IL FARO DEI SOGNI

Corsica

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La Corsica (Corse in francese, Corsica in còrso, Córsega in ligure) è un'isola del Mar Mediterraneo e una collettività territoriale unica francese con capoluogo Ajaccio.

La regione include due dipartimenti, cinque circondari (arrondissement), 52 cantoni e 360 comuni.

Il territorio della regione coincide quasi interamente all'omonima isola, quarta per estensione nel Mar Mediterraneo (dopo Sicilia, Sardegna e Cipro).

Separata dalla Sardegna dal breve tratto delle Bocche di Bonifacio, emerge dal Mediterraneo come una grande catena montuosa ricca di foreste, segnando il confine tra la sua parte occidentale, il mar Tirreno e il mar Ligure.

Benché politicamente parte della Francia sin dal 1769, l'isola rientra nella regione geografica italiana e ha legami storici con l'Italia anche in ambito linguistico e culturale.

È nota per essere il luogo natale di Napoleone Bonaparte, nato nel 1769 ad Ajaccio, tre mesi dopo l'invasione militare francese contro la Repubblica Corsa di Pasquale Paoli e un anno dopo il Trattato di Versailles con cui la Repubblica di Genova cedette l'isola a Luigi XV di Francia.

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Storia della Corsica
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La storia della Corsica, in cui l'insediamento umano è testimoniato almeno dal X millennio a.C., si collega per alcuni tratti a quella della Sardegna, con la quale ebbe in più epoche punti di contatto, e dopo aver subito numerose dominazioni (come quella genovese) fa parte, dal XVIII secolo in avanti, a quella della Francia continentale.


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Preistoria della Corsica



La preistoria della Corsica abbraccia un periodo che va dal Paleolitico all'età del ferro.

Il più antico scheletro umano completo rinvenuto in Corsica è quello della cosiddetta "Dama di Bonifacio" riportato alla luce presso la località di Araguaina-Sennola vicino a Bonifacio; le datazioni al radiocarbonio, che hanno restituito risultati discordanti, farebbero risalire i resti ad un periodo compreso fra l'8500 e il 6500 a.C.

Secondo la prima datazione la donna visse in periodo pre-neolitico (mesolitico) mentre per la seconda datazione la donna visse durante il neolitico antico.


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Paleolitico
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Il paleolitico in Corsica riguarda il periodo precedente al 9000 a.C. Alla metà degli anni novanta venne scoperto il primo possibile sito paleolitico corso a Coscia Grotto, presso Rogliano.

Tuttavia vi sono dei dubbi su queste prime frequentazioni.



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Mesolitico
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Se le prove certe di un insediamento paleolitico sono attualmente mancanti, ci sono comunque molto dati che indicano una presenza umana dal 9000 a.C.: sono sette i siti conosciuti e scavati e tre le sepolture, a Sollacaro e Bonifacio nel sud e a Pietracorbara nel nord dell'isola.

Il primo, datato dall'ottavo millennio (7959-7184 a.C.), mostra molte somiglianze, per quanto riguarda il trattamento dei morti, con le tombe dell'Epigravettiano delle Arene Candide (Liguria), in particolare con la tomba II scavata da L. Cardini (1980).

In entrambi i casi, infatti, gli scheletri erano distesi sulla schiena, con le braccia lungo il corpo, i piedi giunti e la testa in posizione laterale forzata e ricoperti con una sostanza minerale rossa.


Queste analogie suggeriscono una certa unità culturale nell'ottavo millennio prima di Cristo tra le due sponde del mar Tirreno. Un altro elemento corrobora questa visione: le industrie litiche dei siti corso-sardi e quelli della costa occidentale dell'Italia (Grotta della Madonna in Calabria, Grotta della Campania Serratura, Riparo Blanco al Circeo) mostrano grandi similitudini.

Inoltre, qualunque sia la realtà sulle frequentazioni paleolitiche di queste isole, ci sono prove che le società umane che si svilupparono nelle due isole dopo l'ultima glaciazione, avevano un'origine sicuramente continentale.

La presenza di esseri umani anatomicamente moderni in Corsica e Sardegna sarebbe legata all'arrivo, durante il Mesolitico, di nuove popolazioni, molto probabilmente provenienti dalle vicine coste italiane.



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Neolitico


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Antico



Durante il neolitico antico (6000-5000 a.C.) apparvero la ceramiche tipiche della cultura cardiale e si diffusero pecore, capre e maiali; questi elementi fanno ipotizzare una migrazione di genti provenienti via mare dalle coste tosco-liguri che si spinsero anche più a sud, fino a raggiungere il nord Sardegna.

Per questa fase si possono delineare due facies, una riconoscibile nei siti di Basi e Stretta e una seconda nel sito di Curachiaghju dove è riscontrato un largo uso dell'ossidiana, importata dalla vicina Sardegna.

A Petra (L'Île-Rousse)
A Revellata (Calvi)
Araguina-Sennola, Bonifacio.
Basi, Serra-di-Ferro.
Currachjaghju (Levie)
Filitosa, Sollacaro.
Gritulu (Luri)
Rinaghju (Sartène)
Southwell (Vivario)
Strette, Barbaggio.
Torre d'Aquila (Pietracorbara)



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Medio
***


Nel neolitico medio (5000-4000 a.C.) vengono introdotti i bovini e inizia la produzione del grano, vengono inoltre edificati i primi villaggi permanenti.

Le produzioni ceramiche e litiche di queste comunità còrse erano in piena sintonia con quelle delle vicine correnti culturali del sud della Francia e della costa italiana, fatto che dimostra che queste popolazioni insulari stavano crescendo in contatto con le altre società del Mediterraneo da cui in origine provenivano.

Fra i siti più noti si possono citare:

Araguina-Sennola, Bonifacio.
Basi (Serra-di-Ferro)
Cardiccia (Sartène)
Currachjaghju (Levie)
Filitosa, Sollacaro.
La Figue (Sartène)
Monte Grossu (Biguglia)
Monte Revincu (Santo-Pietro-di-Tenda)
Pughjaredda (Poghjaredda) (Sotta)
Presa-Tusiu (Altagene)
Scaffa Piana, Oletta.
Strette, Barbaggio.
Terrina IV, Aleria
Torre d'Aquila (Pietracorbara)
Vasculaghju (Sotta))


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Recente



Il neolitico recente (4000-3000 a.C.) è contraddistinto dalla comparsa in Corsica e Sardegna della cultura megalitica.

