia mon khmer, sebbene recenti studi hanno messo in discussione tale ipotesi.[1]
Società

I popoli khmuici sono dediti prevalentemente all'agricoltura e fanno largo uso della pratica del debbio. Sono anche importanti le attività della caccia e raccolta e della pesca.[2]





fonte https://it.wikipedia.org/wiki/Popoli_khmuici

 
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Kokang (popolo)





I kokang (in cinese: 果敢族S, Guǒgǎn ZúP; in birmano: ကိုးကန့်လူမျိုး) sono un gruppo etnico della Birmania. La maggior parte della popolazione è concentrata nella Zona auto-amministrata Kokang, all'estremo nord-est dello Stato Shan e ai confini con la provincia cinese dello Yunnan. Sono i discendenti dei cinesi han trapiantati in quest'area nel XVII secolo.[1]


Storia

Le origini dei kokang risalgono ai lealisti della dinastia Ming che attorno alla metà del XVII secolo si rifugiarono nella zona dove sono oggi i kokang dopo la caduta della Cina nelle mani della nuova dinastia Qing. Si insediarono in una valle ad est delle profonde gole del fiume Saluen, una remota zona ai piedi dell'altopiano Tibetano e ai confini tra la provincia cinese dello Yunnan e la Birmania. Alla guida di questi lealisti vi fu un commerciante di tè del clan Yang, che divenne ben presto un signore della guerra e sottomise le minoranze etniche non cinesi presenti nei dintorni. Ai capi del clan Yang l'Impero cinese concedette quindi di governare la zona come vassalli. Alla corte degli Yang furono mantenuti l'uso della lingua cinese e la cultura degli han, che di fatto componevano la maggioranza della popolazione. Gli Yang di Kokang dovettero pagare tributi anche al saopha degli shan della vicina Hsenwi.[1]

Dopo aver sottomesso la Birmania con le guerre anglo-birmane, nel 1897 i britannici obbligarono la Cina a cedere Kokang alla Birmania. Nel 1923, le autorità coloniali permisero agli Yang di coltivare papavero da oppio invece del tè, dando il via a un periodo di prosperità per i kokang, basato sulla vendita dell'oppio. Durante la seconda guerra mondiale, i kokang combatterono contro gli invasori giapponesi schierandosi con i nazionalisti cinesi del Kuomintang, alleati dei britannici. Alla fine del conflitto i britannici li ricompensarono nel 1947 dichiarando Kokang uno degli Stati Shan e l'anno dopo la Birmania ottenne l'indipendenza.[1] Dopo il colpo di Stato del 1962, il nuovo regime birmano smantellò gli Stati Shan e Kokang fu inserito nel nuovo Stato Shan che comprendeva tutti i principati che formavano gli Stati Shan.[2] Tra il 1963 e il 1968 vi furono nella zona dei kokang sanguinose lotte per il controllo del traffico di oppio, che costrinsero buona parte della popolazione civile a rifugiarsi a Lashio o in Thailandia.[1]

A partire dalla fine degli anni sessanta, il filo-cinese e clandestino Partito Comunista della Birmania ebbe grande influenza tra i kokang, che si unirono alla lotta contro il governo centrale.[2] Con la dissoluzione del Partito Comunista, nel 1990 fu garantita un minimo di autonomia ai kokang, che non erano più governati dagli Yang. Negli anni seguenti nuovi scontri ebbero luogo tra l'esercito birmano e l'Esercito della alleanza democratica nazionale di Myanmar, a cui facevano riferimento gli indipendentisti kokang guidati da Pheung Kya-shin, e molti civili fuggirono in vicine località dello Yunnan. Il conflitto durò circa un ventennio e, dopo gli accordi di pace, nel 2010 il governo birmano concedette l'istituzione della Zona auto-amministrata Kokang, suddivisione politico-territoriale di primo livello della Birmania. Il territorio di circa 10 000 km² comprendeva una popolazione di circa 150 000 abitanti, tra i quali molti cinesi residenti in Yunnan che svolgevano i loro affari nella zona. Fu data ampia autonomia ai kokang, come la possibilità di avere un moderno esercito di 20 000 soldati equipaggiati con armi moderne, di continuare il traffico di oppio e il commercio di pietre preziose.[1]

La creazione della Zona Kokang vide però l'allontanamento dal potere di Pheung Kya-shin, che da diversi anni controllava l'area e che non depose le armi contro il governo centrale per riprenderne il controllo. Il drammatico intervento del 2015 operato dall'esercito birmano nella Zona Kokang per sopprimere le truppe di Pheung Kya-shin costrinse alla fuga la maggior parte dei civili, molti dei quali furono violentati o uccisi.[3] Un'analoga situazione si ripeté dopo l'attacco dell'Esercito della alleanza democratica nazionale contro le postazioni governative in Kokang nel febbraio 2017.[4]





fonte https://it.wikipedia.org/wiki/Kokang_(popolo)

 
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Lahu



I Lahu (o anche La Hu, Ladhulsi, Kawzhawd; in vietnamita: La Hủ; in cinese: 拉祜族 Lāhùzú) sono una delle 56 etnie cinesi riconosciute ufficialmente dalla Repubblica popolare cinese e uno dei 54 gruppi etnici ufficialmente riconosciuti dal Vietnam.

In Thailandia i Lahu sono una delle sei etnie principali e la loro popolazione varia dalle 20.000 alle 60.000 persone. Circa 5300 Lahu vivono nella provincia di Lai Chau in Vietnam. Altri vivono in Laos e in Birmania.

I Lahu si dividono in altri sottogruppi, come i Lahu Na (Lahu Neri), i Lahu Nyi (Lahu Rossi), i Lahu Hpu (Lahu Bianchi), i Lahu Shi (Lahu Gialli) e i Lahu Shehleh. Il colore nel nome della tribù deriva dal colore caratteristico dei loro vestiti. La lingua parlata dai Lahu è molto diversa da quella degli altri gruppi etnici vietnamiti. La lingua lahu, infatti, appartiene alla branca loloish, un sottogruppo Lolo-Birmano del ceppo linguistico Tibeto-Birmano, caratterizzato dall'ordine soggetto-verbo-oggetto molto particolare che ne rende molto problematica la comprensione. In Thailandia, la lingua lahu spesso è usata come lingua franca tra le varie tribù delle zone di montagna.
Religione

La religione tradizionale lahu si avvicina a una sorta di politeismo.

Il dio principale dei Lahu è Exia, che viene considerato il creatore dell'universo e di tutta l'umanità. Tutti i maggiori villaggi lahu hanno un tempio dedicato a questa divinità e nessuno straniero vi si può avvicinare. Exia, infatti, ha il potere di decidere la sorte di tutti i Lahu.

Nel XVII secolo, durante la dinastia Qing, molti Lahu furono convertiti al Buddismo da alcuni monaci di Dali, nella provincia cinese sud-occidentale dello Yunnan. Questi monaci erano contrari alla politica imperialistica cinese, che in molti casi era motivo di oppressione per il popolo lahu, e questo aspetto li aiutò non poco nei processi di conversione.

L'esistenza di un dio supremo e superiore, inoltre, ha facilitato in passato le conversioni di molti Lahu al cristianesimo. I primi missionari che arrivarono nelle zone dei Lahu furono gli esponenti di un gruppo di battisti americani che si installarono nella regione all'inizio del XX secolo.





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Lisu



I Lisu (in cinese: 傈僳; pinyin: Lìsù zú) sono un gruppo etnico che vive in Myanmar (Birmania), Cina, Thailandia e nello stato indiano di Arunachal Pradesh, per un totale stimato di circa 700.000 individui. I Lisu fanno parte dei 56 gruppi etnici riconosciuti ufficialmente dalla Repubblica Popolare Cinese.

Sono anche conosciuti come Yawyin o, in altri pochi luoghi, come Yobin. Tuttavia quest'ultimo è considerato un termine dispregiativo, usato soprattutto dai Jingpo e, in passato, dai cinesi. Si crede che i Lisu siano originari delle zone ad est del Tibet, ma recenti studi diretti dal linguista David Bradley hanno indicato che essi siano emigrati dalle zone nordoccidentali della provincia cinese di Yunnan, durante il XVIII secolo. Nel XIX secolo, poi, i Lisu si sono mossi a sud lungo la valle del fiume Salween, nelle zone settentrionali della Birmania e della Thailandia.

Circa 30.000 Lisu vivono in Thailandia, dove sono uno dei principali gruppi etnici del paese. Tradizionalmente vivono in piccoli villaggi situati sulle montagne e sulle numerose colline della zona. In passato numerose spedizioni di missionari cattolici hanno tentato di convertire questa gente al Cristianesimo.

La loro religione è in parte animista e in parte basata sul culto degli antenati. Molto attivo è anche lo sciamanesimo. In passato, comunque, molti Lisu si sono convertiti al cristianesimo protestante, soprattutto agli inizi del XX secolo. I primi Lisu ad essere convertiti furono i gruppi delle zone del fiume Salween, nella provincia di Yunnan. Il missionario scozzese James O. Fraser fu il primo cristiano ad aver convertito un Lisu. Negli anni trenta e quaranta del XX secolo, altri missionari (come la coppia Isobel Kuhn e John Kuhn) continuarono il lavoro di conversione dopo la morte di Fraser. Molti gruppi di Lisu comunque non si sono convertiti perché hanno ritenuto che la religione cattolica avrebbe potuto minare le basi culturali storiche della loro etnia, a differenza di altri gruppi che hanno accolto il cristianesimo come un positivo tentativo di inserire la cultura Lisu all'interno di una rete globale di identità culturali.

I Lisu dell'Arunachal Pradesh sono per la maggior parte cristiani emigrati dalle colline Patkai. L'origine di questi gruppi nel nord dell'India è da ricercare in alcuni avvenimenti del secolo scorso. Un gruppo di Lisu convertiti, nel corso del XX secolo, lasciò la Cina per la Birmania, per evitare il governo comunista di Pechino. Quando poi il governo birmano impose loro di lasciare quelle terre, questi gruppi si trasferirono definitivamente nello stato indiano di Arunachal Pradesh.

I villaggi dei Lisu sono tradizionalmente costruiti vicino ai corsi d'acqua. Le loro case hanno mura costruite in bambù, anche se negli ultimi anni un numero sempre più crescente di Lisu ha cominciato a costruire le abitazioni con materiale più resistente, come il legno o la pietra. L'alimentazione dei Lisu si basa sulle coltivazioni montane di riso, di frutta e di altri vegetali. Tuttavia, essi sono sempre vissuti in regioni ecologicamente fragili che difficilmente garantiscono una sufficiente sussistenza. Essi hanno affrontato continui stravolgimenti causati sia da disastri fisici che sociali (terremoti e frane; guerre e dittature). Per questo motivo hanno sempre fatto dipendere la loro sopravvivenza dall'attività del commercio.





fonte https://it.wikipedia.org/wiki/Lisu

 
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Lü (popolo)




I lü sono un gruppo etnico stanziato in Cina, Vietnam, Thailandia, Birmania e Laos; tra le comunità lü di altri Stati la più popolosa è quella degli Stati Uniti. La popolazione totale è stimata in circa 560 000 individui.

In Cina, dove vengono classificati come parte delle etnie dai, i lü sono presenti essenzialmente ai confini con il Laos, nella parte meridionale della provincia dello Yunnan, la Prefettura Autonoma Dai di Xishuangbanna, con capitale a Jinghong (l'antica Chiang Hung). Altri grandi insediamenti sono nelle zone montuose di confine con la Cina del fiume Nero (in cinese: Lixianjiang), in Vietnam, e nella provincia di Phongsali in Laos.

I nomi e trascrizioni alternative per i lü sono: tai lu, lue, ly, lu, dai, dai le, Xishuangbanna dai, Sipsongpanna dai, pai-i, pai'i' e shui-pai-i.[1]


Storia
Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Chiang Hung.

