IL FARO DEI SOGNI

Categoria:Gruppi etnici in Croazia

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Pagine nella categoria "Gruppi etnici in Croazia"

Questa categoria contiene le 15 pagine indicate di seguito, su un totale di 15.
A

Arbanasi (gruppo etnico)

B

Bosgnacchi
Bunjevci

C

Cechi
Croati

D

Dalmati italiani

I

Istrorumeni
Italiani di Croazia

M

Magiari
Montenegrini
Morlacchi

R

Russini

S

Serbi
Slovacchi
Sloveni





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Arbanasi (gruppo etnico)


Gli Arbanasi sono una popolazione di lingua albanese e prevalentemente di religione cristiana cattolica stanziata a partire dal 1700 nella circoscrizione di Borgo Erizzo della città di Zara in Croazia.





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Bosgnacchi

I bosgnacchi (in bosniaco: bošnjaci) costituiscono un gruppo etnoreligioso slavo meridionale e slavo musulmano stanziato prevalentemente nella Bosnia ed Erzegovina e nel Sangiaccato, oltre a costituire una minoranza nel Kosovo. Discendono dalle popolazioni di lingua serbo-croata convertitesi all'islam a partire dal XIV secolo. I bosgnacchi, assieme a croato-bosniaci e serbo-bosniaci, sono uno dei tre popoli costitutivi della Bosnia ed Erzegovina. Il termine non va confuso col termine bosniaci, etnonimo che fa riferimento a tutti i cittadini della Bosnia ed Erzegovina a prescindere dall'appartenenza etnoreligiosa. L'identità bosgnacca emerse solo a partire dalla seconda metà del XX secolo e si rafforzò in occasione della guerra in Bosnia ed Erzegovina; fino ad allora i membri di questa comunità si identificavano semplicemente come slavi musulmani.
Caratteristiche
Aree a maggioranza slava musulmana nel 2010. A causa della pulizia etnica durante le guerre jugoslave, i bosgnacchi sono stati espulsi da ampie aree (Bosnia orientale e Vrbas) in cui erano maggioranza fino al 1990.

I bosgnacchi sono i discendenti delle popolazioni balcaniche convertitesi all'islam durante il periodo ottomano; i bosgnacchi si caratterizzano per la loro cultura, per il legame alla regione storica della Bosnia e per la religione musulmana; la lingua - nonostante le diverse denominazioni ufficiali - è invece condivisa con i croati e i serbi, con i quali i bosgnacchi costituiscono un continuum dialettale.

Al momento nei Balcani vivono più di due milioni di bosgnacchi. Mentre una volta erano variamente diffusi nelle regioni in cui abitavano, numerosi fenomeni di pulizia etnica hanno avuto un notevole effetto sulla distribuzione territoriale di questa popolazione. Anche a causa di questo si possono trovare numerose comunità bosgnacche in Paesi non balcanici, tra cui l'Austria, la Svezia, la Turchia e gli Stati Uniti d'America. Sia in patria sia all'estero i bosgnacchi si distinguono spesso per la loro cultura, che ha subito influenze tanto orientali quanto occidentali.

Ci si riferisce spesso ai bosgnacchi come bosniaci o bosniaci musulmani. Il termine bosniaco può generare confusione, potendo essere utilizzato per definire tutti i cittadini della Bosnia-Erzegovina. Il termine bosniaco musulmano è considerato antiquato e parzialmente offensivo a causa delle sue implicazioni religiose e della lotta compiuta dai bosgnacchi per essere riconosciuti come popolo a sé stante.
Bosgnacchi di origine neolatina

Era numerosa la presenza di popolazioni neolatine (Arumeni) in Bosnia prima dell'arrivo dei turchi, specialmente vicino all'Erzegovina. Ancora ai primi del XX secolo le montagne a nord di Saraievo venivano chiamate Romanska (oggi regione della Sarajevo-Romanija). Molti di questi popoli aderirono all'islam nel Seicento e Settecento, diventando una parte consistente della popolazione bosgnacca.[senza fonte]
Lingue
Lo stesso argomento in dettaglio: Lingua bosniaca.

I bosgnacchi parlano la lingua bosniaca. Il bosniaco "ufficiale" (ossia quello prevalentemente usato nella comunicazione pubblica) si differenzia solo leggermente dal serbo e dal croato. Inoltre le differenze tra le diverse parlate delle comunità bosgnacche e delle limitrofe comunità croate e serbe sono quasi inesistenti: per questo in generale la linguistica riconosce un continuum, con tre macro-varianti ciacavo, caicavo e stocavo, ove nell'ultima rientrano oltre al serbo e al croato anche tutte le varietà bosniache. In generale le principali caratteristiche proprie delle parlate bosniache rispetto a quelle dei territori confinanti sono costituite dagli orientalismi dovuti all'influsso ottomano e islamico, ma la loro presenza nella lingua letteraria è marginale.

A livello di lingua colloquiale i bosgnacchi sono linguisticamente più omogenei rispetto ai serbi e ai croati, ma non sono ancora riusciti, a causa delle vicende storiche, a sistematizzare ufficialmente la loro lingua.[senza fonte] Difatti, anche se il primo dizionario bosniaco è stato redatto da Muhamed Hevaji Uskufi già agli inizi del XVII secolo, i bosgnacchi hanno avuto per secoli due propri alfabeti senza che vi fosse l'ufficializzazione dell'uno o dell'altro. Nel corso dell'ultimo secolo l'alfabeto latino ha di fatto soppiantato quello cirillico. Un primo alfabeto in uso in passato era il begovica, derivato dal locale alfabeto cirillico, rimasto in uso presso la nobiltà locale; un secondo era l'arebica, versione dell'alfabeto arabo modificata dai bosniaci, in uso da tutte le persone alfabetizzate fino al XX secolo. Entrambi questi alfabeti sono oggi praticamente morti, essendo utilizzati esclusivamente da una ristrettissima minoranza.
Religione
Caratterizzazione dei vari comuni in base alla religione maggiormente professata dai relativi abitanti

La maggior parte dei bosgnacchi della Bosnia ed Erzegovina si riconosce nella versione sunnita dell'Islam e il sufismo ha rivestito un ruolo di una certa importanza nella regione.
Onomastica
Bosgnacchi dell'Ottocento

I cognomi bosgnacchi, com'è tipico tra gli Slavi del Sud, finiscono spesso in -(ov)ić (questo è un patronimico e ha lo stesso ruolo del suffisso -son in alcuni cognomi germanici, come Johnson, Wilson od Eriksson, o del prefisso De in italiano), e spesso sono formati dal nome del fondatore della famiglia seguito da un titolo o da una professione orientale, seguiti dal suffisso -(ov)ić. Si possono citare come esempi il cognome Izetbegović (figlio di Izet bey) e Hađiosmanović (figlio di Osman Hađi). Altre variazioni includono cognomi che menzionano solo il nome, come Osmanović (figlio di Osman), o esclusivamente la professione, come nel caso di Imamović (figlio dell'Imam).

Alcuni cognomi bosgnacchi, invece, non hanno nulla di orientale, sebbene finiscano in -(ov)ić. Questi sono probabilmente rimasti identici sin dai tempi medievali e appartengono generalmente all'antica nobiltà bosniaca o ai più recenti convertiti all'Islam. Alcuni esempi sono i cognomi Tvrtković e Kulenović.

Alcuni cognomi che non finiscono in -(ov)ić sono generalmente derivati da luoghi d'origine, occupazioni o da vari altri fattori nelle storie delle famiglie. Ne sono esempi i cognomi Zlatar, Foćo o Tuco.

I nomi di persona bosgnacchi hanno generalmente radici arabe, turche o persiane. I nomi slavi (come Zlatan) sono diffusi tra le famiglie non religiose. È notevole che alcuni dei nomi orientali siano stati modificati per creare dei nomi genuinamente bosgnacchi, mentre alcuni nomi arabi sono stati abbreviati. Il più famoso esempio di ciò sono le caricature di bosgnacco Mujo e Suljo, i cui nomi sono le abbreviazioni bosgnacche dei nomi Mustafà e Sulejman.

È ancora più diffusa la trasformazione di nomi che in arabo o in turco si attribuiscono esclusivamente ai membri di un sesso per utilizzarli con i membri dell'altro sesso. Semplicemente eliminando la lettera "a" dal nome femminile Jasmina si è creato il popolare nome maschile Jasmin. Allo stesso modo, aggiungendo la "a" al nome maschile Mahir è stato creato il femminile Mahira.



fonte https://it.wikipedia.org/wiki/Bosgnacchi

 
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Bunjevci


I bunjevci (singolare "Bunjevac"; [bugnèuzi]) sono un gruppo etnico slavo meridionale.

Originari dell'Erzegovina e della Dalmazia continentale, si stabilirono nelle Alpi Bebie (Regione della Lika e di Segna), sull'altopiano del Gorski Kotar, in Voivodina, e lungo il bacino del Tibisco. Durante e dopo le guerre tra cristiani e turchi, si stabilirono sulla vaste, in gran parte spopolate, regioni del centro e del nord della Dalmazia, Lika e la costa croata.

Oggi vivono nella regione della Bačka, divisa fra Serbia e Ungheria. Secondo gli ultimi censimenti sono circa 20 000 in Serbia e 1 500 in Ungheria.

Parlano un dialetto dello stocavo e sono membri della Chiesa cattolica romana.

Noti Bunjevci sono Antun Gustav Matoš, scrittore croato di fine '800, e Zvonko Bogdan, cantante folk serbo vivente.





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Cechi

I cechi (in ceco: Češi) sono un popolo slavo occidentale che abita principalmente nei territori della Repubblica Ceca, nell'Europa centrale. Minoranze di cechi abitano anche in Croazia, Slovacchia, Austria, Stati Uniti, Brasile, Canada, Germania, Russia e altre nazioni. Tale popolo parla la lingua ceca, che è strettamente imparentata con la lingua slovacca.

Così come per gli slovacchi, gli antenati dei cechi sono le tribù slave che abitarono le regioni della Boemia, della Moravia e della Slesia dal VI secolo in avanti.

Tra i re più importanti e influenti che governarono questa regione ci fu Carlo IV (Karel IV), che divenne anche imperatore del Sacro Romano Impero.

Molti eroi, principalmente il riformista religioso Jan Hus e il signore della guerra Jan Žižka, sono considerati eroi nazionali e sulle loro vite esistono molte leggende e storie a livello nazionale.

Esistono anche antiche storie popolari riguardo al popolo ceco, come l'Antenato Čech, che secondo la leggenda portò la tribù dei cechi nella sua terra, oppure quella di Přemysl, l'aratore che diede inizio alla dinastia che governò per 400 anni fino al 1306.