Più in particolare la Corsica del Sud e la Gallura costituiscono durante questa fase un unicum culturale caratterizzato dalla cosiddetta facies di Arzachena.

I monumenti megalitici più diffusi in Corsica risalenti a questa periodo sono i circoli funerari, i dolmen e i menhir. I siti più famosi sono quelli di:

Filitosa, Sollacaro.
Strette, Barbaggio.
Terrina IV, Aleria
A Mutula (Belgodere)
Cauria XX-XXI (Sartène)
I Calanchi / Sapar'Alta (Sollacaro)
Monte Lazzu, Tiuccia (Casaglione)
Southwell (Vivario)
Terrina IV (Aleria)



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Calcolitico



Nel calcolitico (3000-1800 a.C.) si ha un'evoluzione della cultura megalitica apparsa durante la fase precedente.

Nelle statue-menhir antropomorfe compaiono le prime rappresentazioni di armi.

Siti calcolitici di rilievo:

Terrina IV, Aleria
Filitosa, Sollacaro.
Strette, Barbaggio.


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Età del bronzo
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Durante l'età del bronzo (1700-700 a.C.) apparve nella Corsica meridionale la civiltà torreana, legata alla civiltà nuragica diffusasi in tutta la Sardegna.

L'edificio tipico di questa civiltà è la Torre che presenta forti similitudini con il Nuraghe sardo, la differenza più significativa fra le due costruzioni megalitiche è la dimensione più contenuta delle torri corse che ricorda quella dei talaiot (edifici simili a nuraghi e alle stesse torri) delle isole Baleari.

La società torreana, analogamente a quella nuragica, era una società guerriera e dedita ad attività agro-pastorali e metallurgiche, ben inserita nei traffici commerciali dell'epoca.

Fra i più importanti siti torreani si possono citare quelli di:

Casteddu d'Araggiu, Porto Vecchio.
Torré, Porto Vecchio.
Ceccia, Porto-Vecchio.
Casteddu di Tappa, Porto-Vecchio.
Castellu di Cucuruzzu, Levie.
Terrina IV, Aleria.
Filitosa, Sollacaro.
Strette, Barbaggio.



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Gli antichi corsi


Per quanto riguarda l'ascrizione etnica degli antichi Corsi, fra le varie teorie quella che ha riscosso più successo è la teoria che propone un'antica origine Ligure.

Nel 1889 e nel 1894 Marie Henri d'Arbois de Jubainville espose la sua tesi secondo la quale la Corsica, la Sardegna, la Spagna orientale, il sud della Francia e l'Italia occidentale sarebbero un tempo state parte di un unico continuum linguistico pre-indoeuropeo di cui le lingue liguri e iberiche rappresenterebbero un lascito.

Toponimi riscontrabili in questo vasto territorio sarebbero ad esempio quelli che hanno come suffisso : -asco -asca -usco -osco -osca (o modificazioni degli stessi).

Lucio Anneo Seneca, che visse otto anni in Corsica in esilio, narra che la popolazione costiera dell'isola era ligure mentre le genti che vivevano nell'interno erano di estrazione iberica, probabilmente affini ai Cantabri.

Secondo l'archeologo Giovanni Ugas le popolazioni Liguri-Corse raggiunsero le due isole tirreniche (Corsica e nord Sardegna) dall'arco tosco-ligure nel neolitico antico, fra il 6000 e il 4000 a.C., sarebbero identificabili quindi con le popolazioni portatrici della ceramica impressa che introdussero la rivoluzione neolitica nelle due isole.


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Storia della Corsica
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La storia della Corsica, in cui l'insediamento umano è testimoniato almeno dal X millennio a.C., si collega per alcuni tratti a quella della Sardegna, con la quale ebbe in più epoche punti di contatto, e dopo aver subito numerose dominazioni (come quella genovese) fa parte, dal XVIII secolo in avanti, a quella della Francia continentale.

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Geografia
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Nella storia della Corsica geografia e orografia hanno avuto conseguenze più spiccate che altrove.

La grande isola mediterranea è una sorta di "montagna in mezzo al mare", attraversata com'è, da nord-ovest a sud-est, da un notevole sistema di catene montuose le cui cime superano spesso i 2500 metri.

Tali cime culminano nei 2706 metri del Monte Cinto, la cui vetta - spesso innevata anche d'estate - dista solo 28 km dal mare, a ponente, illustrando così assai bene lo sviluppo verticale più che orizzontale di questa terra.

Questo sistema montuoso ha da sempre diviso la Corsica in due parti: quella nord-orientale (oggi Haute-Corse), detta storicamente Banda di dentro, Di qua dai monti o Cismonte (avendo come riferimento l'Italia), e quella sud-occidentale (oggi Corse-du-Sud), detta Banda di fuori, Di là dai monti o Pumonte.

I passi che attraversano le montagne - molti dei quali sono situati oltre i 1000 metri - erano bloccati anche per settimane dalle nevicate, venendo così a costituire, assieme ai monti, più una barriera che un vero collegamento tra le due sub-regioni.

Ancora, le ripide vallate, spesso prive di collegamenti tra loro anche nell'ambito della stessa Banda, tracciano una ragnatela a compartimenti stagni nell'entroterra còrso.

Se da un lato queste caratteristiche del terreno hanno reso lungo e difficile il compito agli invasori, rendendone lenta la penetrazione e abituando i còrsi a fare di guerra e guerriglia il proprio pane quotidiano per secoli, dall'altro hanno contribuito decisivamente a tenere sempre relativamente bassa la densità della popolazione e a separare i còrsi tra loro.



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Lungo il versante rivolto all'Italia è presente una lunga cimosa litoranea, potenzialmente fertile ma facilmente soggetta all'impaludamento e, in passato, alla malaria che per lunghi secoli ha reso pressoché impossibile l'insediamento umano in tutta la piana d'Aleria.

