IL FARO DEI SOGNI

Categoria:Gruppi etnici in Egitto

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Pagine nella categoria "Gruppi etnici in Egitto"

Questa categoria contiene le 7 pagine indicate di seguito, su un totale di 7.
B

Begia
Berberi

D

Dom (gruppo etnico)

I

Isiwan
Italo-egiziani

N

Nubiani

R

Rifugiati sudanesi in Egitto





...............................................................................




Begia

I Bègia o Beja (in arabo البيجا‎?, al-Bayjā) sono un gruppo etnico residente nel Nordafrica e nel Corno d'Africa


Geografia

I Begia si possono trovare principalmente nel Sudan, ma anche in zone dell'Eritrea ed in Egitto. Sono classificati come facenti parte dell'etnia cuscitica [1].

Molti di essi si trovano nell'area attorno a Porto Sudan e negli Stati sudanesi del Mar Rosso, del Nilo, di Gadaref e Cassala così come anche nelle regioni del Mar Rosso settentrionale, Gasc-Barca e Anseba in Eritrea e nell'Egitto sud-orientale. Vi sono più piccoli gruppi di Begia nel deserto occidentale egiziano, nello Yemen e nel Puntland. Alcuni Begia sono di natura nomade. L'oasi di Kharga, in Egitto, ne ospita un gran numero, proveniente dalla zona del Nilo inondata dal lago Nasser.
Nomi

Nell'Antico Egitto i Begia erano conosciuti come i Ta-Seti ed erano rinomati per la loro bravura come arcieri nell'esercito egizio.
Lingua
Lo stesso argomento in dettaglio: Lingua begia.

I Begia parlano la lingua begia (To Bedawie), una lingua afro-asiatica (classificata come Cushita o come un ramo indipendente di essa). Alcuni di essi parlano il Tigrigna o l'arabo, appartenenti ambedue al gruppo di lingue afro-asiatiche ma del ramo Semitico.
Suddivisioni
Uno scudo begia, realizzato in pelle animale (XIX secolo)

I Begia sono suddivisi nei clan dei Bishārīn (o Bischarin), Hedareb, Hadendowa (oppure Hadendoa), gli Amarar (detti anche Amar'ar), i Beni Amer, gli Hallenga e gli Hamram, alcuni dei quali parzialmente mescolati con i Beduini.

Le tribù egizie del Bejawi credono di essere discendenti dell'Alta Sacerdotessa di Amen, e i Bishārīn di provenire invece dalla XX Dinastia di faraoni egizi.
Religione

Ta-Seti Neferet, la madre del faraone Amenhemet I, proveniva dai territori della tribù dei Begia di Bejawi nell'odierno Egitto, che adorava la dea Iside a File fino al VI secolo.
Dopo che il tempio fu ufficialmente chiuso dall'Imperatore bizantino Giustiniano, i Begia si convertirono al Cristianesimo, sotto l'influenza dei Tre Regni della Nubia (Nobazia, Makuria, Alodia) che prosperarono per 600 anni, così come il regno cristiano etiope di Axum che durò dal III all'VIII secolo d.C. Dopo la caduta di questo, i Begia formarono 5 regni che spaziavano dall'Eritrea settentrionale al Sudan del nord-est. All'incirca nel XIII secolo i Begia si riconvertirono all'Islam, per via del forte flusso migratorio di beduini in queste terre. Nel 2007 la maggioranza dei Begia rimane musulmana, con qualche minoranza copta nell'Alto Egitto.

Molti Begia aderiscono al Sufismo e tra le donne - che usano portare un anello alla narice - si pratica ancora l'infibulazione.





fonte https://it.wikipedia.org/wiki/Begia

 
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Berberi


I berberi (in berbero ⵉⵎⴰⵣⵉⵖⵏ, Imaziɣen) costituiscono un gruppo etnico autoctono dell'odierno Maghreb. I berberi comprendono quelle popolazioni tradizionalmente di lingua berbera che non sono state arabizzate e rappresentano una vasta minoranza delle popolazioni di Marocco e Algeria. Minoranze berbere sono distribuite anche in Libia, Tunisia, nell'oasi di Siwa in Egitto e in Mauritania. Sottogruppo berbero sono i tuareg, distribuiti in Algeria, Libia, Mali, Niger e Burkina Faso. Berberi erano anche i guanci delle isole Canarie.

Citati già in alcune iscrizioni egizie, varie popolazioni berbere durante il periodo antico, quali i Mauri, i Massili, i Massesili, i Musulami, i Getuli e i Garamanti, dettero vita a vari regni, i principali dei quali furono la Mauretania e la Numidia. Durante il Medioevo nacquero vari regni romano-berberi. La conquista omayyade del Maghreb nel VII secolo avviò un ampio processo di islamizzazione e parziale arabizzazione delle popolazioni berbere. Varie dinastie berbere, tra i quali i Banu Barghawata, gli Ziridi, gli Hammamidi, gli Almoravidi, gli Almohadi, i Merinidi, i Wattasidi, i Zayyanidi e i Hafsidi, costruirono propri regni in Maghreb e in al-Andalus.

L'identità berbera moderna emerse in occasione della conquista araba e venne riscoperta dai francesi nel XIX secolo e dal berberismo nel XX. Vaste comunità di berberi si stabilirono a partire dal XX secolo in Francia, Spagna, Paesi Bassi, Belgio, Italia, Germania, Stati Uniti d'America, Canada e Israele.