Il popolo ceco è anche molto orgoglioso dei santi di cultura ceca, principalmente San Venceslao, patrono della nazione, San Vito (cui è dedicata la cattedrale di Praga), San Giovanni Nepomuceno, San Procopio, Sant'Adalberto di Praga, Santa Ludmilla e Sant'Agnese di Boemia.
Cechi famosi

San Venceslao († probabilmente 935) - principe e patrone della Boemia
San Giovanni Nepomuceno († 1393) - santo
Jan Hus (1375-1415) - riformatore, teologo protestante
Comenio (1592-1670) - insegnante, scrittore, filosofo
Václav Hollar (1607-1677) - incisore
Jakub Jan Ryba (1765-1815) - compositore
Gregor Mendel (1822-1884) - biologo, matematico, monaco agostiniano
Bedřich Smetana (1824-1884) - compositore
Antonín Dvořák (1841-1904) - compositore
Tomáš Garrigue Masaryk (1850-1937) - filosofo, statista
Alfons Mucha (1860-1939) - pittore
Ema Destinnová (1878-1930) - cantante (opera lyrica)
Otto Wichterle (1913-1998) - chimico, inventore (lenti a contatto)
Emil Zátopek (1922-2000) - atleta (maratoneta)
Milan Kundera (1929-2023) - scrittore
Václav Havel (1936-2011) - dissidente, autore drammatico, presidente della Repubblica Ceca
Jan Kaplický (1937-2009) - architetto (soprattutto a Londra)
Jaromír Jágr (* 1972) - hockeista
Zdeněk Zeman (*1947) - allenatore
Pavel Nedvěd (* 1972) - calciatore
Petr Čech (* 1982) - calciatore




https://it.wikipedia.org/wiki/Cechi
fonte

 
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Croati

I croati (in croato Hrvati) sono un gruppo etnico appartenente ai popoli slavi meridionali, distribuito prevalentemente nella penisola Balcanica centro-occidentale, dove giunsero e s'insediarono stabilmente nell'Alto Medioevo, tra la fine dell'VIII secolo ed i primi anni del IX.

Etnia dominante della Croazia, formano importanti minoranze in Bosnia-Erzegovina (14,3%), Serbia (0,9%) e Slovenia (1,8%); gruppi storici di croati sono ufficialmente riconosciuti anche in Austria, Repubblica Ceca, Ungheria, Italia, Montenegro, Romania e Slovacchia. Inoltre, a causa della recente emigrazione (la cosiddetta "diaspora croata"), importanti comunità si ritrovano in Germania, nelle stesse Austria e Italia, Svizzera, Francia, nonché negli Stati Uniti, in Canada, Cile, Argentina e Australia.

I croati sono prevalentemente di religione cattolica romana e parlano il croato, riconosciuto come lingua ufficiale da Croazia e Bosnia-Erzegovina e come lingua minoritaria in Montenegro, Austria (Burgenland), Italia (Molise), Romania (Carașova, Lupac) e Serbia (Voivodina).



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Dalmati italiani
I dalmati italiani sono gli abitanti italiani autoctoni della Dalmazia, una regione storico-geografica adriatica che dagli anni novanta è compresa nei confini di Croazia, Bosnia-Erzegovina e Montenegro. All'inizio del XXI secolo sono ridotti ad alcune centinaia nella loro terra, a cui vanno ad aggiungersi diverse migliaia dell'esodo giuliano-dalmata, ma quest'ultimi ormai generalmente integratisi e assimilatisi nelle comunità d'adozione.
Nell'odierna Dalmazia sopravvivono comunità italiane di modesta entità numerica, divise tra gli Stati di Croazia e Montenegro, ultima testimonianza di una presenza bimillenaria di genti prima illirico-latine e poi neoromanze, che ha enormemente influenzato la regione e che ha le sue radici nelle popolazioni sopravvissute alle invasioni slave, o con quest'ultimi fusesi pur mantenendo caratteri distintivi propri.

Gli attuali dalmati italiani sono, infatti, gli ultimi epigoni dei latini e delle popolazioni che parlavano lingue neoromanze nella regione (lingua dalmatica), oltre che dei veneti e, in misura minore, dei pugliesi, marchigiani, romagnoli, friulani, toscani trapiantatisi nei territori adriatici d'oltremare della Repubblica di Venezia e della Repubblica di Ragusa.

Secondo il linguista Matteo Bartoli, all'inizio delle guerre napoleoniche (1803), l'italiano era l'idioma parlato come prima lingua da circa il 33% della popolazione dalmata[2][3]. Alle valutazioni di Bartoli si affiancano anche altri dati: Auguste de Marmont, il Governatore francese delle Province Illiriche commissionò un censimento nel 1809 attraverso il quale si scoprì che i dalmati italiani, concentrati soprattutto nelle città, costituivano oltre il 29% della popolazione totale della Dalmazia. La comunità italiana nel corso del XIX secolo era ancora consistente. Secondo il censimento austriaco del 1865 raggiungeva il 12,5% del totale nella regione: un dato inferiore al 20% stimato nel 1816[4].

Va notato come per secoli, almeno dall'inizio dell'età moderna e fino alla prima metà dell'800, tra molti dalmati ed in particolare tra la componente romanza o romanzizzata, si sviluppò un peculiare senso di appartenenza ed identità regionale, di dalmaticità. Tanto da poter parlare di nazione dalmata.

Con l'affermarsi del concetto di nazionalismo romantico e l'affiorare delle coscienze nazionali, cominciò il processo d'identificazione di singoli e comunità, e la lotta fra gli italiani e gli slavi per il dominio sulla Dalmazia.

La comunità italiana è stata praticamente cancellata da questo scontro fra opposti nazionalismi, che ha conosciuto diverse fasi:

Tra il 1848 e il 1918 l'Impero Austroungarico - in particolar modo dopo la perdita del Veneto a seguito della Terza guerra d'Indipendenza (1866) - favorì l'affermarsi dell'etnia slava per contrastare l'irredentismo (vero o presunto) della popolazione italiana. Nel corso della riunione del consiglio dei ministri del 12 novembre 1866 l'imperatore Francesco Giuseppe delineò compiutamente in tal senso un piano di ampio respiro:

Mappa della Croazia del 2011 indicante i residenti di madrelingua italiana per città e comuni, registrati al censimento ufficiale croato

«Sua Maestà ha espresso il preciso ordine che si agisca in modo deciso contro l'influenza degli elementi italiani ancora presenti in alcune regioni della Corona e, occupando opportunamente i posti degli impiegati pubblici, giudiziari, dei maestri come pure con l'influenza della stampa, si operi nel Tirolo del Sud, in Dalmazia e sul Litorale per la germanizzazione e la slavizzazione di detti territori a seconda delle circostanze, con energia e senza riguardo alcuno. Sua maestà richiama gli uffici centrali al forte dovere di procedere in questo modo a quanto stabilito.»

(Francesco Giuseppe I d'Austria, consiglio della Corona del 12 novembre 1866[5][6].)

A partire dal 1866 il nazionalismo croato, che puntava all'unificazione della Dalmazia all'interno dell'Impero col Regno di Croazia e Slavonia, cominciò quindi a raccogliere crescenti simpatie nell'establishment conservatore austriaco, che lo riteneva più fedele degli italiani al potere imperiale. La politica di collaborazione con i serbi locali, inaugurata dallo zaratino Ghiglianovich e dal raguseo Giovanni Avoscani, permise poi agli italiani la conquista dell'amministrazione comunale di Ragusa nel 1899. Nel 1909 la lingua italiana venne vietata però in tutti gli edifici pubblici e gli italiani furono estromessi dalle amministrazioni comunali[7]. Queste ingerenze, insieme ad altre azioni di favoreggiamento al gruppo etnico slavo ritenuto dall'impero più fedele alla corona, esasperarono la situazione alimentando le correnti più estremiste e rivoluzionarie.

Dopo la prima guerra mondiale le truppe italiane occuparono militarmente la parte della Dalmazia promessa all'Italia dal Patto di Londra, accordo segreto firmato il 26 aprile 1915, che venne stipulato tra il governo italiano e i rappresentanti della Triplice Intesa, con cui l'Italia si impegnò a scendere in guerra contro gli Imperi Centrali in cambio di cospicui compensi territoriali in seguito invece non completamente riconosciuti nel successivo trattato di Versailles, che fu firmato alla fine del conflitto[8]. La regione divenne quindi oggetto di un'aspra contesa e localmente si acuì all'estremo la tensione fra l'elemento italiano e la maggioranza slava. Con l'annessione della maggior parte della Dalmazia al Regno dei Serbi, Croati e Sloveni, si verificò l'esodo di una parte consistente degli italiani ed italofoni della Dalmazia verso Zara, Lagosta (annesse al Regno d'Italia) e verso l'Italia stessa. Ai rimasti - diverse migliaia[9] concentrati prevalentemente a Veglia[10], Sebenico, Spalato, Traù, Ragusa e in alcune isole - fu concesso il diritto di richiedere la cittadinanza italiana - rinunciando a quella jugoslava - a seguito del trattato di Rapallo (1920).
Per un breve periodo nel Regno d'Italia fu inserito il governatorato della Dalmazia (1941 - 1943), con tre province italiane: la provincia di Zara[11], la provincia di Spalato e la provincia di Cattaro.
Dopo la seconda guerra mondiale, tutta la Dalmazia, compresa Zara, fu annessa alla nuova Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia. La quasi totalità degli italiani prese la strada dell'esodo, che si svolse dal 1943 sino agli anni sessanta.

La comunità italiana in Dalmazia
Lo stesso argomento in dettaglio: Esodo giuliano dalmata.
Diminuzione dei dalmati italiani dall'Ottocento

La diminuzione degli Italiani venne registrata dalle statistiche ufficiali austriache dell'Ottocento, che rilevarono la lingua d'uso della popolazione, ovvero la lingua più spesso adoperata nel corso della giornata.
Divisione della Jugoslavia dopo la sua invasione da parte delle potenze dell'Asse.

Aree assegnate all'Italia (1941-1943): l'area costituente la provincia di Lubiana, l'area accorpata alla provincia di Fiume e le aree costituenti il governatorato di Dalmazia

Stato Indipendente di Croazia

Area occupate dalla Germania nazista

Aree occupate dal Regno d'Ungheria
Mappa del governatorato italiano della Dalmazia (1941-1943), con segnate la provincia di Zara (in verde), la provincia di Spalato (in arancio) e la provincia di Cattaro (in rosso scarlatto).

Secondo tali statistiche, la lingua italiana in Dalmazia era parlata nelle seguenti percentuali (escluse le isole quarnerine: Cherso, Lussino, Veglia)[12]:
Screenshot%202024-01-11%20at%2010-48-32%20Dalmati%20italiani%20-%20Wikipedia


L'asterisco * indica i censimenti nei quali venne rilevata sul campo la lingua d'uso. Gli altri dati sono invece contenuti negli annuari statistici dell'impero austriaco.

