IL FARO DEI SOGNI

Le mille e una notte – Il quinto viaggio di Sindbad

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view post Posted on 9/4/2024, 09:35     Top   Dislike
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lorraine-imbarco




Sappiate, fratelli, che quando feci ritorno dal quarto viaggio e mi fui immerso nei divertimenti, nell’allegria e nel gaudio, dimenticai quello che avevo patito e quello che mi era successo tanto ero contento per i profitti e i guadagni fatti. Però ebbi ancora voglia di partire e di visitare i paesi e le isole, e quando l’ebbi deciso comprai merce Lorraine-imbarcopreziosa che si confacesse a un viaggio per mare, imballai il mio bagaglio e mi mossi da Baghdad diretto a Bassora.

Camminando in riva al mare vidi una grande nave alta e bella con un equipaggiamento nuovo che mi piacque e perciò la comprai.
Arruolai un capitano e dei marinai, vi posi a sorveglianza i miei servi e i miei schiavi e vi imbarcai il mio bagaglio. Dei mercanti vennero da me e imbarcarono sulla nave i loro fagotti pagandomi il nolo, e così partimmo contenti e felici augurandoci buona fortuna e buoni guadagni.
Viaggiammo di isola in isola, di mare in mare, visitando isole e paesi, facendovi scalo, vendendo e comprando.

Seguitammo così finché un giorno giungemmo a una grande isola disabitata, desolata e deserta, nella quale si scorgeva una grande cupola bianca, assai voluminosa.
Sbarcammo nell’isola per osservarla (era un uovo grande dell’uccello Rukh). Quando i mercanti videro la cupola senza sapere che fosse un uovo di Rukh, la colpirono con le pietre rompendola: ne colò molta acqua e apparve il pulcino del Rukh che i mercanti portarono via da quell’uovo, per sgozzarlo e ricavarne molta carne. Io mi trovavo sulla nave senza saperne niente perché nessuno di loro mi aveva messo al corrente del fatto.

Uno dei passeggeri mi disse: «Signor mio, vieni a vedere quest’uovo che avevamo scambiato per una cupola».
Andai a vedere e constatai che i mercanti stavano colpendo l’uovo: «Non fatelo, – gridai – poiché verrà l’uccello Rukh e distruggerà la nostra nave e ci farà perire tutti».
Ma essi non diedero ascolto alle mie parole. Quand’ecco, di colpo, il sole si oscurò, scesero le tenebre e su di noi apparve una grande nuvola che rabbuiò l’atmosfera. Alzammo la testa per vedere che cosa ci aveva eclissato il sole, e vedemmo che erano le ali del Rukh a coprirne la luce, tanto che era diventato tutto buio.

Rukh-uova

Quando il Rukh giunse e vide il suo uovo rotto, ci inseguì e cacciò un grido contro di noi. Giunse poi la sua femmina, e tutt’e due insieme cominciarono a volteggiare sopra la nave, urlando con un verso più forte del tuono.
Gridai allora al capitano e ai marinai: «Spingete la nave e cercate scampo prima che moriamo!».
Il comandante e i mercanti s’affrettarono a salire a bordo, vennero sciolti gli ormeggi e la nave salpò da quell’isola.
Quando ci vide prendere il mare, per un po’ di tempo il Rukh si dileguò; la nostra nave intanto navigava sempre più veloce, perché volevamo salvarci dai due uccelli e allontanarci in fretta dalla loro terra. Ma essi non avevano desistito dall’inseguirci, e tornarono alla carica su di noi, portando ognuno nelle zampe un grosso macigno raccolto sul monte.



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Il Rukh maschio lanciò su di noi il suo: il capitano fece però sterzare la nave, di quel tanto che bastò a che la roccia la sfiorasse soltanto, cadendole vicino in mare: la nave si sollevò e ricadde giù, e noi distinguemmo il fondo del mare tanto fu forte il colpo.
Poi fu la volta della femmina del Rukh a lanciare su di noi il suo macigno che, pur essendo più piccolo del primo, era destino che cadesse sulla poppa e la squarciasse facendo volare il timone in mille pezzi. Sicché, tutti quelli che erano a bordo finirono in mare.
Io tentai di salvarmi, ero troppo attaccato alla vita per non farlo. Iddio mi destinò una Rukh-macignodelle tavole della nave a cui mi aggrappai montandovi sopra, e agitando i piedi avanzai col favore del vento e delle onde.