Le migrazioni dalla Cina meridionale al nord dell'Indocina da parte dei popoli tai si erano intensificate verso la fine del I millennio d.C. I tai lü hanno molte affinità con i vicini tai yuan, da secoli stanziati nella zona dell'odierna Chiang Saen, nella parte meridionale del triangolo d'oro. I lü si stanziarono nei territori dell'odierna prefettura del Xishuanbanna, nell'estremo sud-ovest della Cina,[5] dove sottomisero le locali popolazioni di etnia akha ed altre tribù tai della zona. Nel 1180 fu fondata la capitale regno tai lü a Chiang Hung (nome locale dell'odierna Jinghong), sulle rive del Mekong.[6]

Chiang Hung raggiunse la massima espansione all'inizio del XIII secolo, quando estese la sua influenza sulle mueang (città-stato) di Kengtung, nell'odierno Stato Shan birmano, di Ngoenyang, di Meuang Thaeng, l'odierna Dien Bien Phu, capitale dei tai dam, arrivando fino a Xieng Thong, l'odierna Luang Prabang, la più importante mueang del popolo lao. In virtù di questi successi, il regno era diventato lo Stato più potente fra quelli dei popoli di etnia tai. In questo periodo molti tai lü andarono a colonizzare tali territori, che erano diventati tributari di Chiang Hung.

Nel 1292, le armate mongole della dinastia Yuan di Kubilai Khan posero fine all'indipendenza di Chiang Hung. Non occuparono capillarmente il paese, che ribattezzarono Cheli, e lo lasciarono sotto il controllo delle precedenti autorità, che chiamarono tusi.[5] Del vuoto di potere creatosi ne approfittarono i tai yuan di Ngoenyang, guidati dal re Mengrai, la cui madre era figlia del re di Chiang Hung. Dopo aver conquistato il potente Regno di Hariphunchai, situato più a sud, Mengrai ribattezzò Lanna il proprio regno, che avrebbe avuto un ruolo di primo piano nel Sud-est asiatico fino al XVI secolo. Chiang Hung e i tai lü entrarono quindi nella sfera d'influenza Lanna. L'Impero cinese rinunciò a conquistare Chiang Hung e Lanna ottenendo in cambio periodici tributi.[5]

Nella prima parte del XVI secolo, il Regno Lanna entrò nella sua fase di declino e Chang Hung poté godere di un breve periodo di autonomia. Nel 1558, i birmani retti dalla dinastia di Toungoo conquistarono il Regno Lanna ed acquisirono il controllo di Chang Hung, il cui territorio fu suddiviso in 12 unità amministrative chiamate pan. Dodici pan, nella lingua dei tai lü, si traduce sipsong pan, che significa anche dodicimila. Fu allora che per indicare il territorio di Chang Hung venne coniato il nome Sipsongpanna, che vuol dire 12.000 campi di riso, forse con riferimento al termine Lanna, che significa un milione di campi di riso. Negli anni che seguirono, il territorio di Sipsongpanna fu teatro di diverse battaglie tra i birmani ed i cinesi della dinastia Qing, che cercavano di riprendere il controllo della zona.

Chiang Hung rimase sotto il dominio birmano per tre secoli. Alla fine del XVIII secolo, vi furono diverse guerre tra i birmani ed i siamesi, che acquisirono il controllo di Lanna nel 1775. Constatata la difficoltà di appropropriarsi di quei territori, re Rama I del Siam perseguì una politica di riunificazione dei thai e dei tai lü, favorendo il trasferimento di questi ultimi negli ex-territori Lanna. Tuttora vi sono consistenti comunità tai lü nelle province settentrionali del Laos e della Thailandia.

Con la sconfitta della Birmania nelle guerre anglo-birmane, il controllo del Sipsongpanna tornò definitivamente in mano ai cinesi verso la metà del XIX secolo. Nel 1895, con il declino cinese seguito alla prima guerra sino-giapponese, la Francia impose la suddivisione del territorio del Sipsongbanna annettendo al Laos, a quel tempo una sua colonia, l'attuale vasta provincia di Phongsali, fino ad allora parte del Regno di Chiang Hung.[7] Con il trionfo dei comunisti nella guerra civile cinese, che portò alla proclamazione della Repubblica Popolare Cinese, nel 1949 ebbe fine il Regno di Chang Hung. L'ultimo sovrano, Dao Shixun, presenziò alla cerimonia di fondazione della Repubblica ed ottenne in seguito un posto di rilievo in una prestigiosa istituzione dello Yunnan.

Nel 1953, il Sipsongpanna divenne la regione autonoma Dai del Xishuangbanna, con capitale a Jinghong. Il termine dai si riferisce all'insieme di gruppi etnici di cui, in questa zona, i tai lù sono la maggioranza. Nel 1955 lo Xishuangbanna divenne una prefettura autonoma.
Economia

Vivono di agricoltura e di commercio al dettaglio dei prodotti della terra.
Religione

La religione principale è il Buddhismo Theravada.
Lingua

L'etnia parla la lingua tai lü (ᦅᧄᦺᦑᦟᦹᧉ, traslitterato Kam Tai Lue), che fa parte delle lingue tai ed ha scarsa mutua intelligibilità con la lingua dei vicini shan di Birmania. Ha invece grandi affinità con la lingua lanna e la lingua dei tai khün di Kengtung, in misura minore con la lingua thai. Tra i principali dialetti vi sono quelli di Jinghong e di Muang Yong. Buona parte dei lü dello Xishuangbanna parla anche il cinese, che viene insegnato nelle scuole, e altre lingue di minoranze della zona. Il tai lü viene a sua volta parlato dalle etnie vicine in ambito commerciale.[1]

Un moderno alfabeto tai lü (talu) viene usato in questa zona. A volte viene usato il tai tham di Lanna nei monasteri. L'antico alfabeto lü viene usato nei monasteri, una versione moderna in alcuni uffici e in alcune pubblicazioni.[1]




fonte https://it.wikipedia.org/wiki/L%C3%BC_(popolo)

 
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Malesi



I malesi (in malese: Melayu) sono un gruppo etnico che per lo più abita la penisola malese, la costa orientale di Sumatra e la costa del Borneo.

Oltre alla Malaysia, dove rappresentano il 60,3% della popolazione, gli stati in cui si trovano comunità malesi sono Singapore, Brunei, la Birmania del Sud, la Thailandia del Sud e l'Indonesia occidentale.

Il gruppo etnico malese è distinto dal concetto di razza malese, che comprende un più ampio gruppo di etnie, tra cui molte di quelle indonesiane e filippine. L'idioma malese fa parte della famiglia linguistica maleo-polinesiaca, che a sua volta è compresa nelle lingue austronesiane.



Etimologia
Danza Joget dal sultanato di Malacca; molti aspetti della cultura malese derivano calla corte di Malacca.

La letteratura epica, stando ai loro annali, associa la loro origine etimologica di "Melayu" a Sungai Melayu ('riume Melayu') a Sumatra, in Indonesia. Si pensa che il termini derivi dal termine malese melaju, combinazione del prefisso verbale 'me' e della radice 'laju', ovvero "accelerare", usato per descrivere la forte corrente del fiume.[10]

Si pensa anche che il termine "Melayu" come etnonimo, per alludere a un "grappolo" etnologico chiaramente diverso, fosse reso di moda con l'integrazione del sultanato di Malacca come potenza regionale nel XV secolo, e fu applicato per segnare le parzialità sociali dei Malacca nei confronti degli stranieri in aree simili, soprattutto i giavanesi e i thailandesi. Questo è provato dal vocabolario malese del XVI secolo do Antonio Pigafetta, che si unì alla circumnavigazione di Ferdinando Magellano, che riferisce di come la frase chiara Malaiu ('vie di Malay') era usato nel sud-est asiatico marittimo, in riferimento della frase antica italiana al parlare de Malaea (ovvero "parlare di Malacca" in italiano moderno).

Il termine inglese "Malay" fu adottato dal termine olandese Malayo, a sua volta derivato dal portoghese Malaio, a sua volta proveniente dal termine originale malese, Melayu.

Prima del XV secolo, il termine "Melayu" e le sue varianti simili sembrano applicarsi come un toponimo alla regione dello stretto di Malacca in generale.[11]

Malaya Dwipa, "Malaya Dvipa", è descritto nel capitolo 48 del Vāyu Purāṇa come una delle province del mar orientale, piena di oro e argento. Alcuni studenti equivalgono il termine come Sumatra,[12] ma molti studenti indiani credono che il termine si riferisca alla regione montana della penisola malese, mentre Sumatra sia più correttamente associata con Suvarnadvipa.[13][14][15][16][17]
Maleu-kolon – località del Chersoneso Aureo, dalla Geografia di Claudio Tolomeo.[18]
Mo-lo-yu – menzionato da I Ching, monaco buddhista della dinastia Tang che visitò il sudest asiatico tra il 688 e il 695. Secondo Yijing, il regno Mo-Lo-Yu si trovava a 15 giorni di viaggio da Bogha (Palembang), capitale di Sribhoga (Srivijaya). Anche per raggiungere Ka-Cha (Kedah) a partire da Mo-lo-yu impiegava 15 giorni; pertanto, si ha ragione che Mo-Lo-Yu si trovasse nel mezzo dei due luoghi.[19] Secondo una teoria popolare, Mo-Lo-Yu sarebbe collegata con Jambi in Sumatra,[20] ma la località geografica di Jambi è in contraddizione con la descrizione di Yi Jing's come "un viaggio a metà tra Ka-Cha (Kedah) e Bogha (Palembang)". Nei tardi anni della dinastia Yuan (1271–1368) e della dinastia Ming (1368–1644), il termine Ma-La-Yu fu spesso menzionato nei testi storici cinesi, con cambi di pronuncia dato il tempo trascorso tra le dinastie, in riferimento ad una nazione vicino al mare del sud. Among the terms used was "Bok-la-yu", "Mok-la-yu" (木剌由), Ma-li-yu-er (麻里予兒), Oo-lai-yu (巫来由) – traced from the written source of monk Xuánzàng), and Wu-lai-yu (無来由).
Malayur – si trova sulle iscrizioni del muro meridionale del tempio di Brihadeeswarar a Tamil Nadu, ed è descritto come un regno che aveva "una forte montagna per il suo bastione" nella penisola malese, che cadde per mano dei Chola durante la campagna di Rajendra Chola I nell'XI secolo.
Bhūmi Mālayu – (letteralmente "Terra di Malayu"), una trascrizione appartenente dalle iscrizioni Padang Roco datate 1286 circa da Slamet Muljana.[21] Il termine è associato con il regno di Dharmasraya.
Ma-li-yu-er – menzionato nelle cronache della dinastia Yuan, si riferisce ad una nazione nella penisola malese che affrontò l'espansione meridionale del regno di Sukhothai di Siam, durante il regno di Ram Khamhaeng.[22] La cronaca dice: "..Vi fu un'animosità tra Siam e Ma-li-yu-er che si uccidevano gl'un gl'altri...". In risposta alle azioni dei Sukhothai, nel 1295 i cinesi mandarono un emissario alla corte di Ram Khamhaeng con un decreto imperiale che recita: "Mantieni i tuoi patti e non fare alcun male a Ma-li-yu-er".[23]
Malauir – menzionato nei registri di Marco Polo come un regno situato nella penisola malese,[24][25] forse simile a quello menzionato nelle cronache degli Yuan.
Malayapura – (letteralmente "città di Malaya" o "città di Malaya"), iscritta nelle iscrizioni di Amoghapasa datate nel 1347 circa. Il termine fu usato da Adityawarman per riferirsi a Dharmasraya. Il termine Malay si riferisce a "Montagna", e Pura indica "Paese" in lingua pāli.

