IL FARO DEI SOGNI

Kerényi – L’ariete prodigioso

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view post Posted on 22/2/2024, 10:12     Top   Dislike
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In Tessaglia si narrava che una dea di nome Nefele, la «Nuvola», era andata dal re Atamante e l’aveva scelto per marito.
Secondo questa storia, Nefele diede ad Atamante due figli: Frisso, il «ricciuto», ed Elle, nome che si potrebbe dare anche a un giovane cervo o a una cerbiatta. Il re però si allontanò dalla dea e prese una moglie terrena. Allora Nefele se ne tornò in cielo e castigò tutto il paese, provocando la siccità [rifiutandosi cioè di piovere].
Atamante a quel punto mandò dei mesi all’oracolo di Apollo per sapere cosa si poteva fare contro tale decisione.

La storia però veniva raccontata anche in altro modo: era stata la regina Ino [la seconda sposa di Atamante] che aveva spinto le donne del paese a far seccare segretamente il grano destinato alla semente e a provocare così la sterilità dei campi.
Secondo questa versione, essa aveva corrotto anche i messi che erano stati inviati a Delfi, affinché essi dicessero che l’oracolo ordinava di sacrificare i figli di Nefele.
Fu precisamente Euripide che portò questa storia in tale forma sulla scena, nella sua tragedia Frisso.

La tradizione originale, invece, continuava narrando che il giovane Frisso si era offerto spontaneamente per essere sacrificato e porre fine così alla siccità nel paese.
E narrava che anche Elle doveva essere sacrificata col fratello: forse per libera scelta, poiché anche Frisso si era offerto spontaneamente? O forse nessuno dei due sospettava Frisso-Elle-arietedi nulla quando Atamante, che voleva sacrificarli, li fece chiamare?
Essi vivevano presso gli armenti del re, il quale ordinò loro di portare per il sacrificio il primo tra i migliori arieti: un ariete dal vello d’oro. E fu proprio questo animale prodigioso a rivelare ai fratelli le intenzioni di Atamante, e così li salvò. Si raccontava anche che la loro madre celeste Nefele avesse ricevuto in dono da Era l’ariete dal vello d’oro e l’avesse mandato in aiuto dei figli.

Essi salirono in groppa all’astuto animale, che volò con loro verso il lontano paese orientale della Colchide.
Il destino della ragazza era quello di arrivare fino soltanto allo stretto che separa il nostro continente dall’Asia Minore, e che oggi, dall’antica città di Dardano, si chiama Dardanelli. Nell’antichità si chiamava Ellesponto, «mare di Elle», perché la sorella di Frisso cadde nelle sue acque e andò così a unirsi in «matrimonio» con Poseidone, a quanto indicano alcune pitture.

L’ariete parlò allora al fratello spaventato e gli infuse coraggio. Frisso raggiunse la Colchide, il paese di Eeta, figlio del Sole, che lo accolse ospitalmente e gli diede in moglie la figlia Calciope, «dalla faccia di bronzo».
Ma l’ariete era fin dal principio destinato al sacrificio, perciò Frisso l’offrì a Zeus Fixios, salvatore dei fuggitivi, e ne donò il vello d’oro al re Eeta.
Figlia di questo Eeta era anche Medea: il suo nome è famoso e diffamato: famoso per il vello d’oro, diffamato per le sue azioni delittuose e le sue arti di incantatrice.

Il vello fu appeso a una quercia nel santuario di Ares: fu per esso che Giasone intraprese coi suoi Argonauti l’avventuroso viaggio nella Colchide.
Ciò accadde dopo la morte di Frisso, che finì i suoi giorni molto vecchio nel palazzo di Eeta.

L’Eroe che andò a prendere il vello d’oro apparteneva alla stessa famiglia alla quale apparteneva anche Frisso, figlio di Atamante. Era figlio di quell’Esone che discendeva anche lui dal dio dei venti Eolo.
In seguito alla morte di Frisso, cugino di suo padre, il vello era rimasto in possesso del Giasone-conquista-velloFiglio del Sole. Da lui doveva tornare alla famiglia [dei venti].

Giasone fu allevato dal saggio centauro Chirone, il divino animale selvatico che deve averlo chiamato per primo Giasone, che voleva significare uno che guarisce e porta salute.
Di lui si raccontava che, andando un giorno a caccia, incontrò la dea Era presso un fiume in piena: Era aveva assunto l’aspetto di una vecchia e Giasone non riconobbe in lei la dea; se la caricò sulle spalle e la portò al di là del fiume.
Si diceva pure che, così facendo, egli avesse perduto un sandalo, per cui si presentò con una sola scarpa al sacrificio in onore di Poseidone.