La nave era affondata presso una grande isola in mezzo al mare. E proprio su quell’isola il destino, col permesso di Dio altissimo, mi gettò. Ero quasi morto e allo stremo delle forze, tanta fatica, pena, fame e sete avevo sofferto.
Mi gettai sulla spiaggia e per un po’ di tempo mi riposai e risollevai, poi presi a camminare per l’isola. Che bella sorpresa! Quell’isola era un giardino del paradiso: vi erano alberi carichi di frutta matura, ruscelli d’acqua corrente e uccelli che cinguettavano lodando il Potente e l’Imperituro, nonché molti alberi, frutta e varie specie di fiori. Mangiai della frutta fino a esserne sazio, e bevvi l’acqua dei rivi dissetandomi, lodando e osannando Iddio altissimo per tanta grazia.

Mi distesi in quel giardino finché si fece sera e venne la notte. Allora, quasi morto da tanta fatica e paura, mi alzai ma non udii in quell’isola voce alcuna né vidi nessuno. Dormii fino al mattino, quindi alzatomi con animo risoluto passeggiai tra gli alberi.
Scorsi allora una noria nei pressi di una fonte d’acqua corrente ove era seduto un bel vecchio, avviluppato in una gonna fatta di foglie. «Forse – pensai – questo vecchio è capitato in quest’isola ed è pure lui un naufrago di qualche nave affondata».

Mi avvicinai a lui, lo salutai ed egli mi restituì il saluto con un cenno senza parlare. «Vecchio, – gli chiesi – perché stai seduto in questo luogo?».
Egli mosse la testa con un gemito e mi fece cenno con la mano, intendendo che lo prendessi sulle spalle e lo trasportassi da quella a un’altra noria. Pensai di fare al vecchio quel favore e di trasportarlo nel luogo che voleva, ché forse ne sarei stato compensato.
Mi avvicinai a lui, lo caricai sulle spalle e andai dritto al posto che mi aveva indicato. Gli dissi allora di scendere adagio, ma lui non venne giù dalle mie spalle: mi strinse, anzi, più forte intorno al collo le sue gambe nere e ruvide come la pelle del bufalo. La cosa mi preoccupò e provai a gettarlo via dalle mie spalle, ma egli si avvinghiò forte al mio collo con le sue gambe e mi serrò tanto che la vista mi si rabbuiò, persi i sensi e caddi a terra tramortito.

Quello però con le sue gambe mi colpì alla schiena e sulle spalle, facendomi sentire un dolore così violento che mi drizzai di nuovo in piedi sempre con il vecchio sulle spalle.
M’ero stancato di averlo addosso, ma egli mi fece cenno con la mano di inoltrarmi tra gli Folkard-Sindbad-veglioalberi e io mi addentrai in cerca dei frutti migliori. Se gli disobbedivo, lui mi batteva con i piedi più forte che se mi avesse colpito con uno scudiscio. Continuava a indicarmi con la mano il luogo dove voleva essere condotto e io ve lo portavo; se rallentavo la marcia o indugiavo mi batteva. Ero come un suo prigioniero.

Penetrammo nel mezzo dell’isola fra gli alberi. Il vecchio orinava e defecava sulle mie spalle senza scenderne né di notte né di giorno, e quando voleva dormire avviluppava le sue gambe al mio collo e si addormentava un poco, poi si svegliava, mi batteva e io mi affrettavo a levarmi in piedi senza potergli disobbedire, tanto mi faceva penare.
Rimproverai me stesso per averlo caricato su di me, e per la compassione che avevo avuto di lui. Ero stanchissimo e pensavo: «Ho fatto a quest’uomo un bene che mi si è risolto in un male. Per Dio, in vita mia non farò mai più del bene a nessuno».



