| Mettere un tetto al prezzo del gas sarebbe certamente auspicabile, anche per rendere efficaci le sanzioni verso Mosca. Ma come attuare il provvedimento? Vi sono diversi modi e diversi problemi. Una buona soluzione dipende dalla compattezza dell’Europa.
Perché il price cap
La discussione sulla emergenza energetica seguita alla guerra in Ucraina e alle misure per contenere il prezzo del gas si impernia su un provvedimento, la fissazione di un tetto al prezzo del gas. La proposta politica, portata avanti da Mario Draghi in sede europea e ulteriormente discussa con Olaf Scholtz ed Emmanuel Macron nella visita a Kiev e nel vertice europeo di questi giorni, manca tuttavia, almeno nel dibattito pubblico, di una definizione precisa nei suoi aspetti tecnico-operativi.
L’importanza di una misura di questo genere è immediata, comprensibile e auspicabile: romperebbe il circolo vizioso tra aspettative di una riduzione delle importazioni dalla Russia, spinta al rialzo del prezzo del gas e dei contratti future e aumento delle entrate in valuta pregiata per Mosca che vanifica l’impatto delle sanzioni. Questa nota non intende quindi mettere in discussione motivazioni e utilità del provvedimento, ma discutere i diversi modi con cui potrebbe essere attuato e i problemi che per ciascuno di essi potrebbero presentarsi. Per comprenderli è forse utile una breve descrizione di come, per sommi capi, oggi funziona il mercato del gas nelle sue diverse fasi, dal pozzo di estrazione fino agli utilizzi domestici, industriali ed elettrici alla fine della filiera.
Come il gas arriva in Europa
Il gas viene trasportato in due modi: attraverso i gasdotti internazionali oppure liquefatto e trasportato via mare fino ai terminali di rigassificazione. La prima modalità, a tutt’oggi prevalente, vincola in una infrastruttura di trasporto fissa ed estremamente costosa da costruire l’area di estrazione e l’area di consumo. Per questa ragione sino dagli anni Settanta le forniture via gasdotto si sono realizzate utilizzando contratti di lungo periodo tra paese fornitore e acquirente, rappresentati da società molto spesso di proprietà pubblica, che garantissero il finanziamento e l’utilizzo dell’infrastruttura. Un obbligo di fornitura in capo al paese estrattore, un obbligo di pagamento, indipendentemente dalla quantità fisica ritirata, in capo all’acquirente (le cosiddette clausole take-or-pay). Il prezzo veniva stabilito attraverso una formula indicizzata a un paniere di prodotti petroliferi e aggiornato periodicamente. Questi contratti sono tutt’ora in essere per quanto, in sede di rinnovo, siano stati accorciati nella loro durata. E nella formula che determina il prezzo di cessione del gas è entrato con un peso via via maggiore, per esempio nei contratti con la Russia, quello dei mercati spot.
La fornitura via gas naturale liquefatto (Lng), viaggiando via mare, non subisce evidentemente i vincoli logistici di destinazione propri di un gasdotto e infatti potenzialmente si rivolge a qualunque acquirente interessato all’acquisto, affiancando a un mercato bilaterale via gasdotto un mercato mondiale via nave dove i paesi europei competono in primo luogo con quelli asiatici. L’Europa possiede oggi una capacità di rigassificazione, prevalentemente concentrata in Spagna e Inghilterra, con una capacità totale potenzialmente in grado di sostituire le importazioni dalla Russia attraverso i gasdotti, che tuttavia subisce forti vincoli legati a strozzature nella rete interna all’Europa e difficoltà a gestire i flussi.
Con la liberalizzazione del mercato del gas naturale alla fine degli anni Novanta, il numero di operatori attivi nelle varie parti della filiera (importatori, grossisti, distributori, venditori) si è ampliato e il panorama di un tempo, dominato da una grande impresa, solitamente pubblica, responsabile per gli approvvigionamenti del proprio paese (Eni in Italia) è completamente cambiato, con numerosi operatori in ciascuna fase della filiera, società private spesso quotate.
Infine, nell’ultimo decennio si sono sviluppati mercati spot all’interno dell’Europa, di cui il principale è oggi il Ttf olandese, dove sono scambiati quantitativi di gas a breve e contratti future che stabiliscono un prezzo e una data di consegna di quantitativi di gas. Questi mercati, inizialmente nati per ovviare alle esigenze di bilanciamento nei portafogli degli operatori tra richieste di fornitura dei propri clienti e quantitativi importati dai propri fornitori, hanno man mano aumentato la propria liquidità e sono diventati una nuova fonte di approvvigionamento e di arbitraggio e un mercato finanziario dove si scambiano titoli appoggiati alle sottostanti commodities. Per dare un’idea, in un mercato spot maturo il gas passa di mano in media almeno una ventina di volte in transazioni di arbitraggio prima di abbandonare il mercato e alimentare i propri utilizzi finali. I prezzi che si fissano sui mercati spot, in primo luogo il Ttf olandese, rappresentano il prezzo di riferimento per gli operatori una volta immesso il gas nel sistema europeo e sono segnali di prezzo sensibili alla situazione di equilibrio, di eccesso di offerta o di domanda che caratterizza il sistema. Se il prezzo spot supera quello pagato al paese produttore, un importatore avrà convenienza a offrire sui mercati a breve quella parte dei volumi che non sia già vincolata da obblighi contrattuali con il cliente.
segue Gli obiettivi del tetto
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