Altri suggerimenti includono il termine giavanese mlayu (correre) derivato da mlaku (camminare o viaggiare), o il termine malese melaju (accelerare piano), in riferimento all'alta mobilità e alla natura migratoria del suo popolo, ma queste teorie rimangono credenze popolari senza prove concrete.





fonte https://it.wikipedia.org/wiki/Malesi

 
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Moken



I moken (traslitterato anche mawken o morgan) sono un gruppo etnico facente parte della famiglia degli austronesiani. Sono in totale due o tre migliaia di individui stanziati nei territori marittimi di Birmania e Thailandia. Parlano il moken, che fa parte delle lingue austronesiane. Il termine 'moken' è proprio del loro idioma. In Birmania sono chiamati selong o anche salon, mentre in Thailandia sono conosciuti come chao ley ossia cittadini del mare (in cui chao indica l'appartenenza ad una nazione e ley mare).


Distribuzione

Vivono prevalentemente nelle isole dell'arcipelago di Mergui, al largo delle coste meridionali della Birmania, e in quelle situate lungo la costa occidentale della Thailandia, nel mare delle Andamane. La quantificazione e la distribuzione precisa della popolazione è resa difficile dal suo carattere nomade e dall'assenza di un censimento: buona parte dei membri dell'etnia sono privi di documenti e della cittadinanza. In totale, gli zingari del mare in Thailandia sono stimati in 12.000 individui, che oltre ai Moken comprendono le etnie dei moklen e degli urak lawoi.
Stile di vita ed economia

Sono noti anche con l'appellativo di zingari del mare, che deriva dalla loro abitudine di spostarsi alla maniera nomade da un'isola all'altra su imbarcazioni in legno fatte a mano chiamate kabang, sulle quali passano la maggior parte del loro tempo. Si stabiliscono usualmente sulla terraferma solo nella stagione dei monsoni. Vivono principalmente con i proventi della pesca e della raccolta di molluschi, crostacei ed altre specie marine che si procurano grazie alla loro abilità nelle immersioni subacquee in apnea,[1] riuscendo ad arrivare fino a 20 metri di profondità.[2] Uno studio di un'università svedese evidenzia come la visibilità subacquea dei bambini moken sia doppia rispetto a quella dei bambini europei.[3]

Altre attività dell'etnia sono la caccia e raccolta nelle foreste ed una scarsa agricoltura di sussistenza, basata in prevalenza su alberi da frutta.[4] I moken hanno sempre vissuto in maniera semplice, lavorando appena il necessario per procurarsi il pesce che barattano per pagarsi il carburante per le barche, il riso, i vestiti ed attrezzi in ferro, tralasciando altre attività. Non erano abituati ai problemi che si sono presentati negli ultimi anni, ed il forte consumo di alcolici sia tra gli uomini che tra le donne contribuisce a distorglierli dal cercare una soluzione a tali problemi.[3]

Negli anni 2000 si è consolidata la progressiva integrazione di una buona parte dei moken nella società birmana e soprattutto in quella thailandese. Sono aumentati gli insediamenti fissi, dotati di infrastrutture come ad esempio le scuole. Il nucleo familiare risiede in tali villaggi dove i pescatori fanno ritorno dopo più o meno brevi battute di pesca. Questi moken hanno acquisito tecniche di pesca moderne, mentre quelli che sono rimasti legati alla tradizionale vita tribale catturano le prede trafiggendole con lance o arpioni.[4] Sia uomini che donne sono esperti nella navigazione, gli uomini sono apprezzati per le imbarcazioni che costruiscono e le donne per le stuoie che fanno intrecciando le foglie di pandanus. Con l'introduzione nei mercati di prodotti a basso costo, i moken hanno abbandonato altre attività come quella del fabbro e della fabbricazione di vasellame. Gli animali domestici comprendono i cani, che li aiutano nelle battute di caccia, il pollame ed alcuni rari gatti.[4]
Storia

Si presume che siano migrati dal sud della Cina circa 4.000 anni fa e siano giunti nelle isole dove vivono ora dopo aver circumnavigato la Malesia ed essersi separati da altri migranti.[1]
Sfruttamento dei moken

Anticamente, nei periodi trascorsi a terra le attività prevalenti dei moken erano il commercio coi mercanti cinesi e la caccia; negli ultimi decenni, lo sfruttamento operato ai loro danni da britannici, giapponesi, thai e birmani ne hanno cambiato le abitudini. Sono stati forzati a pagare tasse, cacciati dalle zone ricche di pesce dai pescatori di frodo e dalle zone dove vendevano i loro prodotti, obbligati a lavorare in miniera o in fabbrica, imprigionati per mancanza di documenti di identità. I mercanti cinesi li hanno sfruttati rendendoli dipendenti dall'oppio e, negli ultimi decenni, sia le autorità thai che quelle birmane hanno provato a confinarli in parchi nazionali come attrazione per i turisti.[1]

Altri problemi che rendono problematica la vita dell'etnia sono quelli demografici. I frequenti decessi occorsi durante le immersioni, gli eccessivi controlli della Guardia Costiera Birmana e la conseguente difficoltà di spostarsi per cercare una moglie hanno comportato un calo della popolazione. Dei 2.500 moken che verso la metà degli anni novanta solcavano i mari birmani ne erano rimasti all'incirca un migliaio nel 2005.[1] Si è stimato che nel settembre del 2012 la popolazione totale dei moken fosse di circa 2.000 individui.[3]
La kabang dei moken
Integrazione nella società

Il crescente sfruttamento del mare delle Andamane operato negli anni 2000 da grandi compagnie che hanno monopolizzato il mercato ittico ha costretto una parte dei moken a rinunciare alla propria attività e ad integrarsi nelle società birmane e thai. I bambini sono stati accettati nelle scuole pubbliche, malgrado siano privi della cittadinanza, e gli adulti spesso vengono assoldati dai pescatori thai e birmani per compiere i lavori più rischiosi in mare, come ad esempio immersioni a condizioni di estremo disagio.[3] Molti si sono trasferiti sulla terraferma thailandese, dove l'espansione delle strutture turistiche ha inquinato le acque e reso difficile la pesca, costringendo molti giovani a cercare impiego nell'edilizia o in strutture turistiche. Si è cominciato così a perdere l'identità culturale e a far proprie le peggiori abitudini dei ragazzi thai, come cominciare a rubare o ad usare droghe sintetiche.[3]

In parallelo il contatto con la cultura thai ha risvegliato l'amor proprio e l'ingegno di alcuni moken, che hanno intrapreso diverse iniziative per salvaguardare la propria cultura ed i propri diritti. Ad esempio hanno organizzato corsi di studio della lingua moken, dopo che i loro bambini hanno imparato la lingua thai nelle scuole e la usano quotidianamente con gli abitanti thai dei villaggi in cui la comunità si è inserita. Alcuni hanno avuto accesso a studi universitari ed hanno potuto dedicarsi ad altre attività propositive. Oltre a quelli che si stanno integrando nella nuova società, ve ne sono molti che continuano il tradizionale stile di vita tribale.[3]
Religione e credenze

I moken praticano l'animismo basato sul culto degli spiriti e delle forze della natura e sulle pratiche sciamaniche. Particolare importanza rivestono gli spiriti del mare, i cui segnali vengono sempre accolti dai moken con attenzione. Un festival in cui vengono offerti dei sacrifici agli spiriti si tiene nel quinto mese del calendario lunare. I funerali vengono celebrati con canti, danze e largo consumo di alcolici.[3]

L'etnia balzò alle cronache quando vi fu il devastante terremoto e maremoto dell'Oceano Indiano del 2004. Grazie al grande rispetto e all'estrema sensibilità dei moken verso il mare, i membri dell'etnia riuscirono a prevedere il disastro e a mettersi in salvo prima dell'arrivo dello tsunami. Tale evento fu ripreso da alcuni organi di informazione ed ebbe una vasta risonanza internazionale.[5]





fonte https://it.wikipedia.org/wiki/Moken

 
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Mon (gruppo etnico)



«Per quanto riguarda la scultura, la letteratura, la legge, la religione e l'organizzazione sociale, i mon hanno conosciuto periodi di grande splendore, ed altri caratterizzati da distruzione, esilio e silenzio»
(Emmanuel Guillon[1])

I Mon (in birmano: talaing မွန်လူမျိုး; in thailandese: มอญ?; [mɔ̄ːn] pronuncia[?·info]) sono un gruppo etnico del sud-est asiatico. Alla fine del XX secolo, si stimava che fossero più di 1.100.000 le persone di cultura e lingua mon,[2] delle quali la maggioranza parla anche il birmano. La maggior parte dei mon vive in Birmania nello Stato Mon, situato lungo le coste del golfo di Martaban. Consistenti comunità mon si trovano anche nelle regioni birmane meridionali di Ayeyarwady e di Bago, ad ovest dello stato Mon. Come accade a molti dei gruppi etnici del paese, il governo centrale sta cercando di assimilare la cultura mon a quella nazionale. Una folta comunità mon esiste in Thailandia, e altre minori in Laos e Cambogia.

Storia

I mon migrarono dalla Cina occidentale e furono una delle prime etnie a popolare la parte continentale del sudest asiatico.[2] Si stanziarono nella valle del fiume Chao Phraya, l'odierna Thailandia Centrale, dove subirono l'influenza del Regno del Funan, e nella zona del delta dell'Irrawaddy, nell'odierna Bassa Birmania.[3] Furono i primi tra i popoli del sudest asiatico, insieme ai vicini pyu, a convertirsi al Buddhismo Theravada tra il V e il VI secolo d.C.,[4] dopo aver ricevuto missionari dello Sri Lanka, in un periodo in cui nell'est dell'Indocina fiorivano le culture induiste dei regni di Chenla e di Champa. Nello stesso periodo mutuarono dallo Sri Lanka anche la lingua pāli e la scrittura grantha, come testimoniano iscrizioni in mon antico risalenti all'anno 550 scoperte in una grotta vicino a Saraburi, nella Thailandia Centrale.

Molti aspetti riguardanti lingua, arte, leggi, politica e religione delle odierne culture thailandese e birmana derivano dall'antica civilizzazione dei mon, che introdussero nella regione il Buddhismo Theravada e la cultura politica mutuata dall'India.[1]
Dvaravati

I mon furono determinanti, tra il VI e il XIII secolo d.C., nella diffusione della cultura di Dvaravati, un regno formato da diverse città-Stato che fiorirono nell'odierna Thailandia Centrale, la cui influenza si estese fino all'odierno Isan e alla penisola malese.[5] Tra i regni più importanti fondati nel periodo Dvaravati, vi furono quelli di Suphannaphum, l'odierna Suphanburi, di Nakhon Pathom e di Lavo, l'odierna Lopburi. L'espansione dell'Impero Khmer, nato dalle ceneri del Regno di Chenla, pose fine verso l'anno 1000 al dominio mon sulle città-stato di Dvaravati, che furono obbligate a pagare tributi a Angkor, la capitale khmer. L'unico regno mon che continuò a restare indipendente fu quello di Hariphunchai.
Thaton

Nella Birmania meridionale i mon fondarono il Regno di Thaton, che prosperò tra il IX e l'XI secolo,[2] del quale non esistono testimonianze archeologiche che ne comprovino l'esistenza, ma che viene menzionato nelle Cronache del Regno Lanna. Nel 1057, i birmani del re Anawrahta di Pagan conquistarono il Regno di Thaton e ne assimilarono la cultura, la religione, la lingua e l'alfabeto.[3] I mon si trovarono così per la prima volta sotto il controllo birmano, pur rimanendo l'etnia più popolosa della zona.
Hariphunchai
La Regina Jamadevi fu il primo sovrano del regno Dvaravati/mon di Hariphunchai (l'odierna Lamphun), fondato nella zona dell'attuale Thailandia centro settentrionale in data imprecisata tra il VII e l'VIII secolo a opera del re di Lavo, che concesse alla figlia Jamadevi il feudo dell'odierna Lamphun.[6] Hariphunchai seppe resistere agli attacchi dei khmer e fu l'ultimo dei regni Dvaravati a conservare l'indipendenza.