Il Capo Corso e l'area di Bastia hanno inoltre subìto una maggiore influenza dalla Penisola, sia sul piano politico-sociale, sia su quello linguistico, mentre la parte sud-occidentale ha mantenuto un'originalità più spiccata (ma goduto di un minore progresso politico, almeno sino all'attuale periodo francese, nonostante la maggiore disponibilità di buoni approdi); a ogni modo il radicamento della popolazione nelle vallate montane - tutte le maggiori città sul mare sono state fondate o sviluppate dagli invasori - ha generato e diffuso ovunque una tendenza al particolarismo, a volte spinta sino a sfociare in una sorta di anarchismo la cui conseguenza forse più drammatica fu il diffondersi e l'affermarsi, per secoli, della piaga della vendetta (simile alla disamistade diffusa nella vicina Sardegna e alla faida nell'Italia meridionale e in Sicilia) quale sistema sommario di giustizia, e del diffuso fenomeno del banditismo.

La grande divisione orografica longitudinale e quelle (minori, ma a volte non meno importanti) trasversali, più marcate nella zona sud-occidentale, hanno dunque finito per creare nell'isola confini ideali, sociali, linguistici e politici.

Tali confini, filtrati dalla storia, si sono tradotti nelle suddivisioni amministrative che, con poche variazioni, sono rimaste immutate sino ai giorni nostri.

I due dipartimenti (Départements 2A/2B), reintrodotti dalla Francia nel 1975 (dopo un'analoga parentesi tra 1793 e 1811), ricalcano i confini storici di Pumonte e Cismonte, mentre gli attuali Cantoni (Cantons) corrispondono in buona parte all'antico sistema delle Pievi (suddivisione amministrativa del territorio delle parrocchie), sviluppato durante i secoli del dominio genovese (1284-1768).

Situata in posizione strategica nel Mar Mediterraneo occidentale, la Corsica suscitò l'interesse dei popoli e degli Stati che, via via, si sono affacciati su quel mare come commercianti o come conquistatori.

Liguri, Fenici, Greci, Etruschi, Romani, Vandali, Bizantini, Pisani, Aragonesi, Genovesi e, per ultimo, i Francesi (che, con il Trattato di Versailles del 1768 di fatto costrinsero la Repubblica di Genova a cedere l'isola, e subito dopo l'annessero), si sono fatti signori di Corsica durante il trascorrere di oltre due millenni.




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Antichità - I primi abitanti



Durante le glaciazioni, il livello medio del mare Mediterraneo si abbassò e si crearono diversi ponti naturali che consentirono il passaggio della fauna dal continente italiano all'arcipelago sardo-corso, passando per le isole di quello toscano e attraversando al più uno stretto tratto di mare.

Attorno a 12-14 000 anni fa, il clima iniziò l'evoluzione che lo ha portato verso la sua forma attuale, e la Corsica, distaccatasi dalla Tirrenide, assunse l'odierna configurazione insulare.

Nel XIX secolo fu sviluppata l'ipotesi che anche l'uomo potesse aver popolato queste lande raggiungendole a piedi quando ancora non era completamente un'isola; questa tesi del docteur Mattei fu ripresa dal conte Colonna de Cesari Rocca, che notò come, al tempo in cui scriveva, gli antropologi si stessero interessando di curiose somiglianze comportamentali fra i caratteri di alcune tipologie di corsi e di albanesi (anch'essi di origine pelagica) che con molta analogia - riferisce lo studioso - avevano spirito di clan e l'abitudine di assoggettare per poi dominare le popolazioni presso le quali si erano introdotti.

Risalgono a circa il 9000 a.C. (Romanelliano) i primi giacimenti di pietre scheggiate e gli abbozzi scultorei finora ritrovati in Corsica, nella regione di Porto-Vecchio.

Uno scheletro femminile (la dame de Bonifacio) datato al VII millennio a.C. è stato trovato presso la città omonima.

Il Neolitico antico è rappresentato in Corsica da reperti di ceramiche cardiali e da ossidiana importata. I maggiori influssi sembrano provenire sia dalla Toscana sia dalla Sardegna.


Nelle fasi successive si sviluppò in Corsica una civiltà megalitica di rilievo, che lascia sull'isola dolmen (stazzòne, trovati presso Cauria e Pagliagio), menhir (stantare) e le originali statue-menhir, concentrate soprattutto a Sud, nel sito di Filitosa e in quello di Funtanaccia, nei pressi di Sartene, ma presenti anche al Nord, presso San Fiorenzo. Il sito di Filitosa - riconosciuto patrimonio mondiale dall'UNESCO - si trova nei pressi di Sollacaro, verso lo sbocco sul mare della valle del Taravo).

Secondo l'archeologo Giovanni Lilliu, nella seconda metà del IV millennio a.C., la Corsica fu investita da una corrente culturale chiamata Cultura di Arzachena, nota anche come aspetto culturale corso-gallurese, secondario al complesso culturale conosciuto come Cultura di Ozieri ed esteso su tutta la Sardegna. La facies corso-gallurese interessava prevalentemente l'intera Gallura con espansione oltre le Bocche di Bonifacio, nella Corsica del Sud.

Sempre secondo G. Lilliu, tale facies evidenziava una società a sfondo aristocratico e individualistico, e si distingueva chiaramente da quella predominante di Ozieri, tendenzialmente democratica e con chiari influssi dal Mediterraneo orientale. La facies pastorale aristocratica di Arzachena e la cultura agricola democratica di Ozieri, costituiranno la più importante componente sociologica delle popolazioni sarde prenuragiche

L'eneolitico corso è caratterizzato dal terriniano, che prende il nome dal sito di Terrina, sulla costa centro-orientale, dove ebbero una preoce diffusione le tecniche legate alla metallurgia del rame. Nella prima età del bronzo si registrano sull'isola, così come in Sardegna, influssi settentrionali provenienti dall'area poladiana.


In questa fase si sviluppa, nel Sud, la civiltà torreana. Di questa cultura restano oggi numerose torri megalitiche con struttura simile a quella dei nuraghi sardi.

Per la natura dei reperti, la loro epoca e la loro localizzazione, gli studiosi hanno accertato che tale civiltà fosse un'estensione di quella coeva sviluppatasi in Sardegna. Secondo una teoria invasionistica, sviluppata principalmente dal Grosjean negli anni settanta, i Torreani (che l'autore fa coincidere con l'antico popolo del mare degli Shardana) ebbero la meglio sui megalitici e li scacciarono verso il centro e il nord dell'isola.