Per valutare la variazione del numero dei dalmati italiani sono indicativi alcuni dati locali relativi alla lingua d'uso in municipalità specifiche[13]:

Comune di Veglia
1890: italiana 1 449 (71,1%), serbo-croata 508 (24,9%), tedesca 19, slovena 16, altre 5, totale 2 037
1900: italiana 1 435 (69,2%), serbo-croata 558 (26,9%), tedesca 28, slovena 22, totale 2 074
1910: italiana 1 494 (68%), serbo-croata 630 (28,7%), tedesca 19, slovena 14, altre 2, stranieri 37, totale 2 196
Comune di Zara
1890: italiana 7 672 (27,2%), serbo-croata 19 096 (67,6%), tedesca 568, altre 180, totale 28 230
1900: italiana 9 234 (28,4%), serbo-croata 21 753 (66,8%), tedesca 626, altre 181, totale 32 551
1910: italiana 11 552 (31,6%), serbo-croata 23 651 (64,6%), tedesca 477, altre 227, stranieri 688, totale 36 595
Città di Zara
1890: italiana 7 423 (64,6%), serbo-croata 2 652 (23%), tedesca 561, altre 164, totale 11 496
1900: italiana 9 018 (69,3%), serbo-croata 2 551 (19,6%), tedesca 581, altre 150, totale 13 016
1910: italiana 9 318 (66,3%), serbo-croata 3 532 (25,1%), tedesca 397, altre 191, stranieri 618, totale 14 056
Città di Sebenico
1890: italiana 1 018 (14,5%), serbo-croata 5 881 (83,8%), tedesca 17, altre 5, totale 7 014
1900: italiana 858 (8,5%), serbo-croata 9 031 (89,6%), tedesca 17, altre 28, totale 10 072
1910: italiana 810 (6,4%), serbo-croata 10 819 (85,9%), tedesca 249 (2%), altre 129, stranieri 581, totale 12 588
Città di Spalato
1890: italiana 1 969 (12,5%), serbo-croata 12 961 (82,5%), tedesca 193 (1,2%), altre 63, totale 15 697
1900: italiana 1 049 (5,6%), serbo-croata 16 622 (89,6%), tedesca 131 (0,7%), altre 107, totale 18 547
1910: italiana 2 082 (9,7%), serbo-croata 18 235 (85,2%), tedesca 92 (0,4%), altre 127, stranieri 871, totale 21 407
Comune di Ragusa
1890: italiana 356 (3,2%), serbo-croata 9 028 (80,8%), tedesca 273 (2,4%), altre 79, totale 11 177
1900: italiana 632 (4,8%), serbo-croata 10 266 (77,8%), tedesca 347 (2,6%), altre 306, totale 13 194
1910: italiana 486 (3,4%), serbo-croata 10 879 (75,7%), tedesca 558 (3,9%), altre 267, stranieri 2 177, totale 14 367
Città di Ragusa
1890: italiana 331 (4,6%), serbo-croata 5 198 (72,8%), tedesca 249 (3,5%), altre 73, totale 7 143
1900: italiana 548 (6,5%), serbo-croata 6 100 (72,3%), tedesca 254 (3%), altre 247, totale 8 437
1910: italiana 409 (4,6%), serbo-croata 6 466 (72,2%), tedesca 322 (3,6%), altre 175, stranieri 1 586, totale 8 958
Città di Cattaro
1890: italiana 623 (18,7%), serbo-croata 1 349 (40,5%), tedesca 320 (9,6%), altre 598, totale 3 329
1900: italiana 338 (11,2%), serbo-croata 1 498 (49,6%), tedesca 193 (6,4%), altre 95, totale 3 021
1910: italiana 257 (8%), serbo-croata 1 489 (46,8%), tedesca 152 (4,8%), altre 73, stranieri 1 207, totale 3 178

In altre località dalmate, stando ai censimenti austriaci, gli italiani conobbero una diminuzione ancor più repentina: nel solo ventennio 1890-1910, nel comune di Arbe passarono da 225 a 151, a Lissa da 352 a 92, a Pago da 787 a 23, a Risano da 70 a 26, sparendo completamente in quasi tutte le località dell'entroterra.
I dalmati italiani nel XXI secolo

La comunità italiana in Dalmazia, secondo i censimenti del 2011, è costituita da 349 residenti in Croazia[14] e da 135 residenti in Montenegro[15][16].

Questo numero sale per la Croazia a circa 1 500, considerando i dati forniti dalle locali Comunità degli Italiani e a circa 450 nella costa del Montenegro[17].

La comunità del Montenegro, concentrata principalmente a Cattaro e Perasto, discende direttamente dai Veneti della storica Albania veneta e rappresenta il gruppo italiano più forte in Dalmazia. Si stima però che nella Dalmazia croata il numero effettivo sia maggiore, in quanto esiste tuttora un diffuso timore nel dichiararsi italiani[18]. Inoltre le giovani e medie generazioni, spesso cresciute in famiglie miste, tendono a conformarsi ed assimilarsi alla maggioranza, di conseguenza l'età media degli italiani e italofoni autodichiaratisi tali è particolarmente elevata.

A seguito del crollo del regime comunista e alla dissoluzione della Jugoslavia, si è verificato un timido risveglio dell'identità degli ultimi italiani che hanno costituito delle Comunità italiane a Zara, Spalato, Lesina, quelle dell'area quarnerina a Cherso, Lussinpiccolo, Veglia e quella in Montenegro[19]. A Spalato è presente inoltre il Centro Ricerche Culturali Dalmate che nasce nel 2007 con lo scopo di occuparsi di storia e cultura dalmata, con la sua specifica matrice culturale latina e veneta. Più a sud a Ragusa esiste una comunità non ufficiale di italiani che fa riferimento al locale Vice Consolato Onorario d'Italia (il cui responsabile è un raguseo italiano) (ed alla Società Dante Alighieri), mentre a Sebenico i pochissimi (qualche decina) italiani sono iscritti alla Comunità della vicina Spalato. In Montenegro, a Perasto, recentemente è stato creato il gruppo "Amici di Perasto", a ricordo del fatto che i perastini erano i custodi del Gonfalone di Venezia fino al 1797.

In Dalmazia opera la Società Dante Alighieri importante istituzione culturale italiana che ha lo scopo di tutelare e diffondere la lingua e la cultura italiana nel mondo. È presente con quattro sedi: Zara, Spalato, Ragusa e Cattaro.

Il Ministero dell'istruzione croato, dopo un travagliato iter durato alcuni anni, ha autorizzato dall'anno scolastico 2009/2010 l'apertura di una sezione in lingua italiana in uno degli asili di Zara, a causa delle resistenze dell'amministrazione e di parte dell'opinione pubblica locali, l'asilo italiano "Pinocchio" di Zara è stato inaugurato appena nel 2013[20].
Italofoni nell'odierna Dalmazia croata

Secondo il censimento del 2011 i dalmati italiani sono in leggero incremento, dai 304 censiti nel 2001 ai 349 del 2011. A questi si aggiungono 705 abitanti che si dichiarano genericamente dalmatini, ossia popolazione mistilingua[21].

Abitanti censiti (migliaia)[22]

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Il problema dell'identificazione nazionale
Lo stesso argomento in dettaglio: Croatizzazione.
Il dalmata italiano Francesco Patrizi, il cui nome è stato croatizzato in Frane Petrić

La moderna storiografia croata è tuttora affetta da pregiudizi che hanno le loro radici nei conflitti nazionali del XIX secolo. In Croazia non si riconosce una presenza autoctona italiana, né presente, né passata. Si sostiene che la Dalmazia fosse già totalmente croatizzata sin dall'Alto Medioevo e che la successiva presenza italiana (ritenuta peraltro limitata) sarebbe esclusivamente dovuta a emigrazioni straniere (prevalentemente veneziani) o all'italianizzazione dell'elemento slavo locale. I dalmati sarebbero dunque da considerarsi tutti croati e gli italiani di Dalmazia dei "croati italianizzati", compresa la totalità dei letterati dalmati, presentati come "scrittori croati in lingua italiana".[senza fonte]

L'evidenza storica della presenza romanza dopo le invasioni barbariche viene ammessa, ma si sostiene però che queste popolazioni, parlanti la lingua dalmatica, non sarebbero state connesse con gli italiani e si sarebbero successivamente assimilate ai croati. Gli effetti di queste teorie sono visibili nella storiografia croata, che spesso è purgata di qualsiasi riferimento all'Italia e agli italiani, così come sono state ricostruite a posteriori le storie nazionali di tutti i dalmati famosi, inseriti nell'alveo della storia croata: il filosofo di Cherso Francesco Patrizi è stato ribattezzato Frane Petrić, lo scrittore di Lesina Giovanni Francesco Biondi, oggi in Croazia è noto come Ivan Franjo Bjundović, e l'architetto e scultore fiorentino Niccolò di Giovanni Fiorentino, che lavorò prevalentemente in Dalmazia, oggi è identificato come Nikola Firentinac, ipotizzandone la sua ascendenza croata.[senza fonte]


https://it.wikipedia.org/wiki/Dalmati_italiani
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Istrorumeni



Gli istrorumeni (in istrorumeno rumeri o rumâri; in croato Istrorumunji, Ćiribirci o Ćići) sono un gruppo etnico d'origine rumena stanziato nell'Istria croata. Gli istrorumeni sono circa un migliaio, esclusa la diaspora.[1] Si dividono in due rami principali: gli istroromeni del nord, detti anche Cici, stanziati nella Cicceria, maggioritari nell'insediamento di Seiane; e gli istroromeni del sud, stanziati in Valdarsa, ai piedi del Monte Maggiore (insediamenti di Susgnevizza, Villanova). Gli istroromeni del sud nella letteratura e nella pubblicistica vengono spesso erroneamente chiamati Ciribiri: in realtà con il termine "ciribiri" gli alloglotti dei paesi circostanti indicano la lingua parlata dagli istroromeni e non la popolazione. A questi due gruppi oggi si deve aggiungere un gruppo di 300/400 persone che vivono a New York in seguito alla diaspora sopravvenuta dopo la seconda guerra mondiale, oltre ad altre persone disperse per tutto il mondo.

Storia
Villaggi popolati da Istrorumeni nel 1800, 1900 e 2000
Aree popolate dagli Istrorumeni in Istria: linea verde nel 1810, tratteggiato verde nel 1920

Nel XV secolo gruppi di pastori parlanti lingue del gruppo rumeno si trasferirono nella lontana Istria sfuggendo le invasioni ottomane nei Balcani. Alcuni linguisti (Densusianu e Neiescu) credono che originariamente siano migrati dall'area di Alba Iulia in Romania e che intorno al 1420 si siano insediati intorno al monte Maggiore, in aree istriane spopolate dalle epidemie. Anche molti profughi morlacchi ed uscocchi, in concomitanza con l'avanzata dei Turchi nei Balcani, ripararono nella penisola istriana, dopo lo spopolamento dell'Istria determinato dalle terribili pestilenze degli anni 1427, 1437, 1465 e 1466. Questi pastori e profughi si mescolarono con i pochi croati sopravvissuti in Istria e crearono il popolo istrorumeno. Ervino Curtis scrive a proposito:

«le documentazioni, ora molto precise, attestano una molteplicità di insediamenti di popolazioni che vengono denominate morlacche, valacche ed uscocche durante il XVI secolo in quasi tutte le località interne dell'Istria con particolare densità nelle zone di Seiane e Mune e nella zona sotto il Monte Maggiore a Valdarsa»

(da: La lingua, la storia, la tradizione degli istroromeni di Ervino Curtis.)