Etimologia

Il nome "berbero" è un calco del vocabolo francese berbère, a sua volta derivato dal termine greco-romano "barbaro", volto a designare chi non parlava il latino o il greco. Sallustio nel suo Bellum Iugurthinum definì la lingua dei Libi barbara lingua (cap. 18). L'endonimo usato da molti berberi è amazigh, che significa "uomini liberi".
Storia
Origini e antichità
Popolazioni berbere citate da fonti egizie
Lo stesso argomento in dettaglio: Africa (provincia romana), Numidia, Mauretania, Garamanti e Getuli.

I fossili umani paleolitici affini ai berberi propriamente detti, databili intorno al 20 000 a.C., sono noti in paleo-antropologia con il nome di uomo di Mechta-Afalou, una variante del paleo-europoide del tipo di Cro-Magnon.

Nell'antichità i berberi erano noti sotto varie denominazioni: gli antichi Egizi conoscevano i ṯḥnw (menzionati dal "re Scorpione" dell'età predinastica, intorno al 3000 a.C.), i ṯmḥw, i Rbw e i mšwš (questi ultimi due probabilmente da leggere rispettivamente Libu, ovvero i "Libi", e Mashuash). I capi dei "mashuash" intorno al 1000 a.C. divennero addirittura faraoni. Nello spirito di riscoperta delle proprie tradizioni che anima da alcuni decenni diversi intellettuali berberi, molti di loro fanno iniziare il loro calendario dal 950 a.C., approssimativa data di ascesa al trono di Sheshonq I, iniziatore della XXII dinastia egizia, anche se probabilmente era già libica anche la dinastia precedente.

In epoca successiva, molti nomi di popoli e tribù berbere ci giungono da storici greci e latini, a partire da Erodoto.
Popolazioni berbere citate da Erodoto

In particolare si ricordano i Libi nelle regioni occidentali dell'attuale Libia, i Numidi nell'attuale Algeria, i Mauri nell'attuale Marocco, mentre nelle zone interne vi erano soprattutto i Garamanti e i Getuli.

A partire dal I millennio a.C. il Nordafrica conobbe la colonizzazione di vari popoli. Da principio Fenici e Greci (Cartagine è fondata intorno all'814 a.C., Oea-Tripoli nel VII secolo a.C., Cirene intorno al 630 a.C.). In seguito fu il turno dei Romani, che contesero ai Cartaginesi la supremazia sulla regione.

Intorno al III secolo a.C. si cominciano ad avere notizie precise su veri e propri Stati berberi, con propri re e una propria organizzazione: i regni di Numidia e di Mauretania. A quest'epoca risalgono alcune figure celebri come Massinissa, Giugurta, Giuba II, ecc.

Dopo diverse vicende, che li videro sempre meno autonomi, i regni berberi persero definitivamente la loro indipendenza nel 40 d.C., sotto Caligola.

Durante la dominazione romana molti berberi romanizzati emersero nelle arti, nella politica e nella religione, esprimendosi nella lingua scritta del tempo: il latino.

Vi furono così:

scrittori (da Terenzio a Marziano Capella, con personaggi come Frontone, Apuleio, o Tertulliano);
santi cristiani (dai martiri scillitani a San Cipriano, San Vittore, Sant'Agostino e Santa Monica, Zeno di Verona);
papi (Vittore I, Melchiade, Gelasio I);
imperatori (dal libico-punico Settimio Severo, fondatore di una dinastia, ai mauri Macrino ed Emiliano).

Dopo essere rimasto per lungo tempo sotto la dominazione romana il Nordafrica subì nel V secolo le invasioni dei Vandali di Genserico, che costituirono regni nord-africani, finché nel 534, una spedizione condotta da Belisario, inviata da Giustiniano lo riconquistò alla sovranità di Bisanzio. Tale conquista però durò poco più di un secolo, giacché nel VII secolo si affacciarono i nuovi conquistatori, gli Arabi.

A questo periodo appartiene anche la costruzione dei jedar, tredici monumentali mausolei berberi situati a sud di Tiaret, in Algeria. Il loro nome deriva dall'arabo جدار (jidār, muro), ed erano tombe pre-islamiche risalenti alla tarda antichità (forse IV-VIII secolo).[5]
Dalla conquista islamica al colonialismo
Una vecchia stanza berbera in Marocco

La conquista araba del Nordafrica si svolse in varie fasi. Da principio gli eserciti musulmani, dopo aver sottomesso l'Egitto, si portarono a ovest della Libia, raggiungendo la Tunisia meridionale e fondando la città-accampamento militare (misr ) di Qayrawan. Da lì Uqba ibn Nafi' partì, intorno al 685, per la sua celebre "cavalcata" che lo portò fino alle sponde atlantiche del Marocco meridionale (la tradizione vuole che fosse entrato nell'oceano a cavallo, a significare che aveva conquistato all'Islam tutte le terre fino agli estremi confini occidentali). ʿUqba trovò un forte avversario in Kusayla, un capo berbero da lui catturato e pubblicamente umiliato, che riuscì a fuggire, organizzò la resistenza, lo sorprese a Tahuda, sulla via del ritorno, e lo uccise.

