| All’origine dei tempi, la notte non esisteva e perciò… non si faceva mai all’amore. All’origine dei tempi, il giorno non esisteva e perciò… non si veniva mai fuori dall’oscura promiscuità dei propri sogni «erotici». Ecco due modi di dire l’Estremo. Due modi di nominare l’Indifferenziato da cui, attraverso le peripezie dei suoi personaggi, il Racconto prova a ricostruire l’origine della nostra esistenza «umana» e della sua perenne «oscillazione» nell’alternanza del giorno e della notte – o, per parlar più franco – del digiuno e del consumo sessuale.
La sposina, dice il Racconto, si vergognava di fare all’amore di giorno, perciò convinse il marito a mandare una triade di servi in cerca della notte. I servi andarono a prendere la notte, e la notte la stavano portando a destinazione quando, durante il viaggio in piroga, uno dei tre fu preso dalla curiosità di aprire la cassa in cui era racchiusa. E così la notte venne fuori, e fu di botto ovunque buio e freddo. I servi avevano combinato un guaio – la cassa non era stata aperta alla giusta distanza, alla distanza cioè tra un «coito» e l’altro dei due sposini a cui era destinata. Solo in un secondo momento la donna, grazie ai suoi poteri magici (era la figlia del Gran Serpente, antico «proprietario» della Notte), pose rimedio al disastro, introducendo l’alternanza del giorno e della notte. Perciò, Lévi-Strauss parla, a proposito del mito Toba, di una mediazione diacronica – differita.
Diverso è il caso del nostro mito, in cui invece l’apparizione della Notte si rivela, da subito, difettosa: quando calò la prima notte, in cielo già brillavano le stelle, e c’era già la via-lattea-alberoluna, e c’era pure la Via Lattea. La notte «nacque» dunque insieme diacronica e sincronica – separata sì dal giorno, ma non per questo priva di luce. Separata dunque solo dal «calore» del sole. In ogni caso, «nacque» con una sua propria, per quanto piccola e fredda, dote di luce.
S’intravede dunque una serie ordinata di connessioni. Luce continua = impotenza sessuale in tutte le sue forme «narrative» (vecchi decrepiti, bambini precoci, o adolescenti inizialmente, come Narciso, imberbi e riluttanti, nonché donne a cui sono state tagliate le gambe e ridotte a essere poco più di un Volto, o spose «intere» che però si vergognano di fare all’amore se non c’è il buio, possibilmente temperato dalla luce di una bella luna). Buio perpetuo = dissoluzione sessuale in tutte le salse di fantasia (relazioni incestuose, avventure a occhi chiusi, farfalle che suggono nettare da tutti i fiori che svolazzando sfiorano, senza mai sposarsi con lo Scelto, ininterrotta sequenza di incontri e accoppiamenti mai però «illuminati» dal Miraggio di uno zenit «ideale»).
Sappiamo come la pensavano i Narratori a noi più vicini. Essi narravano, infatti, che Psiche – la quale tutte le notti giaceva col suo amato al buio (per ordine di lui tassativo) – si decise, un bel dì, ad accendere la fioca luce di una candela. L’accese, è vero su istigazione delle sorelle gelose, ma perché era curiosa anche lei di «vedere» con chi s’intratteneva la notte. Curiosa di sapere la Forma del suo «notturno» compagno di letto. La sua temeraria «disobbedienza», così simile a quella dei tre servi in piroga – il suo eccesso di «curiosità» – segna, sappiamo anche questo, il confine tra l’«essere senza storia», l’«essere inconscio» della nostra primissima età, e la Stagione dell’Umano «psicologico», del Presente storico, della memoria e dell’intelligenza finalmente in azione.
C’è poco di artificioso nelle nostre come nelle più remote narrazioni: il Racconto non pretende d’imporre alla Luce e alla Tenebra la nostra condizione umana o, in particolare, le nostre «regole coniugali». È, semmai, il contrario: a ogni latitudine il Racconto si limita a prendere atto dell’habitat dell’Umano e, per interrogarsi intorno alla sua arkhé, gioca a simulare i due Termini dell’Indifferenziato – il Giorno e la Notte senza alternanza, il Giorno e/o la Notte senza nessuna periodicità! Va da sé che l’Origine di tutte le «differenze» presenti tra noi non può sorgere che da un Popp-figlie-solePassato «indifferente». Il nostro Inizio, l’inizio che ci differenzia, e che ci scippa più o meno brutalmente all’Indifferenziato, presuppone che sia successo un «guasto» nel regime dell’originaria «indifferenza».
A questo punto, non ci sono che due possibilità da prendere in considerazione: questo «guaio» che «guastandoci» ci ha spinto verso l’Umano, può essere sorto assieme al suo «rimedio» (allora avremo nel Racconto un personaggio che funge da mediatore sincronico del trapasso), oppure per rimediare ad esso bisogna mettersi in cammino (in una distanza) e camminare per un certo tempo (in una durata, nel qual caso il mediatore non potrà essere che diacronico, tardivo: è il caso di Psiche). Distanza e durata, dice il Racconto, fanno tutto lo spazio e tutto il tempo dei nostri desideri umani. Umano non è astenersi dal desiderio, checché ne dicano le chiese – ma non è nemmeno consumarlo all’istante e senza sapere, o meglio: senza vedere con chi lo si condivide, fosse anche nella Notte più nera. L’Uomo non abita nella Mezzanotte Eterna, ma neanche nella Luce che mai tramonta. Il modo d’essere «umano» è possibile solo nella distanza e nella durata che dà esistenza ai nostri desideri. Sono dunque il Sole, la Luna e le stelle, col loro andare e venire periodico, sono loro a dettarci le «regole sentimentali», e non viceversa.
fonte https://lartedeipazzi.blog/2018/12/20/amaz...ne-della-notte/
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