| Ma che succede nel secondo caso [quello del mito Warrau di Waiamari]? Noteremo prima di tutto che, unico nel gruppo, esso contempla, ma solo per preterizione, una terza soluzione al dilemma matrimoniale posto per l’eroe delle profferte di una donna perversa, troppo vicina, e da quelle di un’altra donna ornata di tutte le possibili virtù fisiche e morali, ma in compenso troppo lontana. Waiamari non diventa l’amante della zia, sposa del suo benefattore, e neanche lo sposo della sua benefattrice, di cui accetta solo di essere l’amante per una notte. Egli tornerà dai suoi e senza dubbio si sposerà qui, benché il mito non lo dica.
(Lévi-Strauss, Le origini delle buone maniere a tavola)
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Petrovic-seduzione
Con la Rana e con le sue stregonerie, nessuno la spunta: se cerchi il vello d’oro devi passare per i filtri di Medea [a oriente] o per quelli di Circe [a occidente]: passare cioè per una nipote «lunatica» del Sole, per una che tradisca la sua genealogia di luce, o per una Figlia del Sole, però degenere e perversa, dislocata nientemeno all’imboccatura del sentiero dei morti. Ora c’è che, se il mito qui parlasse più francamente, direbbe chiaro e tondo quel che lascia solo sottintendere, e cioè che fare all’amore con le Figlie di Avvoltoio è … merda. E ciò che resta da vedere è solo in quali circostanze il Sole ha generato questo suo «demoniaco» alter-ego che è il Mangiatore di carogne.
Il nostro eroe, nelle sue fantasie, si è immaginato nientemeno di catturare la Rana e di ridurla in suo potere. Se però dici Rana e comprendi l’allusione, non dovrebbe a questo punto sfuggirti che la storia è ambientata nel Paese della libido. Solito schema: la Rana e il bambino … In questo Paese ogni bambino ci entra con la sua immaginazione, col suo linguaggio immaginale, e perciò è scontato a quale epilogo il Mito lo porterà: a sbattere il muso contro l’insormontabile, e a pagare il prezzo che poi tutti i suoi discendenti [tutti i suoi «ego» adulti] riceveranno in debito.
Che serva da lezione, questa storia del nostro eroico ragazzino: ché, a fare da solo, a presumere di poter salvare la libido della propria contemplazione facendo a meno [dei Bouguerau-amadriadiprecetti «simbolici»] della sua Tribù, è fatica sprecata. Lo vedi? non chiede aiuto a nessun umano, il nostro «capatosta» o «grosso cranio», ma solo si rivolge alle potenze della natura, al sole, alla luna, alla pioggia, al vento, ecc.: il nostro bambino non parla (ancora) la Lingua della sua Gente, perché (ancora) non c’è finito nella merda, ancora non riesce a districarsi nel dilemma tra una congiunzione col troppo vicino, o una col troppo lontano. Ancora ignora una misura, una metrica che solo il Simbolico gli potrebbe svelare.
Lévi-Strauss dice: dalla lordura metonimica al ritorno metaforico alla lordura. Cerchiamo di capire: la merda degli avvoltoi è un altro nome della nozione di lordura, è la sua «materia alla lettera», è il suo senso proprio; le seducenti figlie degli avvoltoi sono invece lordura sì, ma solo in senso figurato, dal momento che alla lettera esse sono bellissime, più belle addirittura delle figlie del sole (così come Scilla e, forse, tutte le «ninfe» del mondo sono più belle e affascinanti di Circe), ma a farci l’amore, ahimé, s’invecchia e si muore.
Finché un’immaginazione è nella Testa, e solo nella Testa, del bambino – finché la sua libido non discende ai piedi dell’albero della Rana, in fondo alla corrente spinale, giù nei genitali, al piano di sotto, nell’altra metà del corpo – le cose vanno come dice il Sole: non si invecchia e non si muore. Se quella immaginazione contempla un desiderio, questo desiderio fatto di pura luce solare, non invecchia e non muore. Ma se per caso s’intriga con la lordura inguinale, essa precipita giù dalle nuvole iperboree del suo Eterno Ora, per arrangiarsi a fare i conti col pari e dispari di una vita mortale. Ed ecco: i suoi desideri, più sono molteplici e soddisfatti, più la condannano alla «vita breve». Si può, contemplando, immaginando (senza agire) pescare nelle acque della Fonte dell’Eterna giovinezza, ma se dall’immaginazione si scende ai fatti, se si passa agli atti (senza sapere il «giusto mezzo», né vicino né lontano, senza avere cioè la saggezza del solo Waiamari), allora la pesca diventa diabolica: consuma i pesci, desertifica i fiumi (della libido), non lascia – al suo passaggio – altro che lische e pelli strappate. Consuma i pesci, cioè i «desiderati» immortali – non è tale, per esempio, Beatrice: figlia Burchart-babele-donnadel sole, immaginazione del Poeta mai attuata – luce inattuale delle sue visioni? La libido la perde di vista, se solo si lascia sedurre dalle Figlie di Avvoltoio. La libido è impotente a farla risorgere, finché non viene via da quest’inferno.
La vita stessa è un viaggio in piroga nel Fiume del «tutto scorre». È un viaggio nelle acque di Okéanos, nel mare magno delle Immaginazioni già immaginate (quelle che ci hanno messi al mondo) e di quelle che ancora scalpitano e fremono e anelano a essere immaginate (e ammesse al mondo simbolico). Nelle acque di Okéanos nuotano pesci d’ogni specie: solo chi sale sulla barca del Sole, solo a bordo della «nave di luce» Argo, si passa tra le due «sanzioni» estreme: tra il tabù dell’«incesto» e il divieto dell’«esogamico», tra il troppo vicino e il troppo lontano. Non si dice tuttora «moglie e buoi / dei paesi tuoi»?
Non cercare dunque il tuo partner nel troppo simile a te, ma nemmeno nel troppo dissimile. Cercalo, dice il proverbio, tra chi parla il tuo stesso gergo simbolico, sennò … sono guai! E se vuoi una pesca miracolosa, una pesca angelica, una pesca che non consumi i pesci né condanni il pescatore a vivere l’Effimero, cerca il tuo partner solo tra chi vede il Sole risorgere a Occidente!
fonte https://lartedeipazzi.blog/2018/11/30/arek...datore-di-rane/
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