Dopo alterne vicende la resistenza berbera all'invasione araba fu sostenuta da Dihya, regina dei berberi della tribù Gerawa, più conosciuta con il soprannome attribuitole dagli arabi, Kahina (traducibile in strega); condusse anch'essa un'aspra campagna e tenne a lungo in scacco gli invasori. Prevedendo la propria sconfitta essa esortò i suoi figli ad allearsi con il futuro vincitore in modo da conservare comunque il potere. Poco dopo iniziò l'islamizzazione del Maghreb, e nel 711 le truppe islamiche che invasero la penisola iberica sotto la guida di Tāriq ibn Ziyād erano costituite in massima parte da maghrebini.
Ebrei berberi sul monte Atlante, Marocco, anno 1900
Geografia

Per molto tempo (in pratica fino agli inizi del XIX secolo quando iniziò la colonizzazione europea) il Nordafrica è stato denominato dagli europei Barberìa, ossia il "Paese dei Berberi", cosicché gli Stati del Nordafrica sono stati chiamati Stati barbareschi, e lingua franca barbaresca la lingua di scambio in uso in quelle regioni. Nel mondo arabo-islamico invece era in uso soprattutto l'espressione Maghreb (ossia "Occidente").

Successivamente i berberi hanno creato, a partire dal loro nome, amazigh, l'espressione Tamazgha che si riferisce al complesso di tutti i Paesi dove è (o è stata) parlata la lingua tamazight. I Paesi che vengono considerati facenti parte di Tamazgha sono Marocco, Algeria, Libia, Tunisia, Egitto, Sahara Occidentale, Mauritania, Mali, Niger, Burkina Faso, nonché le isole Canarie, in cui la lingua non è più parlata.
Lingua
Lo stesso argomento in dettaglio: Lingua berbera e Letteratura berbera.

La lingua berbera o tamaziɣt appartiene alla famiglia linguistica afroasiatica o camito-semitica. La sua estensione copre quasi tutta l'Africa del Nord, dall'Oceano Atlantico fino all'Egitto occidentale; sembra che una varietà di berbero fosse un tempo parlata anche dai guanci delle isole Canarie. L'Associazione di Cultura Tamazight, con sede a Las Palmas, si dedica alla ricerca e alla riscoperta di questa lingua.[6]

La lingua berbera fu in passato duramente repressa dai Paesi del Nordafrica che si proclamavano arabi, che procedettero a sistematiche campagne di arabizzazione; in tali Paesi non esistono canali di telecomunicazione di lingua berbera. Una rete televisiva satellitare in berbero è stata, invece, realizzata in Francia (Berbèr TV). Recentemente sono nati due canali televisivi in lingua berbera in Marocco (Tamazight TV) e Algeria (Berbère Télévision).
Scrittura

I Berberi possiedono una scrittura, la cosiddetta "scrittura libica" (di cui si conoscono due varianti: quella orientale e quella occidentale), attestata da numerose iscrizioni antiche, risalenti anche al I millennio a.C. Questa scrittura è preservata solo dai Tuareg (che la chiamano "tifinagh"), è stata modificata per poter trascrivere i suoni tipici dei dialetti berberi del Nord ("neo-tifinagh") ed è stata adottata dall'Istituto Reale della Cultura Amazigh (IRCAM) per la trascrizione ufficiale del berbero in Marocco.

La scrittura adottata nelle scuole della Cabilia (Algeria) a partire dal 1995 è in caratteri latini ed è stata standardizzata secondo le indicazioni di una serie di convegni e conferenze sulla pianificazione linguistica del berbero.
La frase mnemonica che conterrebbe l'intero alfabeto tifinagh
Etnia
"Le signore del Tassili", una famosa pittura rupestre - Tassili n'Ajjer

I berberi rappresentano una popolazione europoide. Sembra che almeno fino all'età del bronzo (circa 1200 a.C.) tra le popolazioni berbere fosse piuttosto diffusa la depigmentazione, cioè l'albinismo e il biondismo come carattere genetico, documentata anche da pitture rupestri del Tassili e in iscrizioni egiziane. La depigmentazione sopravvive in forma residuale, in particolare tra i berberi dell'Atlante, in Marocco, ed è anche testimoniata dagli spagnoli per i Guanci delle Canarie.

In realtà, per quanto si risalga indietro nel tempo, i Berberi sembrano avere popolato il Nordafrica fin dal Neolitico. Questo popolo è entrato nella storia già cinquemila anni fa: popolazioni berbere sono infatti citate fin dal 3000 a.C. nei testi egiziani.

La gran parte della popolazione in Marocco e Algeria è di origine berbera e comunità significative berbere sono presenti in Tunisia e Libia. Minoranze berbere si trovano anche in Mauritania, nelle regioni più occidentali dell'Egitto settentrionale e in alcuni Stati dell'Africa occidentale, in particolar modo nel Niger e nel Mali (i Tuareg).

Molte associazioni culturali, in Nordafrica e nei Paesi di emigrazione, sono sorte per rappresentare le istanze dei Berberi e per difendere i loro interessi e i loro diritti negati. Dal 1997 esiste un'organizzazione sovranazionale indipendente, il Congresso Mondiale Amazigh, che mira a rappresentare con una voce unica a livello internazionale le associazioni culturali berbere di ogni parte del mondo.