Fu conquistato nel 1282 dalle armate di re Mangrai, che lo annesse al neonato Regno Lanna. Il sovrano ebbe rispetto per la cultura e la grande tradizione di Hariphunchai. Per qualche anno fu la capitale del Regno Lanna e negli anni successivi, dopo che la capitale fu trasferita nella nuova città di Chiang Mai, rimase il principale centro culturale e religioso di Lanna.
Migrazione dalla Cina dei popoli tai e assorbimento della cultura Dvaravati

L'immigrazione dei popoli tai, iniziata nel I millennio, si intensificò nella seconda metà del XIII secolo con l'invasione dei mongoli di Kubilai Khan nella Cina meridionale, luogo di provenienza dei tai. Già nel 1238 i tai siamesi si erano resi indipendenti dal regno mon di Lavo, vassallo khmer, fondando il Regno di Sukhothai, che nel giro di qualche decennio si era enormemente esteso. Nel 1292, il Regno di Hariphunchai fu conquistato dalle armate tai yuan di re Mangrai, che battezzò il grande territorio sotto il suo dominio Lanna, letteralmente: 1 milione di risaie. Negli annali del Regno Lanna viene riconosciuta l'influenza dei mon sulla civilizzazione dei tai yuan,[6] che ne assimilarono cultura, religione e alfabeto.

Nel 1350, il principe siamese Uthong approfittò del declino dei khmer e di Sukhothai per fondare il Regno di Ayutthaya, che nacque dalla fusione dei regni mon di Lavo e di Suphannaphum. Il Regno di Ayutthaya divenne una delle principali potenze dell'Indocina e dalle sue ceneri sarebbe nata l'odierna Thailandia. A partire dal XVI secolo, avrebbe spesso supportato i mon nel fronteggiare i birmani.
Hanthawaddy

Nel 1287, il Regno di Pagan fu distrutto dai mongoli e i mon acclamarono re un comandante del Regno di Sukhothai di nome Wareru, che fondò a Martaban, l'odierna Mottama nello Stato Mon,[7] la confederazione di Stati mon chiamata Regno Ramanya (1287–1539). In seguito la capitale fu portata a Pegu, che a quei tempi era chiamata Hanthawaddy, e la confederazione divenne il Regno di Hanthawaddy. La città divenne la capitale storica dei mon, tanto che oggi un altro appellativo dell'etnia è peguani. Fu uno dei periodi più fiorenti nella storia mon; il re Razadarit (1383–1422) respinse attacchi provenienti dal Regno di Ava, mentre i regni della regina Shin Sawbu (1453–1472) e del re Dhammazedi (1472–1492) furono all'insegna della pace e del benessere. Nel periodo di massimo splendore, dal 1420 al 1530, il regno si arricchì sensibilmente con i commerci, in particolare quelli di oltremare con gli Stati della penisola indiana.

Hanthawaddy cadde nel 1539 con l'invasione dei birmani del re Tabinshwehti della dinastia di Taungù, che spostò la capitale a Pegu. Dopo il fallimento dell'invasione del Siam, Tabinshwehti si diede all'alcol e Bayinnaung divenne reggente. Tra le successive rivolte che smembrarono nuovamente la Birmania vi fu quella dei mon a Pegu, che nel 1550 portò all'assassinio del sovrano e alla ricostituzione del regno mon. Bayinnaung nel 1552 riprese Pegu, facendone la propria capitale, e con le successive campagne riunificò dapprima la Birmania nel 1555 e poi assoggettò gran parte dell'Indocina. I mon avrebbero subito la supremazia dei birmani fino al declino della dinastia Taungù nel XVIII secolo. La Birmania meridionale divenne teatro di aspre guerre contro i popoli della regione di Arakan, l'odierno Stato Rakhine della Birmania occidentale, e contro i siamesi di re Naresuan, attorno all'anno 1600. Pegu cadde sotto il controllo dei rakhine nel 1599 e molti mon si ritrasferirono a Martaban. I birmani ripresero Pegu nel 1616 e nel 1661 fu duramente soffocata una rivolta dei mon, molti dei quali fuggirono per scampare alle persecuzioni birmane e trovarono rifugio nel Regno di Ayutthaya. Furono bene accolti e poterono partecipare alla vita militare e politica del paese. Il re di Ayutthaya mise al proprio servizio un reggimento composto da soldati mon.

Con il declino della dinastia birmana di Taungù, una nuova rivolta mon portò nel 1740 all'istituzione del nuovo Regno Restaurato di Hanthawaddy, il cui esercito conquistò con l'aiuto dei francesi la capitale Ava ponendo fine al Regno di Taungù nel 1752. Fu questo l'ultimo periodo di gloria per i mon, che durò solo pochi anni. Nel 1757 Pegu cadde nelle mani dei birmani di Re Alaungpaya, fondatore della nuova dinastia Konbaung, che punì duramente i mon massacrandone la popolazione e costringendo buona parte dei sopravvissuti a fuggire nei territori controllati da Lanna e da Ayutthaya.
Dominio birmano

Nella seconda metà del Settecento, una nuova rivolta ebbe luogo durante il regno di Hsinbyushin, che rase al suolo la roccaforte mon di Dagon, l'odierna Yangon. La rivolta mon del 1814 fu brutalmente repressa dai birmani, e si registrò una nuova migrazione verso il Siam, dove l'integrazione dei mon nella realtà locale si era già realizzata. Durante le tre guerre anglo-birmane (1824-1886), i mon supportarono gli europei, e l'annessione della Birmania alla colonia dell'India Britannica nel 1886 permise loro di vivere senza problemi nel sud del paese.

Malgrado ciò, molti furono i mon che parteciparono assieme ai birmani agli scioperi per ottenere l'indipendenza negli anni venti e trenta del XIX secolo. Nel 1939, con l'obiettivo di preservare la cultura dell'etnia, nacque l'Associazione Mon di Tutta Ramanya, a cui si ispirarono i gruppi nazionalisti mon creatisi in seguito. L'associazione mantenne un ruolo puramente socio-culturale, ma al suo interno si sarebbero formati tutti i capi del movimento di liberazione mon del dopoguerra.[8]
Giornata nazionale mon celebrata a Londra

Dal 1947 si festeggia la giornata nazionale mon, che celebra la fondazione del Regno di Hanthawaddy. Con l'acquisizione dell'Indipendenza da parte della Birmania nel 1948, i mon furono tra le prime minoranze presenti nel Paese a organizzarsi e lottare per ottenere l'autonomia.[1] Rimasero una bistrattata minoranza etnica del Paese e vane furono le diverse ribellioni all'autorità birmana dei vari gruppi autonomisti che si formarono. Nel 1974, il governo birmano concesse la creazione del semi-autonomo Stato Mon, comprendente territori del Tenasserim, di Pegu e dell'Ayeyarwady.

Con la fine della guerra fredda e degli aiuti che la Thailandia garantiva agli autonomisti birmani, anche la resistenza dei nazionalisti mon calò di intensità dopo il cessate il fuoco del 1995, quando fu fondata la Lega per l'Unità dei Mon. L'Esercito Nazionale di Liberazione Mon tuttavia non consegnò le armi, mentre molti membri dell'etnia hanno appoggiato le politica anti-governativa della Lega Nazionale per la Democrazia di Aung San Suu Kyi e cercato modi alternativi alla guerra civile per combattere il governo.[1] Le promesse del governo birmano di concedere il federalismo e autonomia alle minoranze etniche sono state disattese e il cessate il fuoco è stato interrotto nel 2010. Sono quindi aumentati i combattimenti e le trattative per risolvere la questione.[9]

Oltre alle folte comunità mon rifugiatesi nel corso dei secoli in Thailandia, altre minori si sono formate negli Stati Uniti, in Australia, nel Canada, in Norvegia, in Danimarca, in Finlandia, in Svezia e nei Paesi Bassi.





segue

 
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Cultura

I mon conservano parte della loro antica cultura. Sebbene gran parte della popolazione sia stata assimilata dalle culture dominanti e parli la lingua birmana e la lingua thai, molti degli abitanti dello stato Mon e alcune comunità stabilitesi in Thailandia tuttora parlano il mon,[10] un idioma che fa parte del gruppo monico delle lingue Mon-Khmer, che a loro volta fanno parte della famiglia delle lingue austroasiatiche. Tale lingua viene espressa con la scrittura mon, derivata dalle antiche scritture brahmi. L'alfabeto birmano fu adottato basandosi su quello mon nell'XI secolo,[10] nel periodo in cui re Anawrahta di Bagan sottomise il Regno di Thaton.
Influenza culturale mon in Indocina

I mon, con l'opera di civilizzazione del periodo Dvaravati, hanno diffuso in gran parte dell'Indocina la propria arte, scrittura e religione, esercitando una grande influenza sulla cultura birmana, khmer e in particolare su quella siamese/thailandese.[5] Il primo regno siamese fu quello fondato nel 1238 a Sukhothai, il cui territorio faceva parte del regno mon di Lavo, vassallo dell'Impero Khmer. Il re tai yuan Mangrai di Lanna fece di Lamphun, capitale del regno mon di Haripunchai che aveva conquistato, la capitale culturale del suo Stato. Il regno siamese di Ayutthaya fu fondato nel 1350 con la fusione dei due regni mon di Lavo e di Suphannaphum. Nel XIV secolo, il Buddhismo Theravada diffuso dai mon divenne la religione di Stato dei regni di Sukhothai, Lanna, Lan Xang e Ayutthaya.

Con la fondazione della dinastia siamese dei Chakri nel 1782, la cultura mon divenne importante nell'educazione dei monarchi di Bangkok. Il fondatore della dinastia Rama I era di origini mon, ed i primi 5 sovrani Chakri ebbero un totale di 50 mogli di origine mon. Tra queste, 21 partorirono ed educarono secondo la cultura mon i figli dei sovrani. Erano di origini mon le regine madri Amarindra e Debsirindra, che partorirono rispettivamente i re Rama II e Rama V. La tradizione si interruppe nel regno di Rama VI con l'abolizione della poligamia.[11]
L'hamsa nella bandiera dello Stato Mon
Cultura mon odierna

Caratteristiche tuttora in vita della cultura mon sono alcune danze cerimoniali che si svolgono nella piazze dei villaggi. Attorno ai danzatori, i musicisti si dispongono in un cerchio e suonano strumenti tipici, che comprendono tamburi, speciali zither chiamati mi gyaung, flauti, arpe e cordofoni vari. L'abbigliamento si è invece uniformato a quello dei birmani e dei thai. Simbolo del popolo mon è l'hamsa, un uccello mitologico che tuttora compare negli stemmi dello Stato Mon e della regione di Bago.

Un tipico villaggio mon è composto da case con il tetto in paglia, granai e stalle per il bestiame. Vi è spesso un monastero che viene utilizzato anche come scuola e che ospita una pagoda. I nuclei familiari sono abbastanza ristretti. La religione dei mon, il Buddhismo Theravada, si combina spesso con credenze di stampo animista.[2] Vari gruppi politici e culturali dei mon si battono per la conservazione delle tradizioni proprie dell'etnia e contro i processi di assimilazione culturale operati dai governi birmani e thailandesi.[1]





fonte https://it.wikipedia.org/wiki/Mon_(gruppo_etnico)

 
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Rakhine



Il popolo Rakhine (in birmano ရခုိင္‌လူမ္ယုိး;MLCTS: ra. khaing lu. myo:; IPA: [ja̰kʰàin lùmjóʊ]; oppure Arakanesi), un gruppo etnico della Birmania (Myanmar), è oggi riconosciuto dalla giunta militare birmana (SPDC), e forma la maggioranza della popolazione lungo le coste dello Stato Rakhine. Costituisce circa il 4% della popolazione della Birmania anche se non sono stati svolti censimenti affidabili dal 1983.

