| Nello scorrere scorre anche un moto teso a «rubare» al suo originario scorrere nell’oblio una presenza mnemonica, una scintilla di fuoco prometeico, un barlume di coscienza … un «segno» in cui contrarre, riassumere, sintetizzare lo scorrere che è scorso: un segno del trascorso da scrivere, da sovrascrivere allo scorrere inconscio del tutto scorrere. Un fondamento immaginale al cui bisogno, alla cui domanda di riempire un certo vuoto, risponde la fondazione dei suoi / e poi anche dei nostri / «organi» ambulanti: delle gambe su cui camminano le più antiche, le più sceme, le più insensate, e (c’è bisogno di dirlo?) le meno artificiali contemplazioni – quelle che costellano l’Infanzia di ogni Macchina linguistica. Quelle che la Macchina patisce, le sue più antiche passioni.
Deleuze le chiama «sintesi passive», contrazioni, riassunti di abitudini e ripetizioni «reali». Qui le chiama «cicatrici», altrove addirittura «guasti». La Macchina, queste sintesi, le subisce. Non se le procura da sola. Queste «ferite passionali» costituiscono i segni più antichi, i segni naturali che il Reale «scrive» sul nostro Corpo, quando ancora è Corpo senz’organi, pura immaginazione e spontanea veggenza (di «vuoti» aperti, di «ferite» le cui labbra non si rimarginano). Caram-uovo-occhioCorpo ancora smemorato, ancora in movimento nell’oblio, ancora immerso in una presenza a se stesso, in una presenza così «radicata» nel Presente, da non avere né spazio né tempo per distrarsene: ancora nessuna memoria a cui domandare di riempire un qualche «vuoto».
Il segno di queste «sintesi passive», di queste «cicatrici di patimenti», come dicevano gli Stoici e come ripete Deleuze, quale che esso sia, appartiene sempre al presente – è il Presente stesso, lo stesso reale Scorrere a «significarlo». Esso è sempre il segno di ciò che sta scorrendo al presente: non la ferita (che è già stata), ma l’aver ricevuto la ferita che è tuttora la presente «cicatrice». Non il segno-ricordo, non la memoria della ferita (che implicherebbe già un’idea del passato), ma l’essere qui e ora a patirne la quotidiana reale cicatrizzazione. Non è la stessa cosa che si può dire dei segni attivi, degli ornamenti artificiali, degli habitus e dei comportamenti costruiti in un altro Presente, in un Presente in cui è all’opera, ormai, una memoria, un’intelligenza – una Macchina cioè che ha appreso ormai a scarabocchiare sul Reale le sue rappresentazioni, a richiamare così il Presente che fu dal Passato, dall’Assenza attuale.
Ciò detto, la domanda è: il «bisogno», il desiderio, la Fame è un patimento reale, o soltanto un artificio (forse addirittura contro natura) della nostra mente? Il desiderio sorge dalle costruzioni, dalle illusioni di cui ci vestiamo attivamente, o è un vizio contratto dal Reale stesso, una sintesi più arcaica e primitiva di ogni nostro «sogno» erotico? In altre parole: il «bisogno» è concepito dalla «mancanza», dalla privazione e dalla povertà che affliggono i nostri «segni attivi» (destinati a rappresentarci un Presente in luogo dell’Altro perduto), o è il «resto», l’«eco terminale», la «coda di poppa» d’una nave della ricchezza e dell’abbondanza, di un bastimento carico di … ripetizioni passive, patetiche, passionali, che un bel dì è andato a sbattere contro gli Scogli, dietro di sé lasciando appena una perla, preziosa e terribile, del suo enigmatico Tesoro?
Ciccarini-onde
È quando i naviganti, gli Argonauti della Contemplazione – che sono tutti i bambini del mondo – s’azzardano a sconfinare in quest’altro presente che è il Presente delle rappresentazioni attive che insceniamo al di qua delle Rupi Cozzanti, è allora che essi si trovano, d’un tratto, dispersi in un mare, in un vasto mare, di problemi. E se si danno da fare, se prendono la decisione e agiscono, è per porre alle Simplegadi che li hanno «feriti», le domande sulle proprie «cicatrici». Le Simplegadi, in tanto simboleggiano la frontiera tra sintesi passive e sintesi attive, in quanto è intorno ai loro Scogli che si sviluppa il primo campo da gioco, il primo posto degli indovinelli, il primo luogo problematico su cui gli Argonauti hanno da tornare, chissà quante volte, a riproporre la loro domanda: il loro bisogno, il loro desiderio di passare. Di venire a vivere quest’altro Presente, il presente che passa.
Il fondo di questo «campo» è lastricato di sintesi passive. L’abisso di questo «tratto di mare» incognito è abitato da un primitivo «io», tutto passivo, tutto patetico, da un «io» che è stato già tatuato da chissà quanti e quali segni «naturali», che ha ricevuto chissà quanti colpi dagli scogli del Reale, ma che non li ha semplicemente ricevuti, ma ogni volta – nel riceverli – si è contratto, si è ammaccato, si è guastato e, soprattutto, si è contemplato, si è visto frantumare, smembrare, stuprare, fare a pezzi. Quest’Io passivo – è il fondo senz’organi, senza memoria, senza passato – che contempla Murphy-naufragiola propria Nave infranta, la Piroga delle sue avventure immaginali rovesciata dalle onde. Ogni frantumo, ogni scheggia, ogni «pezzo di legno», da laggiù dov’è affondata la Nave (delle passioni naturali), ha da porre una sua domanda. E tutte queste domande assieme, una per ogni ego di questo «io passivo», una per ogni larva dei molteplici pezzi naufragati laggiù sul fondo patetico del mare, costituiscono, dice Deleuze, il sistema dell’«io dissolto».
Costituiscono il campo problematico dal quale sorgerà poi un altro «io», un io che pretenderà d’essere «assolto» dal naufragio. Costituiscono il fondo oscuro dei bisogni, delle domande, dei desideri che quest’altro «io», questo signor Giasone, s’incaricherà di tradurre attraverso gli Scogli Cozzanti. Per farlo, dovrà saper cogliere a volo il momento buono, dovrà essere bravo a «sottrarre» alla ripetizione smemorata del «tutto scorre» il kairós, l’attimo, lo squarcio di una «differenza», dal cui spioncino contemplare lo scorrere del tutto, e magari significarlo in due sole parole. Qualcosa come: qui problema. Qui onde confondere tutto, sintesi attive e passive, fondi che vengono in superficie, e superfici che sprofondano nel vuoto da cui erano emerse.
fonte https://lartedeipazzi.blog/2018/12/06/dele...lle-simplegadi/
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