IL FARO DEI SOGNI

Ovidio – Scilla, Glauco e Circe

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(((claudio)))
view post Posted on 1/4/2024, 09:46 by: (((claudio)))     Top   Dislike
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E Circe (nessuna è più di lei portata a sentire questi ardori, o perché così è la sua natura o perché così vuole Venere, offesa dalla denuncia che suo padre le fece gli risponde: «Meglio sarebbe che tu andassi dietro a una che ci sta, a una che abbia lo stesso desiderio e fosse presa da uguale passione. Tu eri degno d’essere pregato, non già di pregare, e ben potevi esserlo; se mi darai fiducia, credi a me, lo sarai.
E perché tu non abbia dubbi sul valore della tua bellezza, ecco, io, benché sia una dea e figlia del Sole splendente, benché sia tanto potente con erbe ed incantesimi, io vorrei essere tua. Disprezza chi ti disprezza, ricambia chi ti asseconda, dando così a due donne in una volta sola quel che si meritano».

Circe lo tenta, ma Glauco risponde: «Fronde nasceranno in mare, alghe sulla cima dei monti, prima che per Scilla muti questo mio amore, finché lei vive».
La dea s’infuria e, non potendo fare del male a lui direttamente, né lo vorrebbe, innamorata com’è, se la prende con la donna che le è stata preferita.
Offesa dal rifiuto del suo amore, s’affretta a tritare erbe maligne dai succhi spaventosi e nel tritarle le impregna di formule infernali. Poi indossa un velo azzurro e, passando tra lo stuolo servile delle sue fiere, esce dal palazzo. Diretta a Reggio che sta dirimpetto agli scogli di Zancle, s’inoltra sul mare che ribolle per le correnti, posandovi i piedi sopra come se fosse terraferma, e corre sul filo dell’acqua senza bagnarsi le piante.

Rubens-Scilla-Glauco

C’era una caletta, un’insenatura a forma d’arco ricurvo, rifugio prediletto di Scilla che lì si ritirava per ripararsi dalle burrasche o dalla canicola, quando al culmine del cielo il sole a picco riduceva le ombre a un filo. La dea la contamina inquinandola con veleni pestiferi: vi sparge liquidi spremuti da radici malefiche, mormorando, nove volte per tre, una cantilena incantata, groviglio oscuro di misteriose parole.
Scilla arriva e, non appena s’immerge con metà del corpo in acqua, vede spuntare ai suoi fianchi orribili mostri ringhianti. Non potendo credere che quei cani appartengano al suo corpo, tenta terrorizzata di schivarne e di respingerne le fauci furiose. Ma anche quando fugge li trascina con sé e quando cerca nel suo corpo cosce, stinchi e piedi, al loro posto altro non trova che musi di Cerbero. Si regge su cani rabbiosi e con l’addome che sporge sopra l’inguine mozzo, schiaccia e tiene assieme, sotto di sé, il dorso di quelle fiere.

Pianse Glauco che l’amava, e fuggì via rifiutandosi agli amplessi di Circe, che del potere delle erbe con troppo livore s’era servita.
Bloccata in quel luogo, alla prima occasione Scilla sfogò il suo odio per Circe privando Ulisse dei suoi compagni. Più tardi avrebbe inghiottito anche le navi dei Troiani, se prima non fosse stata mutata in scoglio, in una roccia che ancora sporge sul mare: pure ora che è uno scoglio, i marinai ne stanno alla larga.

(Ovidio, Metamorfosi, 13: 898-968; 14: 1-74)



fonte https://lartedeipazzi.blog/2018/11/29/ovid...glauco-e-circe/

 
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