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view post Posted on 13/4/2024, 09:59     Top   Dislike
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Mi auguravo ogni momento che Iddio mi facesse morire, tanta era la mia stanchezza e fatica. Per un po’ di tempo le cose andarono così, finché un giorno mi portai con lui in una zona dell’isola ove trovai molte zucche lunghe di cui parecchie erano secche; ne presi una grande di quelle secche, ne aprii la parte superiore, la vuotai e mi incamminai a una vite dove la riempii di succo d’uva; chiusa la parte superiore, la misi al sole e ve la lasciai per un po’ di giorni fino a che il succo divenne vino puro.
Ogni giorno ne bevevo un po’ per vincere la stanchezza che mi causava quel diavolo insolente, e ogniqualvolta ne bevevo mi ritornavano le forze.

Un giorno egli mi vide berne e mi fece cenno con la mano come a chiedermi cosa fosse; gli risposi che era cosa buona che rinfrancava il cuore e rallegrava lo spirito. Mi misi a correre con lui addosso, saltando tra gli alberi, e per l’ebbrezza mi misi a battere le mani a cantare e a esultare.
Quando il vecchio mi vide in quello stato, mi fece cenno di passargli la zucca per bere e io, per timore di lui, gliela diedi. Bevve quello che vi era rimasto e la gettò a terra. Lo prese una tale ebbrezza che cominciò a dimenarsi sulle mie spalle e quando poi fu ubriaco fradicio tutte le sue membra e i muscoli si rilassarono e incominciò a dondolarsi sulle mie spalle.
Accortomi che era ubriaco e aveva perduto i sensi, allungai la mano sulle sue gambe, me le sciolsi dal collo, mi piegai a terra, mi misi seduto e lo gettai via da me.

Sindbad-veglio

Non ci volevo credere, ma m’ero sbarazzato di lui e liberato da quel guaio: temendo però che, passata la sbornia, mi avrebbe castigato, presi una grossa pietra tra gli alberi e avvicinatomi a lui lo colpii alla testa mentre dormiva: il sangue si mescolò alla carne; era morto. Che Iddio non ne abbia misericordia!
Dopodiché, camminai per l’isola con l’animo rasserenato, tornai in riva al mare e per qualche tempo su quell’isola seguitai a mangiare frutti e a bere acqua dei ruscelli, aspettando che una nave passasse da quelle parti.

Un giorno, mentre me ne stavo seduto pensando a quello che mi era capitato e mi dicevo: «Chissà! mi lascerà Iddio ritornare sano e salvo al mio paese per riunirmi con la mia famiglia e i miei amici?», ecco che una nave venne avanti in mezzo al mare procelloso e, continuando a navigare, si ancorò a quell’isola.
Ne sbarcarono i passeggeri e io mi incamminai verso di loro; essi quando mi videro mi si avvicinarono tutti, in fretta, e fecero crocchio intorno a me, chiedendomi come fossi giunto a quell’isola.

Raccontai quello che mi era successo, ed essi se ne dimostrarono assai meravigliati e mi dissero: «Quest’uomo che era salito sulle tue spalle si chiama il Veglio del Mare. Nessun altro che te è entrato sotto le sue membra e ne è uscito salvo! Sia lodato Iddio, dunque, per la tua salvezza».
Detto questo, mi portarono un po’ di cibo di cui mangiai quanto mi bastava, mi diedero qualche capo di vestito che indossai per coprire le mie nudità; mi presero con loro sulla nave e così viaggiammo per notti e per giorni.

vascello-medievale.jpgIl destino mi portò a una città con alte case tutte prospicienti sul mare. Si chiamava la Città delle Scimmie. Sul far della notte, i suoi abitanti uscivano dalle porte che affacciavano sul mare, calavano in acqua barche e battelli per andare a pernottare in alto mare, per paura che nottetempo le scimmie scendessero dai monti ad aggredirli.
Scesi dalla nave per passeggiare in quella città, ma la nave ripartì senza che io lo sapessi; mi pentii di esserne disceso e mi ricordai dei miei compagni e di quello che mi era capitato per due volte con le scimmie, e triste com’ero mi misi a piangere.
Uno degli abitanti di quel paese mi si avvicinò e mi disse: «Signor mio, sembra che tu sia straniero in questo paese».
«Sì, – gli risposi – sono un povero straniero: mi trovavo su una nave che si era ancorata in questa città, da cui ero sceso per visitarla, ma al ritorno non l’ho più vista».
«Su, alzati e vieni con noi, – continuò il mio interlocutore – e sali in barca, ché se rimani di notte in città, le scimmie ti uccideranno».
«Va bene», risposi, e subito mi alzai e presi posto con loro nella barca, che essi spinsero via da terra allontanandola dalla riva di un miglio. Lì pernottarono assieme a me e, quando si fece giorno, ritornarono col battello in città, sbarcarono e ognuno si avviò al suo lavoro.