Soltanto a seguito della primavera araba i politici hanno reso la lingua berbera lingua ufficiale in Marocco dal 2011[7] e in Algeria dal 2016[8].
Famiglia berbera di umili condizioni economiche in una litografia dell'Ottocento
Cultura materiale
Alimentazione
Lo stesso argomento in dettaglio: Cucina berbera.

Per quanto riguarda l'alimentazione[9] il piatto più caratteristico del Nordafrica è il cuscus, alimento costituito da semola di frumento o d'orzo cotta a vapore e guarnita in vari modi, perlopiù con carni in umido o verdure e qualche volta anche pesce in umido.

Un'altra consuetudine alimentare tipicamente nordafricana è quella di preparazioni a base di farina di orzo raccolto ancora verde e poi tostato (cui si uniscono ingredienti vari, tra cui fieno greco, lenticchie, cumino, ecc.). A seconda dei luoghi e delle lingue prevalenti, berbero (B) o arabo (A), queste preparazioni hanno il nome di tazemmiṭ (B), arkuku (B), swik (B), zummiṭa (A), tutte di un tipo che normalmente viene impastato solo con acqua e non dolcificato; aḍemmin (B), bsisa (A), ṭemmina (A), di un tipo che invece viene impastato anche con olio e spesso arricchito di elementi dolcificanti (datteri, miele...) arkul. Quest'ultimo cibo, gustoso e nutriente costituisce spesso l'elemento tipico dell'alimentazione durante il ramadan o per le partorienti che devono riprendere forze. Si tratta di un cibo assai antico (nel romanzo di Apuleio, Amore e Psiche, Psiche ammansisce Cerbero con due offae polentae "focacce fatte di farina di orzo tostato"). Questo cibo è anche una specialità delle isole Canarie, denominata gofio.
Bevande
Rappresentazione del "rito del tè"

Il tè, soprattutto quello alla menta, è forse la bevanda più diffusa tra la gente berbera, soprattutto in Marocco e nel resto del Nordafrica.
Abbigliamento
Riguardo all'abbigliamento maschile l'elemento più caratteristico di tutto il Maghreb è il burnus, un ampio mantello di lana con cappuccio. Questo vale per i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo o sull'Atlantico, mentre l'abbigliamento dei tuareg è leggermente diverso ed è caratterizzato da un velo (tagelmust) che copre la bocca e gran parte del volto, lasciando liberi solo gli occhi.



fonte https://it.wikipedia.org/wiki/Berberi

 
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Dom (gruppo etnico)



I Dom (chiamati anche Domi in arabo دومي‎? o talvolta anche Doms) sono un popolo con origini nel subcontinente indiano, che attraverso antiche migrazioni si è disperso nel Medio Oriente, nel Nord Africa, nel Caucaso, in Asia centrale e ancora altre parti del subcontinente indiano. L'idioma tradizionale dei Dom è il Domari, una lingua indo-ariana in via di estinzione, che rende i Dom un gruppo etnico indo-ariano. Sono stati associati a un altro gruppo tradizionalmente itinerante di indo-ariani chiamato in modo diverso, il popolo Rom: si dice che i due gruppi si siano separati l'uno dall'altro o, almeno, condividono una storia simile. In particolare, sia gli antenati Dom che quelli dei Rom lasciarono il subcontinente dell'India settentrionale tra il VI e l'XI secolo.

Cultura

I Dom hanno una tradizione orale ed esprimono la loro cultura e storia attraverso la musica, la poesia e la danza. Inizialmente, si riteneva che fossero un ramo del popolo rom, ma recenti studi sulla lingua domari suggeriscono che si allontanarono dal subcontinente indiano[1] prima dei romanì, probabilmente intorno al VI secolo.[2]

Il nome usato in tutto il mondo dagli zingari per identificarsi è il termine "Rrom" (o "Rom"),[3] che in lingua romanì significa uomo. Le parole Rom, Dom e Lom sono usate per descrivere i popoli romanì che si separarono nel VI secolo. Diverse tribù si sono spostate fino all'Europa occidentale e sono chiamate Rom, mentre quelle rimaste in Persia ed in Turchia sono chiamate Dom.[4]

Tra i vari sottogruppi domari, i Ghawazi sono i più famosi per la loro danza e musica. I ballerini Ghawazi sono stati associati allo sviluppo dello stile egiziano raqs sharqi.
Distribuzione

La maggior parte della popolazione, stimata in 2,2 milioni di persone, vive in Turchia, Egitto e Iran, con un numero significativo di persone in Iraq . Popolazioni più piccole si trovano in Afghanistan, Libia, Tunisia, Algeria, Marocco, Sudan, Giordania, Siria e altri Paesi del Medio Oriente e del Nord Africa.

La popolazione attuale non è nota con precisione poiché alcuni Dom sono esclusi dai censimenti nazionali e altri si etichettano in termini nazionali piuttosto che come Dom. Oggi parlano le lingue dominanti delle loro società più grandi, ma il domari, la loro lingua nazionale, continua ad essere parlata da comunità più insulari. Gli iraniani li chiamavano gurbati o kouli, due termini che significano entrambi "stranieri".

Vi è una grande concentrazione di dom / zingari in Giordania . I ricercatori affermano che "accolgono il razzismo arabo nascondendo la loro identità etnica", dal momento che non sarebbero accettati nella società araba una volta rivelata la loro vera identità.[5] Esiste anche una piccola comunità simile con alcuni antenati coloniali Romanichal a Malta. Quella comunità si chiama Romanichal maltese.



