IL FARO DEI SOGNI

Cina – La lanterna a fiori di peonia

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view post Posted on 21/1/2024, 09:51     Top   Dislike
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Al tempo in cui i ribelli di Hō Kokuchin si erano insediati nella provincia orientale del Settō, ogni anno nella regione di Mei, dalla sera del quindicesimo giorno di Capodanno secondo il calendario lunare fino al mattino del giorno dopo, per cinque notti, gli uomini e le donne che vivevano sotto il castello si concedevano una visita al festival delle lanterne tutti insieme.
Nel ventesimo anno Shisei (1360), alle pendici della catena montuosa Chinmei, viveva un uomo di nome Sei Kyō. Aveva perso da poco la moglie e la vita da vedovo lo annoiava. Tuttavia, invece di riprendere a uscire per svagarsi, non faceva che rimanere in piedi vicino al cancello di casa.

Al termine della terza ora della notte del quindici, quando i visitatori stavano finalmente diminuendo, vide una domestica che, reggendo una lanterna doppia decorata con fiori di peonia, faceva strada a una donna bellissima dietro di lei. Aveva all’incirca diciassette o diciotto anni, un abito cremisi con maniche verdi ed era aggraziata e dall’aspetto sereno. Stavano andando verso ovest. Vedendola al chiaro di luna, Sei notò l’effettiva bellezza della ragazza, dal volto splendido e giovane.
Con l’animo totalmente rapito, Sei non riuscì a trattenersi e seguì le due donne. A volte le passava avanti, altre rimaneva indietro.

Dopo una decina di passi la donna si voltò e disse, sorridendo leggermente: «Sebbene tra i gelsi non ci siamo dati nessun appuntamento, il nostro incontro al chiaro di luna non è Klimova-donna-cinesestato una casualità, vero?».
Sei corse avanti e disse, facendo un inchino di cortesia: «Essendo la mia casa molto vicina, perché, bella fanciulla, non torniamo indietro?».
Perciò la donna, non avendo intenzione di rifiutare, disse chiamando la domestica: «Kinren! Prendi la lanterna e andiamo insieme!».
Così Kinren tornò indietro e Sei rincasò tenendo la donna per mano. I due raggiunsero subito una grande intimità. Riflettendoci, Sei pensò che quell’incontro non potesse essere superato nemmeno dalle visioni delle divinità femminili di Fuzan o Rakuho.

Sei chiese alla donna quale fosse il suo nome e dove abitasse. La donna rispose: «Il mio nome è Shukuhō Fu, ma vengo chiamata Reikei. Sono la figlia di un ex magistrato della regione Hōka. Mio padre è deceduto e la mia famiglia sta cadendo in rovina. Non ho fratelli né sorelle e i membri della famiglia rimasti sono ormai pochi. Alla fine, sola con Kinren, sono venuta temporaneamente a risiedere a ovest del lago».
Sei la fece rimanere per la notte. Con fare persuasivo e parole di lusinga calò la tenda del letto e avvicinò il cuscino. I due raggiunsero l’apice di un amore felice. All’alba lei lasciò la casa per poi farvi ritorno al giungere del crepuscolo. Tutto questo si ripeté per quasi quindici giorni.

Un anziano vicino di casa si insospettì, fece un buco nel muro e li spiò. Rimase molto stupito nel vedere Sei sdraiato a fianco di uno scheletro dal viso truccato, alla luce di una lanterna. L’indomani interrogò Sei a riguardo, ma lui non volle parlare del suo segreto.
Il vicino disse: «Ah, in che disgrazia ti trovi! Le persone vivono nella pura positività dell’energia; gli spettri, ossia gli spiriti dell’ombra, sono perfidi e immondi. Ma tu stai con loro senza accorgertene, ignaro condividi il letto con quegli esseri malvagi. Una volta che avrà prosciugato tutta la tua vigorosa essenza, inizieranno le sciagure e, con la tua preziosa giovinezza, ti troverai improvvisamente all’altro mondo. Ah, è davvero triste!».
Il vicino aggiunse poi: «Se ha detto di risiedere temporaneamente a ovest del lago, è là che devi andare a indagare; chissà, probabilmente capirai».

