Un secolo e mezzo di pax genovese
Alla fine della guerra si giunse anche grazie al fatto che, già negli ultimi tempi della lotta, Genova sembrava aver compreso che l'eccessiva durezza mostrata nell'amministrazione e nello sfruttamento della Corsica erano il miglior sistema per incitare i suoi abitanti a trovare nella rivolta l'unica risposta alla miseria loro inflitta, e aveva pertanto avviato una politica più moderata ed equilibrata per garantirsi l'appoggio della popolazione.
Il dispositivo di pace prevedeva un'amnistia e la liberazione di ostaggi e prigionieri, la concessione ai còrsi delle libertà - prima negate - di movimento da e verso l'Italia e di disporre direttamente dei propri beni, un condono e una proroga fiscale di cinque anni. Ad Alfonso fu offerta la restituzione dei feudi d'Ornano che, confiscati, erano stati all'origine della tragedia di sapore shakespeariano che aveva coinvolto il padre e la madre, inteso che egli, con i suoi più stretti seguaci, s'esiliasse comunque, come poi fece passando in Francia.
Nell'ottica di pacificare l'isola in modo duraturo e di riconoscere significativi elementi di autogoverno locale, nel 1571 Genova - tornata a occuparsi direttamente della Corsica sin dalla fine dell'amministrazione del Banco di San Giorgio nel 1562 - istituisce gli Statuti civili e militari che, da allora in poi, regoleranno - almeno sulla carta - il diritto e l'amministrazione nell'isola.
Successivamente emendati ed estesi, gli Statuti furono nel complesso un buono strumento istituzionale e - nelle parti recepite nella Costituzione paolina del 1755 - e resteranno parzialmente in vigore sino all'annessione francese del 1769.
Dal punto di vista amministrativo la Corsica dipese, da allora in poi, da una sorta di ministero dedicato, con sede a Genova: il Magistrato di Corsica, che rendeva conto del proprio operato di fronte ai massimi organi della Repubblica, il Maggior Consiglio e il Minor Consiglio.
Sull'isola risiedeva un governatore genovese, coadiuvato da un vicario e dal consiglio dei nobili dodici, mediato dalla simile istituzione della Terra di Comune.
Il territorio fu suddiviso in province, ognuna delle quali aveva alla propria testa o un commissario (con sede a Bonifacio, Ajaccio e Calvi), o un luogotenente (con sede a Corte o Aleria, Rogliano, Algaiola, Sartene e Vico). Le fortificazioni furono riparate o consolidate e ingrandite e vennero munite di presidi più solidi che nel passato.
Le corti di giustizia furono riorganizzate e dotate di un complesso apparato burocratico.
La vita pubblica fu organizzata attorno a una ridefinizione accurata delle comunità rurali che divennero il nucleo base del territorio dal punto di vista istituzionale, fiscale e religioso, integrando l'antica rete delle pievi.
I villaggi, riuniti in parlamenti, eleggevano periodicamente i loro podestà o padri del comune, responsabili delle funzioni di amministrazione e di polizia locali, attraverso la carica, pure elettiva, di capitano della milizia.
Le comunità si governavano quindi in maniera largamente autonoma, senza ingerenze da parte della Repubblica, se non in casi eccezionali.
Nei paesi dell'entroterra fu così libera di svilupparsi una classe di notabili indicati come i principali.
Gli atti, sia privati sia pubblici (elezioni locali e grida governatorali), erano trascritti presso i registri notarili. Tali registri venivano regolarmente sottoposti al cancelliere della sede provinciale competente e, per un certo periodo, le autorità locali furono autorizzate a inviare propri rappresentanti presso il governatore o, addirittura, presso l'autorità centrale a Genova, per esprimere particolari esigenze, denunce di gravi abusi o richieste di aiuto in caso di calamità quali la siccità.
Il territorio fu suddiviso, dal punto di vista fiscale e produttivo, in circoli destinati a frutteti e vigne, prese, destinate alle semine, e terre comuni, patrimonio collettivo delle comunità, destinate al pascolo, alle colture temporanee e orticole, alla raccolta di frutti di bosco e legname.
Guardie campestri e giudici specializzati si occupavano di vigilare sul rispetto degli Statuti nella conduzione delle terre.
