IL FARO DEI SOGNI

Arapaho – Le spose degli astri

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view post Posted on 23/11/2023, 11:08     Top   Dislike
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Mentre sulla terra le giovani indiane sognano l’astro che ognuna vorrebbe sposare, il sole e la luna, che sono fratelli, mettono a confronto i rispettivi meriti delle femmine del mondo inferiore. Si affacciano dall’alto del cielo e ispezionano da lontano gli abitanti della terra.
«Che cosa c’è di più bello delle femmine umane? – grida Luna. – Quando alzano gli occhi verso di me e mi guardano, hanno un viso delizioso. Ardo dal desiderio di sposare una di loro».
Ma Sole protesta: «Ma come, quegli orrori? Mai e poi mai! Hanno un viso ripugnante, pieno di rughe e con occhietti minuscoli! Quella che voglio io è una creatura acquatica!». Infatti, le bestie che vivono nell’acqua hanno gli occhi grandi e, protette come sono contro l’ardore del sole dall’elemento umido, non fanno le smorfie nel guardarlo.

Una bella mattina, quattro giovani indiane andavano a raccogliere la legna. Una di loro si avvicinò a un albero secco.
Mutatosi in porcospino, Luna andò a posarsi su un ramo. La ragazza ebbe voglia di prendere gli aculei: si arrampicò sull’albero ma, ogni volta che cercava di colpire il porcospino col bastone che le avevano teso le compagne, l’animale si spostava leggermente.
Tutta presa dalla sua caccia, essa non si accorse che l’albero cresceva sempre di più. Le Arapaho-womanaltre, preoccupate, le gridarono di scendere.
«Oh! compagne mie – protestò quella – quest’animale ha dei magnifici aculei bianchi e mia madre sarà felice di possederli, perché non ne ha più». E continuò ad arrampicarsi. Ben presto la persero di vista.

Improvvisamente il porcospino si trasformò in un bel giovane che dichiarò di essere Luna, che la ragazza aveva desiderato di sposare. Essa acconsentì a seguirlo e arrivarono insieme in cielo, dove i genitori dell’astro accolsero benevolmente la nuora.
«Ma dov’è la moglie che si è scelta mio fratello?», domandò Luna.
«È fuori», rispose Sole imbarazzato. La moglie di Sole era una rana che saltellava davanti alla porta e orinava a ogni balzo.

Vincendo il disgusto, Luna la fece entrare nella capanna e dette un pezzo di trippa a ognuna delle due mogli, per vedere quale avrebbe fatto il rumore più gradevole mangiando.
La sposa umana si mise a masticare allegramente, mentre la rana cercò di barare, facendo scricchiolare un pezzo di carbone di legna fra le gengive. Una saliva nera le colava dalla bocca, e Luna la schernì.



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view post Posted on 25/11/2023, 10:33     Top   Dislike
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Dopo aver inghiottito il suo pezzo di trippa, l’Indiana andò ad attingere acqua. La rana, che non riusciva a masticare, si trascinava dietro a lei con il secchio.
«Visto che le cose stanno così – disse al cognato Luna – io non ti lascerò più».
E saltò sul petto di Luna, dove la si può vedere sempre con il secchio, come una macchia scura con un’altra più piccola accanto.

***

Il racconto non finisce qui, ma tralasceremo provvisoriamente il seguito del mito, per occuparci del ciclo del «marito-stella» di cui esso, assieme a tutte le sue varianti, fa parte.

Il mito del marito-stella presenta l’aspetto di un racconto «a cassetti». Nella forma più completa include numerosi episodi, ma di rado li troviamo presenti tutti contemporaneamente. Il mito completo rimane dunque allo stato virtuale, e sarebbe quasi impossibile illustrarlo in maniera adeguata con una qualsiasi delle sue versioni Bitty-lunadocumentate.
Perché il lettore possa farsene un’idea, riassumeremo il racconto sincretico che Reichard ha elaborato, disponendo nell’ordine opportuno elementi provenienti da varie regioni, ma soprattutto dalle Pianure del Nordamerica.