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Questa era la loro abitudine ogni sera, e chi di notte rimaneva in città, veniva aggredito e ucciso dalle scimmie. Di giorno invece queste andavano via, mangiavano frutta rubata nei giardini e dormivano sui monti fino a sera, per poi ritornare nella città.
Questa città si trovava nelle più remote contrade della Nigrizia. Ma la cosa più strana che mi accadde fra i suoi abitanti fu che un tale con cui avevo passato la notte sul battello, a un certo punto, mi disse: «Signore, tu qui sei straniero: hai un mestiere da praticare?».
«No, – gli risposi. – Per Allâh, fratello, non ho nessun mestiere né so far nulla: sono un mercante ricco e facoltoso. Avevo una nave di mia proprietà carica di molti beni e di merci varie, che tuttavia si squarciò in mare, e tutto ciò che vi era sopra andò a fondo. Soltanto col permesso di Dio mi sono salvato perché Egli mi concesse di trovare un pezzo di tavola su cui salii e che mi salvò dal morire annegato».

Allora quell’uomo mi portò una bisaccia di cotone e mi disse: «Prendi questa bisaccia, riempila dei ciottoli di questa città, e va’ con gli abitanti di qui, ai quali ti farò accompagnare raccomandandoti a loro. Tu fa’ quello che faranno loro, e forse così riuscirai a realizzare qualcosa che potrà aiutarti a compiere il viaggio di ritorno al tuo Sindbad-scimmie-nocipaese».
Ciò detto, mi prese con sé, mi portò fuori della città dove scelsi piccoli ciottoli di cui riempii la bisaccia. Un certo numero di persone usciva dalla città; egli mi fece accompagnare con loro e a loro mi raccomandò con queste parole: «Costui è uno straniero: prendetelo con voi e insegnategli la raccolta. Forse riuscirà a fare qualcosa per vivere e voi ne avrete retribuzione e ricompensa divina».
«Volentieri», risposero, e datomi il benvenuto si misero in cammino e mi condussero con loro.

Ciascuno aveva una bisaccia come quella che avevo io, piena di ciottoli. Continuammo a camminare fino a una vasta valle con alberi così alti che nessuno poteva salirci sopra; in quella valle vi erano molte scimmie che però, quando ci videro, s’impaurirono e fuggirono arrampicandosi sugli alberi.
Allora gli uomini cominciarono a gettare i ciottoli che avevano nelle bisacce sulle scimmie, che, spiccati i frutti di quegli alberi, li gettavano sugli uomini. Guardai i frutti che gettavano le scimmie, e compresi che erano noci di cocco. Scelsi allora a caso un grande albero su cui c’erano molte scimmie, mi avvicinai e cominciai a scagliare anch’io ciottoli contro di loro. E quelle, di rimando, spiccate di quelle noci di cocco, me le buttavano addosso e io le raccoglievo, come facevano gli altri. Le pietre della bisaccia non erano ancora finite che io ne avevo raccolte molte.
Finito quel lavoro, gli uomini raccolsero tutto ciò che avevano con sé, ognuno si caricò quello che poteva e facemmo ritorno in città quello stesso giorno.