Gli istrorumeni (detti anche "Cici") popolavano vaste aree dell'Istria nel XIX secolo, ma hanno subito un'assimilazione linguistica da parte della maggioranza slava. Ancora oggi una vasta area dell'Istria tra Trieste e Fiume si chiama Cicceria. L'area abitata dal popolo istrorumeno si è via via ridotta fino a ridursi al villaggio di Seiane e ad alcuni villaggi della val d'Arsa.

Nel breve periodo (1918 - 1943) sotto il Regno d'Italia, in cui si creò il comune istrorumeno di Valdarsa e si aprì una scuola in lingua istroromena, la popolazione che si dichiarava istrorumena aumentò fino a circa 4000 persone. Andrea Glavina, il primo sindaco di Valdarsa, fu il principale promotore della rinascita dei Cici in quegli anni: nel 1905 pubblicò il "Calendario lu Rumen din Istria", dove raccolse vocaboli, proverbi e racconti in uso tra i Cici per tramandarne la memoria.

A Trieste abitano circa 300 esuli istrorumeni ed esiste dal 1994 un'associazione, intitolata ad Andrea Glavina, a tutela di questa etnia neolatina che fino all'Ottocento popolava una buona parte dell’attuale Istria croata.
Lingua
Lo stesso argomento in dettaglio: Lingua istrorumena.

L'istroromeno è una lingua non scritta: non esistendo una tradizione scritta, non esiste neppure un alfabeto codificato e accettato unanimemente da tutti gli studiosi. Chi ritiene che l'istroromeno sia un dialetto romeno, in genere preferisce il metodo di scrittura fissato dall'Atlasul lingvistic român. Ma accade anche che gli studiosi croati e quelli italiani usino scritture lievemente diverse, con segni diacritici diversi. Del resto, pur essendo leziosa la distinzione tra lingua e dialetto, talvolta si preferisce definire l'istroromeno una lingua piuttosto che un dialetto, in considerazione dei molti secoli trascorsi senza contatti con gli altri dialetti romeni.





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Italiani di Croazia


Gli Italiani di Croazia (in croato Talijani u Hrvatskoj) sono una minoranza nazionale[3] di lingua italiana riconosciuta in Croazia, rappresentata dall'Unione Italiana. La comunità italiana in Croazia è formata prevalentemente da autoctoni (istriani autoctoni di lingua italiana), specie nell'Istria croata, ma anche da espatriati, specialmente nella capitale (Zagabria), mentre nelle città della costa adriatica, soprattutto a Fiume e a Pola, è costituita da comunità autoctone di lingua italiana.
Storia
Lo stesso argomento in dettaglio: Esodo giuliano dalmata.
Bandiera della minoranza italiana nella Jugoslavia socialista.[4]

Gli Italiani in Croazia rappresentano una minoranza residuale di quelle popolazioni italiane autoctone che abitarono per secoli ed in gran numero, le coste dell'Istria e le principali città di questa, le coste e le isole della Dalmazia, e il Quarnaro, che erano territori della Repubblica di Venezia. Negli ultimi due secoli vi si sono trasferiti anche alcuni italiani dalla penisola italiana, come nel caso di emigranti pugliesi a Ragusa e trentini a Požega.

Dopo la conquista di Napoleone e la sua donazione dei territori appartenuti all'antica Repubblica veneziana all'Impero asburgico, queste popolazioni italiane dovettero subire il potere austro-ungarico. Col risveglio delle coscienze nazionali (seconda metà del XIX secolo), cominciò la lotta fra italiani e slavi per il dominio sull'Istria e Dalmazia. La comunità italiana in Dalmazia venne quasi cancellata da questo scontro fra opposti nazionalismi. Tra il 1848 e il 1918 l'Impero Austroungarico - in particolar modo dopo la perdita del Veneto a seguito della Terza guerra d'Indipendenza (1866) - favorì l'affermarsi dell'etnia slava per contrastare l'irredentismo (vero o presunto) della popolazione italiana. Nel corso della riunione del consiglio dei ministri del 12 novembre 1866 l'imperatore Francesco Giuseppe delineò compiutamente in tal senso un piano di ampio respiro:
Mappa linguistica austriaca del 1896, su cui sono riportati i confini (segnati con pallini blu) della Dalmazia veneziana nel 1797. In arancione sono evidenziate le zone dove la lingua madre più diffusa era l'italiano, mentre in verde quelle dove erano più diffuse le lingue slave

«Sua Maestà ha espresso il preciso ordine che si agisca in modo deciso contro l'influenza degli elementi italiani ancora presenti in alcune regioni della Corona e, occupando opportunamente i posti degli impiegati pubblici, giudiziari, dei maestri come pure con l’influenza della stampa, si operi nel Tirolo del Sud, in Dalmazia e sul Litorale per la germanizzazione e la slavizzazione di detti territori a seconda delle circostanze, con energia e senza riguardo alcuno. Sua maestà richiama gli uffici centrali al forte dovere di procedere in questo modo a quanto stabilito.»

(Francesco Giuseppe I d'Austria, consiglio della Corona del 12 novembre 1866[5][6].)

La politica di collaborazione con i serbi locali, inaugurata dallo zaratino Ghiglianovich e dal raguseo Giovanni Avoscani, permise poi agli italiani la conquista dell'amministrazione comunale di Ragusa nel 1899. Il 26 aprile 1909 - al termine di una lunga trattativa che aveva coinvolto il governo austriaco e i rappresentanti dei partiti dalmati - venne pubblicata un'ordinanza ministeriale concernente l’uso delle lingue presso le i.r. autorità civili ed uffici dello Stato in Dalmazia. La lingua interna ordinaria divenne la croata, pur riconoscendo la possibilità di presentare un’istanza e di ricevere risposta in italiano se il funzionario che trattava la pratica conosceva tale lingua: "la corrispondenza degli uffici, la trattazione interna degli affari, così come qualunque atto ufficiale giuridico o tecnico, potevano essere compilate in lingua italiana; inoltre le notificazioni ufficiali, le insegne e i timbri sarebbero stati bilingui in 24 distretti (mandamenti) lungo la costa dalmata, dove erano concentrate le comunità italiane". Questa norma venne fortemente avversata dai dalmati italiani, che vedevano in essa il definitivo riconoscimento di un ruolo subalterno dell'italiano in Dalmazia[7]. Queste ingerenze, insieme ad altre azioni di favoreggiamento ai gruppi etnici slavi ritenuti dall'impero più fedeli alla corona, esasperarono la situazione andando ad alimentare le correnti più estremiste e rivoluzionarie.
Modifica del confine tra Italia e Jugoslavia e conseguenze per le popolazioni confinarie
Modifiche al confine orientale italiano dal 1920 al 1975.

Il Litorale austriaco, poi ribattezzato Venezia Giulia, che fu assegnato all'Italia nel 1920 con il trattato di Rapallo (con ritocchi del suo confine nel 1924 dopo il trattato di Roma) e che fu poi ceduto alla Jugoslavia nel 1947 con i trattati di Parigi

Aree annesse all'Italia nel 1920 e rimaste italiane anche dopo il 1947

Aree annesse all'Italia nel 1920, passate al Territorio Libero di Trieste nel 1947 con i trattati di Parigi e assegnate definitivamente all'Italia nel 1975 con il trattato di Osimo

Aree annesse all'Italia nel 1920, passate al Territorio Libero di Trieste nel 1947 con i trattati di Parigi e assegnate definitivamente alla Jugoslavia nel 1975 con il trattato di Osimo
Nella determinazione del confine avvenuta dopo la prima guerra mondiale vennero prese in considerazione soprattutto le pretese territoriali vantate dal Regno d’Italia, al quale vennero assegnati territori abitati da circa 490.000 abitanti di lingua slovena e croata, contro i 15.000 Italiani residenti nei territori assegnati alla Jugoslavia.

Nella determinazione del confine avvenuta dopo la seconda guerra mondiale vennero prese in considerazione anche le aspirazioni degli abitanti delle aree contese; ciò nonostante, alla fine della disputa, le aree assegnate all’Italia risultavano abitate da circa 120.000 Sloveni, mentre le aree assegnate alla Jugoslavia risultavano abitate da circa 270.000 Italiani.

La comunità italiana agli inizi del XX secolo era ancora molto consistente, essendo maggioritaria nei più importanti centri costieri istriani e in alcuni centri quarnerini e dalmati. Secondo i censimenti austriaci, che raccolsero le dichiarazioni relative alla lingua d'uso nel 1880, 1890, 1900 e 1910, nella regione geografica istriana - che differiva dal Marchesato d'Istria in quanto a quest'ultimo erano state aggiunte le principali isole quarnerine - gli italofoni contavano dal 37,59% (1910) al 41,66% (1880) della popolazione totale, concentrati nella aree costiere occidentali dove raggiungevano anche il 90%. In Dalmazia invece erano abbastanza numerosi solo nelle principali città, come Zara (l'unica località dalmata di terraferma dove erano maggioranza), Spalato, Traù, Sebenico, Ragusa e Cattaro, ed in alcune isole come Veglia, Cherso, Lussino, Arbe, Pago, Lissa e Brazza. In queste erano maggioritari nei centri di Cherso, Lussinpiccolo, Lussingrande e, secondo il censimento del 1880, nelle città di Veglia ed Arbe.

Dopo la prima guerra mondiale e l'impresa dannunziana di Fiume molti dei territori istriani e dalmati passarono al Regno d'Italia, rafforzando la maggioranza italiana in Istria e Dalmazia. Queste popolazioni erano di lingua e cultura italiana, parlanti dialetto veneto e rappresentavano una parte consistente della popolazione in Istria e Dalmazia fino alla seconda guerra mondiale. A Fiume gli italiani erano la maggioranza relativa nel comune (48,61% nel 1910, prima della sua annessione all'Italia), e oltre alla cospicua comunità croata (25,95% nello stesso anno), vi era anche una discreta minoranza ungherese (13,03%)[8]. Gli italiani a Fiume salirono, nel 1925, un anno dopo alla sua annessione all'Italia, al 70,7% della popolazione totale[8].

Dopo la prima guerra mondiale, con l'annessione della maggior parte della Dalmazia alla Jugoslavia, si verificò l'esodo di alcune migliaia di Dalmati italiani verso Zara e l'Italia. Ai pochi rimasti, concentrati prevalentemente a Spalato e a Ragusa, fu concessa la cittadinanza italiana a seguito del trattato di Rapallo (1920). Zara, la cui popolazione era in maggioranza italiana (66,29% nella città di Zara, secondo il censimento del 1910), fu annessa al Regno d'Italia assieme all'Istria nel 1920. Fiume fu annessa all'Italia nel 1924.

