| Gli Archetipi sarebbero modelli collettivi accettati inconsapevolmente. L’archetipo è il prodotto delle esperienze primordiali dell’umanità relative agli aspetti fondamentali della vita. Non è possibile entrare in rapporto diretto con l’archetipo, ma si possono percepire i suoi effetti, come immagini simboliche, in ogni genere di manifestazione psichica: sogni, sintomi nevrotici, visioni, arte, fantasia, prodotti dell’immaginazione libera, oltre che nei miti, nelle fiabe e nella religione. Gli archetipi che rappresentano le strutture psichiche di base si sono sviluppati come nuclei psichici separati; essi sono la Madre, il Senex, il Puer, l’Ombra, la Persona, l’Anima, l’Animus e il Sé. L’archetipo della Madre si riferisce a una immagine della figura materna a cui la madre reale viene assimilata nella psiche individuale. Tale archetipo viene proiettato sulla madre concreta, attribuendole potenza e fascino. Il prototipo di madre ereditato dal bambino influenza in maniera determinante l’idea che egli si formerà della propria madre. L’immagine primordiale della madre si manifesta sotto molte forme, ad esempio la “vecchia saggia” o la “dea della fecondità”, nel suo lato positivo, la “strega” o la “madre terribile” in quello negativo. Come tutti gli archetipi, infatti, la Madre presenta aspetti di luce e di ombra. L‘archetipo del Senex (in latino “vecchio”) racchiude, nel lato positivo, caratteristiche psicologiche come stabilità, maturità, saggezza, senso di responsabilità; in senso negativo si riferisce ad atteggiamenti derivanti da eccessivo tradizionalismo, dispotismo, cinismo e mancanza di fantasia. L’archetipo del Puer Aeternus (in latino “fanciullo eterno, divino”) deriva da un dio dell’antichità, successivamente identificato con Dioniso e con Eros. È il dio della giovinezza, della vita, della resurrezione dopo la morte, del rinnovamento. Nella psicologia analitica junghiana, questa definizione viene attribuita a una personalità maschile che, in età adulta, ha ancora le caratteristiche dell’adolescenza e una dipendenza troppo forte dalla madre. Si manifesta, nel lato negativo, come rifiuto di assumere responsabilità, in quello positivo, invece, risveglia le risorse creative e le capacità di rinnovamento della psiche. L’archetipo dell’Ombra rappresenta una parte inconscia della personalità, contraddistinta da inclinazioni e comportamenti (sia negativi che positivi) rimossi dall’Io cosciente. Nei sogni, compare sotto forma di una persona dello stesso sesso del sognatore. Il riconoscimento della propria Ombra, generalmente, implica una crescita nel processo di evoluzione psicologica. L’archetipo della Persona (in latino “maschera dell’attore”) esprime il ruolo sociale, derivante dalle aspettative della società e dell’educazione. L’Io equilibrato è in rapporto con il mondo attraverso una Persona adattabile. L’identificazione con la Persona, cioè con il proprio ruolo sociale, è in contrasto con lo sviluppo psicologico. L’archetipo dell’Anima (in latino “anima”) denota la parte inconscia femminile della personalità dell’uomo. Nei sogni è rappresentata da immagini di donne di vario genere: dalla seduttrice alla guida spirituale. L’Anima rappresenta la funzione relazionale (eros), quindi la sua evoluzione nell’uomo si manifesta nel modo di rapportarsi alle donne. L’identificazione con l’Anima può avere come conseguenza l’emergere di tratti psicologici come volubilità, eccitabilità, melanconia. L’archetipo dell’Animus (in latino “spirito”) definisce l’elemento maschile dell’inconscio femminile. Costituisce la funzione razionale (logos) e compare nei sogni come figura maschile. L’identificazione con l’Animus può manifestarsi con caratteristiche di ostinazione, durezza, sfida, mentre nell’aspetto più positivo mette in relazione la donna con le energie creative dell’inconscio. Il Sé è l’archetipo dell’unità e della totalità della psiche, sulla quale esercita un effetto ordinatore. Si manifesta nelle visioni, nei sogni, nei miti e nelle fiabe come “personalità di grado superiore”, ad esempio come figura regale o eroica oppure, in forme astratte, come cerchio, quadrato, mandala. L’archetipo è una sorta di “DNA psichico”: il concetto deve molto a Platone e alle sue “idee eterne”, oltre che agli studi di filogenetica iniziati con Freud. Nel 1940, Jung pubblica Psicologia e Religione, considerata una delle maggiori opere sul tema nel XX secolo. Jung ha proposto un approccio al fenomeno religioso che ha assunto una posizione al di là sia della svalutazione del dogma che dell’incondizionata adesione allo stesso. Convinto dell’esistenza di un “Impulso religioso” nella psiche umana, ha scritto molti