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In Tessaglia si narrava che una dea di nome Nefele, la «Nuvola», era andata dal re Atamante e l’aveva scelto per marito. Secondo questa storia, Nefele diede ad Atamante due figli: Frisso, il «ricciuto», ed Elle, nome che si potrebbe dare anche a un giovane cervo o a una cerbiatta. Il re però si allontanò dalla dea e prese una moglie terrena. Allora Nefele se ne tornò in cielo e castigò tutto il paese, provocando la siccità [rifiutandosi cioè di piovere]. Atamante a quel punto mandò dei mesi all’oracolo di Apollo per sapere cosa si poteva fare contro tale decisione.
La storia però veniva raccontata anche in altro modo: era stata la regina Ino [la seconda sposa di Atamante] che aveva spinto le donne del paese a far seccare segretamente il grano destinato alla semente e a provocare così la sterilità dei campi. Secondo questa versione, essa aveva corrotto anche i messi che erano stati inviati a Delfi, affinché essi dicessero che l’oracolo ordinava di sacrificare i figli di Nefele. Fu precisamente Euripide che portò questa storia in tale forma sulla scena, nella sua tragedia Frisso.
La tradizione originale, invece, continuava narrando che il giovane Frisso si era offerto spontaneamente per essere sacrificato e porre fine così alla siccità nel paese. E narrava che anche Elle doveva essere sacrificata col fratello: forse per libera scelta, poiché anche Frisso si era offerto spontaneamente? O forse nessuno dei due sospettava Frisso-Elle-arietedi nulla quando Atamante, che voleva sacrificarli, li fece chiamare? Essi vivevano presso gli armenti del re, il quale ordinò loro di portare per il sacrificio il primo tra i migliori arieti: un ariete dal vello d’oro. E fu proprio questo animale prodigioso a rivelare ai fratelli le intenzioni di Atamante, e così li salvò. Si raccontava anche che la loro madre celeste Nefele avesse ricevuto in dono da Era l’ariete dal vello d’oro e l’avesse mandato in aiuto dei figli.
Essi salirono in groppa all’astuto animale, che volò con loro verso il lontano paese orientale della Colchide. Il destino della ragazza era quello di arrivare fino soltanto allo stretto che separa il nostro continente dall’Asia Minore, e che oggi, dall’antica città di Dardano, si chiama Dardanelli. Nell’antichità si chiamava Ellesponto, «mare di Elle», perché la sorella di Frisso cadde nelle sue acque e andò così a unirsi in «matrimonio» con Poseidone, a quanto indicano alcune pitture.
L’ariete parlò allora al fratello spaventato e gli infuse coraggio. Frisso raggiunse la Colchide, il paese di Eeta, figlio del Sole, che lo accolse ospitalmente e gli diede in moglie la figlia Calciope, «dalla faccia di bronzo». Ma l’ariete era fin dal principio destinato al sacrificio, perciò Frisso l’offrì a Zeus Fixios, salvatore dei fuggitivi, e ne donò il vello d’oro al re Eeta. Figlia di questo Eeta era anche Medea: il suo nome è famoso e diffamato: famoso per il vello d’oro, diffamato per le sue azioni delittuose e le sue arti di incantatrice.
Il vello fu appeso a una quercia nel santuario di Ares: fu per esso che Giasone intraprese coi suoi Argonauti l’avventuroso viaggio nella Colchide. Ciò accadde dopo la morte di Frisso, che finì i suoi giorni molto vecchio nel palazzo di Eeta.
L’Eroe che andò a prendere il vello d’oro apparteneva alla stessa famiglia alla quale apparteneva anche Frisso, figlio di Atamante. Era figlio di quell’Esone che discendeva anche lui dal dio dei venti Eolo. In seguito alla morte di Frisso, cugino di suo padre, il vello era rimasto in possesso del Giasone-conquista-velloFiglio del Sole. Da lui doveva tornare alla famiglia [dei venti].
Giasone fu allevato dal saggio centauro Chirone, il divino animale selvatico che deve averlo chiamato per primo Giasone, che voleva significare uno che guarisce e porta salute. Di lui si raccontava che, andando un giorno a caccia, incontrò la dea Era presso un fiume in piena: Era aveva assunto l’aspetto di una vecchia e Giasone non riconobbe in lei la dea; se la caricò sulle spalle e la portò al di là del fiume. Si diceva pure che, così facendo, egli avesse perduto un sandalo, per cui si presentò con una sola scarpa al sacrificio in onore di Poseidone.
In tutte le versioni Giasone perdeva un sandalo e l’apparizione del monosandalos, dell’«uomo con una sola calzatura», era di cattivo augurio, non soltanto nella storia di questo Eroe. Si aveva sempre l’impressione che la persona in oggetto provenisse da un altro mondo, probabilmente dagli Inferi e avesse lasciato colà l’altro calzare come pegno e prova che egli teneva ancora un piede di là. Altri narratori che se lo rappresentavano non come cacciatore, ma come un contadino, asserivano che egli avesse lasciato l’aratro, attraversato il fiume a piedi nudi e si fosse dimenticato di riallacciare il sandalo sinistro. Altri ancora dicevano che egli l’avesse perduto nel fiume.
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