IL FARO DEI SOGNI

Ovidio – Scilla, Glauco e Circe

« Older   Newer »
  Share  
view post Posted on 27/3/2024, 11:14     Top   Dislike
Avatar

FOUNDER

Group:
Administrator
Posts:
108,688
Reputation:
+1,695

Status:


dumont-scilla-glauco




Galatea aveva finito il suo racconto. Le Nereidi, sparpagliandosi, se ne vanno nuotando sulle placide onde. E se ne va anche Scilla, ma non osa avventurarsi in mare aperto, e così vaga senza vesti addosso sulla rena asciutta o, quando è stanca, trovata una caletta Dumont-Scilla-Glaucoappartata, si rinfresca le membra nell’acqua che lì si raccoglie.
Ed ecco che, fendendo i flutti, compare un nuovo abitante delle profondità marine: Glauco il quale, mutate le proprie sembianze ad Antedone di fronte all’Eubea, solo da poco [era divenuto un pesce e] viveva nell’oceano. Ecco, viene, vede la vergine e, preso dal desiderio di possederla, si arresta e le dice tutte le parole che pensa possano trattenerla.

Ma lei fugge e, resa veloce dalla paura, raggiunge la cima di un monte che sorge vicino alla spiaggia. È una grande altura che, salendo con lungo pendio dall’acqua verso il cielo, culmina in un’unica punta di fronte al mare.
Qui lei si ferma e, da quel posto sicuro, incerta se quell’essere sia un mostro oppure un dio, ne guarda stupita il colore, guarda i capelli che gli coprono le spalle giù sino al dorso, e si meraviglia nel vedere che dall’inguine in giù il suo corpo si affusola come un pesce.

Glauco se ne accorge e, aggrappandosi a uno scoglio lì vicino: «Non sono un mostro, vergine, né una belva feroce, ma un dio dell’acqua – dice. – E di me non hanno sul mare più potere Proteo, Tritone o Palemone, il figlio di Atamante. Prima però ero un mortale, ma a dire il vero già allora il mondo mio era il mare profondo e già allora la mia vita si svolgeva in mare. A volte trascinavo reti ricolme di pesci; altre, seduto su uno scoglio, pescavo con canna e lenza.

Al margine di un prato verde c’è una spiaggia: su una parte di questa si riversano le onde del mare, sull’altra si spande un’erba che nessuna giovenca selvatica ha mai violato coi suoi morsi, e che voi, placide pecore o irsute caprette, mai avete brucato. Mai lì, col loro zelo, le api colsero dai fiori il polline, mai lì si son fatte ghirlande per le feste, mai una mano armata di falce tagliente vi è passata. Io fui il primo a sedermi su quelle zolle, mentre le reti bagnate erano stese ad asciugare, e per contarli in bell’ordine sopra vi disposi i pesci catturati, quelli che il caso aveva sospinto nelle reti o la loro ingenuità sugli ami adunchi.

Ti sembrerà un’invenzione, ma inventare a che mi gioverebbe? A contatto con l’erba, la mia preda cominciò ad agitarsi, a saltare su un fianco e a guizzare sulla terra come fosse Spranger-Scilla-Glaucoin acqua. E mentre io trasecolo impietrito dallo stupore, l’intero branco si rituffa in mare lasciando la spiaggia e il nuovo padrone.
Rimango attonito, a lungo in dubbio e cerco di darmi una spiegazione: se sia stata opera di un nume o del succo di un’erba: “Ma quale erba può avere questo potere?”, mi dico, e con la mano intanto ne colgo un ciuffo e, quando l’ho colto, lo mordo con i denti.

La gola aveva appena assorbito quel succo misterioso, che improvvisamente sentii dentro di me un’agitazione e in petto il desiderio travolgente di un’altra natura. Non potei resistere a lungo. “Addio, terra, a cui più non tornerò!”, dissi e mi tuffai sott’acqua.
Gli dèi del mare mi accolgono, onorandomi come loro pari, e pregano Oceano e Teti di togliermi ciò che di mortale potevo ancora avere. Purificato sono da loro che, recitata nove volte la formula che lava dalle impurità, mi ordinano di esporre il petto al getto di cento fiumi. E subito fiumi scendono da ogni dove e mi rovesciano addosso una valanga d’acqua.



segue

 
Web  Top
view post Posted on 29/3/2024, 16:32     Top   Dislike
Avatar

FOUNDER

Group:
Administrator
Posts:
108,688
Reputation:
+1,695

Status:


Questo è tutto ciò che posso narrarti di quell’evento incredibile. Solo questo ricordo: di altro non serbo memoria.
Quando rinvenni, mi sentii diverso in tutto il corpo, diverso da com’ero, e mutato persino nella mente. Allora mi accorsi di questa barba color verderame, di questa chioma che strascico sulle vaste distese del mare, di queste grandi spalle, delle braccia azzurre e delle gambe che fuse assieme terminano in pinne di pesce. Ma a che mi serve questo aspetto, o l’essere stato bene accolto dagli dèi marini, o essere un dio, se tutto questo ti lascia indifferente?».

