| Di nuovo, il racconto può terminare qui o continuare con il titolo convenzionale di «figlio della stella». Però, secondo le diverse versioni, l’eroe è figlio ora di una stella, ora della luna o del sole, oppure diventa egli stesso un astro. Dopo aver assolto alla propria funzione terrestre come organizzatore della creazione, vincitore o vittima dei mostri, sale al cielo e si trasforma in un corpo celeste. […]
Dichiarati o impliciti che siano, i riferimenti cosmologici presenti in tutti questi miti dimostrano che la gara di masticazione, nonostante la sua comicità, non esclude le cose serie. Per gli Arapaho e per varie altre popolazioni, il nostro mito è uno di quelli che fondano la più importante cerimonia annuale degli Indiani delle Pianure e dei loro vicini. Chiamata in genere «danza del sole», certamente dal suo nome Dakota che significa «fissare il sole con gli occhi», aveva un regolamento diverso secondo i vari gruppi, ma presentava comunque un aspetto sincretico, spiegabile con le imitazioni e i prestiti. In tempo di pace si facevano inviti nei territori circostanti, e i visitatori stranieri conservavano il ricordo dei riti che li avevano colpiti. Le sequenze non erano le stesse dappertutto, né per numero né per l’ordine con cui si succedevano; tuttavia, attenendoci alla forma generale, possiamo descrivere la danza del sole come segue.
Era l’unica cerimonia degli Indiani delle Pianure a cui partecipasse tutta la tribù, poiché le altre interessavano soltanto confraternite di sacerdoti, classi di età, o diverse associazioni. Dispersi durante la stagione fredda in piccoli gruppi, che stabilivano i loro quartieri d’inverno in luoghi riparati, gli Indiani si riunivano a primavera per la caccia collettiva. Proprio mentre si ricostituiva l’effettivo della tribù, alla carestia seguiva l’abbondanza. Sia dal punto di vista sociologico che da quello economico, l’inizio dell’estate forniva all’intero gruppo l’occasione di vivere come un tutto e di celebrare con una grande festa religiosa questa unità ritrovata. Un osservatore della seconda metà dell’Ottocento nota che la danza del sole «esige che tutti i membri della tribù siano presenti e anche che ogni clan sia rappresentato e occupi il posto che gli spetta» (Seger).
Indiani-danza-sole
In linea di massima, dunque, la cerimonia si svolgeva in estate, ma si conoscono esempi di celebrazioni più tardive. Pur essendo in stretta connessione con i grandi ritmi stagionali che regolano la vita collettiva, la danza del sole era collegata anche con certi avvenimenti della vita degli individui. In caso di scampato pericolo o di guarigione, un membro della tribù formulava il voto di celebrare la festa l’anno seguente. Era necessario prepararsi con grande anticipo, organizzare il complicato svolgimento dei riti, ammassare le provviste per dar da mangiare agli invitati e mettere da parte le varie specie di doni che sarebbero serviti per ricompensare gli officianti.
Il nuovo «signore» della danza doveva anche acquistare il titolo dal suo predecessore e i diritti riguardanti le diverse fasi del rituale dai sacerdoti e dagli altri dignitari qualificati. Nel corso di queste trattative, consegnava solennemente la propria moglie a colui che egli chiamava il «nonno» rituale e del quale egli diventata il «nipote», grazie a un coito reale o simbolico che aveva luogo di notte, all’aria aperta e al chiaro di luna. Con questo atto il nonno trasferiva un pezzo di radice, simboleggiante il suo seme, dalla propria bocca a quella della donna e quest’ultima lo risputava poi nella bocca del marito.
Per tutta la durata della festa, che si prolungava per diversi giorni, gli officianti osservavano un digiuno di cibi solidi e di bevande (i Cree delle Pianure chiamavano questa cerimonia «danza senza bere») e si sottoponevano a varie mortificazioni. Per esempio, si facevano infilare nei muscoli dorsali cavicchi di legno appuntiti; a questi a-man-called-horsevenivano fissate lunghe corregge attaccate alla sommità di un palo, attorno al quale i penitenti danzavano e saltavano finché i cavicchi non cadevano strappando la carne a pezzi; oppure si trascinavano dietro oggetti pesanti come crani di bisonte forniti di corna, che solcavano il terreno e che erano fissati al corpo nello stesso modo, ottenendo lo stesso risultato.
Per prima cosa, i sacerdoti e i principali officianti si riunivano in una tenda isolata, per preparare o per rinnovare in segreto gli oggetti liturgici. Poi le compagnie militari andavano a cercare i tronchi necessari per erigere l’impalcatura di un vasto chiosco ricoperto di verzura. Il tronco destinato al palo centrale veniva attaccato e abbattuto come se fosse stato un nemico. I riti, i canti e le danze si svolgevano entro questo chiosco pubblico. Pare che almeno tra gli Arapaho e gli Oglala Dakota fosse permesso, se non addirittura prescritto, un periodo di licenza della durata di una notte.
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