| (…) il mondo vive e respira, e a noi è possibile assorbire il suo spirito, conforme per sua stessa natura a quello, soprattutto se è reso anche più affine con arti umane, cioè se riesce ad essere celeste. E riesce invero ad essere celeste, se si purifica dalle sozzure e da tutte quelle cose che gli sono attaccate e sono dissimili dal cielo [24].
L’uomo, grazie a un processo di unione empatica e vitale, diviene egli stesso partecipe della qualità che conosce all’esterno. Si tratta di un vero e proprio fenomeno di «risonanza», come già si è potuto evincere dai passi citati da al- Kindi. Il grado di sottigliezza dello spiritus individuale fa sì che l’ente esterno cui l’uomo va incontro nel mondo esterno induca uno stato di «risonanza simpatica» in ciò che vi è di analogo all’interno della sua compagine microcosmica, grazie al fatto che quest’ultima riflette e sintetizza l’intero universo. Così, l’uomo conosce le qualità delle piante delle pietre e degli elementi per virtù unitiva e di consonanza armonica. In certa misura egli è e diviene la pianta, il minerale o la creatura animata che osserva e di cui ridesta la presenza analogica all’interno di se stesso.
Invero solamente i sacerdoti di Minerva, solamente coloro che vanno in cerca del proprio bene e delle verità sono così negligenti, o infamia, e così disgraziati, che sembra che trascurino del tutto quello strumento con cui possono in un certo modo misurare e abbracciare tutto l’universo. Strumento di tal fatta è proprio lo spirito, che dai medici è definito un vapore del sangue, puro, sottile, caldo e chiaro. [25]
Abbiamo così identificato nella forza dell’intenzione volitiva dell’operatore e nel potere connettivo dello spiritus – individuale e superindividuale – i due capisaldi dell’azione incantatoria e sottile in genere. Su questo versante – maggiormente caratterizzato in direzione della magia naturale – Ficino è debitore soprattutto alla rilettura dell’orfismo, all’approfondimento della teurgia neoplatonica di Giamblico (di cui realizzò una notissima traduzione del De Mysteriis [26] ) e delle dottrine Caldaiche, e infine alla trattatistica sulla magia. A tale proposito basti citare nuovamente il De Radiis di al-Kindi, che riserva alla magia sonora ed ai suoi effetti un posto di primissimo piano. In realtà, anche nel caso di Ficino, sarebbe corretto parlare più in generale di una «magia sonora» all’interno della quale la musica occupa un suo posto preciso, accanto alle formule incantatorie, alla magia dei nomi ed alle altre tecniche di azione sottile poggianti sul fattore sonoro e su una forte carica emotivo- immaginativa.
Il canto poi, concepito con questa virtù, opportunità, intenzione, non è quasi niente altro che un altro spirito concepito testé in te accanto al tuo spirito e fatto solare, attivo, in forza del potere solare, ora su di te, ora su chi ti è prossimo. Se infatti il vapore e lo spirito emessi per mezzo dei raggi degli occhi o in altro modo possono talvolta incantare, contaminare e influenzare in altri modi chi è vicino, con questo modo più efficace lo spirito che fluisce abbondante dall’immaginazione e insieme dal cuore, è più ardente ed ha più vigore nel movimento; tanto che non è affatto strano che in questo modo si possano talvolta allontanare o arrecare alcune malattie dell’animo e anche del corpo, soprattutto perché un siffatto spirito musicale tocca da vicino ed agisce sullo spirito che è medio tra il corpo e l’anima e trasmette senza intermediari ad entrambi il suo influsso [27].
Questo passo, oltre a riproporre alcune delle tematiche già identificate in precedenza, è essenziale per comprendere determinate peculiarità della speculazione musicale di Ficino. Colpisce il rilievo che egli attribuisce al «rituale» musicale, la cui potenza parrebbe addirittura superiore a quella delle immagini. Un orientamento, si sarebbe tentati di soggiungere, persino in controtendenza rispetto alla pleonastica ricchezza iconologica della sua epoca. In realtà il senso di questa priorità – relativa, è bene sottolinearlo – è legato alla collocazione stessa della musica all’interno della gerarchia delle qualità attrattive, a loro volta ricollegabili ai pianeti.