Mi recai dall’amico che mi aveva accompagnato dalla comitiva e gli diedi tutto quello che avevo raccolto ringraziandolo per il favore fattomi.
«Prendilo, – mi disse lui – vendilo e utilizzane il guadagno», e datami la chiave di un luogo della sua casa continuò: «Poni qui le noci di cocco che ti sono rimaste, e ogni giorno va’, come hai fatto oggi, con la comitiva e da quello che riporti scegli le noci di cocco non buone, vendile, e utilizzane il guadagno, conservando il resto qui in questo luogo. Forse così potrai raccogliere quel che ti aiuti a partire».
«Iddio altissimo ti ricompensi», gli risposi, e feci quello che mi aveva detto.

Sindbad-apes

Ogni giorno riempivo il sacco di ciottoli e andavo con gli altri facendo come loro; essi presero a raccomandarmi l’un l’altro e a indicarmi gli alberi su cui c’erano più frutti.
Andai avanti così per un bel pezzo: avevo riunito molte noci di cocco buone e ne avevo vendute molte altre, ricavandone molto denaro con cui compravo tutto ciò che vedevo e che mi piaceva. La mia situazione migliorò e crebbe il mio credito per tutta la città.

Mentre un giorno me ne stavo vicino al mare, una nave giunse in quella città e si ancorò a riva. Ne scesero mercanti con merci, e fecero compere, vendite e baratti delle noci di cocco e quant’altro con la loro merce. Andai allora dal mio amico e lo informai della nave che era giunta, aggiungendo che volevo imbarcarmi per il mio paese.
«Come vuoi», mi rispose. Lo salutai e ringraziai per il bene che mi aveva fatto e, recatomi sulla nave, vidi il capitano a cui pagai il prezzo del viaggio, imbarcando sulla nave le noci di cocco e le altre cose che avevo. Partimmo quel giorno stesso e viaggiammo di isola in isola e di mare in mare; in ogni isola in cui facevamo sosta io vendevo e barattavo le noci di cocco, e Dio mi ricompensò in misura maggiore di quello che avevo avuto e avevo perduto.

Passammo per un’isola in cui vi era cannella e pepe in quantità. Alcune persone ci dissero che avevano veduto su ogni grappolo di pepe una grande foglia che lo ricopriva e Dulac-Deryabarlo preservava dalla pioggia quando pioveva; se poi cessava di piovere, la foglia si spostava e si abbassava a lato del grappolo.
Io presi con me da quell’isola molto pepe e molta cannella in cambio di noci di cocco. Passammo anche per l’isola Asaràt dove vi è il legno d’aloe, e in seguito da un’altra isola, a distanza di cinque giorni, in cui si trova il legno di Cina che è ancor migliore del legno d’aloe. Gli abitanti di quest’isola vivono in condizioni peggiori e professano una religione peggiore di quelli dell’isola dell’aloe; ad essi infatti piace la vita dissipata e il bere vino, né conoscono l’appello alla preghiera né la preghiera stessa.

In seguito arrivammo ai luoghi dove si pescano le perle. Io diedi ai pescatori di perle un po’ di noci di cocco dicendo loro: «Tuffatevi secondo la mia sorte e fortuna».
Essi si tuffarono in quello specchio d’acqua e portarono fuori molte grandi perle pregiate dicendomi: «Per Dio, signore, la tua fortuna è buona!», e io caricai sulla nave tutto quanto avevano portato fuori per me e partimmo con la benedizione di Dio altissimo.

Continuammo a viaggiare fino a Bassora ove sbarcai e mi fermai un po’ di tempo, per dirigermi da lì a Baghdad. Qui andai al mio quartiere e alla mia casa, salutai la mia famiglia e i miei amici che si felicitarono per la mia salvezza; misi in serbo tutte le merci e le robe che avevo, vestii gli orfani e le vedove, feci elemosine e regali anche alla mia famiglia, ai miei amici e conoscenti; e Iddio mi diede il quadruplo di quello che avevo perduto sicché per i molti guadagni e gli utili dimenticai quello che mi era successo e la fatica sofferta, e ripresi la vita di un tempo frequentando gli amici.
Questo è quanto di più strano mi è accaduto nel quinto viaggio. Ora cenate e domani venite qui che vi racconterò quello che mi è successo nel sesto viaggio, ancor più meraviglioso.

(Le mille e una notte)



fonte https://lartedeipazzi.blog/2018/11/27/le-m...gio-di-sindbad/

 
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