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| C’è un legame tra transizione ecologica e inflazione. L’accelerazione della prima fa crescere la seconda, specie quando scoppia una guerra che coinvolge produttori di importanti materie prime. Il rischio è un rallentamento delle politiche di mitigazione.
Inflazione e transizione ecologica: due questioni legate
Prima la pandemia e poi la guerra in Ucraina hanno perturbato l’economia mondiale sia dal lato della domanda sia da quello dell’offerta e hanno scardinato il quadro di tendenza alla deflazione che l’aveva caratterizzata dalla crisi finanziaria del 2007-2009 in poi.
Nell’ultimo anno, l’inflazione mondiale è aumentata da meno del 2 per cento a oltre il 6 per cento e rimane al di sopra degli obiettivi delle banche centrali quasi ovunque (Figure 1a e 1b).
Figura 1 – Inflazione e percentuale di paesi al di sopra dell’obiettivo di inflazione
Con un cambiamento climatico sempre più drammatico, è importante domandarsi se e quale relazione leghi inflazione e transizione ecologica. E se e come le politiche per la transizione ecologica possano intervenire per calmierare le tensioni future sui prezzi (ne parleremo in un secondo articolo).
Impatto della transizione ecologica sull’inflazione
Sono diversi i canali attraverso i quali il cambiamento climatico può accrescere in modo duraturo i prezzi. È aumentata la frequenza di eventi climatici estremi (incendi, inondazioni, variazioni estreme della temperatura) che hanno un impatto significativo sui prezzi di alcuni beni (climateflation), in particolare alimentari ed energia, anche a causa delle interruzioni nelle catene di offerta e dei premi assicurativi più alti. L’aumento delle temperature e delle malattie legate all’inquinamento deteriorano il capitale umano e causano (a parità di altre circostanze) una riduzione di produttività ed efficienza economica. Una recente ricerca della Banca centrale europea evidenzia come l’inerzia nel combattere il cambiamento climatico possa portare a un’inflazione strutturalmente più alta (fino a mezzo punto percentuale annuo), concludendo che una transizione ecologica ben gestita ne minimizzerebbe l’impatto, intanto perché lo renderebbe temporaneo e poi perché la frequenza degli eventi estremi tenderebbe a diminuire, riducendo i costi legati alla mitigazione delle loro conseguenze.
D’altra parte, alcune decisioni prese dalla Commissione europea – come la tassazione più elevata delle energie fossili (ad esempio, la tassa sul carbonio alle frontiere) e l’aumento dei prezzi delle emissioni previsto nel pacchetto “Fit for 55” nel quadro dell’Emission Trading System – saranno in parte trasferiti a consumatori e imprese e dunque comporteranno un aumento dei prezzi di produzione e al consumo.
Durante la transizione, peraltro, la domanda di alcune fonti di energia (per esempio, il gas naturale) aumenterà in misura significativa, soprattutto se anche i paesi emergenti accelereranno la transizione dal carbone. La spinta impressa alla transizione ecologica le cui tecnologie di riferimento sono “ad alta intensità di minerali” ha poi generato un boom della domanda di materie prime, soprattutto quelle “critiche” (come stagno, alluminio, rame, nichel, cobalto, oltre alle “terre rare”), così chiamate per l’importanza economica e il rischio di approvvigionamento che le caratterizza. I mercati minerari non riusciranno a soddisfare tale domanda nel breve termine, anche perché l’offerta è concentrata su pochi attori, geopoliticamente rilevanti, tra cui la Cina. Quest’anno, i prezzi dei metalli essenziali per le tecnologie verdi sono aumentati tra il 20 e il 91 per cento (greenflation).
A tutto ciò si aggiunge l’aggressione della Russia all’Ucraina, che ha esacerbato le tensioni rialziste, considerato il peso significativo di entrambi i belligeranti quali fornitori di materie prime. Se poi si ipotizza che Mosca rimanga in una posizione d’isolamento duraturo, ne risulterà un sostenuto aumento dei prezzi delle materie prime anche nel lungo periodo.
segue Rischi per le politiche di mitigazione
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