Etimologia

Secondo le cronache Arakanesi, il nome Rakhine (Rakhaing) si originò con la parola in lingua pāli Rakhanpura, che "significa terra delle persone Rakhanasa" (Rakhasa > Rakkha >Rakhaing), che furono chiamati così in onore alle loro origini. Infatti la parola Rakhaing si riferiva a uno che custodisce gelosamente la propria etnia. Sono orgogliosi buddisti, ed affermano di essere fra i più ferventi seguaci del Buddha del Sud-est asiatico.
Cultura
I Rakhine sono culturalmente diversi dai Bamar. Parlano una lingua collegata ma piuttosto differente dal birmano. Una delle maggiori variazioni del linguaggio è la conservazione del suono /r/, sostituito da /j/ nel birmano. Inoltre, la lingua arakanese, sebbene piuttosto comprensibile a chi parla il birmano "standard", ha alcune diversità nel vocabolario. I Rakhine sono prevalentemente buddisti. Uno dei maggiori motivi della differenza fra Bamar e Arakenesi è l'isolamento geografico causato dai monti Arakan. I Rakhine sono stati influenzati dalla cultura indiana, e molti aspetti di essa rimangono nella cultura arakenese come letteratura, musica e cucina.





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Rohingya



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I rohingya (pronuncia inglese: [roʊˈɪndʒə], [roʊˈhɪndʒə] o [roʊˈɪŋjə]) sono un gruppo etnico, di religione islamica, che parla il rohingya, una lingua indoeuropea[11] del ramo delle lingue indoarie, strettamente legata alla lingua chittagong e più alla lontana alla lingua bengalese, più simile alle parlate degli indo-ariani di India e Bangladesh, in contrapposizione alle lingue in prevalenza sino-tibetane della Birmania (ufficialmente Myanmar).

I rohingya vivono nella parte settentrionale della Birmania, nello stato di Rakhine (noto anche come Arakan o Rohang in lingua rohingya) al confine con il Bangladesh. La loro origine è molto discussa: alcuni li ritengono indigeni dello stato di Rakhine, mentre altri sostengono che siano immigrati musulmani che, in origine, vivevano nei territori dell'odierno Bangladesh[12][13] e che, in seguito, si sarebbero spostati in Birmania durante il periodo del dominio britannico.

Secondo la legge sulla cittadinanza della Birmania, risalente al 1982, i rohingya non fanno parte delle 135 etnie riconosciute dallo stato e non hanno pertanto diritto alla cittadinanza birmana[14]. Hanno catturato l'attenzione internazionale dopo i massacri compiuti ai loro danni dall'esercito birmano nel 2012, che costrinsero 400 000 rohingya a rifugiarsi in Bangladesh[15]. Prima delle repressioni del 2016/2017 vivevano in Birmania circa un milione di rohingya[16], a dicembre 2017 circa 625 000 rohingya erano rifugiati in campi profughi in Bangladesh[17].

Nel 2019 il governo birmano offrì a 3 000 rohingya rifugiati in Bangladesh la possibilità di tornare nelle proprie case, ma pochi accettarono per paura di essere massacrati dall'esercito birmano, anche perché i responsabili delle stragi avvenute in precedenza non erano mai stati condannati.[18] Nell'agosto del 2020 erano circa un milione i rohingya confinati in campi profughi del Bangladesh sud-orientale, dove non era loro concesso di lavorare né di lasciare il campo profughi senza il permesso delle autorità.[19] Secondo i rapporti delle Nazioni Unite essi sono una delle minoranze più perseguitate nel mondo.[20]

Etimologia
Le aree in verde indicano gli stati in cui ci sono insediamenti di Rohingya

Il termine "rohingya" deriva da Rohang, denominazione in lingua rohingya dello stato di Rakhine (precedentemente Arakan), dove vive la maggior parte dei rohingya. Alcuni storici di etnia rohingya, come Khalilur Rahma, sostengono invece che questo termine possa derivare dalla parola araba Rahma, che significa "misericordia".[21] Anche se altri ritengono improbabile quest'ultima interpretazione, esiste comunque un riferimento storico che potrebbe porsi come origine di questo soprannome. Si narra, infatti, che dopo un naufragio di una nave araba nei pressi dell'isola di Ramree nell'VIII secolo d.C., il re arkanese ordinò che i mercanti arabi fossero uccisi. Questi urlarono nella loro lingua: "Rahma". In seguito a questo fatto, quelle persone vennero chiamate Rahma, e questa stessa parola gradualmente mutò prima in "rhohang" e poi in "rohingya".[21][22]

Questa storia è stata contestata da Jahiruddin Ahmed e Nazir Ahmed, rispettivamente ex presidente e segretario della Conferenza islamica di Arakan, i quali sostengono che quei naufraghi fossero musulmani della popolazione thambu kya, che attualmente risiedono lungo la costa Rakhine, e che sarebbero quindi stati i thambu kya ad assumere per primi il nomignolo "Rahma". La tesi dei due Ahmed si fonda su una possibile discendenza dei rohingya dagli abitanti di Ruha, in Afghanistan.[21] L'altro storico M.A. Chowdhury sostiene invece che il termine Mrohaung (nome di un antico regno arakanese) si sia modificato tra le popolazioni musulmane della Birmania fino ad arrivare a "Rohang", termine che ha dato poi il nome alla regione abitata dai rohingya.[21]

Storici della Birmania, tra i quali Khin Maung Saw, affermano che il termine rohingya era sconosciuto in quelle zone prima del 1950.[23] Anche lo storico Aye Chan, dell'Università di Kanda afferma che quel termine non è mai esistito in nessuna lingua prima del 1950, quando è stato importato probabilmente da dei bengalesi emigrati in Arakan durante il periodo coloniale. Tuttavia egli ammette che numerose popolazioni musulmane hanno per secoli vissuto in quella zona, stabilendosi lì durante il Regno di Mrauk U, quando Arakan intratteneva rapporti politici, militari e commerciali con il Sultanato di Bengala.[24] Questo punto di vista è stato ripreso dall'ex ambasciatore britannico Derek Tonkin secondo il quale, in assenza di qualsiasi documentazione archivistica britannica nei 112 anni della loro gestione di Arakan, il termine rohingya è entrato in uso dopo la seconda guerra mondiale". Egli sostenne inoltre che la campagna internazionale per sostenere i rohingya ha avuto tale successo da generare un effetto controproducente e contrario e propose di usare il termine maomettani di Arakan per riferirsi alla minoranza. Aggiunse che per risolvere l'impasse gli abitanti indigeni di Rakhine dovrebbero accettare la realtà storica della presenza continua di musulmani in Arakan per un periodo molto lungo, mentre i rohingya dovrebbero riconoscere che la denominazione "rohingya" non ebbe alcun riscontro storico prima dell'indipendenza nel 1948.[25]

Secondo l'esperto di storia Arakan dr. Jacques P. Leider, il termine Rooinga fu invece utilizzato in un rapporto di fine XVIII secolo pubblicato dal britannico Francis Buchanan-Hamilton.[26] Nel suo articolo nel Vocabolario comparativo di alcune delle lingue parlate nell'Impero Birmano del 1779, Buchanan-Hamilton scrisse che uno dei dialetti parlati in quel tempo in Birmania, ma evidentemente derivati dall'Hindu, era quello dei musulmani che da tempo si erano stabiliti in Arakan e che si definivano Rooinga, o nativi di Arakan."[27] Leider aggiunse anche che l'etimologia della parola non dice nulla di politica, che l'utilizzo del termine come etichetta politica per dare identità risale solamente al XX secolo e che viene usato solo dal 1950 per dare identità alla comunità che vive in Arakan.[26]






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Lingua

La lingua rohingya è la moderna lingua scritta dei rohingya di Arakan (Rakhine) in Birmania. Proviene dalla corrente indo-ariana che è un sub-ramo della grande famiglia delle lingue indoeuropee. È strettamente legata alla lingua chittagong parlata nella parte più meridionale del Bangladesh al confine con la Birmania. Nonostante sia la lingua Rohingya e sia quella chittagong siano legate al bengalese, non sono mutuamente intelligibili con quest'ultima, a dispetto di ciò che viene spesso proposto nella narrazione nazionale della Birmania. Studiosi del rohingya hanno scritto correttamente questa lingua in varie scritture, tra cui l'arabo, l'urdu, il romano, il birmano e l'hanifi, che è un alfabeto di nuova concezione creato per la lingua rohingya e derivato dall'arabo con l'aggiunta di quattro caratteri dal latino e del birmano.

Più recentemente, è stato sviluppato un alfabeto con caratteri latini, con tutte le 26 lettere dell'alfabeto inglese A alla Z e due lettere supplementari Ç (per retroflessa R) e Ñ (per il suono nasale). Per rappresentare accuratamente la fonologia rohingya, si utilizzano anche cinque vocali accentate (á-é-í-ó-ú). La lingua rohingya è stato riconosciuta dall'ISO con il codice ISO 639-3 "rhg".[28]
Religione

I rohingya sono musulmani sunniti. In Birmania l'identità religiosa assieme a quella linguistica è uno dei motivi di contrasto con il governo birmano che sostiene la tradizione buddhista dello Stato Rakhine.
Storia

Insediamenti musulmani sono esistiti in Arakan dopo l'arrivo degli Arabi nell'VIII secolo d.C. Si ritiene che i diretti discendenti dei coloni arabi abbiano vissuto in Arakan presso le civiltà di Mrauk U e Kyauktaw, piuttosto che nelle zone di frontiera del Mayu (vicino all'attuale Chittagong, Bangladesh).[29] Anche se alcune popolazioni musulmane hanno vissuto in Arakan a partire almeno dal XIV secolo, non c'è consenso tra gli storici nel ritenere che l'attuale minoranza discenda da ondate migratorie avvenute prima della colonizzazione britannica.[30] Oltre all'etnia rohingya, nello Stato Rakhine sono presenti le minoranze musulmane kamein (insediatesi ai tempi dell'impero Mughal) e thet, che sono ufficialmente riconosciute dal governo come gruppi etnici indigeni e hanno la cittadinanza birmana.[31]
Regno di Mrauk U

I primi insediamenti bengalesi musulmani in Arakan risalgono all'epoca di re Narameikhla (1430-1434) del Regno di Mrauk U, che nel 1430 aveva riguadagnato il possesso del trono arakanese con l'assistenza militare del Sultanato del Bengala. I bengalesi venuti con lui formarono i primi insediamenti musulmani della regione.[32][33] Narameikhla cedette alcuni territori al sultano del Bengala e riconobbe la sua sovranità su quelle aree. Come riconoscimento del suo vassallaggio, il re di Arakan ricevette i titoli islamici e la possibilità di utilizzare la moneta bengalese. Narameikhla coniò le proprie monete con scritte da un lato in alfabeto persiano e dall'altro in alfabeto birmano.[33] Questo vassallaggio fu però di breve durata: dopo la morte del sultano Jalaluddin Muhammad Shah, avvenuta nel 1433, i successori di Narameikhla occuparono nel 1437 Ramu e nel 1459 Chittagong, che rimase sotto il controllo di Arakan fino al 1666.[34][35]

Anche dopo aver conquistato l'indipendenza dai bengalesi, i re arakanesi continuarono a mantenere i titoli musulmani.[33] I sovrani buddhisti iniziarono così a considerarli alla pari dei sultani e successori dei Moghul, anche perché continuarono a inserire musulmani nelle alte cariche amministrative.[33] I musulmani aumentarono in Birmania nel XVII secolo, quando molti furono portati in Arakan come forza-lavoro, una parte furono impiegati come scribi in lingua araba, persiana o bengalese nelle corti arakanesi dove, pur rimanendo prevalente la cultura buddhista, giunsero tradizioni musulmane dal vicino Sultanato del Bengala.[32] L'etnia kamein, che è attualmente riconosciuta tra le etnie musulmane insediatesi in Birmania, discende proprio da questi musulmani.[36]
Conquista birmana