Legislazione civile e criminale furono definite come mai prima, come pure la tassazione, resa più efficiente pur restando basata sulla taglia (l'imposizione diretta) e sulle gabelle come lo «scudo a botte» per il vino, le tratte per altri prodotti, il boatico (vendita forzosa a prezzo ridotto di orzo e grano alle guarnigioni di stanza sull'isola) e diversi monopoli (primo tra tutti quello sul sale) per quanto riguarda l'imposizione indiretta.
Le città costiere, alcune delle quali popolate in grande maggioranza da genti liguri (in particolare Calvi, Bastia e Bonifacio), godevano di diversi privilegi rispetto ai centri dell'interno (esenzioni fiscali, immunità particolari), venendo così a costituire un mondo a parte.
Sede dei governi provinciali, queste piccole capitali svilupparono un patriziato più affine a quello che cresceva nel frattempo in Italia, arricchendosi tanto con i traffici marittimi e con i compensi derivanti dall'esercizio di incarichi amministrativi legati al governo, quanto attraverso l'imprenditoria agricola sviluppata nell'immediato entroterra.
La classe del patriziato, detta dei nobili - ma in effetti si trattava una borghesia urbana - avevano in mano il mercato dei cereali, quello della pesca, quello dei prestiti e quello dell'artigianato e della produzione manifatturiera locali.
Saranno proprio gli esponenti di questa classe che, aspirando a sempre maggiori prestigio e ricchezze, si porranno nel XVIII secolo alla guida della rivolta popolare e costituiranno prima il nerbo della Corsica indipendente di Pasquale Paoli, e poi il primo elemento di legittimazione locale dei governi francesi.
La Repubblica, sia durante il XVII sia il XVIII secolo, riprese la parte migliore del lavoro già avviato dal Banco di San Giorgio nel mettere a frutto la coltivazione cerealicola nelle regioni litoranee, la coltura dell'ulivo (soprattutto in Balagna) e lo sfruttamento forestale (soprattutto i castagneti di Castagniccia).
La rete stradale dell'isola fu incrementata e migliorata (alcuni ponti genovesi sono ancor oggi in uso), mentre specialmente nel Cismonte e in tutte le città costiere ebbe luogo un'intensa attività di edificazione e di ristrutturazione edilizia che caratterizzò molti centri storici il cui aspetto è, ancor oggi, marcato dalla forte impronta stilistica ligure e barocca dovute a questo periodo.
Sulle coste fu rafforzato il dispositivo delle torri d'avvistamento e difesa, a causa della recrudescenza degli assalti barbareschi, che divennero particolarmente frequenti e distruttivi soprattutto nei due decenni successivi alla sconfitta subita dagli ottomani a Lepanto nel 1571.
Ciò che non deve stupire in quanto la pirateria venne a riempire lo spazio lasciato libero dall'impossibilità per gli ottomani di accedere altrimenti alle ricchezze prima disponibili attraverso i normali traffici loro negati a seguito del grave rovescio della loro flotta.
Le conseguenze di questo ventennio di attacchi, piuttosto ben documentati e distribuiti in un po' tutta l'isola, furono disastrose e comportarono l'abbandono di dozzine e dozzine di centri abitati di pianura come non avveniva da secoli.
È esemplare a questo proposito il caso di Sartene. Nel 1540 la sua regione contava undici centri maggiori che alla fine del secolo risultano tutti abbandonati tranne Sartene stessa, che fu fortificata e che costituì rifugio di tutta la popolazione del suo circondario sino al XVIII secolo quando, passato il pericolo, i centri minori poterono risorgere.
Nello stesso periodo l'isola fu colpita da gravi pestilenze che costituirono ulteriori ostacoli alla realizzazione dei piani di sviluppo predisposti dalla Repubblica, che nel complesso, per quanto ben congegnati sulla carta, non ebbero il successo sperato.
La stagnazione economica tenne dunque viva la storica tendenza all'emigrazione delle genti còrse, che continuarono a tentare di cercar fortuna sul continente, specialmente servendo - per tradizione consolidata - come militari al servizio delle potenze straniere, e anche sfidando la proibizione in tal senso emessa da Genova, preoccupata da questa emorragia che ostacolava i propri piani di sviluppo e spopolava le campagne.