Lo stesso sito di Filitosa recherebbe le tracce della distruzione cruenta dell'insediamento precedente e la sovrapposizione a esso di uno torreano. Oggi questo modello non è più accettato dalla maggior parte degli studiosi che vedono nei Torreani l'evoluzione delle locali comunità neoeneolitiche.


In questo periodo prese forma il popolo che i Greci chiameranno Κὁρυιοι, Còrsi, attestati anche nella Gallura e forse di ascendenza ligure, come sembrerebbero suggerire toponimi come Asco e Venzolasca, con il tipico suffisso in "-asco".



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Età del ferro e storia antica




Iniziata sull'isola attorno all'VIII secolo a.C., l'Età del ferro termina con l'ingresso della Corsica nella Storia quando viene fondata da coloni Greci Ioni, i Focei di Marsiglia, la colonia di Alalia, nel 565 o nel 562 a.C., presso il sito dell'attuale città di Aleria.

I Greci chiamarono l'isola dapprima Kalliste e in seguito Cyrnos, Cernealis, Corsis e Cirné.

Dei Focei parlò Erodoto, lasciando così la prima traccia documentale dell'isola, e ne narrò che dopo la fondazione di Alalia altri Focei raggiunsero l'isola per sottrarsi al rischio di cadere in schiavitù dei Persiani.

Anche i Greci resistettero poco: nel 535 a.C., a seguito della battaglia del mare sardo, furono a loro volta scacciati da una coalizione Etrusco-Cartaginese formata su un patto appositamente stipulato e che, dopo il conflitto, prevedeva in caso di vittoria la spartizione delle due isole su cui era stata conquistata l'influenza: la Sardegna ai Cartaginesi, la Corsica agli Etruschi.

In realtà secondo Erodoto i Focei avevano vinto, ma si sarebbe trattato di una vittoria cadmea, dato che delle 60 navi impiegate (la metà del complessivo armo delle flotte avversarie) 40 furono affondate e le restanti rese inservibili.

I Focei lasciarono allora la Corsica e Cartaginesi ed Etruschi poterono così dar corpo ugualmente al patto di spartizione.

Gli Etruschi ripresero pertanto quel controllo sulle sponde orientali dell'isola che già in precedenza avevano consolidato con l'attività delle marine da guerra di Pisa, Volterra, Populonia, Tarquinia e Cere.

Alla loro presenza è attribuito il toponimo di Tarco nella costa sud orientale, che richiama la città di Tarquinia.


Seguirono le incursioni dei Sicelioti di Siracusa che, nel V secolo a.C., fondarono un leggendario Portus Syracusanus e, di nuovo, quelle dei Cartaginesi (IV secolo a.C.).

I siracusani mossero una prima volta verso l'isola al comando di Apello nel 453 a.C., ma fu nel 384 a.C., con Dionisio I, che sferrarono l'attacco più importante poiché rivolto non solo alla Corsica ma anche all'isola d'Elba e alle coste toscane.

Il Portus Syracusanus è stato classicamente individuato nel sito dell'attuale Porto Vecchio, tuttavia vi sono diversi studiosi di epoche diverse che confutano questa tesi, sostenendo che possa essere stato nel golfo di Santa Amanza, oppure a Bonifacio.


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Sette secoli di Corsica romana




Il dato sul primo serio interessamento di Roma all'isola lo si ricava da un testo di argomento insospettabile: è infatti in Teofrasto, il botanico greco, che si legge di una spedizione romana in Corsica finalizzata alla fondazione di una città.

Le 25 navi della spedizione incorsero però in un inatteso inconveniente, rovinandosi le vele con la selvaggia e gigantesca vegetazione, i cui rami crescevano e si sporgevano dai golfi e dalle insenature dell'isola sino a lacerarle irrimediabilmente; e, per completare il disastro, la zattera che caricava 50 vele di ricambio affondò con tutto il carico.

La spedizione sarebbe avvenuta intorno al IV secolo a.C., a questo periodo infatti diversi studiosi, fra i quali il Pais, riferiscono il brano del botanico.

Fallita la spedizione, non era cessata l'attenzione dell'Urbe per il mare e per questo interesse giunse anche, all'incirca nel 348 a.C., a stipulare due trattati con Cartagine, entrambi riguardanti Sardegna e Corsica; ma se rispetto alla prima isola i passaggi dei trattati sono ben chiari, i patti sulla seconda sono tutt'altro che nitidi, al punto che Servio osserva che in foederibus cautum est ut Corsica esset medio inter Romanos et Carthaginienses.

Anche Polibio, narrando dei trattati, non menziona la Corsica e da questo silenzio, insieme al fatto che l'isola non figurava nemmeno nelle descrizioni dei territori a controllo cartaginese, il Pais e altri dedussero che la facoltà di controllarla che tempo prima Cartagine aveva pattuito con gli Etruschi, si fosse da questi trasmessa a Roma.

Tuttavia lo stesso Pais ricorda, per converso, che Cartagine non aveva mai rinunziato a mire sull'intero Mediterraneo, e che riponeva nella Corsica un interesse specifico, giacché a partire dal 480 a.C. ne assoldava periodicamente fidati mercenari; questa circostanza, unita a una facile riflessione sull'importanza strategica di un'isola a vista, anzi dirimpettaia delle rive liguri, toscane e laziali, punto quindi di osservazione e di attacco, parrebbe smentire l'ipotesi di un disinteressamento di Cartagine come causa del silenzio dei trattati.

I trattati imperituri non durano mai quanto promettono e Roma era infatti impegnata nella prima guerra punica, già dal 264 a.C., quando il console romano Lucio Cornelio Scipione nel 259 sbarcò presso lo Stagno di Diana, a circa 3 km da Aleria, e assediò la città; sebbene l'invasore contasse sull'effetto sorpresa, Aleria resistette a lungo e dopo la capitolazione Scipione la saccheggiò con accanimento, ciò che secondo Floro avrebbe diffuso lo sgomento nelle popolazioni corse.