Una o due giovani indiane desideravano avere per marito una stella. Gli astri esaudiscono il loro desiderio. L’eroina sale in cielo, dove riceve una buona accoglienza da parte dello sposo e dei suoceri. Le viene però proibito di strappare una certa radice di una pianta commestibile che cresce nell’orto.
La giovane infrange la proibizione, per curiosità o perché non ha niente di meglio da fare. La radice otturava un buco nella volta celeste. Attraverso l’apertura, la donna scorge laggiù in basso la terra e il suo villaggio, e quella vista le infonde una insanabile nostalgia.
Essa si procura allora pazientemente fibre vegetali o corregge di cuoio, e le annoda pezzo per pezzo. Quando pensa che la lunghezza sia sufficiente, comincia a scendere lungo la corda con il proprio bambino.

Il marito-stella si accorge della scomparsa della moglie; si affaccia al buco e guarda: la fuggitiva penzola nel vuoto perché la corda era troppo corta. Essa perisce, o perché lascia la presa o perché viene colpita da una pietra scagliata dal marito. Il piccolo orfano si nutre con il latte che gonfia ancora i seni del cadavere. Cresce rapidamente, e poi provvede da solo alle proprie necessità.
Talvolta il mito finisce qui o anche prima, con la morte della donna. Alcune versioni hanno come protagoniste due donne le fanno atterrare su un albero, da cui non possono più scendere. Nelle Pianure questo racconto si innesta su un altro che certi miti pongono all’inizio e che viene indicato con un titolo speciale: «la nonna e il nipote».

L’orfano, o un altro eroe messo direttamente nella stessa situazione, saccheggia, per nutrirsi, l’orto di una vecchia che vive sola. La vecchia lo scopre e lo adotta.
Fra i due personaggi si allacciano rapporti equivoci o perché la donna seduce il ragazzo divenuto adolescente, o perché lo informa dettagliatamente sui pericoli che lo circondano, non si sa esattamente se per metterlo in guardia o per indurlo ad affrontarli. Il giovane diventa un distruttore di mostri; tratta con alcuni nemici, ai quali consegna la vecchia-strega-melanonna. Talvolta la uccide.



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view post Posted on 27/11/2023, 10:13     Top   Dislike
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Di nuovo, il racconto può terminare qui o continuare con il titolo convenzionale di «figlio della stella». Però, secondo le diverse versioni, l’eroe è figlio ora di una stella, ora della luna o del sole, oppure diventa egli stesso un astro. Dopo aver assolto alla propria funzione terrestre come organizzatore della creazione, vincitore o vittima dei mostri, sale al cielo e si trasforma in un corpo celeste. […]

Dichiarati o impliciti che siano, i riferimenti cosmologici presenti in tutti questi miti dimostrano che la gara di masticazione, nonostante la sua comicità, non esclude le cose serie. Per gli Arapaho e per varie altre popolazioni, il nostro mito è uno di quelli che fondano la più importante cerimonia annuale degli Indiani delle Pianure e dei loro vicini.
Chiamata in genere «danza del sole», certamente dal suo nome Dakota che significa «fissare il sole con gli occhi», aveva un regolamento diverso secondo i vari gruppi, ma presentava comunque un aspetto sincretico, spiegabile con le imitazioni e i prestiti.
In tempo di pace si facevano inviti nei territori circostanti, e i visitatori stranieri conservavano il ricordo dei riti che li avevano colpiti.
Le sequenze non erano le stesse dappertutto, né per numero né per l’ordine con cui si succedevano; tuttavia, attenendoci alla forma generale, possiamo descrivere la danza del sole come segue.