Dopo la conquista birmana di Arakan, avvenuta nel 1785, circa 35.000 Arakanesi fuggirono verso la vicina Chittagong per sfuggire alla persecuzione birmana e trovare rifugio presso i britannici, che controllavano quella regione del Bengala.[37] I governanti birmani uccisero in massa i musulmani che abitavano in quella zona e altri ne deportarono in Birmania, lasciando la regione spopolata nel momento in cui arrivarono i britannici.[38]

In un articolo pubblicato nel 1799 su "The Burma Empire", il britannico Francis Buchanan-Hamilton scrisse: i maomettani, che da tempo si sono stabiliti in Arakan, si autodefiniscono "rooinga", o "nativi di Arakan".[27] Sir Henry Yule, mentre era in quei luoghi in missione diplomatica, disse che molti musulmani erano impiegati come eunuchi durante la dinastia Konbaung in Birmania.[39][40][41][42] Questi eunuchi musulmani venivano da Rakhine.[43]
Dominio coloniale britannico

La politica britannica favorì il ripopolamento delle fertili valli di Arakan, dove si trasferirono numerosi abitanti del Bengala per lavorare come braccianti agricoli. La Compagnia britannica delle Indie Orientali estese l'amministrazione bengalese anche su Arakan, eliminando ogni possibile barriera tra quest'ultimo e il Bengala e favorendo così le migrazioni di popoli. Nel XIX secolo migliaia di bengalesi si trasferirono dalla regione di Chittagong in Arakan in cerca di lavoro[38]; questo processo migratorio fu anche contrario, nel senso che molte persone di etnia Rakhine andarono invece in Bengala.[44][45]

Il censimento britannico del 1891 segnalò la presenza di 58.225 musulmani in Arakan. Nel 1911, la popolazione musulmana aumentò, raggiungendo quota 178.647 unità.[46] Queste ondate migratorie si dovettero principalmente alla forte necessità da parte dei britannici di manodopera da impiegare nelle risaie del territorio. Molti immigrati birmani si trasferirono da Chittagong ad Arakan, specialmente nella zona occidentale di questa regione, anche se questa immigrazione è comunque da considerarsi un fenomeno nazionale, e non solo legato a piccole zone della Birmania.[47]

Lo storico Thant Myint-U scrive: "All'inizio del XX secolo gli indiani arrivavano in Birmania al ritmo di non meno di un quarto di milione all'anno, con questi numeri che sono aumentati ogni anno fino a raggiungere il proprio picco massimo nel 1927, quando con 480.000 immigrati, Rangoon superò New York come maggiore centro di immigrazione al mondo". Da allora, nelle maggiori città birmane quali Yangon (allora Rangoon), Sittwe, Pathein e Moulmein, la popolazione indiana superò in numero quella musulmana. Questi ultimi, ovvero gli indigeni birmani, si sentirono impotenti rispetto al dominio britannico e denunciarono questa politica di ripopolamento della zona come un razzismo che combina sentimenti di superiorità e paura.[47]

I problemi legati all'immigrazione furono tuttavia molto più sentiti in Arakan, dove i conflitti interni tra la popolazione musulmana e i rakhine buddisti spinsero le autorità britanniche a istituire nel 1939 una speciale commissione d'inchiesta guidata da James Ester e Tin Tut per discutere della questione dell'immigrazione musulmana nello Stato Rakhine. Questa commissione si pose come obbiettivo quello di fissare un confine che dividesse i due popoli; tuttavia, con l'inizio della seconda guerra mondiale, gli inglesi si ritirarono da Arakan, lasciando incompiuto il progetto.[48]






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Seconda guerra mondiale: occupazione del Giappone e violenze tra comunità

Durante la seconda guerra mondiale, le forze giapponesi invasero la Birmania, allora sotto il dominio coloniale britannico. Le forze britanniche si ritirarono e nel vuoto di potere lasciato, scoppiò una notevole violenza tra i rakhine e i rohingya. I britannici armarono i rohingya nel nord Arakan, al fine di creare una zona cuscinetto che proteggesse il Bengala da un'invasione giapponese quando loro si fossero ritirati del tutto. Il periodo di violenza vide anche scontri tra i gruppi fedeli ai britannici e i nazionalisti birmani.[49]

Aye Chan, uno storico dell'Università di Kanda, scrisse che con le armi ricevute dagli inglesi durante la seconda guerra mondiale, i rohingya cercarono di distruggere i villaggi rakhine invece di resistere ai giapponesi.[50] Il 28 marzo 1942 i rohingya dal nord uccisero circa 20 000 rakhine. In quel periodo, circa 5 000 rohingya nelle città di Minbya e Mrohaung furono uccisi da rakhine e karenni.[48]

I giapponesi si resero responsabili di innumerevoli atti di stupro, omicidio e torture contro migliaia di rohingya.[51] Si ritiene che durante quel periodo, circa 22 000 Rohingya abbiano attraversato il confine con il Bengala, allora parte dell'India britannica, per sfuggire alle violenze.[52][53] Sconfitti, 40 000 rohingya infine fuggirono a Chittagong dopo ripetuti massacri da parte dei birmani e delle forze giapponesi.[54]
Insurrezioni del dopoguerra

Nel 1948, quando la Birmania ottenne l’indipendenza dal dominio coloniale britannico, ai rohingya fu concessa la cittadinanza birmana, il permesso di ottenere dei documenti personali e alcuni membri riuscirono ad essere eletti nel parlamento di Yangon[55].

Il partito Mujahid fu fondato dagli anziani rohingya che sostennero un movimento Jihad nel nord Arakan nel 1947.[56] L'obiettivo del partito Mujahid era quello di creare uno stato islamico autonomo nell'Arakan. Era molto più attivo prima del 1962, quando ci fu il colpo di stato dal generale birmano Ne Win, il quale promosse alcune operazioni militari contro di loro per un periodo di due decenni. Quella più estesa fu l'operazione "Re Drago" che ebbe luogo nel 1978; dopo la quale molti musulmani nella regione si rifugiarono nel vicino Bangladesh. Oltre al Bangladesh, un gran numero di rohingya migrò a Karachi, in Pakistan.[8]

Durante il Movimento Pakistano negli anni 40, i musulmani Rohingya in Birmania occidentale provarono a separarsi dallo stato e ad unire la loro regione al Nord-Pakistan. Prima dell'indipendenza della Birmania nel gennaio del 1948, i leader musulmani di Arakan si sono rivolti a Mohammad Ali Jinnah, il fondatore del Pakistan, chiedendo la sua assistenza per attaccarsi alla regione Mayu in Pakistan in considerazione della loro affinità religiosa e la vicinanza geografica con il Pakistan orientale. Due mesi più tardi, la Lega Musulmana del Nord Arakan venne fondata ad Akyab (capitale dello Stato Rakhine), che, fra le altre cose, richiedeva l'annessione al Pakistan. La proposta non si concretizzò mai, non sarebbe mai stata accettata dalle autorità birmane e la Lega non era in grado di imporre la propria volontà al governo.[57]

I mujahideen rohingya sono ancora attivi nelle aree remote dell'Arakan.[58] Le relazioni tra mujahideen rohingya e mujaheddin del Bangladesh furono significative ed entrambi i gruppi estesero le loro reti a livello internazionale. Si finanziano con donazioni e ricevono un addestramento militare-religioso al di fuori della Birmania.[59]
Giunta militare in Birmania/Myanmar

Le giunte militari che hanno governato la Birmania dal 1962 fecero affidamento su un mix di nazionalismo birmano e buddismo theravada per rafforzare il proprio dominio, e, secondo il parere di esperti governativi degli Stati Uniti, discriminando le minoranze come i rohingya, popolazioni cinesi come i kokang e i panthay (musulmani cinesi). Alcuni dissidenti pro-democrazia di etnia birmana non considerano i rohingya compatrioti.[60][61][62][63]

I governi birmani successivi sono stati accusati di aver fomentato rivolte violente contro le minoranze etniche, come i rohingya e cinesi musulmani.[64] «Le élite nazionaliste e gli intellettuali hanno spesso reiterato l’accusa di puntare ad accrescere la quota musulmana della popolazione tramite un’azione deliberata di matrimoni misti con donne non musulmane, ponendo così una minaccia all’identità buddista della società Rakhine e del Myanmar»[65].

Nel 2009, un alto diplomatico birmano, in viaggio a Hong Kong, definì i rohingya "brutti come orchi" e "un popolo che non ha nulla a che fare con il Myanmar".[66]
Violazioni dei diritti umani e dei rifugiati
La bandiera rohingya

I rohingya sono stati descritti come "il popolo meno voluto al mondo" e "una delle minoranze più perseguitate al mondo".[67] Secondo una legge del 1982, essi non possono prendere la cittadinanza birmana.[68] Non è consentito ai rohingya di viaggiare senza un permesso ufficiale, di possedere terreni e sono tenuti a firmare un impegno a non avere più di due figli.[68]

Secondo Amnesty International, la popolazione musulmana rohingya continua a soffrire per violazioni dei diritti umani da parte della dittatura militare birmana dal 1978, di conseguenza molti sono fuggiti nel vicino Bangladesh.

«La libertà di movimento dei rohingya è fortemente limitata e alla maggior parte di loro è stata negata la cittadinanza birmana. Sono anche sottoposti a varie forme di estorsione e di tassazione arbitraria; confisca delle terre; sfratto e distruzione delle loro abitazioni; e restrizioni finanziarie sui matrimoni. I rohingya continuano ad essere utilizzati come lavoratori-schiavi sulle strade e nei campi militari, anche se la quantità di lavoro forzato nel nord dello stato Rakhine è diminuita negli ultimi dieci anni. [...]

Nel 1978 oltre 200 000 rohingya sono fuggiti in Bangladesh, in seguito all'operazione Nagamin (Re Drago) dell'esercito birmano. Ufficialmente questa campagna aveva lo scopo di "controllare ogni residente dello stato Rakhine, distinguere i cittadini e gli stranieri in conformità con la legge e intraprendere azioni contro gli stranieri che si erano infiltrati nel paese illegalmente." Questa campagna militare era mirata direttamente contro i civili e portò a omicidi diffusi, stupri e distruzione di moschee e a ulteriori persecuzioni religiose. [...]