In tutte le versioni Giasone perdeva un sandalo e l’apparizione del monosandalos, dell’«uomo con una sola calzatura», era di cattivo augurio, non soltanto nella storia di questo Eroe. Si aveva sempre l’impressione che la persona in oggetto provenisse da un altro mondo, probabilmente dagli Inferi e avesse lasciato colà l’altro calzare come pegno e prova che egli teneva ancora un piede di là.
Altri narratori che se lo rappresentavano non come cacciatore, ma come un contadino, asserivano che egli avesse lasciato l’aratro, attraversato il fiume a piedi nudi e si fosse dimenticato di riallacciare il sandalo sinistro. Altri ancora dicevano che egli l’avesse perduto nel fiume.



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view post Posted on 24/2/2024, 10:32     Top   Dislike
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Ora, al re Pelia, dunque alla persona del re che doveva celebrare il sacrificio, era stato vaticinato che sarebbe morto per mano di uomo con un sandalo. Sicché, quando Giasone si presentò a lui, egli si rammentò subito della predizione avuta. Quel giorno non disse nulla, ma il giorno seguente fece chiamare di nuovo Giasone e gli chiese che cosa avrebbe fatto egli, se gli fosse stato predetto che sarebbe stato ucciso da un certo suo concittadino.
«Lo manderei a prendere il vello d’oro», rispose Giasone.
E Pelia: «Va’ dunque a prenderlo!».

(Kerényi, Gli dèi e gli eroi della Grecia)

***

Se Giasone è un guaritore – è perché ha un piede di qua, e l’altro di là. Perché – come Cenerentola, la sua versione al femminile – è qua, ma ha perduto una scarpa nel venir Cenerentola-fugavia di là. Pur essendo qua, ha ancora un legame, un filo che lo tiene presente all’altro mondo. Ed è grazie a questa presenza, che ancora ricorda la via per andarci.
Se uno gli porta a visitare un malato, Giasone sa che per guarirlo bisogna andare a prendere il vello d’oro – a prendere cioè l’antico talismano della sua salute. Giasone sa che il male che tormenta il «presente vivente» ha origini antiche e profonde, sa che le radici di questo male affondano nelle sintesi patetiche del suo essere più remoto, di quando quest’essere era ancora al di là delle Simplegadi.

Di là – nel Paese delle piume iperboree, nella traslucida Terra dei Figli del Sole, là dove il Sole non tramonta mai, dove anche a mezzanotte è sempre mezzogiorno. Di là: nel paese di Nefele – nei vapori della Nuvola, prima che la prima pioggia cadesse quaggiù a «scegliersi uno sposo» terreno, uno coi piedi per terra. Di là: nelle più antiche «contemplazioni», nelle più acerbe «passioni» che la Natura scriveva sui nostri «organi».
Era una dea, ma non la riconoscemmo. La prendemmo per una vecchia paralitica, e perciò ce la caricammo sulle spalle per traghettarla qui, su questa riva del Fiume … dove ci si ammala.

Pagammo un prezzo per via di questo «carico». Avevamo appena appreso a camminare sulle nostre gambe. E la Vecchia Signora s’era aggrappata a noi come un «peso morto». Ecco perché inciampammo nel fiume o sulle scale del palazzo reale e perdemmo il sandalo o la scarpa nel passare di qua dove il Sole sorge e tramonta, e a mezzanotte è la Luna che si arroga la sua luce, sia pure «fredda».
Ogni malato è inciampato sulla soglia del mondo simbolico: nel cominciare ad agire di memoria e d’intelligenza, le trecce delle sue nuove contemplazioni si sono confuse con le antiche, le attive con le passive.

Perciò, a chi gli domanda: dove si può cercare un rimedio alle pene di tanto pathos? – Giasone non ha dubbi, non esita un istante: bisogna imbarcarsi per l’aldilà. Il talismano della «salute» gli è infatti caduto via nell’attraversare il Fiume, e ora bisogna che il malato rifaccia il cammino a ritroso in se stesso, che ritorni alle sue origini, al «duende» patetico del suo essere, ai «segni» più antichi che il Calamo della Realtà gli scrisse addosso.




https://lartedeipazzi.blog/2018/12/06/kere...ete-prodigioso/
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