Era l’unica cerimonia degli Indiani delle Pianure a cui partecipasse tutta la tribù, poiché le altre interessavano soltanto confraternite di sacerdoti, classi di età, o diverse associazioni.
Dispersi durante la stagione fredda in piccoli gruppi, che stabilivano i loro quartieri d’inverno in luoghi riparati, gli Indiani si riunivano a primavera per la caccia collettiva. Proprio mentre si ricostituiva l’effettivo della tribù, alla carestia seguiva l’abbondanza.
Sia dal punto di vista sociologico che da quello economico, l’inizio dell’estate forniva all’intero gruppo l’occasione di vivere come un tutto e di celebrare con una grande festa religiosa questa unità ritrovata. Un osservatore della seconda metà dell’Ottocento nota che la danza del sole «esige che tutti i membri della tribù siano presenti e anche che ogni clan sia rappresentato e occupi il posto che gli spetta» (Seger).

Indiani-danza-sole

In linea di massima, dunque, la cerimonia si svolgeva in estate, ma si conoscono esempi di celebrazioni più tardive. Pur essendo in stretta connessione con i grandi ritmi stagionali che regolano la vita collettiva, la danza del sole era collegata anche con certi avvenimenti della vita degli individui. In caso di scampato pericolo o di guarigione, un membro della tribù formulava il voto di celebrare la festa l’anno seguente.
Era necessario prepararsi con grande anticipo, organizzare il complicato svolgimento dei riti, ammassare le provviste per dar da mangiare agli invitati e mettere da parte le varie specie di doni che sarebbero serviti per ricompensare gli officianti.

Il nuovo «signore» della danza doveva anche acquistare il titolo dal suo predecessore e i diritti riguardanti le diverse fasi del rituale dai sacerdoti e dagli altri dignitari qualificati. Nel corso di queste trattative, consegnava solennemente la propria moglie a colui che egli chiamava il «nonno» rituale e del quale egli diventata il «nipote», grazie a un coito reale o simbolico che aveva luogo di notte, all’aria aperta e al chiaro di luna. Con questo atto il nonno trasferiva un pezzo di radice, simboleggiante il suo seme, dalla propria bocca a quella della donna e quest’ultima lo risputava poi nella bocca del marito.

Per tutta la durata della festa, che si prolungava per diversi giorni, gli officianti osservavano un digiuno di cibi solidi e di bevande (i Cree delle Pianure chiamavano questa cerimonia «danza senza bere») e si sottoponevano a varie mortificazioni.
Per esempio, si facevano infilare nei muscoli dorsali cavicchi di legno appuntiti; a questi a-man-called-horsevenivano fissate lunghe corregge attaccate alla sommità di un palo, attorno al quale i penitenti danzavano e saltavano finché i cavicchi non cadevano strappando la carne a pezzi; oppure si trascinavano dietro oggetti pesanti come crani di bisonte forniti di corna, che solcavano il terreno e che erano fissati al corpo nello stesso modo, ottenendo lo stesso risultato.

Per prima cosa, i sacerdoti e i principali officianti si riunivano in una tenda isolata, per preparare o per rinnovare in segreto gli oggetti liturgici. Poi le compagnie militari andavano a cercare i tronchi necessari per erigere l’impalcatura di un vasto chiosco ricoperto di verzura. Il tronco destinato al palo centrale veniva attaccato e abbattuto come se fosse stato un nemico. I riti, i canti e le danze si svolgevano entro questo chiosco pubblico.
Pare che almeno tra gli Arapaho e gli Oglala Dakota fosse permesso, se non addirittura prescritto, un periodo di licenza della durata di una notte.



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view post Posted on 29/11/2023, 17:32     Top   Dislike
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Non vi è dubbio che il nome generico di «danza del sole» attribuito a un insieme di cerimonie assai complesse, esagera la loro ispirazione solare. Ma questo aspetto non deve essere neppure sottovalutato.
Da una parte si supplicava l’astro affinché si mostrasse propizio, concedendo lunga vita ai fanciulli e facendo moltiplicare i bisonti. Dall’altra, lo si provocava e lo si sfidava. Uno degli ultimi riti consisteva in una danza frenetica che si prolungava fino a notte inoltrata, nonostante lo sfinimento dei partecipanti.