Prima di potersi dedicare a terminare l'occupazione della Corsica, Scipione si allungò in Sardegna dove i locali erano in rivolta contro Roma, secondo lo Zonara poiché sobillati dal generale cartaginese Annone; sulla rivolta non vi sono dubbi, ma sono state espresse perplessità a proposito dell'asserita fomentazione cartaginese, ad esempio il Dyson definì l'asserzione di Zonara a cryptic passage.

A ogni buon conto, Scipione uccise Annone e ne organizzò il funerale.

Nonostante al rientro del console a Roma si celebrasse il suo trionfo per la vittoria su Cartaginesi, Sardi e Corsi, nondimeno si rese necessario 23 anni dopo, nel 236 a.C., che il senato capitolino dichiarasse guerra ai Corsi e inviasse una spedizione di conquista guidata da Licinio Varo, non coerente con il relato di già avvenuta occupazione dell'isola pervenuto da alcuni storici romani.

Il comandante Varo, comunque, conscio delle proporzioni non schiaccianti della flotta assegnatagli, studiò di far precedere l'attacco principale da un'operazione decentrata meno impegnativa, onde affievolire le difese corse, e fece sbarcare sull'isola un corpo separato di spedizione al comando dell'ex console Marco Claudio Clinea.

Prima di questa operazione, Clinea aveva già reso pericolante la sua reputazione presso i Romani, avendo osato andare in battaglia contro l'avviso degli àuguri e avendo pure commesso un sacrilegio consistente nell'avere (o aver fatto) strangolare dei galli sacri; ansioso di riguadagnare prestigio, mosse da solo contro il nemico e ne fu sconfitto.

I Focei lo obbligarono a siglare un umiliante trattato presto sconfessato da Varo, che lo ignorò o lo infranse, a seconda dei punti di osservazione, e attaccò quando gli avversari, paghi del trattato e non più allertati, proprio non se lo attendevano.

Varo vinse facilmente e conquistò territori della parte meridionale dell'isola; poi tornò a Roma dove chiese la celebrazione di un trionfo, che gli fu però negato.

Quanto allo strangolatore di galli, Clinea, Roma decise di lasciarlo in mano ai Corsi presumendo che lo avrebbero ucciso per esser in qualche modo venuto meno (con l'attacco guidato da Varo) al trattato sottoscritto, ma questi lo liberarono e anzi lo rinviarono a Roma indenne; il Senato non si perse d'animo e, dopo averlo riportato in città, lo condannò a morte, inducendo Valerio Massimo a chiosare che hic quidem Senatus animadversionem meruerat.




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Nel 233 a.C. i consoli Marco Emilio Lepido e Publicio Malleolo, di ritorno da una spedizione in Sardegna in cui avevano razziato dei villaggi, furono costretti da una tempesta a prendere terra in Corsica; gli abitanti li assalirono, massacrarono i soldati e li depredarono del bottino sardo.

Il Senato di Roma inviò allora nell'isola il console Caio Papirio Maso, il quale dopo una serie di buoni successi nelle zone costiere, si diede a inseguire i corsi (per Roma "i ribelli") sulle montagne.

Qui i padroni di casa ebbero facilmente la meglio, dovendo il romano fare i conti anche con la scarsità di rifornimenti e perdendo uomini, oltre che per le azioni militari, anche per la denutrizione delle sue truppe.

Papirio fu costretto a una resa e sottoscrisse un altro trattato i cui dettagli non sono noti, ma che assicurò un buon periodo di pace.

In seguito Roma completò l'occupazione della Corsica durante la prima guerra punica, dando l'avvio a una fase di dominazione che durò ininterrotta per circa sette secoli.

Dopo una serie di alterne vicende, che videro i Romani tentare l'occupazione della Sardegna a partire dalla Corsica e poi scontrarsi con i còrsi, la definitiva espulsione delle ultime forze puniche si concluse nel 227 a.C.

Inizialmente i Romani si limitarono a controllare l'isola senza avviare una vera e propria colonizzazione.

Il II secolo a.C. fu, specialmente nella sua prima parte, un periodo di importanti fermenti insurrezionali.

Nel 181 a.C. ci fu una rivolta dei corsi, sedata nel sangue dal pretore Marco Pinario Posca, che ne uccise circa 2000 e fece un certo numero di schiavi.

Nel 173 a.C. una nuova rivolta fece intervenire Attilio Servato, pretore in Sardegna, che fu battuto e costretto a ripararsi sull'altra isola; Attilio chiese rinforzi a Roma, questa inviò Caio Cicerio che, dopo aver fatto voto a Giunone Moneta di erigerle un tempio in caso di successo, ottenne un nuovo sanguinoso successo, con 7000 corsi uccisi e 1700 fatti schiavi.

Nel 163 a.C. a domare una nuova rivolta fu invece Marcus Juventhius Thalna, delle cui gesta non è stato tramandato.

Oltre al silenzio letterario sulla spedizione, colpiscono due aspetti anche più singolari del poco che ne è stato tramandato: il primo è che dopo aver avuto notizia del successo il senato romano indisse delle preghiere pubbliche, il secondo è che saputo a sua volta di quanto importante fosse stato considerato il suo successo, Thalna ne trasse tanta emozione da addirittura morirne.

Morto Thalna, la ribellione dovette riprendere immediatamente, sostiene il Colonna, poiché Valerio Massimo, pur senza parlare di altre rivolte, segnala che dalla Sardegna dovette allungarsi sull'isola corsa anche Scipione Nasica a completare la pacificazione; circa la complessiva azione romana di repressione delle insurrezioni, lo stesso Colonna suggerisce inoltre che in nessun caso debba essersi trattato di successi pieni poiché, oltre che al primo, a nessun altro condottiero fu poi più concesso il trionfo.

Mario fondò la città di Mariana (Colonia Mariana a Caio Mario deducta, sita presso l'attuale comune di Lucciana) verso la foce del Golo nel 105 a.C. Da questo momento iniziò la colonizzazione vera e propria e sull'isola fiorirono ville rustiche e suburbane, villaggi e insediamenti di ogni tipo, incluse le terme di Orezza e Guagno.

Nell'81 a.C. furono i legionari di Silla a trovare in Corsica il luogo di pensionamento, stavolta presso Aleria, seguiti dai veterani di Giulio Cesare.

