| I due demiurghi dei Guaranì meridionali sono il sole e la luna; durante i loro lavori, essi si tramutano in pesci per rubare l’amo a uno Spirito malefico e cannibale. Il più giovane dei demiurghi, poco esperto, è preda dell’orco, che lo divora sotto gli occhi atterriti del Spence-eclissi-lunarefratello. Quest’ultimo però si preoccupa di raccogliere le lische, con le quali restituisce la vita al fratello. Il caso del demiurgo divorato e poi risorto si perpetua nelle fasi e nelle eclissi della luna, la quale, d’altronde, si è coperta di macchie nel corso di una tresca incestuosa con la zia paterna. Da allora, quando cade la pioggia, ciò avviene perché la luna si lava per cancellare quei segni. Anche le eclissi di sole risalgono alle lotte del maggiore dei demiurghi con l’orco.
Conosciamo numerose varianti della cosmologia tupi-guaranì che sono sufficienti per colmare le lacune della codificazione astronomica del nostro mito, la cui configurazione sociologica è resa più chiara dal mito Tamanac. Non c’è dubbio che i Tupi e i Guaranì identificano i gemelli mitici col Sole e la Luna. A questo riguardo, essi differiscono dagli Yabarana, che fanno del Sole un uccello e raccontano l’episodio dell’orco divoratore in termini tali da lasciar supporre che il figlio di Mayowoca personifichi la Luna.
La separazione dei demiurghi in direzione d’oriente e d’occidente li rende semmai affini all’arcobaleno, fenomeno meteorico che gli indigeni dell’America equatoriale sdoppiano frequentemente in superiore e inferiore (il che corrisponde alla posizione dei demiurghi durante il diluvio), o in orientale e occidentale, come avviene alla fine del mito. Di questi due arcobaleni abbiamo già citato un mito dei Katawishi, secondo il quale guardare Mawali, l’arcobaleno d’occidente, significa condannarsi a diventare molle, pigro e sfortunato nella caccia e nella pesca, guardare invece Tini, l’arcobaleno d’oriente, rende l’uomo talmente inetto che non può fare un passo senza inciampare e straziarsi i piedi. […]
Marko-arcobaleno
Come i dioscuri Yabarana e Tamanac, anche quelli dei Katawishi provocano un diluvio distruttore dell’umanità e possiedono idee ben chiare sul comportamento che conviene alle ragazze. I dioscuri Tamanac rendono sedentarie delle donne vagabonde perché restino a formare una coppia, i dioscuri Yabarana fanno il contrario per un duplice verso: rendono vagabonda una coppia sedentaria formata da marito e moglie. Dal canto loro, i dioscuri Katawishi hanno a che fare con due specie di donne: le amazzoni che sono anch’esse vagabonde in quanto sfuggono loro, e due compatriote che salvano dal diluvio per farne le loro compagne: queste diventano dunque sedentarie.
Infine, i rapporti futuri dell’umanità con i demiurghi sono descritti, sul piano delle virtù morali, in maniera simmetrica a quella che permette agli altri miti di opporre il matrimonio vicino e il matrimonio lontano. Fissare con lo sguardo uno degli arcobaleni rende molli, pigri, sfortunati nella caccia e nella pesca, cioè provoca carenze analoghe a quelle che gli altri miti pongono all’origine dell’incesto. Fissare l’altro arcobaleno provoca incidenti, come cadute e ferite, che sono l’abituale punizione di un comportamento imprudente e avventuroso. Alla codificazione sociologica e a quella astronomica viene così ad aggiungersene una morale. Non saremo perciò sorpresi di ritrovare nella stessa regione, ma questa volta presso i Carib, una quarta codificazione, di ispirazione anatomica, che si era già imposta alla nostra attenzione.
*** Waiwai – Il primo coito
All’origine dei tempi, una donna-testuggine incinta, che aveva smarrito la strada, si volle rifugiare presso un giaguaro. Questi la uccise e la mangiò, risparmiando però le uova che De-Chirico-sposiportava nel ventre e da cui nacquero due bambini, Mawari e Washi. Essi furono allevati da una vecchia. Quando furono grandi, diventarono barbuti e pelosi, ma non avevano il pene perché, a quel tempo, tali organi esistevano sotto forma di pianticelle che crescevano nella foresta.
Un uccello li informò del fatto, e un giorno essi leccarono queste piante e si addormentarono. Durante il sonno a ciascuno spuntò un enorme pene. Mossi da un appetito ignoto, essi cercarono di copulare con una lontra, che spiegò loro come dovevano fare per pescare delle vere donne. Queste però sconsigliarono ai dioscuri di fare all’amore con loro, perché possedevano vagine dentate. Washi, troppo frettoloso, rischiò di morire, ma il suo pene amputato acquistò così una dimensione normale. Mawari preferì somministrare prima alla moglie alcune droghe magiche, per distruggere i denti di piranha della sua vagina.
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Dall’assenza di pene, che rende impossibile anche il matrimonio vicino, si passa dunque all’acquisizione di un pene di lunghezza ragionevole, attraverso la tappa intermedia di un pene troppo lungo che potrebbe servire solo a un matrimonio lontano. Il mito Waiwai esprime così, in termini anatomici, ciò che alcuni miti dicono in termini sociologici o astronomici, mentre altri miti usano due o tre codici alla volta. In tutti i casi, ogni mito è definibile secondo l’itinerario che esso sceglie di percorrere attraverso i registri di un campo semantico globale che condivide con gli altri.
(Lévi-Strauss, Le origini delle buone maniere a tavola)
fonte https://lartedeipazzi.blog/2018/12/11/yaba...-e-della-notte/
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