Per un breve periodo durante l'invasione della Jugoslavia (1941-1943) il Governatorato della Dalmazia fu inserito nel Regno d'Italia, con tre province: la provincia di Zara[9], la provincia di Spalato e la provincia di Cattaro. Dopo la seconda guerra mondiale, tutta la Dalmazia e la quasi totalità dell'Istria furono annesse alla Jugoslavia. La maggior parte degli italiani prese la strada dell'esodo giuliano dalmata, che si svolse dal 1943 sino alla fine degli anni cinquanta, anche a causa dei "massacri delle foibe". Gli italiani rimasti in Jugoslavia, riuniti nell'Unione italiana, vennero riconosciuti come minoranza nazionale, dotata di una propria bandiera.
Comunità italiana in Croazia oggi
Lo stesso argomento in dettaglio: Comunità degli italiani di Abbazia, Comunità degli italiani di Albona e Comunità degli italiani di Lussinpiccolo.

Nell'Istria vi sono ancora consistenti comunità di italiani (circa il 7% della popolazione), mentre in Dalmazia vi sono solo piccoli gruppi italiani di modestissima entità numerica, ultima testimonianza di una presenza che discende direttamente dalle popolazioni di lingua romanza sopravvissute alle invasioni slave. Nel gruppo etnico italiano sono inserite sia le popolazioni autoctone venetofone (Istria nord-occidentale e Dalmazia) che quelle parlanti istrioto della costa istriana sud-occidentale. Benché il numero di appartenenti alla comunità italiana sia ormai piuttosto esiguo, nell’intera Croazia ci sono più o meno un milione di persone in grado di parlare l’italiano, ovvero il 23% circa della popolazione croata[10].

Dal censimento condotto in Croazia il 29 giugno 2014 in Croazia vivono 34.345 Italiani, tramite autocertificazione: secondo i dati ufficiali al censimento del 2001 furono in 20.521 a dichiararsi di madrelingua italiana[11] e 19.636 a dichiararsi di etnia italiana[12]). I croati italiani danno vita a 51 Comunità Nazionali Italiane locali e sono organizzati nell'Unione Italiana (UI).

Secondo Maurizio Tremul, presidente della giunta esecutiva dell'UI, i dati del censimento nella parte in cui si chiede di dichiarare l'etnia sono un po' falsati a causa di un "timore reverenziale" nei riguardi dei censori che non usano l'italiano né formulari bilingui. Il censimento croato nel 2011 ha utilizzato per la prima volta una nuova metodologia in modo tale che chi non era residente nel territorio oppure non veniva trovato in casa non veniva censito[13].
Percentuale italofoni in Croazia suddivisi per municipalità, secondo il censimento croato del 2011[14]

Gli italiani sono insediati principalmente nell'area dell'Istria, delle isole del Quarnero e di Fiume. Nella Dalmazia costiera ve ne restano appena 500, quasi tutti a Zara e Spalato[15]. Essi sono riconosciuti da alcuni statuti comunali come popolazione autoctona: in parte dell'Istria (sia nella Regione istriana croata, nei quattro comuni costieri della Slovenia), in parti della regione di Fiume (Regione litoraneo-montana) e nell'arcipelago dei Lussini, mentre nel resto del Quarnaro e in Dalmazia non viene riconosciuto loro nessuno status particolare.

Nella città di Fiume, dove ha sede il maggior giornale di lingua italiana della Croazia, nonché alcuni istituti scolastici in lingua italiana, ufficialmente gli italiani sono circa 2300[16], sebbene la locale comunità italiana di Fiume abbia all'incirca 7500 iscritti.

Nel corso del XIX secolo un numero considerevole di artigiani italiani si trasferì a vivere a Zagabria e in Slavonia (Požega), dove tuttora abitano molti loro discendenti. A Zagabria si è costituita una locale Comunità degli Italiani, che riunisce prevalentemente fra i propri soci dei recenti immigrati dall'Italia, oltre a un discreto numero di istriani di lingua italiana, spostatisi nella capitale.

Nell'Istria croata - fra le località di Valdarsa e Seiane - è presente la piccola comunità etnica degli Istroromeni o Cicci, popolazione originaria della Romania la cui lingua, di ceppo latino ed affine al rumeno, è in pericolo d'estinzione in favore del croato. Durante il Fascismo questi Istrorumeni furono considerati etnicamente italiani per via della loro mescolanza durante il Medioevo con i discendenti delle popolazioni ladine dell'Istria romana, e fu garantito loro l'insegnamento elementare nella propria madrelingua[17].

Secondo il censimento del 2001, i comuni della Croazia con la maggiore percentuale di abitanti italofoni si trovavano tutti in Istria (principalmente nelle aree dell'ex zona B del Territorio Libero di Trieste)[18]:

Grisignana: 66,11%
Verteneglio: 41,29%
Buie: 39,66%
Portole: 32,11%
Valle d'Istria: 22,54%
Umago: 20,70%
Dignano: 20,03%

Grisignana (in croato "Grožnjan") è l'unica cittadina con maggioranza assoluta italofona nella Croazia: oltre i 2/3 dei cittadini parlano ancora l'italiano e nel censimento del 2001 oltre il 53% si è dichiarato "Italiano di madrelingua italiana", mentre Gallesano (in croato "Galižana") frazione di Dignano (in croato "Vodnjan") con il 60% della popolazione italiana è il centro abitato dell'Istria con la percentuale maggiore di italiani.




segue Croatizzazione

 
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Croatizzazione
Lo stesso argomento in dettaglio: Croatizzazione.
Regione istriana della Croazia: distribuzione per comuni degli italiani madrelingua al censimento del 2001.

Gli Italo-croati hanno conosciuto negli ultimi due secoli un processo di croatizzazione. Questo processo è stato "schiacciante" specialmente in Dalmazia, dove nel 1865 i censimenti austriaci registravano 55.020 italofoni, pari al 12,5% del totale, ridotti nel 1910 a 18.028 (2,8%)[19]. Nel 2001 ne sono stati contati all'incirca 500, concentrati prevalentemente a Zara.

Gli Italo-croati sono praticamente scomparsi dalle isole della Dalmazia centrale e meridionale durante il governo di Tito, mentre ai tempi del Risorgimento gli italiani erano ancora numerosi a Lissa ed in altre isole dalmate.

Anche nelle città dalmate si registrò una simile diminuzione: nella città di Spalato nel 1910 vi erano oltre 2.082 Italiani (9,75% della popolazione), mentre oggi ne resta appena un centinaio intorno alla locale Comunità degli Italiani.

L'ultimo colpo alla presenza italiana in Dalmazia e in alcune zone del Quarnaro e dell'Istria ebbe luogo nell'ottobre del 1953, quando le scuole italiane nella Iugoslavia comunista furono chiuse e gli allievi trasferiti d'imperio nelle scuole croate.

A Lagosta (in croato Lastovo), che appartenne al Regno d'Italia dal 1918 al 1947, ancora oggi vi sono alcune famiglie italo-croate non completamente croatizzate.
Lagosta e Pelagosa

L'isola di Lagosta appartenne all'Italia dal 1920 fino alla fine della seconda guerra mondiale. Mentre fino al 1910 la presenza di italofoni nell'isola era trascurabile (8 nel territorio del comune su un totale di 1.417 abitanti), negli anni '20 e '30 vi si trasferirono parecchie famiglie di dalmati italiani, provenienti dalle zone della Dalmazia passate alla Jugoslavia. Negli anni trenta circa la metà degli abitanti era di lingua italiana, ma emigrò nella quasi totalità dopo la fine della seconda guerra mondiale.

Alcune famiglie venetofone o italofone (anche se molto croatizzate) sono ancora presenti nell'isola di Lesina, dove è stata promossa la creazione di una sede dell'Unione Italiana - intitolata allo scrittore lesignano Giovanni Francesco Biondi - per tutti gli Italo-croati della Dalmazia meridionale.

Pelagosa (ed il suo piccolo arcipelago) fu popolata assieme alle vicine isole Tremiti da Ferdinando II del Regno delle Due Sicilie nel 1843 con pescatori provenienti da Ischia, che vi continuarono a parlare il dialetto d'origine. Il tentativo fallì ed i pochi pescatori emigrarono a fine Ottocento. Le autorità italiane durante il fascismo vi trapiantarono alcuni pescatori dalle Tremiti, che lasciarono l'isola quando passò ufficialmente alla Iugoslavia nel 1947. L'arcipelago di Pelagosa è disabitato.
Scuola e lingua italiana

In molti comuni della Regione istriana (Croazia) vigono statuti bilingui, e la lingua italiana viene considerata lingua co-ufficiale.

Vi sono alcune scuole italiane in Istria, specialmente nei territori della ex-zona B: scuole elementari a Buie, Umago, Cittanova, Parenzo, Pola e Rovigno; scuole medie a Pola e Rovigno.

Nella città di Fiume la scuola italiana dispone di asili, elementari, medie ed un liceo. La proposta di elevare l'italiano a lingua co-ufficiale, come nella Regione Istriana, è in discussione da anni.

«Riconoscendo e rispettando il proprio lascito culturale e storico, la Città di Fiume assicura alla minoranza nazionale autoctona italiana l'uso della propria lingua e scrittura negli affari pubblici attinenti alla sfera dell'autogoverno della Città di Fiume. La Città di Fiume, nell'ambito delle proprie possibilità, assicura e sostiene l'attività educativa e culturale degli appartenenti alla minoranza autoctona italiana e delle sue istituzioni.[20]»

A Zara la locale Comunità degli Italiani ha richiesto dal 2009 la creazione di un asilo italiano. Dopo notevoli opposizioni governative[21][22], con l'imposizione di un filtro nazionale che imponeva l'obbligo di possesso di cittadinanza italiana per l'iscrizione, alla fine nel 2013 è stato aperto ospitando i primi 25 bambini[23]. Dal 2017 una scuola elementare croata offre lo studio della lingua italiana come lingua straniera. Corsi di italiano sono stati attivati anche in una Scuola media superiore e presso la facoltà di Lettere e Filosofia[24]. Un asilo italiano è stato aperto nel 2010 anche a Lussinpiccolo.


Italiani per regioni

Screenshot%202024-01-18%20at%2010-25-22%20Italiani%20di%20Croazia%20-%20Wikipedia


Croatizzazione
Lo stesso argomento in dettaglio: Croatizzazione.
Regione istriana della Croazia: distribuzione per comuni degli italiani madrelingua al censimento del 2001.

Gli Italo-croati hanno conosciuto negli ultimi due secoli un processo di croatizzazione. Questo processo è stato "schiacciante" specialmente in Dalmazia, dove nel 1865 i censimenti austriaci registravano 55.020 italofoni, pari al 12,5% del totale, ridotti nel 1910 a 18.028 (2,8%)[19]. Nel 2001 ne sono stati contati all'incirca 500, concentrati prevalentemente a Zara.

Gli Italo-croati sono praticamente scomparsi dalle isole della Dalmazia centrale e meridionale durante il governo di Tito, mentre ai tempi del Risorgimento gli italiani erano ancora numerosi a Lissa ed in altre isole dalmate.

Anche nelle città dalmate si registrò una simile diminuzione: nella città di Spalato nel 1910 vi erano oltre 2.082 Italiani (9,75% della popolazione), mentre oggi ne resta appena un centinaio intorno alla locale Comunità degli Italiani.