Analogamente a quanto avveniva in altre province (la Corsica era amministrativamente associata alla Sardegna con la riforma di Ottaviano Augusto del 4 a.C.), i Romani si guadagnarono il rispetto e la collaborazione dei capi locali (a cominciare dai Venacini, tribù del Capo Corso), riconoscendo loro funzioni di governo locale e apportando ricchezza con la messa a profitto delle terre sfruttabili in collina e lungo le coste.

Presso Aleria e Mariana si approntarono basi secondarie della flotta imperiale di Miseno.

I marinai còrsi arruolati presso i porti dell'isola furono tra i primi a ottenere la cittadinanza romana (sotto Vespasiano, nel 75).

Nel 44 a.C. Diodoro Siculo visitò la Corsica e notò che i còrsi osservavano tra loro regole di giustizia e di umanità che valutò più evolute di quelle di altri popoli barbari; ne stimò il numero in circa 30 000 e riferì che essi erano dediti alla pastorizia e che marchiavano le greggi lasciate libere al pascolo.

La tradizione della proprietà comune delle terre comunali non fu eradicata del tutto se non nella seconda metà del XIX secolo.

Seneca passò dieci anni in esilio in Corsica a partire dal 41. Malgrado i continui collegamenti con l'Italia e forse per la sua natura selvaggia, l'isola divenne regolare mèta d'esilio e rifugio di cristiani, che probabilmente vi diffusero la nuova fede.

In epoca Antonina si perfezionarono le vie di comunicazione interna (strada Aleria-Aiacium e, sulla costa Est, Aleria-Mantinum - poi Bastia - a Nord e Aleria-Marianum - poi Bonifacio - a Sud): l'isola era pressoché completamente latinizzata, salvo qualche enclave montana.



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Sembra accertato che l'isola sia stata colonizzata dai Romani soprattutto per mezzo delle distribuzioni di terre a veterani provenienti dall'Italia meridionale - o dai soldati provenienti dagli stessi strati sociali ed etnici cui furono similmente assegnate terre soprattutto in Sicilia - il che aiuterebbe a spiegare alcune affinità linguistiche riscontrabili ancor oggi tra còrso meridionale e dialetti siculo-calabri.

Secondo altre ipotesi, più recenti, gli influssi linguistici potrebbero essere dovuti a migrazioni più tarde, risalenti all'arrivo di profughi dall'Africa tra il VII e l'VIII secolo. La stessa ondata migratoria sarebbe approdata anche in Sicilia e in Calabria.

Intorno al 150 il geografo Claudio Tolomeo, nella sua opera cartografica, offrì una descrizione piuttosto accurata della Corsica preromana, elencando 8 fiumi principali (tra i quali il Govola-Golo e il Rhotamus-Tavignano), 32 centri abitati e porti - tra i quali Centurinon (Centuri), Canelate (Punta di Cannelle), Clunion (Meria), Marianon (Bonifacio), Portus Syracusanus (Porto Vecchio), Alista (Santa Lucia di Porto Vecchio), Philonios (Favone), Mariana, Aleria - e 12 tribù autoctone (in greco, latino e loro localizzazione):


Kerouinoi (Cervini, Balagna);
Tarabenoi (Tarabeni, Cinarca);
Titianoi (Titiani, Valinco);
Belatonoi (Belatoni, Sartenese);
Ouanakinoi (Venacini, Capo Corso);
Kilebensioi (Cilebensi, Nebbio);
Likninoi (Licinini, Niolo);
Opinoi (Opini, Castagniccia, Bozio);
Simbroi (Sumbri, Venaco);
Koumanesoi (Cumanesi, Fiumorbo);
Soubasanoi (Subasani, Carbini e Levie);
Makrinoi (Macrini, Casinca).

Santa Devota (martire attorno al 202, persecuzione di Settimio Severo, o al 304, persecuzione di Diocleziano) è, assieme a santa Giulia, una delle prime sante còrse di cui si sia avuta notizia. Secondo la leggenda, la nave che ne trasportava il feretro verso l'Africa fu gettata da una tempesta sul litorale monegasco.

Per questo sarebbe divenuta la patrona del Principato di Monaco e della famiglia Grimaldi.

Santa Giulia (martire durante la persecuzione di Decio del 250, o quella di Diocleziano), è la patrona di Corsica e di Brescia, città dove riposano le sue reliquie dopo che vi fu fatta trasportare da Ansa, moglie del re longobardo Desiderio nel 762. Santa Giulia è patrona anche di Livorno, dove le spoglie della santa avrebbero fatto tappa provenendo dalla Corsica.

A queste martiri se ne aggiunge un'intera schiera, tra i quali san Parteo, che fu forse il primo vescovo di Corsica. Dopo l'editto di Milano di Costantino I e l'instaurazione della libertà religiosa, la Corsica, già ampiamente romanizzata e cristianizzata, fu associata alla diocesi di Roma.

Il primo vescovo còrso di cui si abbia notizia certa è Catonus Corsicanus, che partecipò al primo concilio di Arles convocato da Costantino I.

Come altrove in Occidente, l'organizzazione romana in Corsica cadde con l'invasione dei Vandali; questi nel V secolo, muovendo dall'Africa, investirono la stessa città di Roma.

Aleria fu saccheggiata e, abbandonata, finì in rovina. Mariana fu invece a lungo sede vescovile anche nel Medioevo.



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Medioevo - L'Alto Medioevo



Durante le convulsioni che accompagnarono la fine dell'Impero romano d'occidente, la Corsica fu disputata tra tribù di Vandali e di Goti alleate degli ultimi imperatori, sino a che Genserico se ne assicurò il pieno controllo nel 469.

Durante i 65 anni della loro dominazione, i Vandali sfruttano il patrimonio forestale dell'isola per la cantieristica navale, attraverso la quale si dotarono di una flotta che terrorizzò il Mediterraneo occidentale.

La potenza vandala in Africa fu quindi distrutta da Belisario, mentre il suo generale Cirillo conquistò la Corsica nel 534, unita così alla Prefettura del pretorio d'Africa e, come tale, all'Impero romano d'Oriente. Secondo Procopio, storico dell'imperatore d'oriente Giustiniano I, in Corsica restarono meno di 30 000 abitanti.

Nel 584, con la riforma mauriziana degli esarcati, la Corsica entrò a far parte dell'esarcato d'Africa.