studi su temi religiosi e sottolineata l’importanza delle correnti eterodosse, dallo gnosticismo al misticismo. Nell’opera, distinguendo accuratamente la “Confessione” dalla “religione”, ha proposto una definizione dell’atteggiamento religioso come “scrupolosa attenzione alle manifestazioni dell’irrazionale”. Jung avverte e celebra la necessità di una vita “simbolica” che tenga conto dei Fattori “numinosi” (termine di Rudolf Otto) come portatori di senso, e che valorizzi la dimensione del sacro dell’esistenza individuale. Per Jung, l’esperienza religiosa è di natura psichica, una ierofania, all’interno della psiche, di archetipi e di potenze esterne all’Io cosciente ma intrapsichiche. Egli considera la fede nell’esistenza reale di esseri spirituali solo come proiezione all’esterno di potenze interiori di natura meramente psicologica: «[…] non può neppure essere sostenuta una dottrina della deità nel senso di un’esistenza non psicologica». Dice anche: «Tutto ciò che ho appreso nella vita mi ha portato passo per passo alla convinzione incrollabile dell’esistenza di Dio. Io credo soltanto in ciò che so per esperienza. Questo mette fuori campo la fede. Dunque io non credo all’esistenza di Dio per fede: io ‘so’ che Dio esiste.». Nel Saggio d’interpretazione psicologica del dogma della Trinità (1940) Jung interpreta il Padre come il sé, la fonte di energia all’interno della psiche; il Figlio come una struttura emergente della coscienza, che sostituisce l’ego auto-alienato; e lo Spirito Santo come una struttura di mediazione tra l’Io e il Sé. Jung riflette sull’esclusione del femminile dalla rappresentazione cristiana del divino, e fa leva su un insieme di dottrine eterodosse che, dagli Gnostici a Jacob Boehme, sanzionavano la reintegrazione del femminile nella Trinità. In parallelo all’archetipo della madre (di cui la Vergine e Divina Madre è un aspetto), Jung ha posto la mistica figura di Sofia o Saggezza Divina, archetipo dell’eterno femminino. Inoltre, riferendosi alla visione di Giocchino da Fiore, Jung fa corrispondere lo Spirito Santo Sophianico qui alla terza fase della manifestazione del divino, in cui gli opposti costituiti dai regni del Padre e del Figlio si riuniranno in una coniunctio. Nel 1952, Jung scrive un altro trattato religioso: Risposta a Giobbe, contenente il suo dibattito con la concezione di Dio giudeo-cristiana. Il saggio sarà oggetto di scalpore e controversia, ed il consenso dei circoli teologici non sarà affatto favorevole all’interpretazione teologica di Jung del concetto di un dio che si rivela terrifico nel vecchio testamento, come specchio ed ombra di sé stesso. Jung interpreta Yawèh come una forma arcaica del sé, Giobbe come l’ego, e Satana come principio di individuazione. Jung interpreta l’evoluzione del dio-immagine descritto nel Vecchio e Nuovo Testamento come un processo di sviluppo psicologico: Nel libro di Giobbe, il Sé arcaico viene chiamato a evolversi verso la coscienza dall’ego più consapevole, un processo accompagnato da sogni e profezie (ad esempio, i profeti del Vecchio Testamento). Cristo è la risposta alla condanna di Giobbe. Cristo è l’Adam secundus che giustifica con il suo sacrificio all’umanità la punizione di Dio nei riguardi di Giobbe. Cristo viene per salvare l’umanità e per rivalutare, attraverso la redenzione delle anime ed il sacrificio della croce, il terribile atto di Yawèh a scapito di Giobbe ed a favore del suo figliuolo prediletto: Satana. In risposta a Giobbe, Jung analizza diverse tematiche che nell’indagine psicologica afferrano il concetto cristiano di sommun bonum per un dio che non era altri che terrifico. La stessa bipolarità la troviamo perfettamente nello Shivaismo e nell’autoctono Bhairava (il tremendo) e nel suo opposto Shiva (il benefico). La psicologia analitica di Jung si distingue nettamente dalla psicoanalisi per il suo atteggiamento positivo nei confronti della religione, grazie al quale ha conquistato molte simpatie in ambienti religiosi. Infatti l’affermazione dell’esistenza, anche se solamente psicologica, di certi archetipi religiosi può costituire la base per un dialogo interdisciplinare, perché lo studio comparato di diverse forme di spiritualità offre spunti stimolanti, ma non si deve dimenticare che Jung considera la metafisica unicamente come una proiezione e professa una religiosità immanentistica. Il tentativo di fondare il suo sistema sull’esperienza religiosa personale, indipendentemente da codificazioni teologiche, corrisponde a certe esigenze della cultura del secolo XX e non stupisce il fatto che egli rappresenti uno degli autori più apprezzati nell’ambito della nuova religiosità del New Age.
segue
|