L'ultimo colpo alla presenza italiana in Dalmazia e in alcune zone del Quarnaro e dell'Istria ebbe luogo nell'ottobre del 1953, quando le scuole italiane nella Iugoslavia comunista furono chiuse e gli allievi trasferiti d'imperio nelle scuole croate.

A Lagosta (in croato Lastovo), che appartenne al Regno d'Italia dal 1918 al 1947, ancora oggi vi sono alcune famiglie italo-croate non completamente croatizzate.
Lagosta e Pelagosa

L'isola di Lagosta appartenne all'Italia dal 1920 fino alla fine della seconda guerra mondiale. Mentre fino al 1910 la presenza di italofoni nell'isola era trascurabile (8 nel territorio del comune su un totale di 1.417 abitanti), negli anni '20 e '30 vi si trasferirono parecchie famiglie di dalmati italiani, provenienti dalle zone della Dalmazia passate alla Jugoslavia. Negli anni trenta circa la metà degli abitanti era di lingua italiana, ma emigrò nella quasi totalità dopo la fine della seconda guerra mondiale.

Alcune famiglie venetofone o italofone (anche se molto croatizzate) sono ancora presenti nell'isola di Lesina, dove è stata promossa la creazione di una sede dell'Unione Italiana - intitolata allo scrittore lesignano Giovanni Francesco Biondi - per tutti gli Italo-croati della Dalmazia meridionale.

Pelagosa (ed il suo piccolo arcipelago) fu popolata assieme alle vicine isole Tremiti da Ferdinando II del Regno delle Due Sicilie nel 1843 con pescatori provenienti da Ischia, che vi continuarono a parlare il dialetto d'origine. Il tentativo fallì ed i pochi pescatori emigrarono a fine Ottocento. Le autorità italiane durante il fascismo vi trapiantarono alcuni pescatori dalle Tremiti, che lasciarono l'isola quando passò ufficialmente alla Iugoslavia nel 1947. L'arcipelago di Pelagosa è disabitato.
Scuola e lingua italiana

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Magiari


I magiari o ungari sono un gruppo etnico e linguistico di origine ugrica: in questo senso il termine può essere sinonimo di ungheresi; quest'ultimo termine è usato per periodi storici successivi alla creazione dello stato ungherese e quindi anche per l'attuale popolazione europea.

Ungari e magiari sono termini usati principalmente in contesto storico (soprattutto per le epoche precedenti al X secolo d.C.), dai linguisti e per indicare l'etnia ungherese indipendentemente dalla cittadinanza. "Magyar" è semplicemente la parola ungherese che significa "ungherese".

In origine i Magiari erano solo una (la principale) delle sette tribù ungare che conquistarono l'attuale Ungheria nell'896 e da cui discendono gli attuali ungheresi; da qui il nome si è esteso a tutto il popolo.

Storia
Lo stesso argomento in dettaglio: Honfoglalás.
Le migrazioni degli ungari
Incursioni ungare nel X secolo. L'invocazione «De sagittis Hungarorum libera nos, Domine!»[16] risale a questo periodo

«Nell'anno 889 la ferocissima gente degli Ungari, crudele più delle belve più crudeli, sconosciuta nei tempi passati, tanto da non venire neppure nominata, diede l'addio alla sua terra e si mise in marcia alla ricerca di nuove sedi dove stabilirsi. Dapprima si procurò il sostentamento con la caccia e la pesca, ma poi prese a fare continue incursioni e scorrerie. In queste incursioni ha sterminato migliaia di persone con le frecce, scoccate dagli archi con tanta abilità che è difficilissimo schivarle. Non vivono come uomini, ma come bestie. A quel che si dice, mangiano carni crude, bevono sangue, fanno a pezzi e poi mangiano il cuore dei prigionieri, non conoscono pietà.»

(Reginone di Prüm, adattato)

Dopo che le popolazioni ungare si spostarono in tre zone successive, prima da Jugra (la mitica terra d'origine degli Ungari, a ridosso degli Urali centrali) alla Magna Hungaria, da qui alla Levédia e poi ad Etelköz (dove furono condotte da Álmos), il condottiero dei Magiari Árpád (figlio di Álmos), secondo la tradizione, guidò gli Ungari da Etelköz al bacino dei Carpazi e più precisamente nella pianura del Danubio medio e nella Pannonia, nell'896. Gli Ungari erano una popolazione etnicamente affine ad altre originarie delle steppe dell'Asia centrale quali Unni, Bulgari e Avari. Occuparono la Pannonia, lasciata libera dopo la distruzione degli Avari sotto il regno di Carlo Magno all'inizio del IX secolo. Alla fine del IX secolo e nel X secolo razziarono in molte zone l'Impero carolingio (vedasi la Cronologia delle incursioni ungare): dapprima i margini, come in Moravia nell'894 ed in Italia settentrionale e centrale (899), dove sconfissero l'esercito del regno d'Italia nella battaglia della Brenta, arrivando fino ad assediare la capitale del regno: Pavia, poi nella Lorena e in Borgogna. Queste razzie, sebbene non fossero di grossa portata in termini di movimento di popolazioni se non in determinate zone dell'impero, erano caratterizzate da forza (abilità della cavalleria magiara) e sete di depredare i molti tesori dell'Impero mal difesi. Molti ricchi monasteri in Europa, come anche interi villaggi, vennero saccheggiati e/o scomparvero, arrivando così a far vacillare l'impero, anche perché più o meno contemporaneamente ci furono le invasioni dei Normanni e le continue incursioni dei Saraceni.

Nel 907, il regno slavo della Grande Moravia, potentato dell'Europa centro-orientale ai confini dell'Impero carolingio, fu sconfitto e subì il definitivo collasso a causa delle nuove popolazioni, che andarono a occupare definitivamente il bacino carpatico, ma l'espansione magiara a occidente fu bloccata definitivamente dalla battaglia di Lechfeld (10 agosto 955). Nel 1001, grazie al papa Silvestro II e all'incoronazione a Re di Ungheria di Stefano I d'Ungheria (che divenne poi Santo Stefano, patrono d'Ungheria), nato come Vajk, figlio di Geza, principe e guida dei magiari, i magiari si convertirono al Cristianesimo e il nuovo Regno d'Ungheria divenne parte integrante dell'Europa.

Sin dalle proprie origini nell'XI secolo, il multietnico Regno d'Ungheria occupò la Pannonia e l'intera zona dei Carpazi. Nel XVIII secolo le minoranze etniche, quindi non magiare, nel Regno d'Ungheria arrivarono a costituire, nel complesso, fino al 62% dell'intera popolazione.[senza fonte] Dopo la prima guerra mondiale il regno fu diviso dal Trattato del Trianon e all'Ungheria restò meno di un terzo del proprio territorio.
Animazione delle migrazioni ungare dal XII secolo a.C. all'896 d.C.
L'origine delle parole "Ungari" e "Magiari"

Circa l'origine della parola "Ungheria" (dal latino Hungaria), è opinione diffusa, ma poco attendibile, che essa derivi dal nome di una popolazione seminomade, gli Unni, che furono circa 400 anni prima in Pannonia e che avrebbero avuto alcune similitudini con lo stile di vita e il modo di guerreggiare dei Magiari. In passato, infatti, era molto diffusa nella storia e nella letteratura l'erronea identificazione degli Unni con gli Ungari.

Altri invece pensano che il nome derivi da Ungur o Onogur, che nelle lingue turche, come in proto-bulgaro o in turco, significa dieci frecce ovvero dieci tribù. Gli Onogur (da cui "Ungari"), quindi, erano tutte e dieci le tribù. Infatti, secondo alcuni storici, questo nome deriverebbe da un'alleanza tra dieci tribù ungare e turco-avaro-bulgare. Secondo lo storico Gyula László, questa denominazione dimostrerebbe il carattere "turco" dell'élite che governava gli ungari, ovvero il fatto che il territorio occupato dagli ungari fosse già abitato da popolazioni magiaro-turco-bulgare denominate onogur. Gli "ungari", quindi, sarebbero i popoli sotto il dominio di tribù magiare, turche e bulgare. Questa teoria detta della "doppia conquista della patria" (da parte di turchi e di magiari, cioè), dopo una certa fama durante i primi decenni del '900 (in relazione alla diffusione di panturchismo e turanismo) e anche durante il regime socialista, è stata notevolmente ridimensionata e quindi rigettata dagli studi più recenti.

Da non trascurare è pure il fatto che la terra d'origine degli Ungari nelle steppe si chiami, nelle lingue locali (e non in ungherese), Jugra (corrispondente all'omonima regione siberiana), parola che con evidenza contiene la stessa radice di "ungari" o "ugri". "Ungheria", quindi, verrebbe da "Jugra" passando per il latino "Hungaria".

Secondo il linguista e storico András Róna-Tas, che nel 1984 ipotizzò che gli antichi Ungheresi fossero un popolo ugrofinnico di costumi turchi, la parola magyar sarebbe di origine ugrofinnica e consisterebbe di due parti: magy- (da mans, come nel nome del popolo dei Mansi o Voguli, oggi stabilitisi nella Siberia occidentale, e in Mos, nome di uno dei due gruppi principali in cui si dividono gli Ostiacchi) e -er, "uomo, creatura", usato per denominare un altro gruppo uralico. Dall'unione di queste due parole si sarebbe quindi formato manser > magyer (forma priva di armonia vocalica attestata fino al XIII secolo) > magyar[17].

Secondo la mitologia ugrica il popolo magiaro deriverebbe da due mitici gemelli: Hunor e Magor. Come è facile notare, i due nomi contengono la radice l'uno di Ungaro (ma anche di unno) e l'altro di Magiaro.