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Isiwan


I Siwi (o Isiwan) sono gli abitanti dell'oasi di Siwa, nel Deserto Occidentale in Egitto. Parlano la lingua siwi, una varietà di berbero, ma sono generalmente bilingui e conoscono anche l'arabo egiziano e talvolta beduino. I Siwi sono 30.000, sparsi in villaggi anche molto lontani tra di loro.





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Italo-egiziani

Un italiano d'Egitto è un italiano nato in Egitto ma che ha sempre mantenuto la nazionalità italiana.

Caratteristiche

La comunità italiana raggiunse il suo apice poco prima della Seconda guerra mondiale, con oltre 55.000 membri che ne facevano il terzo gruppo etnico egiziano. Sino al 1940 gli Italiani beneficiavano ancora dei privilegi delle “capitolazioni”, cioè di particolari forme di immunità giurisdizionale e personale, accordate agli stranieri ai tempi dell'Impero ottomano e che si estendevano fino alla inviolabilità del domicilio privato e al diritto di libero stabilimento[1]. In base alla Convenzione di Montreux dell'8 maggio 1937, il regime capitolare si sarebbe definitivamente estinto dopo un periodo transitorio di dodici anni[2].

Il numero di italiani in Egitto diminuì drasticamente dopo la guerra e l'avvento di Nasser al potere, in maniera simile alle altre comunità allofone (e come avvenne nel Maghreb con gli Italo-tunisini).

La maggior parte degli italiani fece ritorno in patria fra il 1950 e il 1960. Nonostante l'esodo massiccio, una comunità italiana vive tuttora nelle città di Alessandria d'Egitto e del Cairo. Nel 2007 gli italiani in Egitto erano quasi 4.000, per lo più tecnici e manager che lavoravano (per qualche anno) nelle 500 aziende italiane che hanno contratti con il governo egiziano: sono rimaste poche centinaia di pensionati italiani egiziani "veri", soprattutto ad Alessandria e al Cairo. La principale organizzazione degli italiani è l'ANPIE.[3]
Relazioni fra i due Stati

Il ruolo dell'Italia nelle relazioni economiche egiziane è stato sempre collegato al numero di italiani residenti nel paese. Le prime missioni a scopo educativo che Mehmet Ali organizzò furono dirette in Italia, per imparare l'arte della pittura. Mohammed Ali richiamò inoltre numerosi italiani da mettere al servizio del nascente stato egiziano: la ricerca del petrolio[senza fonte] , la conquista del Sudan, l'ideazione e la costruzione della città di Khartum e la mappatura del delta del Nilo.

La corte reale di Ismāʿīl Pascià era formata prevalentemente da italiani.[senza fonte] Lo stesso Ismāʿīl si avvalse di architetti italiani per progettare e costruire la maggior parte dei suoi palazzi, oltre che molti quartieri periferici del Cairo e l'Opera chediviale, che fu inaugurata dall'Aida di Giuseppe Verdi. Quando fu deposto, nel 1879, venne in esilio in Italia, risiedendo nella ex residenza borbonica di villa Favorita a Resina, l'attuale Ercolano, messa a disposizione dal governo italiano, dove visse fino al 1885 quando lasciò l'Italia per trasferirsi definitivamente a Istanbul.

L'Italia, inoltre, fu la destinazione scelta per l'esilio dell'ultimo re d'Egitto, Faruk e l'Egitto fu la destinazione scelta per l'esilio del penultimo re d'Italia, Vittorio Emanuele III.
L'invasione italiana e lo stato di guerra con l'Egitto
El Alamein: Ingresso del Sacrario Militare Italiano

L'unico periodo storico in cui vi fu una crisi tra gli italiani e l'Egitto fu durante gli ultimi anni del fascismo. Infatti con la dichiarazione di guerra da parte dell'Italia alla Gran Bretagna - che controllava militarmente il paese in base al Trattato anglo-egiziano del 26 agosto 1936 - l'Egitto interruppe i rapporti diplomatici con l'Italia. Analogamente procedette il governo italiano, pur proclamando solennemente pieno rispetto per la sovranità e l'integrità dell'Egitto[4].

Contemporaneamente, il governo egiziano predispose un piano a difesa degli interessi britannici contro gli Italiani residenti in Egitto, comprendente l'internamento degli uomini dai 15 ai 65 anni e delle donne ritenute “pericolose”, il licenziamento dai posti di lavoro, il divieto per gli italiani di esercitare attività economica e di effettuare transazioni commerciali, il sequestro dei beni mobili e immobili[1]. Gli internati civili italiani furono complessivamente circa ottomila; quattro caddero colpiti dalle guardie armate; altri tredici rimasero feriti e 38 perirono per cause varie.[5]

Il 13 settembre 1940, nonostante la solenne dichiarazione di amicizia di alcuni mesi prima, l'esercito italiano entrò in territorio egiziano dalla colonia di Libia, forte di quasi 220.000 uomini e comandato dal Maresciallo Rodolfo Graziani, con lo scopo di impadronirsi del Canale di Suez e garantirsi un collegamento più breve con l'Africa Orientale Italiana. Il territorio egiziano, ai sensi del Trattato anglo-egiziano del 1936, era difeso da poco più di 40.000 soldati inglesi, appositamente equipaggiati per la guerra nel deserto, mentre l'esercito egiziano non fu mai impiegato nelle operazioni, in quanto il governo locale non dichiarò ufficialmente guerra al Regno d'Italia.