Durante il 1991 e il 1992 una nuova ondata di oltre un quarto di milione di Rohingya fuggì in Bangladesh. Riferirono di essere stati costretti al lavoro forzato e vittime di esecuzioni sommarie, torture, e stupri. I rohingya furono costretti a lavorare senza paga da parte dell'esercito birmano su progetti infrastrutturali ed economici, spesso in condizioni difficili. Molte altre violazioni dei diritti umani sono state commesse dalle forze di sicurezza riguardo al lavoro forzato di civili rohingya.»
(Rapporto di Amnesty International del 2004[69])

A partire dal 2005, l'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati ha insistito per il rimpatrio dei rohingya dal Bangladesh, ma le accuse di violazioni dei diritti umani nei campi profughi resero ancor più difficile lo sforzo.[70]
Campo profughi a Cox's Bazar

Nonostante i molti sforzi da parte delle Nazioni Unite, la stragrande maggioranza dei rifugiati Rohingya è rimasta in Bangladesh, non essendo in grado di resistere all'atteggiamento aggressivo del regime al potere in Birmania e per la paura di persecuzioni. Il Bangladesh ha inizialmente accolto i rifugiati dalla Birmania, ma le pressioni interne e le limitate risorse nazionali hanno costretto Dhaka a spingere i Rohingya a lasciare i campi profughi[55]. Ora si trovano ad affrontare gli stessi problemi in Bangladesh, ma qui ricevono più sostegno da parte del governo.[71]

Nel corso degli anni, migliaia di rohingya si rifugiarono anche in Thailandia. Nel 2009 c'erano circa 111 000 rohongya rifugiati in 9 campi lungo il confine tra Thailandia e Birmania. Alcuni gruppi di Rohingya furono spediti e abbandonati in mare aperto dalle autorità thailandesi. Nel febbraio 2009 l'esercito thailandese trainò in alto mare una barca con a bordo 190 profughi rohingya verso il mare. Furono tratti in salvo dalle autorità indonesiane e raccontarono storie strazianti sulla cattura e sulle violenze subite dai militari thailandesi, e poi dell'abbandono in mare aperto. Entro la fine di febbraio fu segnalato un gruppo di 5 barche portate al largo di cui 4 finirono affondate durante una tempesta. Il primo ministro della Thailandia Abhisit Vejjajiva il 2 febbraio 2009 confermò che gruppi di rohingya erano stati abbandonati in mare, si rammaricò per le "eventuali perdite" e annunciò di essere al lavoro per risolvere il problema.[72]

I passaggi per rimpatriare i profughi rohingya iniziarono nel 2005. Dopo un incontro con i diplomatici birmani, nel 2009 il governo del Bangladesh annunciò l'imminente rimpatrio di circa 9 000 Rohingya che vivevano nei campi profughi all'interno del paese.[73][74]

Il 16 ottobre 2011, il nuovo governo della Birmania accettò di accogliere i rifugiati Rohingya di ritorno dai campi profughi all'estero. Tuttavia, la violenza, la persecuzione e i disordini nella comunità continuarono senza sosta contro la minoranza.[75][76] Il 29 marzo 2014, il governo birmano vietò il termine rohingya dal censimento e impose che la loro registrazione avvenisse sotto il nome di bengalesi e così è stato nel censimento del Paese per tre decenni.[77][78][79]

Il 7 maggio 2014, la Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti approvò una risoluzione che sollecitava il governo della Birmania a porre fine al calpestamento dei diritti umani e al rispetto dei rohingya e di tutte le minoranze etniche e religiose in Birmania (A.RIS. 418; 113 ° Congresso). Il governo statunitense invitò il governo della Birmania a porre fine alla discriminazione e alla persecuzione.[80][81] Il 13 settembre 2017 cinque donne premi Nobel inviarono un appello affinché avessero fine le violenze e le discriminazioni ai danni di questo popolo.[82]

Nel settembre 2017, il Tribunale Internazionale Permanente dei Popoli sentenziò che la repressione contro i rohingya era da considerare inequivocabilmente come un genocidio, ritenendo che l’utilizzo del termine pulizia etnica da parte delle Nazioni Unite fosse un “eufemismo” con “nessuna base nel diritto internazionale”[83].






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Rivolta del 2012

Il 28 maggio 2012 vi fu lo stupro e l'omicidio di una ragazza buddhista e tre ragazzi rohingya furono accusati di esserne i responsabili. La già difficile convivenza tra le due diverse etnie subì così un nuovo duro colpo che portò a un'ulteriore degenerazione del rapporto. Alcuni giorni dopo un gruppo di buddhisti assalì in Rakhine un pullman che trasportava pellegrini musulmani provenienti da Rangoon, uccidendo una decina di persone. Il governo birmano fu costretto a dichiarare lo stato d'emergenza nella provincia di Rakhine l'11 giugno, poiché a quell'episodio di violenza seguirono altri scontri tra buddhisti e rohingya, che portarono alla morte di 29 persone. La situazione divenne insostenibile e le autorità non presero posizione neppure dopo l'intervento delle Nazioni Unite, che chiedevano di aprire le frontiere del Bangladesh ai profughi. Migliaia di rohingya lasciarono la Birmania in barca, attraversando il fiume Naf.[84]
2017
Nell'estate del 2017 la violenza tornò a divampare nella regione dopo gli attacchi a stazioni di polizia effettuati dall'Esercito di salvezza Rohingya di Arakan; l'esercito birmano reagì con violenti rastrellamenti che spinsero circa centomila Rohingya a cercare rifugio in Bangladesh[85] nel primo mese di repressione dall'esercito del Myanmar nello Stato del Rakhine.





fonte https://it.wikipedia.org/wiki/Rohingya#Rivolta_del_2012

 
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Shan



Shan_woman_portrait



Gli shan, detti anche tai yai, sono un gruppo etnico del sud-est asiatico, vivono principalmente nello Stato Shan della Birmania nord-orientale e nelle zone limitrofe di Cina e Thailandia. Altre comunità si trovano negli Stati birmani di Kachin, Kayin, nella divisione di Mandalay e negli Stati indiani dell'Assam e del Manipur. La popolazione conta approssimativamente 6 milioni di individui, sebbene non sia mai stato fatto un censimento ufficiale. Gli shan sono stanziati nell'odierna Birmania da secoli e molti abitanti del Paese sono etnia mista shan-bamar. Le guerre tra il governo centrale e gli eserciti di liberazione shan hanno reso problematico stabilire il numero esatto di shan nel Paese. In Thailandia molti membri della comunità shan sono immigrati illegalmente.

Gli shan abitano principalmente nell'omonimo altopiano, che è attraversato dal diverse catene montuose e dal fiume Saluen. La capitale dello Stato Shan è Taunggyi, una città di circa 150 000 abitanti. Altri centri importanti sono Kengtung e Tachilek, al confine con la Thailandia.

Suddivisioni

Gli shan possono essere suddivisi nei seguenti gruppi:

Tai yai (တႆးယႂ်ႇ), il gruppo maggioritario, stanziato nello Stato Shan ed in Thailandia
Tai lü (တႆးလိုဝ်ႉ), che vivono nel Sipsongpanna (nel sud dello Yunnan) ed in alcune zone degli stati birmani orientali
Tai khün (တႆးၶိုၼ်), che costituiscono la maggioranza degli abitanti di Kengtung
Tai neua (တႆးၼိူဝ်), che vivono soprattutto nella zona di Dehong, in Cina
Tai khamti, stanziati negli stati indiani dell'Assam e del Manipur

Storia

Gli shan sono stanziati in Birmania circa dal X secolo d.C. e si presume che siano immigrati dalle zone di montagna della provincia cinese dello Yunnan. Fanno parte dei popoli tai che emigrarono dalla Cina per sfuggire all'avanzata del popolo han. Tra questi popoli vi furono i thai, un'etnia strettamente correlata a quella shan, che si insediarono nel bacino del fiume Chao Phraya. I thai si autodefiniscono anche "tai noi" (tai bassi), per differenziarsi dagli shan che chiamano "tai yai" (tai alti), in riferimento all'altezza delle montagne dove vivono. Il primo regno shan fu quello di Mong Mao ed era formato da diversi principati che si svilupparono nei territori che sono oggi al confine tra Birmania e Yunnan. Altri popoli tai che si affermarono nella zona, a loro volta strettamente collegati agli shan, furono i tai lü di Chiang Hung, i tai yuan di Lanna e i tai khün di Kengtung.

Col passare dei secoli, molte delle municipalità shan si assimilarono alla cultura birmana. Erano di etnia shan-birmana i fondatori del Regno di Ava, che dominò il nord del paese tra il 1364 ed il 1527. Ava scese spesso in guerra con i principati rimasti esclusivamente shan. Nel 1527, fu proprio una confederazione di principati shan, guidata dal saopha (letteralmente signore del cielo, titolo shan equivalente a quello di sovrano) Sawlon, che pose fine al dominio di Ava. Gli shan la occuparono fino al 1555, quando vennero cacciati dalle armate del conquistatore birmano Bayinnaung della nuova dinastia di Toungoo, che entro i due anni successivi occupò tutti i principati shan.[1]
Seduti in primo piano, i saopha shan di Mongpawn, Kengtung, Möngnai e Yawnghwe partecipano assieme a principi karen al durbar di Delhi nel 1903

I principati divennero feudi birmani e ai saopha fu concesso di mantenere il titolo regale e di governare sui territori come vassalli. Con il declino della Birmania, nel XVIII secolo alcuni territori shan furono annessi alla Cina retta dalla dinastia Qing e inseriti nella prefettura del Sipsongpanna, che fa tuttora parte della provincia cinese dello Yunnan. Le guerre sino-birmane combattute tra il 1765 ed il 1769 stabilirono gli attuali confini tra i due Paesi. Nel 1786 furono stabilite le definitive frontiere tra Siam e Birmania.

Al termine della terza guerra anglo-birmana, nel 1885, la Birmania divenne una colonia dell'India britannica, ma i territori shan furono occupati dagli invasori solo nel 1890 e i saopha mantennero il ruolo di governatori per conto dei britannici. Nel 1922, i feudi shan e quelli karenni entrarono a far parte della nuova Confederazione degli Stati Shan. Nel febbraio 1947, al termine della seconda guerra mondiale, fu prospettata la formazione di un unitario Stato Shan a cui sarebbe stata concessa l'indipendenza entro 10 anni. Tale progetto fu ispirato dall'eroe birmano Aung San, che fu assassinato nel luglio successivo e da quel momento la politica birmana seguì un nuovo corso. L'anno dopo i britannici concessero l'indipendenza e fu fondata l'Unione di Birmania.[2]

Nel 1949, al termine della guerra civile cinese, nello stato Shan si rifugiò un gran numero di nazionalisti cinesi aderenti al Kuomintang, in fuga dopo la sconfitta contro i comunisti di Mao Zedong. Presero il controllo del traffico di oppio, fino a quel momento una voce irrilevante nell'economia shan, aumentando enormemente la superficie dei terreni coltivati a papavero da oppio e operando grandi devastazioni. Molti contadini shan che tradizionalmente coltivavano il riso si trovarono senza campi, presero la via delle montagne per fuggire dai nazionalisti cinesi e si dedicarono a loro volta alla produzione dell'oppio, che divenne gradualmente la principale fonte di entrate degli shan. Le truppe del Kuomintang furono espulse dopo qualche anno ma continuarono ad esercitare il controllo e la distribuzione dell'oppio dai laboratori che aprirono lungo la frontiera thai-birmana.[2]
Lo Stato Shan, la più grande divisione amministrativa della Birmania.

Nello stesso periodo le truppe birmane perseguitarono i contadini shan delle campagne e studenti shan dell'Università di Rangoon organizzarono un movimento anti-birmano che fu fronteggiato da esercito e servizi segreti. Gruppi di giovani shan si rifugiarono nella giungla iniziando operazioni di guerriglia e i primi scontri con le forze governative si ebbero nel 1959. Quello stesso anno i saopha rinunciarono al proprio titolo in favore del costituendo Stato Shan. Nel 1962, i principi shan e di altre etnie furono invitati a Rangoon per discutere del nuovo assetto politico, in tale occasione le truppe del generale Ne Win misero in atto un colpo di Stato e arrestarono i partecipanti della conferenza. Le minoranze etniche del Paese risposero formando locali eserciti ribelli. La nazionalizzazione indiscriminata imposta dal nuovo regime favorì l'aumento delle attività illegali e gli eserciti degli shan si finanziarono principalmente tassando nelle campagne la sempre più diffusa produzione di oppio.[2]

Ebbe inizio un periodo di anarchia e di duri scontri con l'esercito birmano nello Stato Shan; nel 1968 la Cina iniziò a rifornire di armi il clandestino Partito Comunista della Birmania, che nel giro di 10 anni fu in grado di occupare 20 000 km² di territorio lungo tutta la frontiera tra lo Stato Shan e la Cina con un esercito che contava tra i 15 000 e i 20 000 effettivi. Nel 1964 fu formato l'Esercito dello Stato Shan, noto con l'acronimo inglese SSA (Shan State Army) diviso in SSA-N per la zona nord ed SSA-S per la zona sud. Un fuoriuscito dell'SSA fondò l'Esercito rivoluzionario degli shan uniti, che si attestò lungo la frontiera thai. Per le operazioni di contro-guerriglia i birmani formarono delle unità di guardie chiamate Ka Kwe Ye (KKY), che significa difesa. Queste furono coinvolte nel traffico di oppio per sovvenzionarsi e tra i loro membri vi fu Khun Sa, uno shan-birmano che avrebbe fondato l'esercito più agguerrito attivo nella zona per proteggere i propri traffici.[2]

Vicino alla frontiera thai si organizzarono per la guerriglia i dissidenti che avevano partecipato alla rivolta 8888 a Rangoon nel 1988. Dalle ceneri del Partito Comunista, che si dissolse nel 1989, si formarono diversi nuovi eserciti tra le minoranze etniche tra cui quello shan dell'Alleanza democratica nazionale del Myanmar, con le sue basi vicino alla frontiera thai e cinese. Entro la fine degli anni novanta, queste formazioni siglarono accordi di pace con il governo centrale.[2]

Durante i conflitti, spesso gli shan sono stati costretti a bruciare i propri villaggi e a scappare in Thailandia, dove non è stato loro riconosciuto lo status di rifugiati politici e spesso sono stati costretti a lavorare come clandestini. I vertici thailandesi hanno discusso sulle loro condizioni ma non hanno trovato una soluzione in grado di accontentarli.

