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| Le tensioni internazionali peseranno sui risultati della Cop 27. La stabilità geopolitica è infatti una condizione necessaria per progressi concreti sui cambiamenti climatici. Poco ottimismo anche sulla questione dei finanziamenti per la mitigazione.
Nuove preoccupazioni geopolitiche
Un mondo distratto da altri e più pressanti problemi si avvicina al ventisettesimo appuntamento del negoziato sui cambiamenti climatici, previsto tra pochi giorni a Sharm el-Sheikh sulle sponde del Mar Rosso. La Cop27 in Egitto cade a 30 anni esatti dalla Conferenza Onu di Rio de Janeiro e dalla firma della Convenzione quadro sui cambiamenti climatici (Unfccc), a 7 anni dall’Accordo di Parigi (2015, Cop21) e un anno dopo la Cop26 di Glasgow che avevamo lasciato con qualche speranza, alimentata dall’attenuarsi dell’emergenza pandemica. Ma da allora è successo di tutto, oltre l’immaginabile.
La stabilità geopolitica, condizione necessaria per progressi concreti sul fronte del clima che cambia, è svanita praticamente in tutto il globo. L’inqualificabile aggressione russa dell’Ucraina ha provocato effetti che si riverberano su tutti i quadranti geografici e su tutte le questioni economiche e politiche, a partire dall’Europa, il continente tradizionalmente più avanzato e determinato nel contrastare i cambiamenti climatici, ora afflitta da problemi di sicurezza degli approvvigionamenti energetici (di una fonte fossile come il gas), dallo shock ai prezzi dell’energia che alimentano un’inflazione dimenticata da decenni e dal rischio di recessione. Ma anche gli Stati Uniti hanno problemi di inflazione contrastati da consistenti rialzi dei tassi d’interesse e messi in tensione non solo da Vladimir Putin, ma soprattutto da Xi Jinping ringalluzzito nelle sue mire su Taiwan. Questo fatto destabilizza l’intero continente asiatico, mentre le carenze di materie prime e il rialzo dei prezzi del grano minacciano anche i paesi poveri, a cominciare dall’ospite della kermesse climatica, l’Egitto. La stessa parola d’ordine scelta dagli ospiti di questa “African Cop”, Together for implementation (Insieme per l’attuazione), suscita non poche perplessità, dal momento che siamo ancora ampiamente dentro la sfera delle parole, più che in quella dei fatti.
A che punto siamo sulla mitigazione
Sul fronte della mitigazione, ricordiamo che l’Accordo di Parigi del 2015 è basato sulle dichiarazioni volontarie dei singoli paesi, note come Nationally Determined Contributions (Ndc). Vanno aggiornate con cicli quinquennali per renderle più stringenti (“ambiziose”) e avvicinarle sempre più all’obiettivo di +2°C, meglio ancora +1,5°C. La Cop26 di Glasgow è stata la prima occasione per la presentazione delle Ndc riviste, ma con esito insufficiente, tanto da condurre all’approvazione formale del Glasgow Climate Pact che richiede ai paesi partecipanti di rivedere le proprie Ndc entro l’anno o comunque prima di Cop27 allineando i propri obiettivi a quelli consistenti con il target di Parigi. La proiezione di aumento di temperatura implicito nelle Ndc presentate a Glasgow pongono il termometro a +2,5°C circa secondo un rapporto Onu appena pubblicato. L’analisi aggiornata indica che gli impegni attuali portano a un aumento delle emissioni del 10,6 per cento al 2030 (rispetto ai livelli 2010), che è comunque meglio del 13,7 per cento previsto lo scorso anno. Le emissioni effettive post-Covid sono però rimbalzate (vedi figura 1) rendendo l’obiettivo Net Zero Emissions al 2050 sempre più difficile da centrare.
Sta di fatto che al termine del 23 settembre scorso, fissato dall’Onu in vista di Cop27, dai 193 “Parties” dell’Accordo di Parigi erano state presentate solo 24 nuove o aggiornate Ndc: un risultato sicuramente insoddisfacente, che non fa che confermare la generale distrazione rispetto al tema della mitigazione dei cambiamenti climatici.
segue La questione dei finanziamenti
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