Dopo l'iniziale occupazione italiana di Sidi el Barrani, il 9 dicembre 1940 gli inglesi avviarono una controffensiva e Mussolini fu costretto ad accettare rinforzi dall'alleato tedesco. Nel 1942, fu nominato comandante generale delle forze alleate in Nordafrica il generale Bernard Montgomery, il quale, dopo aver sconfitto le forze italo - tedesche ad Alam Halfa e nella seconda battaglia di El Alamein, respinse le forze dell'Asse fino a liberare i territori egiziani temporaneamente occupate dall'esercito italo-tedesco.

Il 10 settembre 1946, a Parigi, a margine dei negoziati per i trattati di pace della Seconda guerra mondiale, fu sottoscritto l'accordo tra il governo italiano e quello egiziano, per la conclusione delle ostilità tra i due paesi. Con tale accordo, l'Italia corrispondeva al Regno d'Egitto, a titolo di riparazione dell'attacco subito, la somma di 4 milioni e mezzo di sterline; l'Egitto acconsentiva alla restituzione dei beni sequestrati ai cittadini italiani.
La comunità italiana in Egitto
Filippo Tommaso Marinetti, italiano d'Egitto, nato ad Alessandria e fondatore del Futurismo

Come si è detto, appena prima della seconda guerra mondiale la comunità italiana era la seconda comunità straniera del paese per grandezza, appena dopo la comunità greca. Lo stesso Giuseppe Ungaretti nacque in Egitto. Sul giornale egiziano Al-Ahram, il 19 febbraio del 1933, fu pubblicato in prima pagina un articolo interamente dedicato agli italiani d'Egitto, scritto dallo storico Angelo Sammarco, che disse: "La gente di Venezia, Trieste, Genova, Pisa, Livorno, Napoli, i siciliani ed i dalmati continuano a vivere in Egitto nonostante le loro città natali siano in decadenza ed abbiano perso il loro status di centri marittimi". Sammarco, inoltre, poneva l'accento sul monopolio italiano delle esportazioni.
Targa commemorativa di Giuseppe Ungaretti, celebre italiano d'Egitto di origine lucchese, presso il Palazzo Ducale di Lucca

Le due maggiori comunità italiane erano quelle del Cairo (18.575 abitanti nel 1928) e di Alessandria d'Egitto (24.280 italo-egiziani nello stesso anno). Pur tendendo a concentrarsi in quartieri propri (come il quartiere veneziano del Cairo) od assieme ad altre comunità allofone, gli italiani d'Egitto hanno sempre mantenuto gli usi e i costumi d'Italia. Per gli italiani furono costruite otto scuole pubbliche e 6 o 7 scuole parrocchiali, supervisionate da un ufficiale inviato dal console italiano, per un totale di 1.500 studenti circa.

Gli italiani residenti in Egitto erano principalmente mercanti ed artigiani, ai quali si andò ad aggiungere col tempo un numero crescente di lavoratori dovuto all'arretratezza economica italiana, che rendeva impossibile la competizione dell'Italia con gli investimenti provenienti da altre nazioni, come la Francia.

Nella città di Alessandria d'Egitto, dove la comunità italiana era maggiore, sorsero, soprattutto durante il ventennio fascista, numerose associazioni filantropiche (addirittura 22), come l'Opera Nazionale, la Società degli Invalidi e veterani di Guerra, la Federazione dei Lavoratori Italiani, l'Ospedale Italiano Mussolini, il Club Italiano e l'Associazione Dante Alighieri. Furono fondati inoltre numerosi giornali in lingua italiana, fra cui L'Oriente ed Il Messaggero Egiziano.

La testimonianza della lunga permanenza e dell'integrazione di comunità italiane in Egitto resta a tutt'oggi nelle centinaia di termini italiani presenti nella parlata colloquiale egiziana (specialmente nelle grandi città costiere). Sammarco spiega ciò come "un risultato dello spirito di tolleranza delle nostre genti, della loro mancanza di un forte sentimento nazionalista o religioso che le spingesse all'isolamento, alla loro avversione a sentirsi superiori".

Dopo il 1952 gli italiani si sono andati riducendo dai circa 60.000 di prima della seconda guerra mondiale ad appena 3.374 (1.980 famiglie) nel 2007.[6]



fonte https://it.wikipedia.org/wiki/Italo-egiziani

 
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Nubiani


I Nubiani sono un gruppo etnolinguistico autoctono della regione della Nubia, divisa fra il Nord del Sudan e il sud dell'Egitto. Discendono dai primi abitanti dell'Africa sub sahariana, della valle centrale del Nilo, ritenuta una delle prime culle della civiltà. Parlano lingue nubiane, parte delle lingue sud-orientali del Sudan.