Tale preoccupazione del resto, era ben spiegata dalle mancate entrate fiscali che derivavano dal mancato sviluppo e che assumevano un peso particolare considerando il declino finanziario della Repubblica, che s'era esposta a finanziare i sovrani di Spagna i quali, nel corso del XVII secolo, più volte mancarono di restituire alla scadenza prevista i cospicui prestiti concessi da Genova, sino a dichiararsi insolventi. In tal modo divennero inesigibili ricchezze vitali all'effettiva indipendenza e alle speranze di potenza della Repubblica ligure, già scossa dalla perdita progressiva di tutte le sue colonie d'oriente per mano dei Turchi e dal calo del volume dei suoi traffici con il Levante, indotto anche dalla concorrenza Francese, venutasi ad aggiungere, a partire dal XVI secolo, a quella storicamente esercitata dalla Repubblica di Venezia.
Oltre a ristabilire la proibizione formale a espatriare, nuovamente imposta ai còrsi a dispetto di quanto promesso inizialmente negli Statuti, Genova cercò in ogni modo di incoraggiare la valorizzazione delle terre dell'isola, istituendo anche a tale scopo la figura del Magistrato della coltivazione e concependo piani di sviluppo che però rimasero in buona parte inattuati, ma la cui bontà generale è testimoniata dal fatto che saranno molto più tardi fedelmente ricalcati da simili piani francesi (anch'essi, per altro, rimasti largamente inattuati).
Uno dei punti deboli di tali piani era costituito dal fatto che essi, piuttosto che su un intervento dello Stato (per altro di difficile attuazione, vista la sofferenza finanziaria della stessa Repubblica), basavano tutte le proprie speranze di attuazione sulla libera iniziativa privata attraverso un complesso sistema di infeudamenti ed enfiteusi che invece di avviare il circolo virtuoso produttivo sperato, finì per avviare l'erosione delle terre comuni alienandone la piena disponibilità alle comunità locali e favorendo l'arricchimento di alcuni Principali e Nobili senza alcun vantaggio per la collettività.
Tale fenomeno di espropriazione e immiserimento delle comunità còrse a favore di ricchi possidenti avrà un'accelerazione decisiva quando lo schema sarà riproposto dai francesi, e finirà per creare danni sociali tanto acuti da poter essere considerato tra le cause scatenanti delle insurrezioni che, per circa un cinquantennio, scoppiarono in Corsica dopo l'occupazione francese e che, per certi versi, sono paragonabili alle insorgenze che nell'Italia meridionale sottoposta al governo sabaudo all'indomani della caduta del Regno delle due Sicilie, daranno vita al fenomeno poi passato alla storia come Brigantaggio.
In questo quadro si inserisce come singolare la concessione ad alcune centinaia di greco-cattolici originari della Laconia (regione meridionale del Peloponneso) in fuga dal dominio ottomano.
A seguito di lunghe trattative (che richiedevano sostanzialmente l'accettazione del primato papale in campo religioso, come avvenuto per altre comunità arvanite di rito greco riparate in Italia) questi profughi furono installati nel 1676 nelle terre costiere a circa 50 km a Nord di Ajaccio.
Nella regione, detta Paomia, i greco-cattolici fonderanno una colonia che, spostata a Cargese a seguito dell'occupazione francese, ha mantenuto alcune tradizioni originarie, ivi compreso il rito religioso orientale, tuttora officiato.
Il mancato successo dei piani di sviluppo genovesi - che finì comunque per porre in modo acuto una questione agraria le cui conseguenze si faranno sentire sino ai nostri giorni - nel contesto di un'economia ancora improntata a uno sfruttamento sostanzialmente coloniale e di un restringimento progressivo all'esercizio effettivo delle poche libertà concesse ai còrsi, considerati di fatto come sudditi e non come cittadini dalla Repubblica, finì per far montare una crisi che doveva rivelarsi senza rimedio e che avrebbe condotto la Corsica a rompere definitivamente con Genova, sia pure in modo graduale e difficilmente percettibile sino all'esplosione della rivolta, a partire dal 1729.
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