Sua Altezza Reale, il principe shan Hso Khan Pha (Surkhanpha in thailandese) di Yawnghwe, vive oggi esiliato in Canada. Si sta sforzando per convincere il governo birmano a rispettare la cultura e le tradizioni centenarie del suo popolo. Spesso accoglie intere comunità di bambini shan i cui genitori sono troppo poveri per dar loro un'istruzione e una vita adeguata.

Nel maggio del 2005, gli shan in esilio hanno dichiarato l'indipendenza dello stato Shan ed hanno stilato la costituzione degli Stati Federati dello Shan. Questa dichiarazione fu rigettata sia dal governo birmano sia dal popolo shan residente in Birmania. A seguito di questo episodio si sono riaccese le persecuzioni verso gli shan, con ulteriori restrizioni delle loro libertà ed attacchi dell'esercito ai loro villaggi.
Contadine shan
Cultura

Gli shan sono tradizionalmente coltivatori di riso, commercianti ed artigiani. La religione principale è il Buddhismo Theravada, ma molti osservano fedi religiose più antiche legate all'animismo. Gli shan hanno una cultura e una lingua simile a quella dei thai e dei Lao e credono che la loro razza sia stata fondata dal mitico Khun Borom, un sovrano legato all'antico Regno di Nanzhao.
Lingua
La lingua shan è un idioma di tipo tonale, tra i vari dialetti in cui si suddivide, alcuni usano 4 tonalità ed altri 5. Fa parte della famiglia delle lingue tai-kadai, ed è strettamente correlata alle lingue dei lao e dei thai. Il codice ISO per la lingua shan è SHN; il codice etnologico è SJN. Oltre allo shan, parlano anche le lingue nazionali dei paesi dove sono stanziati. La scrittura shan è un adattamento di quelle mon e birmana, ma la maggior parte dell'etnia è analfabeta.





fonte https://it.wikipedia.org/wiki/Shan

 
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view post Posted on 18/8/2022, 10:11     Top   Dislike
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Popoli tai



I popoli tai formano una famiglia di etnie del sud est asiatico, della Cina meridionale e dell'India nord-orientale. Tra le varie zone dove sono stanziati, vi sono l'isola di Hainan, il Sichuan meridionale, lo Yunnan, il Guangdong, il Guizhou, lo Hunan, la Thailandia, il Laos, il Vietnam, la Birmania e l'Assam.

Queste etnie parlano le lingue del gruppo tai kadai e condividono tradizioni e alcune feste (Songkran, il capodanno del Buddhismo Theravada che si tiene a metà aprile), e professano quasi tutte il Buddhismo Theravada.

Malgrado non abbiamo mai avuto uno stato nazionale che li unisse, questi popoli hanno storicamente condiviso una vaga idea di nazione (con i nomi di "Siam", "Shan", "Ahom", "Zhuang" ecc.).

Principali suddivisioni

I principali popoli tai sono:

Gli ahom, nello Stato dell'India nord-orientale dell'Assam
Gli shan, in Birmania
I thai ed i lao, in Thailandia
I lao ed i tai lü, in Laos
I tày ed i tai dam, in Vietnam
I tai lü, inclusi dal governo cinese nel gruppo dei popoli dai, e gli zhuang, in Cina meridionale

Storia

Le migrazioni dalla Cina meridionale al nord dell'Indocina da parte dei popoli tai erano iniziate nella seconda metà del I millennio d.C.[1] e si erano accentuate dopo la caduta nel 1253 del Regno di Dali per mano dei mongoli di Kublai Khan. Nel sudest asiatico i tai si erano suddivisi in diversi sottogruppi etnici, tra cui i più importanti furono quello dei siamesi, che nel 1238 avevano costituito il Regno di Sukhothai nell'odierna Thailandia Centrale, e quello dei tai yuan, che si erano insediati nell'odierna Thailandia del Nord, dove nel 1292 avevano formato il Regno Lanna.[1] Il gruppo dei lao si era stanziato nelle pianure del medio Mekong e nelle zone circostanti, prendendo il sopravvento nelle municipalità preesistenti formando dei principati che furono unificati da Fa Ngum, un principe di Mueang Sua (l'odierna Luang Prabang) educato alla corte dell'Impero Khmer.[2]





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Va (popolo)



I va (o anche wa; in cinese: wǎzú; in Birmano =ဝလူမ္ရုိ့; nomi propri: ava, parauk) sono uno dei 56 gruppi etnici riconosciuti ufficialmente dalla Repubblica popolare cinese. La maggior parte dell'etnia vive però nella Birmania nord-orientale.

Secondo stime del 2000 e del 2004, i membri dei vari sottogruppi va in Cina erano 404.000, stanziati principalmente nella zona ovest della provincia sud-occidentale dello Yunnan. In particolare nelle comunità di Ximeng (in va: Mēng Ka o Si Moung), Cangyuan, Menglian (Gaeng Līam), Gengma (Gaeng Mīex o Gaeng Māx), Lincang (Mēng Lām), Shuangjiang (Si Nblāeng o Mēng Mēng), regioni di Zhenkang e Yongde. La maggior parte dei va vive in Birmania, nella zona orientale dello Stato Shan, dove nel 2008 erano in 922.000.[1]

Le lingue va appartengono al ceppo linguistico mon khmer della famiglia austroasiatica. Un alfabeto per la lingua dei va fu creato nel 1933[4] poi un altro nel 1956 nella Repubblica popolare cinese.[5] Secondo quanto stabilito dalla Costituzione birmana del 2008 in materia di conciliazione nazionale,[6] con un decreto del 20 agosto 2010 è stata ufficializzata la divisione auto-amministrata Wa, una suddivisione amministrativa di primo livello della Birmania amministrata dai wa.[7] Il suo territorio si trova nel corridoio compreso tra le profonde gole dei fiumi Saluen e Mekong, nella zona orientale dello Stato Shan, ai confini con la provincia cinese dello Yunnan.

Gli Wa hanno una particolare relazione con la Cina, sin da quando il Partito Comunista cinese decise nel 1960 di fornire supporto incondizionato al Partito Comunista della Birmania o Communist Party of Burma (CPB). La maggior parte dei guerriglieri del CPB era composto da Wa mentre i finanziamenti e la fornitura di armi era garantita da Pechino. Anche dopo l'armistizio del 1989 i rapporti con la Cina rimasero solidi e il supporto logistico continuò in forma diversa, più incentrato sulle necessità della popolazione[8]. Gli Wa hanno costruito un rapporto privilegiato con la Cina, la struttura organizzativa a Pangkham, la capitale dello stato Wa, è stata pensata sul modello di quella cinese, con la presenza di un comitato centrale e di un partito che si occupa in toto della gestione della cosa pubblica. La capacità militare degli Wa è nettamente superiore a quella degli altri gruppi etnici ribelli, la Tatmadaw Kyi, le forze armate birmane non hanno nessun tipo di controllo sulla regione abitata dagli Wa.





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Yao (popolo)



Gli yao (in cinese 瑤族T, 瑶族S, YáozúP; in vietnamita người Dao), chiamati anche mien o dao, sono un gruppo etnico che vive principalmente in Cina e Vietnam. Comunità minori di yao si trovano in Laos, Birmania e Thailandia.

Formano uno dei 56 gruppi etnici riconosciuti ufficialmente dalla Repubblica popolare cinese e uno dei 54 gruppi riconosciuti dal governo vietnamita. Vivono principalmente nelle zone di montagna al confine tra la Cina sud-occidentale ed il Vietnam. Nell'ultimo censimento, ne sono stati contati 2.637.421 in Cina e sono approssimativamente 470.000 nel Vietnam.


Gruppi e lingue

Gli yao si dividono in vari gruppi che parlano lingue tra loro diverse e riconducibili a tre diversi ceppi: il hmong mien, il tai kadai ed il cinese:

Lingue hmong-mien
Lingue mien (in cinese: miǎnyǔ 勉语)
Lingue mian-jin:
Lingua iu mien, parlata da 818,685 persone (383 000 in Cina, 350 000 in Vietnam, 40 000 in Thailandia, 20 250 in Laos, 70 000 inegli Stati Uniti)[1]
Lingua kim mun (conosciuta anche come Lanten), parlata da più di 300 000 Yao[2]
Lingua biao mon, parlata da 20 000 persone[3]
Lingua dzao min, parlata da 60 000 persone[4]
Lingua biao-jiao mien, parlata da 43 000 persone[5]
Lingue hmong o miao:
lingua bu-nao bunu, parlata da 258 000 persone[6]
Lingua wunai bunu, parlata da 18,442 persone[7]
Lingua younuo bunu, parlata da 9,716 persone[8]
Lingua jiongnai bunu, parlata da 1,078 persone[9]
alcuni linguisti raggruppano le lingue hmong - per un totale di 287 000 persone - insieme ai vari dialetti della lingua bunu (bùnǔyǔ 布努语).
Lingue tai-kadai
Lingua lakkia (lājiāyǔ 拉珈语), parlata da 12 000 persone[10]
Lingua zhuang, parlata da 100 000 bunu
Lingua cinese
circa 500 000 yao parlano dialetti cinesi.

Oltre che in Cina, le popolazioni yao vivono anche nel Vietnam del Nord (dove sono denominati Dao), nel Laos del Nord, in Thailandia del Nord ed in Birmania. Ci sono circa 60.000 yao in Thailandia del Nord, dove sono una delle sei tribù principali del paese. Ci sono inoltre molti rifugiati yao negli Stati Uniti, principalmente provenienti dagli altopiani del Laos che parlano la lingua iu mien.

Un gruppo di 61.000 persone dell'isola cinese meridionale di Hainan parla la lingua kim mun degli yao, ma sono ufficialmente riconosciuti come hmong dal governo cinese. Altre 139.000 persone che parlano lingue kim mun vivono nelle province cinesi dello Yunnan e del Guangxi e 174.500 nel nord del Laos e nel Vietnam.

I bunu si autodefiniscono anche nuox, buod nuox, dungb nuox o, secondo la loro denominazione ufficiale, yaof zuf.

Soltanto 258.000 dei 439.000 categorizzati come bunu nel censimento 1982 parlano la lingua bunu; 100.000 parlano lo zhuang e 181.000 parlano il cinese e il bouyei.
Religione
Sebbene alcuni yao pratichino una religione basata sul Taoismo cinese medioevale, molti si siano convertiti al Buddhismo Theravada ed alcuni al Cristianesimo, la maggior parte degli yao conserva le proprie credenze basate sull'Animismo.





fonte https://it.wikipedia.org/wiki/Yao_(popolo)

 
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