Storia

I primi insediamenti neolitici nell'Egitto preistorico sono stati trovati nella regione centrale della Nubia, datati al 7000 a.C.. Wadi Halfa è ritenuto il più antico insediamento nella valle centrale del Nilo.[1] Parti della Nubia, come Ta-Seti (il primo nomo o regione amministrativa dell'antico Egitto), furono continuativamente parte dell'antico Egitto durante l'era dinastica. Altre parti della Nubia, in particolare la Bassa o Alta Nubia, furono a tratti parte dell'antico Egitto faraonico e in altri momenti stato rivale, dominate da Meroë o dal Regno di Kush. Tuttavia, dalla venticinquesima dinastia, tutta la Nubia fu unita all'Egitto, estendendosi fino a quello che oggi è Khartum .[2]

Verso la fine dell'era dinastica, l'Alta Nubia si staccò dall'Egitto. Durante quel periodo, i Nubiani fondarono una dinastia che governò l'Alto e il Basso Egitto nell'VIII secolo a.C.[3]

Come guerrieri, gli antichi nubiani erano famosi per la loro abilità e precisione con l'arco e la frecce .[4]

Nel periodo medievale i Nubiani si convertirono al cristianesimo e stabilirono tre regni: Nobatia al nord, Makuria al centro e Alodia al sud.

Nel mondo contemporaneo, gli africani di origine nubiana vivono principalmente nel sud dell'Egitto, in particolare nella zona di Luxor e Assuan, e nel nord del Sudan, in particolare nella regione tra la città di Wadi Halfa e Al Dabbah . Inoltre, diversi gruppi noti come Hill Nubians vivono nelle montagne di Nuba settentrionali nello stato del Kordofan Meridionale, in Sudan.[5] I principali gruppi nubiani da nord a sud sono Kenzi, Faadicha (Halfawi), Sukkot, Mahas e Danagla .[6]

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Lingua
Pergamena scritta tra il IX e il X secolo nell'Antica Nubia, oggi custodita nel British Museum

I nubiani moderni parlano lingue nubiane . Appartengono al ramo sud-orientale del phylum nilo-sahariano . C'è qualche incertezza però riguardo alla classificazione delle lingue parlate in Nubia nell'antichità. Vi sono prove del fatto che le lingue cushitiche fossero parlate in alcune parti della Nubia inferiore (settentrionale), un'antica regione situata a cavallo tra l'Egitto meridionale e il Sudan settentrionale e che le lingue sudanesi orientali fossero parlate nella Nubia centrale e settentrionale, prima della diffusione delle lingue sudaniche orientali ancora più a nord nella Bassa Nubia.[7]
Nubiani moderni
I discendenti degli antichi nubiani abitano ancora l'area dell'antica Nubia. Attualmente vivono in quella che viene chiamata la Vecchia Nubia, situata principalmente nel moderno Egitto. I nubiani sono stati reinsediati in gran numero (circa 50.000 persone) lontano dal sud dell'Egitto dagli anni '60, quando la Diga di Assuan fu costruita sul Nilo, inondando le loro terre ancestrali.[8] Alcuni nubiani continuano a lavorare come agricoltori (mezzadri) nelle fattorie di reinsediamento, i cui proprietari terrieri vivono altrove; la maggior parte lavora nelle città egiziane. Mentre una volta l'arabo veniva appreso solo da uomini nubiani che viaggiavano per lavoro, viene sempre più imparato anche da donne nubiane che hanno accesso a scuola, radio e televisione. Nei tempi antichi gli abitanti o almeno le cricche dominanti delle società altamente stratificate e gerarchiche, della Bassa Nubia adottavano abiti egiziani. I loro sacerdoti, come le loro controparti egiziane, indossavano sacre pelli di leopardo, ma i loro sovrani erano invariabilmente raffigurati dagli egiziani con un copricapo distinto da una sola piuma verticale che nell'iconografia del Nuovo Regno d'Egitto indicava un avversario del sud. sviluppato un rapporto, che è curiosamente banale anche oggi. Si sviluppò una relazione di odio-amore, che è curiosamente banale anche oggi. I nubiani contemporanei sono le popolazioni indigene della valle centrale del Nilo che vivono lungo le strette chiazze di terra fertile che serpeggia nel deserto e forma una gigantesca lettera "S" nel nord del Sudan e nella punta meridionale dell'Egitto. Sono un popolo le cui origini precise sono sconosciute, ma i cui anziani oggi conversano in quattro lingue nilo-sahariane strettamente correlate conosciute collettivamente come "nubiane". La Nubia era il luogo di incontro delle civiltà mediterranea e africana, la gente della Nubia non è né alti egiziani né arabi. Sono nubiani, sono distintamente razziali dal resto degli egiziani - allora e ora la carnagione più scura dei nubiani era una caratteristica distintiva della loro identità unica e un fattore distintivo dagli alti egizi. La lingua era ancora un altro fattore di differenziazione. Tuttavia, è chiaro che nei tempi antichi - dall'era pre-dinastica ai giorni morenti dei Faraoni - la distinzione tra Nubia superiore e inferiore era tanto marcata come quella tra Nubia (superiore e inferiore) ed Egitto (superiore e inferiore) . I nubiani hanno una tradizione molto distinta di celebrare la festa musulmana di Ashoura e che ha poca somiglianza con l'Islam e che ricorda le antiche leggende del passato più remoto. Esiste una relazione intrinseca e simbiotica tra Osiride e Al-Hussein, questa è parte integrante della loro cultura. Indica anche la loro specificità culturale. Nella mente nubiana, Al-Hussein è molto associato a Osiride. In effetti, il martirio di Saddam ricorda l'omicidio di Osiride. Si crogiola nelle sfaccettature della cultura nubiana e richiama l'attenzione dei suoi ascoltatori sulle minuzie e le sfumature particolaristiche del patrimonio culturale della Nubia. La croce è fino ad oggi un potente simbolo della specificità culturale nubiana ed è spesso usata come motivo per abbellire gli edifici, la Nubia è stata una terra cristiana per più di un millennio prima che i suoi abitanti adottassero l'Islam come propria religione. Il fenomeno curioso è che le donne nubiane sono molto più determinate degli uomini ad agire come depositanti del passato.Le donne nubiane sono particolarmente orgogliose del loro patrimonio culturale. Alle donne della Nubia piace mostrare i loro mestieri tradizionali e le abilità festive, ma anche il cibo succulento per cui sono rinomati, come il weika fresco (un parente di gombo). Per 50 anni, sono state le donne nubiane a mantenere viva l'eredità culturale della loro gente anche quando la loro terra è stata inondata. Le donne nubiane fino ad oggi raccontano storie ai loro figli nel dialetto nubiano. Quando realizzano cestini di plastica per scopi utilitaristici e per la vendita ai turisti, ricordano il tempo in cui erano tessuti dalle fibre naturali delle palme sacre della Nubia. Cantano canzoni nubiane, eseguono danze tradizionali, si sposano da sole e persino le case di cemento che sono state costruite per loro quando si sono trasferite a Kom Ombo sono state decorate con amore con facciate colorate che ricordano le loro case a cupola ordinate a Nubia, le loro pareti a volte dito dipinto con immagini di polli, scorpioni e altri simboli sacri o con documenti dei loro pellegrinaggi alla Mecca.I nubiani hanno un forte senso di identità regionale, hanno i loro distintivi abiti bianchi e turbanti. Le donne nubiane, come le donne dell'Alto Egitto o dei Sa'id, sono tradizionalmente drappeggiate in un nero intransigente. Il tradizionale tob nero delle donne nubiane e sa'idi è un capo esterno indossato su abiti più colorati. I pescatori di Nubia cacciavano i coccodrilli e li riempivano di paglia, appendendoli alle loro porte come talismani per proteggersi dal malocchio. La bocca del coccodrillo è stata lasciata aperta, ma il corpo è stato drappeggiato con perline colorate. Per il popolo dell'antico Egitto, l'olom, come il coccodrillo del Nilo è conosciuto nel dialetto nubiano, era molto più che un portafortuna. Al tempo dei faraoni fu adorato come il dio Sobek, in onore del quale fu eretto il tempio di Komombo nell'Alto Egitto.I villaggi nubiani erano costruiti in pietra, argilla e sabbia, i tetti erano generalmente di steli spigolosi e di grano. I pavimenti erano ricoperti di sabbia pulita e gli utensili domestici per l'uso quotidiano pendevano dal soffitto. Modelli di nubiani in case tradizionali che svolgono varie attività domestiche, sociali e agricole che rivelano il modo di vivere tradizionale possono ora essere visti nel museo Nubia di Aswan. C'è anche un dipinto del settimanale Post Boat che una volta si fermava in ciascuno dei 46 distretti della Nubia sulla rotta per Wadi Halfa da Shellel, a sud di Aswan, portando posta e rifornimenti. Le donne nubiane che lavorano fuori casa sono in numero crescente.La cultura nubiana