Poiché in verità, come sette sono i pianeti, così sette sono anche i gradi attraverso cui si esercita l’attrazione delle cose superiori su quelle inferiori; le voci e i suoni occupano il grado di mezzo e sono dedicati ad Apollo «ovverosia al Sole». Il grado più basso lo occupano le materie più dure, le pietre e i metalli, e sembra che si riferiscano alla Luna. Il secondo gradino nell’ascesa lo occupano i composti di erbe, di frutti degli alberi, di gomme, di membra di animali; e rispondono a Mercurio, se in cielo seguiamo l’ordine dei Caldei. Nel terzo grado troviamo le polveri più sottili e i loro vapori scelti dai materiali che abbiamo detto sopra e semplicemente gli odori delle erbe e dei fiori e degli unguenti che appartengono a Venere. Il quarto grado è occupato dalle parole, dai canti, dai suoni, tutte cose che giustamente sono dedicate ad Apollo, più degli altri protettore della musica. Il quinto grado è il luogo dei forti concetti dell’immaginazione, delle forma, dei moti, degli affetti che sono in rapporto con la potenza di Marte. Nel sesto gradino si trovano i discorsi della umana ragione e le deliberazioni ponderate che appartengono a Giove. Il settimo grado è costituito dalle intelligenze più segrete e semplici, ormai quasi separate dal moto, congiunte alle cose divine, destinate a Saturno, che giustamente gli Ebrei chiamano Sabath, cioè il nome della «quiete». [28]
La ragione di questa «priorità relativa» del senso uditivo è ulteriormente chiarita da un passo del Commento al Convito di Platone [29], in cui Ficino traccia una precisa gerarchia epistemologica, ricollegando i sensi alle qualità che contraddistinguono ciascun elemento. Ficino propone due triadi, la prima animica, la seconda corporea. Della prima triade fanno parte la ragione, la vista e l’udito, della seconda, l’olfatto, il gusto ed il tatto. Alla ragione corrisponde la Divinità, alla vista il fuoco, all’udito l’aria, all’olfatto i vapori (aria+acqua), l’acqua corrisponde al gusto e la terra al tatto. La collocazione mediana dell’udito, e per conseguenza della musica, risulta né troppo distante dal corpo né dall’anima, ovverosia in grado di influire su entrambi, più incisivamente di quanto potrebbe la vista, troppo lontana dalla sfera corporea e maggiormente adatta a «muovere l’animo» verso le cose alte [30]. Alla musica – come allo spirito vitale, mediatore tra anima e corpo – spetta un posto mediano. Non diversamente dallo spirito, dunque, la musica, in virtù del suo carattere aereo, è in grado di raggiungere anima e corpo, di armonizzarli e di far sentire su entrambi il proprio influsso, come prova l’esempio – prediletto da Ficino – di David che grazie al suono della cetra guarisce la follia di Saul, allontanando lo spirito malvagio che lo assedia. [31]Un esempio che lo stesso Ficino non avrà mancato di accostare idealmente allo «sciamanesimo terapeutico» praticato dai pitagorici e testimoniato anche nella Vita di Pitagora di Giamblico.
Quel che però preme a Ficino è sgombrare assolutamente il campo da ogni deriva verso la magia «nera» o stregonesca. La magia sonora cui egli guarda è naturale per definizione, in quanto agisce in ossequio alle leggi della natura, né più ne meno di quanto possa accadere per una qualsiasi meccanismo o congegno che sfrutti la forza fisica degli elementi [32]. Il musico non adora le stelle né crede che esse siano indotte a elargire doni agendo sulla loro volontà, ma per semplice «influsso naturale» [33]. Ficino identifica tre regole che occorre osservare per «accordare il canto alle stelle». Le prima è la conoscenza delle qualità e delle virtù di pianeti, delle costellazioni e degli aspetti zodiacali. La seconda concerne l’identificazione delle medesime qualità nei luoghi, nelle singole persone, in modo da stabilire i canti idonei per ogni ambito, circostanza ed essere. La terza è la conoscenza dei tempi e della progressione quotidiana delle configurazioni celesti, così da riconoscere sempre quale sia il vincolo di concordanza che lega ad esse gli atti e le inclinazioni degli uomini e dei popoli. Il musico vero, dunque, è insieme astrologo, filosofo della natura e «psicologo». E nella misura in cui conosca le virtù segrete e occulte delle parole e dei suoni – le loro concordanze con i ritmi cosmici, l’ethos che contraddistingue la qualità astrale di ciascun canto e le possibilità concrete di attivare tali virtù – egli sarà anche mago e terapeuta.
Ricorda che il canto è il più potente imitatore di tutte le cose. Esso infatti imita le intenzioni e le affezioni dell’animo, e le parole, riproduce anche gesti, movimenti, atti e costumi degli uomini; imita e compie tutte le cose con tanta forza, che induce immediatamente sia colui che canta, sia coloro che ascoltano ad imitare o compiere le medesime cose. Ancora, per la medesima virtù, quando imita le cose celesti, da un lato invero in modo meraviglioso conduce il nostro spirito verso l’influsso celeste, da l’altro poi l’influsso verso il nostro spirito. Già invero la materia stessa del canto è più pura e assai più simile al cielo della materia di una medicina. È infatti aria, calda o tiepida in verità, che ancora spira e in un certo modo vive, composta nelle sue parti e membra come un animale, e non solo ha in sé il movimento e manifesta l’affetto, ma porta in sé anche un significato, quasi di una mente, tanto che si può in un certo senso definire un animale aereo. Il canto dunque, pieno di spirito e senso, se per caso, o secondo i suoi significati, o secondo le sue articolazioni e la forma che risulta da queste articolazioni, o anche secondo l’affetto dell’immaginazione, corrisponde a questa o a quella stella, ne trae una virtù non minore che qualsiasi altra composizione e la trasferisce nel cantante, e da questo in chi l’ascolta da vicino, fino a quando il canto conserva il suo vigore e lo spirito di chi canta, soprattutto se il cantore è, di natura, febeo, e possiede intensamente lo spirito vitale del cuore e, oltre a questo, quello animale. [34]
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