Seguendo il consiglio, Sei si diresse subito a ovest del lago Getsu. Passò sopra lunghe dighe e sotto alti ponti, si recò dagli abitanti del luogo e interrogò i passanti, ma tutti dissero che quella donna lì non c’era.
Il giorno stava per diventare notte, perciò Sei entrò nel tempio che si trovava al centro del lago per riposarsi un po’. Camminò lungo tutto il porticato del lato est e poi passò a quello del lato ovest. Raggiunse una stanza oscura in fondo al portico, in cui si trovava una bara. Sopra c’era un foglio bianco su cui era scritto: «Tomba di Reikei, figlia del defunto magistrato Fu della regione Hōka». Davanti alla bara era appesa una lanterna doppia decorata con fiori di peonia. Sotto la lanterna si trovava la bambola di una bambola-macabragiovane domestica, sulla cui schiena erano stati incisi due caratteri: Kinren.



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view post Posted on 23/1/2024, 11:34     Top   Dislike
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A Sei si rizzarono tutti i capelli e venne la pelle d’oca. Senza mai voltarsi indietro, uscì dal tempio correndo. Quella sera chiese ospitalità al suo vicino, comprensibilmente in preda al terrore.
Il vicino gli disse: «Il monaco taoista Gi del tempio Genmyō, discepolo del fondatore di quello stesso tempio Ōshinjin, attualmente è il migliore a cui rivolgersi per quanto riguarda gli amuleti. Faresti meglio a recarti in fretta da lui».

L’indomani, quando Sei entrò nel tempio, il monaco lo notò da lontano e disse sorpreso: «Che aria sinistra! Che cosa sei venuto a fare qui?».
Sei si avvicinò e raccontò tutto minuziosamente. Il monaco gli diede due amuleti color vermiglio, uno da mettere sul cancello e l’altro da appendere al letto. Lo ammonì di non tornare al tempio in mezzo al lago. Sei prese i talismani, tornò a casa e preparò tutto come aveva detto il monaco. Da quel momento, come previsto, la donna non tornò più.

Dopo oltre un mese si recò a Konshūkyō, dove rimase a bere con un amico. Essendo ubriaco, scordò completamente l’ammonimento del monaco: prese senza indugi la strada per il tempio in mezzo al lago e vi fece ritorno.
Quando stava per raggiungere il cancello d’ingresso, vide che Kinren era lì davanti ad accoglierlo: «La Signorina ti aspetta da molto tempo. Come mai sei stato così crudele?».
Entrarono nel porticato del lato ovest e giunsero al centro della stanza, dove si trovava la donna seduta. Non era minimamente cambiata.

Disse, con tono accusatorio: «Tu ed io all’inizio non ci conoscevamo, ma una volta ci siamo incontrati per caso alla luce delle lanterne; ero grata per la tua considerazione, sono stata da subito al tuo servizio dandoti tutto il mio corpo e il mio cuore, arrivavo al crepuscolo e me ne andavo al mattino. Tu sei stato gentile. Come mai hai creduto alle parole di quello stregone taoista e ti sei subito insospettito? Desideravi quindi porre fine a tutto questo? Ah, come sei sfortunato! Il mio rancore nei tuoi confronti è profondo. Per fortuna ci siamo potuti incontrare oggi, così non ci separeremo mai più!».
Così prese la mano di Sei e lo trascinò davanti alla bara, che in un istante si aprì da sola. Abbracciandosi, entrarono insieme. La bara si richiuse. Sei alla fine morì.

Artist Ricardo Fernandez Ortega

Il vicino, insospettitosi poiché Sei non era tornato a casa, chiese di lui in lungo e in largo. Arrivato nella stanza al centro del tempio in cui si trovava la bara, vide che da essa sbucavano gli indumenti di Sei. Chiese al monaco del tempio e, dopo aver aperto la bara, vide che era ormai morto da tempo. Giaceva riverso sul cadavere di una donna. Il volto di lei sembrava quello di una persona ancora in vita.
Il monaco disse sospirando: «Questa è la figlia del signor Fu, un magistrato della regione Hōka. Morì a diciassette anni. Era stata messa qui in via provvisoria, tutta la famiglia si è diretta a nord ma non ha più comunicato nulla. Non avrei mai pensato potesse fare qualcosa di così mostruoso».
Poi portò la bara e il cadavere di Sei all’esterno del porticato e li seppellì.