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Rifugiati sudanesi in Egitto


Ci sono decine di migliaia di rifugiati sudanesi in Egitto, molti dei quali cercano rifugio dai conflitti militari in corso nel loro paese d'origine, il Sudan. Il loro status ufficiale di rifugiati è fortemente contestato e sono stati oggetto di discriminazione razziale e violenza da parte della polizia.

Vivono tra una popolazione molto più ampia di migranti sudanesi in Egitto, oltre due milioni di persone di nazionalità sudanese, secondo la maggior parte delle stime; il numero preciso é incerto e compreso tra 750.000 e 4 milioni (FMRS 2006: 5) che vivono in Egitto. L'Organizzazione degli Stati Uniti per i Rifugiati e gli Immigrati ritiene che molti di più di questi migranti siano in realtà rifugiati, ma vedono pochi benefici nel cercare il riconoscimento ufficiale.

L'Egitto ha messo in campo una politica "sparare per fermare" contro i rifugiati che tentano di attraversare il Paese per spostarsi in Israele . Secondo Human Rights Watch, oltre 50 rifugiati, tra cui donne e bambini, sono stati colpiti dalle guardie di frontiera egiziane dal 2007.[1][2]
Origini storiche
Un campo IDP nel Darfur.

La violenta destabilizzazione e il collasso economico causati dall'immensa quantità di morte e distruzione che hanno attraversato il Sudan hanno costretto milioni di civili a fuggire dalle loro case e città.[3] Molti rifugiati che attualmente risiedono in Egitto sono fuggiti dalla seconda guerra civile sudanese, dove la guerra ha contrapposto "separatisti neri africani" e " cristiani " contro un "governo arabo gestito da musulmani, settentrionali che avevano tentato di imporre la legge islamica sul paese". Un quinto della popolazione è rimasto ucciso nella guerra e oltre 4 milioni di civili nel Sud hanno ottenuto lo status di sfollato interno .[4] La maggior parte di questi sfollati interni sta tentando di reinsediarsi al di fuori del Paese, ma gli sforzi hanno prodotto risultati minimi.


https://it.wikipedia.org/wiki/Rifugiati_sudanesi_in_Egitto
fonte

 
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