Nomi come quelli dei sovrani unni "Attila" e "Ildikó" (abbreviazione del nome dell'ultima moglie di Attila, la gota Crimilde) sono comuni tra gli ungheresi di oggi, sebbene siano di origine germanica. Stando alla testimonianza dell’ungherese fra’ Giuliano, che viaggiò attraverso la Bulgaria del Volga nel XIII secolo, nel limitrofo territorio dell’attuale Baschiria si trovavano ancora comunità magiarofone, ossia i discendenti di quella parte dei Magiari che non intrapresero il viaggio verso Occidente. Comunità che di lì a poco sarebbe stata spazzata via dall'avanzata mongola.
Studi genetici

Uno studio genetico pubblicato su PLOS ONE nell'ottobre 2018 ha esaminato il DNA mitocondriale di individui provenienti da tombe del X secolo associate ai conquistatori ungari del bacino. La maggioranza dei loro lignaggi materni è ricondotta alle culture Potapovka, Srubna e Poltavka delle steppe pontico-caspiche, mentre un terzo delle ascendenze materne potrebbe essere ricondotto all'Asia interna, probabilmente agli Sciti asiatici e agli Xiongnu (affiliati agli Unni). Il DNA mitocondriale dei conquistatori è risultato ancor più strettamente correlato agli antenati Onoguri-Bulgari dei Tatari del Volga. I conquistatori non mostravano relazioni genetiche significative con locutori di altre lingue ugrofinniche. Lo studio ha lasciato dedurre che i conquistatori non avessero contribuito in modo significativo al pool genico dei moderni magiari.[18]

Nel novembre 2019, una ricerca i cui risultati sono stati poi esposti su Scientific Reports ha esaminato i resti di 29 conquistatori ungari del bacino carpatico, i quali palesavano perlopiù un cromosoma Y di origine eurasiatica occidentale. La quantità maggiore di ascendenza paterna eurasiatica occidentale rispetto a quella materna eurasiatica occidentale resta un altro dato da segnalare; tra le popolazioni moderne, la loro discendenza paterna era la più simile ai baschiri. È interessante notare la presenza dell'aplogruppo I2a1a2b in diversi comandanti di rango particolarmente elevato, una componente di origine europea particolarmente diffusa tra gli Slavi meridionali. È stata osservata un'ampia varietà di fenotipo, con diversi individui con capelli biondi e occhi azzurri. Lo studio ha altresì analizzato tre campioni unni seppelliti nella pianura pannonica del V secolo e questi hanno mostrato somiglianze genetiche con gli Ungari insediatisi in epoca altomedievale. A quanto si desume, i conquistatori ungari dovettero essere un gruppo eterogeneo assemblatosi nel corso dei secoli con l'inclusione di elementi europei, asiatici ed eurasiatici.[19]

Uno studio genetico pubblicato su Archaeological and Anthropological Sciences nel gennaio 2020 ha esaminato i resti di 19 conquistatori ungari di sesso maschile. Dai risultati è emerso che questi risultavano portatori di un insieme diversificato di aplogruppi e che mostravano dei legami genetici con popoli turchi, popoli finnici e slavi. Circa un terzo del totale presentava tipi di aplogruppo N3a, comune nella maggior parte dei popoli finnici e individuabile finanche in Siberia, ma raro negli ungheresi moderni. I dati suggerivano che le comunità magiare altomedievali fossero di discendenza ugrica e si esprimessero in un idioma dello stesso gruppo linguistico.[20]

Uno studio genetico pubblicato sull'European Journal of Human Genetics nel luglio 2020 ha esaminato i resti scheletrici di un illustre discendente degli Arpadi, re Béla III d'Ungheria, e di un membro sconosciuto della stessa famiglia denominato "II/52 "/"HU52" nella Basilica Reale di Székesfehérvár. Si è scoperto che il lignaggio maschile degli Arpadi apparteneva alla subclade dell'aplogruppo del cromosoma Y R1a R-Z2125 > R-Z2123 > R-Y2632 > R-Y2633 > R-SUR51. La subclade è stata trovata anche nel confronto con le spoglie contemporanee più prossime di 48 baschiri del distretto di Burzjanskij e di Abzelilovskij della Repubblica della Baschiria nella regione Volga-Ural, più un individuo rinvenuto nella regione di Voivodina, in Serbia. Gli Arpadi e il defunto scoperto in Serbia condividono alcune caratteristiche, nello specifico la subclade di recente scoperta R-SUR51 > R-ARP. Sulla base dei dati della stima della distribuzione, dell'aspetto e della coalescenza del R-Y2633, la dinastia traccia un'antica origine legata all'Afghanistan settentrionale di circa 4500 anni fa, con una data di separazione del R-ARP dai parenti baschiri più vicini della regione del Volga e degli Urali a 2000 anni fa, mentre l'individuo sepolto in Serbia (R-UVD) discende dagli Arpadi di circa 900 anni fa. Poiché si stima che anche la separazione dell'aplogruppo N-B539 tra gli ungari e i baschiri sia avvenuta 2000 anni fa, ciò implica che gli antenati degli Ungari, degli ugrici e dei turchi lasciarono la regione degli Urali del Volga circa 2000 anni fa e iniziarono una migrazione infine culminata con l'insediamento nella pianura pannonica.[21]
Minoranze etniche e linguistiche
Distribuzione degli ungheresi in seguito al Trattato del Trianon del 4 giugno 1920. Circa 3 milioni di questi si trovarono a vivere nei territori ceduti dall'Ungheria.

Nel 2001 in Ungheria vi erano circa 9.416.000 magiari. I magiari sono stati il principale gruppo etnico ad aver vissuto nel territorio del Regno d'Ungheria durante il II millennio. In seguito alla sua dissoluzione causata dal Trattato del Trianon, molti magiari sono divenuti minoranze etniche di Romania (circa 1.410.000), Slovacchia (circa 521.000), Serbia (circa 294.000), Ucraina (circa 157.000), Austria (circa 41.000), Repubblica Ceca (circa 20.000), Croazia (circa 17.000) e Slovenia (circa 7.700). Inoltre forti comunità ungheresi sono presenti in molti Paesi del mondo, tra cui Stati Uniti (circa 1.500.000), Canada (circa 270.000), Israele (circa 250.000), Germania (circa 120.000) e altri Paesi dell'Europa occidentale (circa 85.000), dell'Oceania (circa 65.000), del Sud America (circa 50.000), del Nord Europa (circa 45.000), dell'Asia (circa 40.000) e dell'Africa (circa 10.000).


https://it.wikipedia.org/wiki/Magiari
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Montenegrini

I montenegrini sono un gruppo etnico e nazionale del Montenegro. Sono un gruppo originato dagli slavi meridionali che vive anche, come comunità di immigrati, in Turchia, Bosnia ed Erzegovina, Serbia, Croazia e in altri Paesi.

Non bisogna confondere col gruppo etnico dei montenegrini gli albanesi di Montenegro, che si sentono appartenenti alla nazione albanese.



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Morlacchi

I Morlacchi (in lingua croata Morlaci, in lingua greca moderna Μαυροβλάχοι, in lingua romena Morlaci) sono una popolazione appartenente al gruppo dei Valacchi che vive nelle Alpi Dinariche.
Storia

Il nome Morlacchi deriva da Mauro-Vlachs o Mavrovlachi (Nigri Latini in lingua latina), che significa "Valacchi Neri", dove per "neri" si intendeva probabilmente "del Nord", stante il fatto che in antico turco si utilizzava la medesima parola per indicare sia il colore nero che il nord, e che le fonti turche attestano ampiamente questo uso geografico dell'aggettivo in riferimento a popolazioni diverse dalle loro, comprese quelle morlacche-valacche.[1]
La Morlacchia nel XVII secolo

Dediti originariamente alla pastorizia, e quindi a migrazioni in cerca di nuovi pascoli, i morlacchi sono stati una delle ultime etnie seminomadi d'Europa.

Non si conosce l'origine certa dei Morlacchi, sebbene sia molto probabile che si siano originati dall'unione dei coloni romani (perlopiù legionari veterani cui venivano assegnati appezzamenti di terra) con le popolazioni locali (illiriche e celtiche) romanizzate.

«"Morlacco" era certamente un gruppo autoctono di abitanti della Bosnia e dei Balcani, "slavizzatosi" fra il '300 e il '400.[2]»

Infatti le popolazioni neolatine – sopravvissute nelle Alpi Dinariche centrali alle invasioni barbariche – rimasero la maggioranza degli abitanti (detti comunemente Vlachs nelle lingue slave occidentali e meridionali) nelle vallate dinariche più interne e difficili da raggiungere per gli invasori, almeno fino all'anno mille. La loro completa slavizzazione avvenne con l'arrivo dei Turchi nei Balcani, quando gli slavi delle pianure, in fuga dagli Ottomani, risalirono verso le impervie zone abitate dai latini morlacchi. Molti di loro si convertirono all'Islam nel Seicento, e ora i loro discendenti sono una parte consistente dei cosiddetti Bosgnacchi.

Alberto Fortis, un letterato, naturalista e geologo italiano, ebbe modo di conoscere la più tarda cultura morlacca nel corso dei suoi viaggi di studio nella regione, e nella sua opera più nota Viaggio in Dalmazia[3], del 1774, ne descrive gli usi e costumi, riportando anche il testo di Hasanaginica, la ballata tradizionale dei Morlacchi. Il resoconto del Fortis fu presto tradotto in francese, inglese e tedesco e destò l'attenzione del pubblico europeo verso questo popolo fino ad allora semisconosciuto, che all'epoca risultava completamente slavizzato nel linguaggio.

I Morlacchi non sono stata l'unica popolazione di lingua oppure origine latina della regione balcanica: ad esempio i vicini Valacchi della Bosnia ed Erzegovina, talora definiti anche col termine "morlacchi", furono una popolazione vicina numericamente rilevante, detta dei Vlasi dalle popolazioni slave della regione: ancora oggi la regione a nord di Sarajevo si chiama Romanija, perché abitata nel medioevo da questi Vlasi di origine romana (che si chiamavano tra di loro "Romanj"): questa popolazione si trovava tuttavia più nell'entroterra rispetto a quella morlacca propriamente detta, diffusa invece in origine sulle montagne alle spalle della costa dalmata, a ridosso del confine veneto-ottomano.

Numerose fonti riferiscono che i Morlacchi fossero cristiani, sebbene parte cattolici e parte ortodossi. Le fonti più tarde tendono a riferirsi ai Morlacchi soprattutto come popolazione di religione ortodossa e di lingua slava, suggerendo la possibilità di confusione anche con gruppi etnici di diversa origine.

Stando al censimento nazionale del 1991 condotto dal governo croato, solo 22 persone si sono dichiarate di etnia morlacca.

Dieci anni dopo, nel censimento nazionale croato del 2001 solo 3 cittadini di Castua si sono dichiarati morlacchi.



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Russini


I russini o rusini (russino: Русины / Rusiny), a volte indicati come rusnachi (russino: Руснакы / Rusnaky), noti anche come carpato-russini (russino: Карпато-Русины / Karpato-Rusiny) o carpato-ruteni (un esonimo antiquato), sono un gruppo etnico slavo orientale parlante la lingua russina. Discendono da una popolazione slavo orientale, i croati bianchi, che abitava le regioni settentrionali dei Carpazi orientali fin dal Medioevo. Sono stati spesso chiamati carpato-ruteni o ruteni carpatici, con l'indicazione geografica che indica la regione dei Carpazi.[12]

A differenza dei loro vicini orientali, che adottarono l'uso dell'etnonimo ucraino agli inizi del XX secolo, i russini conservarono il loro nome originale. I russini si distinguono ancora in 4 sottogruppi, in base alla zona di residenza e alla differenze culturali: i boiko, i doliniani, gli hutsuli e i lemchi.

Inoltre, come residenti delle regioni nord-orientali dei Carpazi, essi sono strettamente collegati e talvolta anche associati ad altre comunità slave nella regione montana, come la comunità slovacca dei gorali (letteralmente "montanari").

Le principali denominazioni: carpato-russini, carpato-ruteni, carpato-russi e carpato-ucraini utilizzano il prefisso "carpato-" in riferimento alla Rutenia subcarpatica, una regione storica transfrontaliera che comprende l'oblast' di Transcarpazia nella moderna Ucraina, regioni nord-orientali della Slovacchia e parti sud-orientali della Polonia. Altre denominazioni regionali utilizzate sono: uhro-russini, servi, bizantini, o più semplicemente “po-našomu” (letteralmente persone come noi o che parlano la nostra lingua o “il nostro popolo”).