Stava ancora parlando, e avrebbe detto di più, se Scilla, crudele, non l’avesse piantato in asso. Lui s’infuriò e irritato dal rifiuto si diresse verso il palazzo incantato di Circe, figlia del Titano solare.
Ormai Glauco, l’abitante delle tumide acque venuto dall’Eubea, s’era lasciato alle spalle l’Etna, che schiaccia la gola al gigante [Tifeo], e la terra dei Ciclopi, che ignora l’uso del rastrello e dell’aratro e nulla deve al lavoro dei buoi sotto il giogo. E alle spalle s’era lasciato Zancle, le antistanti mura di Reggio e lo stretto che, chiuso tra due sponde, procura tanti naufragi e segna il confine fra le terre d’Ausonia e di Sicilia.

Da lì, nuotando a grandi bracciate nelle acque del Tirreno, Glauco arriva ai colli erbosi e Romney-Circeal palazzo della figlia del Sole, gremito di bestie d’ogni specie.
Appena vede Circe, rivolte e ricevute parole di saluto: «O dea, – le dice – abbi pietà di un dio, ti prego: tu sei l’unica, sempre che io te ne sembri degno, che possa alleviare l’amore mio.
Quanto potere abbiano le erbe, o figlia del Titano, nessuno lo sa meglio di me, che da un’erba fui mutato. Ma perché tu sappia la ragione della mia passione: su una spiaggia d’Italia, di fronte alle mura di Messina, mi è apparsa Scilla. Mi vergogno a riferirti le promesse, le suppliche, le lusinghe e le parole mie: tutto ha disprezzato.
Ma tu, se qualche efficacia può avere un incantesimo, ebbene pronuncia un incantesimo magico; o se per vincerla è più adatta un’erba, serviti di un’erba che abbia poteri di provato effetto. Non ti chiedo di curare e sanare la ferita mia: non voglio che tu me ne liberi, ma che Scilla arda dello stesso fuoco».



segue

 
Web  Top
view post Posted on 1/4/2024, 09:46     Top   Dislike
Avatar

FOUNDER

Group:
Administrator
Posts:
108,688
Reputation:
+1,695

Status:


E Circe (nessuna è più di lei portata a sentire questi ardori, o perché così è la sua natura o perché così vuole Venere, offesa dalla denuncia che suo padre le fece gli risponde: «Meglio sarebbe che tu andassi dietro a una che ci sta, a una che abbia lo stesso desiderio e fosse presa da uguale passione. Tu eri degno d’essere pregato, non già di pregare, e ben potevi esserlo; se mi darai fiducia, credi a me, lo sarai.
E perché tu non abbia dubbi sul valore della tua bellezza, ecco, io, benché sia una dea e figlia del Sole splendente, benché sia tanto potente con erbe ed incantesimi, io vorrei essere tua. Disprezza chi ti disprezza, ricambia chi ti asseconda, dando così a due donne in una volta sola quel che si meritano».

Circe lo tenta, ma Glauco risponde: «Fronde nasceranno in mare, alghe sulla cima dei monti, prima che per Scilla muti questo mio amore, finché lei vive».
La dea s’infuria e, non potendo fare del male a lui direttamente, né lo vorrebbe, innamorata com’è, se la prende con la donna che le è stata preferita.
Offesa dal rifiuto del suo amore, s’affretta a tritare erbe maligne dai succhi spaventosi e nel tritarle le impregna di formule infernali. Poi indossa un velo azzurro e, passando tra lo stuolo servile delle sue fiere, esce dal palazzo. Diretta a Reggio che sta dirimpetto agli scogli di Zancle, s’inoltra sul mare che ribolle per le correnti, posandovi i piedi sopra come se fosse terraferma, e corre sul filo dell’acqua senza bagnarsi le piante.

Rubens-Scilla-Glauco

C’era una caletta, un’insenatura a forma d’arco ricurvo, rifugio prediletto di Scilla che lì si ritirava per ripararsi dalle burrasche o dalla canicola, quando al culmine del cielo il sole a picco riduceva le ombre a un filo. La dea la contamina inquinandola con veleni pestiferi: vi sparge liquidi spremuti da radici malefiche, mormorando, nove volte per tre, una cantilena incantata, groviglio oscuro di misteriose parole.
Scilla arriva e, non appena s’immerge con metà del corpo in acqua, vede spuntare ai suoi fianchi orribili mostri ringhianti. Non potendo credere che quei cani appartengano al suo corpo, tenta terrorizzata di schivarne e di respingerne le fauci furiose. Ma anche quando fugge li trascina con sé e quando cerca nel suo corpo cosce, stinchi e piedi, al loro posto altro non trova che musi di Cerbero. Si regge su cani rabbiosi e con l’addome che sporge sopra l’inguine mozzo, schiaccia e tiene assieme, sotto di sé, il dorso di quelle fiere.

Pianse Glauco che l’amava, e fuggì via rifiutandosi agli amplessi di Circe, che del potere delle erbe con troppo livore s’era servita.
Bloccata in quel luogo, alla prima occasione Scilla sfogò il suo odio per Circe privando Ulisse dei suoi compagni. Più tardi avrebbe inghiottito anche le navi dei Troiani, se prima non fosse stata mutata in scoglio, in una roccia che ancora sporge sul mare: pure ora che è uno scoglio, i marinai ne stanno alla larga.

(Ovidio, Metamorfosi, 13: 898-968; 14: 1-74)



fonte https://lartedeipazzi.blog/2018/11/29/ovid...glauco-e-circe/

 
Web  Top
2 replies since 27/3/2024, 11:14   189 views
  Share