A cavallo fra il VI e il VII secolo, con lo sviluppo del monachesimo, in Corsica come in Sardegna si svilupparono esperienze monastiche e secondo la leggenda san Venerio lasciò il cenobio sull'isola di Tino per praticare l'eremitaggio in Corsica.


Nel periodo successivo, Goti e Longobardi presero successivamente d'assalto e saccheggiarono l'isola, lasciata indifesa dai Bizantini, i quali — a dispetto delle preghiere di papa san Gregorio Magno e dopo averla a loro volta impoverita con un eccessivo carico fiscale[38] — non la protessero adeguatamente.

D'altra parte, i Bizantini stessi furono travolti in Africa dall'invasione araba e, nel 713, gli Arabi realizzarono le loro prime scorrerie contro la Corsica, muovendo dalle loro nuove basi nordafricane.

A quest'epoca si può far risalire l'avvio di un notevole processo di spopolamento dell'isola e la formazione, presso Roma, di una colonia còrsa a Porto (Ostia).

La Corsica restava nominalmente legata all'Impero romano d'Oriente sino a quando, nel 774, Carlo Magno travolse i Longobardi in Italia e conquistò l'isola, che passò così sotto la giurisdizione dei Franchi.



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Dall'806 si segnalò una nuova recrudescenza di incursioni dei Mori, stavolta provenienti dalla Penisola iberica; furono più volte sconfitti dai luogotenenti dell'imperatore Carlo Magno (che vi inviò truppe tramite Pipino, re d'Italia, e il giovane Burcardo, connestabile dell'imperatore).

Nella battaglia dell'807, provenienti da una fresca sconfitta in Sardegna, racconta il Muratori che con loro venne alle mani il Burcardo e persero altre 13 navi.

I Mori riuscirono tuttavia a prendere brevemente il controllo dell'isola nell'810, quasi interamente assoggettata perché priva di difesa, ma ne furono infine spazzati via da una spedizione guidata dal figlio dell'imperatore Carlo; i Mori non si diedero per vinti e continuarono a investire la Corsica con le loro incursioni. Quella del giugno 813, partita con circa 100 navi dalle rive spagnole, non giunse però nemmeno a destinazione, inghiottita quasi completamente da un fortunale mentre si approssimava alle coste corse.

Con la successiva invece i Mori riuscirono a depredare l'isola e a trarne schiavi, ma furono intercettati sulla via del ritorno da Ermengardo d'Ampuria, che ne catturò 8 navi e liberò circa 500 corsi.

A proposito della situazione dell'isola, in passato sono stati sollevati dubbi su un eventuale donativo a papa Leone III da parte di Carlo Magno; il Muratori riferisce infatti[40] di una lettera[42] con la quale il papa avrebbe chiamato l'imperatore a difesa della Corsica[43].

Al fine di tentare di porre fine a tale stato di cose, nell'828 la difesa dell'isola fu affidata a Bonifacio II, conte di Lucca, che condusse insieme con il fratello Beretario e altri nobili toscani una vittoriosa spedizione punitiva direttamente contro i porti nordafricani (sbarcò fra Utica e Cartagine) dai quali partivano gli assalti arabi contro i litorali tirrenici[39]; sulla via del ritorno Bonifacio costruì una fortezza presso la punta Sud della Corsica, fondando così il nucleo fortificato della città di (Bonifacio), affacciata sullo stretto (Bocche di Bonifacio) che separa l'isola dalla Sardegna, e lasciando così il proprio nome nei corrispondenti toponimi.

La guerra contro i Saraceni, che avevano ben presto ripreso i loro attacchi, fu proseguita dal figlio di Bonifacio, il marchese di Toscana Adalberto I Tutor, che ne ereditò l'incarico nell'846 e dovette presto (859) assistere a un nuovo riuscito attacco dei Mori. Tuttavia i Saraceni rimasero padroni di alcune basi sull'isola almeno sino al 930.

La Corsica, che nel frattempo era stata unita al regno di Berengario II, re d'Italia, divenne rifugio di suo figlio Adalberto II nel 962, dopo che Berengario venne detronizzato da Ottone I il Grande.

Adalberto, venne definitivamente sconfitto in Italia dalle forze di Ottone II e pertanto si determinò il passaggio dell'isola alla Marca di Tuscia.



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Terra di Comune e Terra dei Signori



Attorno all'epoca tra la fine del regno di Berengario II e l'inizio di quella di Ottone I sull'Italia, si fa risalire il sorgere dell'anarchia feudale che vide esplodere la lotta tra piccoli signori locali, ansiosi di espandere i loro piccoli domini.

Tra costoro spiccavano i discendenti di Adalberto (cosiddetti "Adalbertini", ramo primogenito degli Obertenghi) che miravano a espandere il loro dominio sull'intera isola.

Gli Adalbertini già avevano acquisito il titolo di "Marchesi di Massa e Parodi", per il territorio di loro competenza (che andava da Gavi alla Versilia) e, rivendicando alcuni privilegi che già i Marchesi di Tuscia vantavano sulla Corsica, si mutarono il titolo in "Massa-Corsica", componendo una giurisdizione formale che andava dalla marca ligure a quella della Tuscia, lungo la "marittima" toscana.

Precisamente fu un altro Adalberto, Adalberto VI signore di Busseto (nipote dell'altro e poi capostipite della famiglia Pallavicino), ad assommarsi il titolo corso dopo aver guadagnato meriti politici, militari e diplomatici grazie al suo comando della spedizione del 1016 contro Mujāhid al-ʿĀmirī, il pirata che teneva in scacco tutte le marinerie cristiane dell'epoca.

Adalberto VI insediò nell'isola suoi visconti (vicecomites), come già ne aveva a Genova[44].

L'autoinvestitura sollevò una notevole opposizione e diede origine a scontri che si protrassero per secoli: per contrastare le perduranti ambizioni dei feudatari, ancora nel XIV secolo Sambucuccio d'Alando si mise alla testa di una sorta di Dieta che si opponeva alle loro pretese, confinando i signori nella porzione Sud-Ovest dell'isola.

Questa prenderà il nome di Terra dei Signori (Pomonte), mentre nella restante parte dell'isola si afferma definitivamente un regime che lega tra loro comuni autonomi (sull'esempio del modello analogo in sviluppo in Italia sin dall'XI secolo).