Nei contesti ufficiali ucraini, i vari sottogruppi russini sono spesso indicati collettivamente come Verchovynci (Верховинці), che letteralmente significa "montanari". Degli stimati 1,2-1,6 milioni di persone di origine russina, solo all'incirca 90.000 individui sono stati identificati come tali nei recenti censimenti nazionali. Questo perché le stesse autorità che gestiscono il censimento li considerano un sottogruppo di ucraini; tuttavia alcuni paesi li riconoscono ufficialmente come una minoranza etnica.




fonte https://it.wikipedia.org/wiki/Russini

 
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Serbi


I serbi (in serbo Срби?, Srbi) sono una popolazione slava meridionale che vive prevalentemente in Serbia, Montenegro, Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina e, anche se meno rispetto al passato, in Croazia. Da non dimenticare comunque le comunità serbe sparse per il mondo a seguito della diaspora serba, che vivono prevalentemente nell'Europa occidentale (in Germania, Italia, Svizzera e Austria), negli Stati Uniti e in Canada.

Popolazione

La maggioranza dei serbi, come detto, vive in Serbia e Montenegro, mentre altre importanti comunità si possono trovare in Bosnia ed Erzegovina (in particolare nella Repubblica Srpska), e in Croazia. Viceversa, piccole comunità si possono trovare in Macedonia, Slovenia, Romania, Albania e Ungheria; mentre, a seguito della diaspora serba, importanti concentrazioni di serbi si sono stanziati in Germania, Austria, Svizzera, USA, Brasile, Canada e Australia.

Nella vecchia Jugoslavia socialista la maggior parte dei serbi si concentravano nella capitale Belgrado (più di 1.000.000), e nelle principali città, quali Novi Sad (400.000), Niš (250.000), Banja Luka in Bosnia-Herzegovina (220.000), Kragujevac (175 000) e nella parte est di Sarajevo (130.000). Il censimento del 1991 stimava in un 36% la percentuale di serbi presenti nella ex Jugoslavia, per un totale di circa 8,5 milioni. Il numero di serbi che lasciarono il paese in seguito alla diaspora serba è stimato intorno ad 1 milione, anche se il Ministero per la Diaspora della Repubblica di Serbia stima in 2 milioni il numero di serbi (compresa i discendenti) che attualmente vivono nel mondo.

All'estero le principali comunità si trovano a Vienna, che da molti serbi viene considerata come una seconda patria, Chicago (e nella sua area metropolitana), Toronto e l'Ontario meridionale che raggruppate, ospitano 30.000 serbi, quasi il 66% della popolazione totale della Repubblica di Serbia. Un altro 1,5 milione vive invece in Bosnia ed Erzegovina, 200.000 in Croazia (prima della guerra civile, terminata nel 1995, la popolazione serba in Croazia ammontava a 600.000), e 180.000 in Montenegro.
Lo stesso argomento in dettaglio: Diaspora serba.
Cultura
Serbi famosi
Ritratto di Nikola Tesla

Sono diversi i serbi che hanno giocato un ruolo di primo piano nelle arti e nelle scienze. Tra le principali figure del mondo scientifico, spiccano scienziati come Nikola Tesla, Mihajlo Pupin, Jovan Cvijić, e Milutin Milanković; matematici quali Jovan Karamata, Mihailo Petrović, Mileva Marić e Đuro Kurepa; famosi compositori come Stevan Mokranjac e Stevan Hristić; celebri scrittori e autori come Ivo Andrić, Borislav Pekić, e Miloš Crnjanski; inventori come Ogneslav Kostović Stepanović; star dello sport come il miglior tennista al mondo Novak Đoković, Siniša Mihajlović, Dejan Stanković, Nemanja Vidić, Vlade Divac, Predrag Stojaković, Predrag Danilović, Aleksandar Đorđević, Vujadin Boškov, Ana Ivanović, Jelena Janković e Monica Seles; attrici come Milla Jovovich (per metà serba) e registi come Emir Kusturica. Spulciando nella storia serba, importanti sovrani come Stefano Nemanja, e suo figlio, San Sava,

La madre dell'ultimo Imperatore bizantino, Constantino XI Paleologo Dragases, era una principessa di origine serbe, Elena Dragaš (Jelena Dragaš).

Secondo il National Enquirer, Ian Fleming, padre del celebre James Bond prese spunto dalla vita della spia Duško Popov, noto con l'alias di "Triciclo".

Gavrilo Princip, un serbo-bosniaco, uccise l'Arciduca Francesco Ferdinando il 28 giugno 1914, scatenando la crisi tra l'Impero Austro Ungarico e il Regno di Serbia che diede il via alla prima guerra mondiale.
Lingua
Lo stesso argomento in dettaglio: Lingua serba.

La gran parte dei serbi parla il serbo, una delle lingue slave meridionali. L'identità serba è legata in gran parte proprio alla lingua, dato che viene indistintamente utilizzato sia l'alfabeto cirillico che l'alfabeto latino; Infine, altra variante del serbo, è la lingua slava ecclesiastica.

Come già ricordato, i discendenti della diaspora serba non sempre parlano fluentemente la lingua dei propri genitori e dei propri avi (specialmente negli Stati Uniti, in Canada e in Gran Bretagna); mentre, viceversa, diversi scrittori di fama internazionale, come Johann Wolfgang von Goethe e J. R. R. Tolkien, studiarono tale lingua.
Cognomi

La maggior parte dei cognomi serbi presenta la particella finale -ić (AFI: /itj/; cirillico: -ић), che molto spesso viene traslitterata come -ic o, erroneamente, come -itch o -ich.

Il suffisso -ić è in realtà un diminutivo slavo, che originariamente aveva la funzione di creare un patronimico: ad esempio il cognome Petrić significa "piccolo Petar", sullo stesso tenore, quindi del prefisso scozzese Mac ("figlio di"), o dell'irlandese O'. Stime parlano di circa due terzi il numero di cognomi serbi che terminano con la particella -ić.

Altri suffissi comuni sono -ov o -in, che sono niente di meno che la forma possessiva dello slavo: ad esempio Nikolin significa "figlio di Nikola", oppure Petrov, "figlio di Petar", e Jovanov, "figlio di Jovan". Questi ultimi, comunque, sono cognomi più comuni in Voivodina.

Da non dimenticare, infine, alcuni cognomi fra i più diffusi come Petrović, Jovanović, Popović, Ivanović, Janković e Nikolić.
Religione

La Chiesa ortodossa serba, ha giocato, e gioca tuttora, un ruolo di primo piano nella formazione dell'identità serba.

La conversione degli slavi meridionali dal paganesimo alla Cristianità, iniziò ben prima dello scisma d'Oriente, la separazione religiosa dell'Impero bizantino dalla Chiesa cattolica di Roma. Tuttavia restarono comunque forti con il cattolicesimo.
Successivamente, con l'espansione dell'Impero ottomano, molti serbi, specialmente in Bosnia si convertirono all'Islam. Molti etnologisti considerano che la distinzione tra l'identità serba, croata e bosniaca sia proprio più religiosa che etnica.[senza fonte]
Simboli
Lo stesso argomento in dettaglio: Bandiera serba.
Bandiera ufficiale della Serbia

La bandiera serba è un tricolore con i colori panslavi. Consiste in tre fasce orizzontali uguali, rosso in alto, blu nel centro e bianco in basso. Nella parte centrale-sinistra viene posto lo stemma della Serbia: un'aquila a due teste bianca, che rappresenta il doppio potere, e che fu lo stemma della Casata dei Nemanjić, avente posta sul petto una croce e le quattro lettere S in cirillico (С) che simboleggiano l'unità dei serbi.

L'aquila e la croce sono state entrambe, lungo la storia serba, punti basilari per gli emblemi e i simboli delle varie organizzazioni o entità statali esistite.

Gli abiti tipici popolari serbi variano da una regione all'altra, forse anche per via della diversità di condizioni climatiche e geografiche tra le varie zone. Questi sono alcuni abiti tipici:

la tradizionale scarpa popolare opanak. Si riconosce dalla caratteristica punta che si erge nella parte anteriore della scarpa ed è rivolta all'indietro. Questo scarpa tipica cambia da una regione all'altra.
cappello tradizionale denominato šajkača. È facilmente riconoscibile dalla parte superiore a forme della lettera V. Questo indumento ha raggiunto grande popolarità dopo essere stato largamente usato come parte dell'uniforme dell'Esercito serbo nella Grande Guerra. Oggi lo si può trovare soprattutto nei villaggi della Serbia. È stato recentemente usato anche come parte dell'uniforme dell'esercito della Republika Srpska durante l'ultima guerra in Bosnia. Comunque, šajkača è caratteristica soprattutto della regione della Serbia centrale chiamata Šumadija, mentre le altre popolazioni di serbi che abitano in Bosnia ed Erzegovina, Montenegro, Macedonia, Croazia, Kosovo e nella regione autonoma di Voivodina hanno altri tipi di copricapo.


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https://it.wikipedia.org/wiki/Serbi
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Slovacchi


Gli slovacchi sono un popolo slavo occidentale che abita principalmente in Slovacchia e parla la lingua slovacca, strettamente imparentata con la lingua ceca.

La maggior parte degli slovacchi abitano entro i confini della Slovacchia (circa 5.000.000), ma ci sono minoranze autoctone slovacche in Repubblica Ceca, Ungheria (Békéscsaba), Serbia (Voivodina) e considerevoli popolazioni di immigranti negli Stati Uniti d'America e in Canada.





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Sloveni

Gli sloveni (in sloveno Slovenci, f. pl. Slovenke, m. sing. Slovenec, f. sing. Slovenka) sono un gruppo etnico appartenente ai popoli slavi meridionali, o slavi del sud discendenti delle tribù del ceppo slavo. Sono l'etnia dominante della Slovenia.

La lingua parlata dagli sloveni è lo sloveno, lingua appartenente alla famiglia delle lingue slave meridionali.

Gli sloveni sono stanziati principalmente in Slovenia, dove rappresentano la parte preponderante della popolazione, e in alcune zone dei paesi limitrofi (Italia, Austria, Ungheria e Croazia), dove vengono riconosciuti come minoranza etnica nazionale, tranne in Italia, dove vengono riconosciuti solo come minoranza linguistica.

Una parte degli sloveni durante il dominio dell'Impero austriaco è stata germanizzata: tanti di loro al giorno d'oggi non parlano più lo sloveno bensì il tedesco.

La religione maggiormente diffusa fra gli sloveni è la religione cattolica.

L'identità slovena si è mantenuta viva durante tutto il periodo in cui la Slovenia era parte integrante della Iugoslavia. Con il preannunciarsi della disgregazione dello stato iugoslavo si è avuto un incremento e una rinascita del sentimento nazionale sloveno portando alla ricerca di una nuova simbologia che rappresentasse il sentire nazionale.
Area di insediamento degli sloveni in base al
censimento austriaco del 1880.


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fonte https://it.wikipedia.org/wiki/Sloveni

 
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