Da quel momento, nei giorni oscurati dalle nubi o nelle sere buie senza luna, si potevano spesso vedere Sei e la donna camminare tenendosi per mano, mentre una domestica davanti a loro indicava la strada tenendo una lanterna doppia decorata con fiori di peonia. Chiunque li incontrasse si ammalava gravemente, manifestando l’uno dopo l’altro brividi di freddo e febbre. Per raccomandazione, mediante atti di carità, o per cerimonia religiosa, mediante offerte di viveri alle divinità, chiedevano la guarigione. Se non l’avessero fatto, sarebbero certamente morti.
Gli abitanti erano molto arrabbiati. Spingendosi l’un l’altro, si recarono al tempio Genmyō e si rivolsero al monaco Gi.
Egli disse: «I miei amuleti sono efficaci solo con avvenimenti non ancora accaduti. Lama-portraitQuesta maledizione non rientra nella mia sfera di conoscenze. Ho sentito di un monaco di nome Tetsukan, che vive in cima al monte Shimei. Inquisisce gli spiriti e il suo metodo è miracoloso. Dovreste chiedere a lui».

La folla giunse subito al monte e, aggrappandosi a viticci di glicine per arrampicarsi, oltrepassando torrenti, arrivò senza indugio alla vetta. Come annunciato, c’era una sola capanna dal tetto di paglia. Il monaco sedeva appoggiato a un tavolo, osservando un ragazzino che ammaestrava una gru. La folla si radunò nei pressi della capanna per annunciare la ragione della visita.
Il monaco disse: «Vivo da eremita in queste montagne, potrei essere sul punto di morire in ogni momento. Non avreste dovuto sapere nulla su di me. Avete frainteso». Li respinse molto severamente.
Allora essi risposero: «In principio non sapevamo nulla, è stato il monaco Gi del tempio Genmyō a informarci».

Inizialmente poco convinto, il monaco disse: «Sono ormai sessanta anni che non scendo dalle montagne. Quel tizio ha la lingua troppo lunga, mi dà fastidio».
Così, con passo svelto, scese dal monte con il ragazzino e arrivò velocemente all’ingresso ovest del tempio. Preparò un altare di nove metri quadri di grandezza, si sedette accuratamente, scrisse un talismano e lo bruciò.
Subito una moltitudine di alti ufficiali, con copricapo gialli e indumenti di broccato, armature d’oro e lance intagliate, di oltre tre metri di altezza, si innalzò ai piedi dell’altare. Si inchinarono e chiesero ordini. Avevano un aspetto molto solenne.



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view post Posted on 25/1/2024, 17:40     Top   Dislike
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Il monaco disse: «Nelle vicinanze ci sono degli spiriti malvagi che compiono disgrazie e spaventano gli abitanti. Come mai non lo sapevate? Trovateli in fretta e portateli qui». Ricevettero gli ordini e andarono.
Immediatamente giunsero la donna e Sei, insieme fianco a fianco, e poi Kinren, tutti tenuti sotto controllo con delle catene. Perdevano sangue mentre venivano frustati. Il monaco li fece torturare a lungo, poi fece loro deporre una confessione scritta. Il fantasma-lanternacomandante degli ufficiali diede loro carta e pennello e fece scrivere a ciascuno 100 caratteri. Le confessioni erano, in breve, le seguenti.

Sei Kyō confessò dicendo: «Desidero ammettere le mie colpe. Vivevo da solo dopo aver perso mia moglie, stavo in piedi vicino al cancello e, violando l’ammonimento alla lussuria, mi sono fatto trasportare dai miei desideri. Non sono stato in grado di seguire l’esempio di Sonsei, che vide la serpe a due teste e prese una decisione risoluta. Ho fatto invece come Teishi, che incontrò e amò una volpe a nove code. Arrivati a questo punto, pur pentendosi, non c’è stato più nulla da fare».