Tale territorio prenderà il nome di Terra di Comune (Cismonte).

La divisione è destinata a durare molto a lungo (sino al XVIII secolo) e a segnare significative differenze nello sviluppo sociale, economico e persino linguistico tra le due parti dell'isola, con il nord più legato all'Italia e con un idioma sempre più toscanizzato.

Dal punto di vista organizzativo, nella Terra di Comune, ciascuno dei comuni più importanti facenti capo a una Pieve (la parrocchia principale del circondario) nominava (tramite suffragio universale, ivi comprese le donne) un numero variabile di rappresentanti detti Padri del comune, responsabili dell'amministrazione della giustizia e dell'elezione del loro presidente, detto podestà, che ne coordinava l'operato.

I podestà delle varie Pievi, a loro volta, sceglievano i membri di un consiglio superiore, detto Consiglio dei Dodici, responsabile delle leggi e regolamenti che reggevano la Terra di Comune.

I Padri del comune, inoltre, eleggevano per ogni Pieve un caporale, un magistrato responsabile della protezione e della salvaguardia degli strati poveri della popolazione, incaricato di garantire che i più svantaggiati non subissero soprusi e che fosse loro assicurata giustizia.

Gran parte delle terre di questa regione erano considerate di proprietà comune delle collettività comunali.

La totale abolizione delle proprietà comuni, promossa nella seconda metà del XIX secolo dalla Francia, ebbe conseguenze molto gravi per l'economia della Corsica.

In Cinarca (Terra dei Signori) i baroni feudali mantenevano le loro prerogative, come anche quelli che controllavano il Capo còrso, e assieme costituivano una minaccia al sistema in vigore in Terra di Comune.

Per farvi fronte, nel 1020 i magistrati di quest'ultima chiesero l'intervento di Guglielmo, marchese di Massa (della famiglia poi nota come Malaspina), il quale, arrivato sull'isola, ridusse all'ordine i baroni del Conte di Cinarca e stabilì sulla Corsica un proprio protettorato, da trasmettere poi al proprio figlio.

Verso la fine dell'XI secolo, tuttavia, il Papato sollevò, sulla base di documenti falsificati (una donazione per opera di Carlo Magno, il quale aveva al più stabilito una reversibilità del proprio dominio a favore della Santa Sede), la questione della propria sovranità sulla Corsica.

Tale rivendicazione trovò largo consenso nel seno della stessa isola, a cominciare dal suo clero, e nel 1077 i còrsi si dichiararono soggetti a Roma.




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Il dominio pisano



Papa Gregorio VII (1073-1085), nel pieno della lotta per le investiture con l'imperatore Enrico IV, non prese direttamente il controllo dell'isola, ma ne affidò l'amministrazione al vescovo di Pisa, Landolfo, investito della carica di legato pontificio per la Corsica.

A seguito di tale evento, il titolare della cattedra arcivescovile pisana divenne anche primate di Corsica (e di Sardegna), carica conservata a livello onorifico sino ai giorni nostri seppur sempre contestata nei secoli e vantata dagli arcivescovi di Sassari e Cagliari.

Quattordici anni dopo, papa Urbano II (1088-1099), su istanza della contessa Matilde di Canossa, confermò le concessioni del suo predecessore tramite la bolla Nos igitur.

Il titolo di legato pontificio passò quindi a Daiberto, installato sulla cattedra di Landolfo.

L'assegnazione come suffraganei dei vescovati còrsi fece sì che il vescovo di Pisa assumesse il titolo di arcivescovo.

Pisa, con il suo porto, intratteneva da secoli (sin dall'epoca romana) stretti rapporti con l'isola, espandendovi - via via che la propria potenza come Repubblica marinara cresceva - la propria influenza politica, culturale ed economica.

All'amministrazione vescovile seguì inevitabilmente l'autorità politica dei giudici (magistrati amministrativi) della Repubblica toscana, destinata in breve tempo a far rifiorire la Corsica e segnarla profondamente, anche dopo la sostanziale perdita di controllo dell'isola seguita alla disastrosa disfatta subita dai pisani per opera dei genovesi, nella battaglia della Meloria (1284).

Malgrado quello che ancor oggi viene giudicato generalmente il buon governo della Repubblica di Pisa, non mancarono in Corsica i motivi di dissidio.

Parte del clero e dei vescovi dell'isola mal sopportavano la soggezione all'arcivescovo pisano, mentre la crescente potenza della Repubblica di Genova, arcirivale di quella di Pisa e cosciente del valore strategico della Corsica, affiancava alle lamentele dei còrsi presso la corte papale di Roma i propri intrighi per ottenere una modifica dell'assetto dell'isola in proprio favore.

Fu così che, dopo un periodo durante il quale il papato non prese una posizione chiara e coerente, nel 1138 papa Innocenzo II (1130-1143) delineò una soluzione di compromesso, dividendo la giurisdizione ecclesiastica dell'isola tra gli arcivescovi di Pisa e di Genova, segnando così l'inizio dell'influenza ligure sulla Corsica, resa ancor più concreta, nel 1195, dall'occupazione genovese dell'importante porto e fortezza di Bonifacio.

I pisani tentarono per vent'anni, senza successo, di riprendere la città, sino a quando, nel 1217 papa Onorio III (1216-1227), chiamato a mediare, prese formalmente controllo della piazzaforte.

La mediazione papale, tuttavia, non bastò a spegnere la lotta tra Pisa e Genova che, con la loro influenza, fecero riverberare durante tutto il XIII secolo anche sull'isola la lotta tra guelfi e ghibellini che sconvolgeva la penisola.

Nell'ambito di tale lotta (e seguendo uno schema che si era già, e si sarebbe poi, ripetuto più volte nell'isola, favorendone la dominazione), i maggiorenti della Terra di Comune si risolsero a invocare l'intervento del marchese Isnardo Malaspina.

I pisani reagirono instaurando un nuovo conte di Cinarca, e la guerra sconvolse l'isola senza che né il partito genovese né quello pisano riuscissero a prevalere in modo decisivo. La sconfitta della Meloria 1284, tuttavia, fece basculare decisamente il piatto della bilancia in favore di Genova che, da allora, estese con sempre maggiore intensità la propria influenza in Corsica.



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