La signorina Fu confessò dicendo: «Desidero ammettere le mie colpe. Ho lasciato questo mondo in giovinezza, in pieno giorno e in solitudine. Benché separata da sei parti della mia anima, la settima parte non si era ancora estinta. Alla luce delle lanterne, sotto la luna, tra la gente di questo mondo, ho incontrato il mio amato, predestinato a un amore felice di 500 anni. Abbiamo scritto una storia d’amore raffinata come fa tanta gente. Avendo smarrito la via del ritorno, com’era possibile fuggire dai propri peccati?».

Kinren confessò dicendo: «Desidero ammettere le mie colpe. Con un fascio di erba fu fatta l’ossatura, con della stoffa tinta il corpo. Fu messa presso la bara. Chissà chi fu incaricato di fare la bambola. Il viso era come quello di un essere umano, ma il corpo era piccolo. Avendo già un nome, poteva mancare di uno spirito? Perciò ero in grado anche di ingannare. Ah, non pensavo proprio di diventare uno spettro!».

Finite le confessioni, il comandante le prese e le diede in offerta. Il monaco scrisse la sentenza con un enorme pennello: «Pare che, quando Yu il Grande forgiò i calderoni, gli spiriti maligni non riuscirono più a fuggire. Onkyō bruciò un corno di rinoceronte e gli apparvero gli spiriti delle acque, abitanti del regno Ryūgū. Riflettendoci, il regno dei morti presenta luoghi di atmosfere differenti. Le sciagure sono molteplici e imbattersi in esse non giova agli uomini, provoca dei danni. Shinkei oltrepassò il cancello degli spiriti maligni e morì, mentre Seijō morì al canto del Maiale. Quando succede una disgrazia c’è uno spirito maligno, quando accade una sventura appare uno spettro. Pertanto, in Cielo sono stati predisposti dei messaggeri incaricati di punire le ingiustizie, agli Inferi marciano i controllori che castigano il male. Non si possono tollerare le maledizioni degli spiriti maligni, non si può lasciare che Yasha e Rasetsu commettano violenze a proprio piacimento.

festival-lanterne

«In questa epoca di pace ancora di più, essi mutano forma, si trasferiscono nelle piante; nelle sere buie o piovose, quando la luna tramonta e brilla solo la stella San, si sentono voci di lamento provenire dalle travi del tetto, ma sbirciando in quella stanza non si vede nulla; sono risoluti come una pecora e bramosi come un lupo, hanno potenza simile a un vortice e la violenza di un incendio. Il signor Sei, quando era in vita, non comprese la situazione e nemmeno nella morte ha trovato la salvezza. La signorina Fu, seppur morta, si è abbandonata alla lussuria ed è semplice immaginare come fosse quando era in vita. E Kinren, divenuta spettro e fingendo di poter prendere in prestito la statuetta funebre, ha confuso la società, imbrogliato il popolo e violato la legge non mantenendo l’ordine. La volpe placidamente cerca la sua compagna, la quaglia agendo precipitosamente non ottiene nulla. I peccatori sono già molti, le accuse imperdonabili. Allora colmate la fossa che trae in inganno gli uomini, sconfiggete i nemici che confondono l’anima. Bruciate la lanterna e fatevi scortare agli Inferi».

Quando il verdetto fu pronto, il comandante lo ricevette e fece sì che fosse subito rispettato.
Così i tre se ne andarono, condotti dal comandante, tra le lacrime. Il monaco si scrollò le maniche e tornò sulle montagne.
Il giorno successivo gli abitanti si recarono da lui per ringraziarlo, ma non lo trovarono. Era rimasta solo la capanna dal tetto di paglia. Allora andarono velocemente al tempio Genmyō per rivolgersi al monaco Gi, ma non poterono chiedere nemmeno a lui, poiché era diventato muto e non poté dire più una sola parola.

(Qu You, Jiandeng xinhua)


https://lartedeipazzi.blog/2018/12/15/cina...iori-di-peonia/
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