Gli Arapaho la chiamavano «partita giocata contro il sole» e i Gros-Ventre «danza contro il sole». Si voleva riportare la vittoria sull’astro che, diffondendo il suo calore per tutti i giorni precedenti, aveva cercato di impedire lo svolgersi della cerimonia.
Gli Indiani vedevano così nel sole un essere duplice: indispensabile alla vita dell’umanità, ma pericoloso per il suo calore ardente, presagio di siccità prolungata. Uno dei motivi che i danzatori Arapaho si dipingono sul corpo li rappresenta «consumati dal fuoco celeste». Un informatore della medesima tribù racconta che «durante una danza, molto tempo fa, cominciò a fare così caldo che l’officiante dovette interrompere la cerimonia e abbandonò il chiosco. Gli altri danzatori lo seguirono perché non potevano continuare senza di lui».

uccello-tuono

Ma non è in causa soltanto il sole: nella forcella del palo centrale veniva sistemato il nido dell’uccello-tuono. Questo rapporto con il tuono e soprattutto con i temporali primaverili appare ancora più evidente fra gli Algonchini centrali, secondo i quali la danza, detta altrove «del sole», avrebbe sostituito un antico rituale per affrettare l’arrivo delle piogge temporalesche.
Anche nelle Pianure, la danza rispondeva a una duplice finalità: vincere un nemico, in generale il sole, e costringere l’uccello-tuono a liberare la pioggia.
Uno dei miti fondatori della danza rievoca una grande carestia a cui un indiano e sua moglie seppero porre fine grazie alla conoscenza dei riti e al ritrovamento della fertilità.

Esiste una profonda analogia fra la danza del sole, presso gli Indiani delle Pianure, e la cerimonia del grande digiuno celebrata dagli Indios Sherenté per ottenere dal sole un’esatta regolazione della sua corsa e la fine della siccità.
Si tratta in entrambi i casi della cerimonia più importante della tribù, a cui partecipano tutti gli adulti. Gli officianti si astengono dal mangiare e dal bere per diversi giorni. Il rituale si svolge attorno a un palo, che rappresenta il sentiero del cielo: qui gli Indiani delle Pianure danzano e fischiano per imitare il grido degli uccelli-tuoni. Gli Sherenté innalzano il loro palo soltanto dopo aver sentito le vespe «fischiatrici», che portano le frecce.

In entrambi i casi il rituale si conclude con la distribuzione dell’acqua consacrata. Per gli Sherenté quest’acqua, contenuta in recipienti distinti, può essere pura o corrotta; i sole-bisontepenitenti accettano la prima e rifiutano l’altra. L’«acqua profumata» del rito Arapaho è soave, eppure simboleggia il sangue mestruale, incompatibile con i misteri sacri.

Abbiamo dimostrato ne Il crudo e il cotto che il rituale Sherenté del grande digiuno e i miti Bororo e Gé sullo snidatore di uccelli riproducono di fatto il medesimo schema. Lo snidatore dei miti si arrampica in cima al palo finché il sole non gli concede il fuoco per riaccendere i focolari spenti e la promessa della pioggia, cioè due modalità di comunicazione misurata fra il cielo e la terra che l’ostilità del sole verso gli uomini minacciava di congiungere provocando una conflagrazione.

Ebbene, in Nordamerica possiamo osservare lo stesso rapporto di congruenza fra il mito la cui eroina «snida» un porcospino e i riti della danza del sole. Gli informatori Arapaho ne sono perfettamente consapevoli e puntualizzano le corrispondenze tra i due sistemi.
Uno dei riti principali della danza consiste nell’offerta di una sposa umana alla luna. Il palo centrale del chiosco rappresenta l’albero su cui si arrampica l’eroina del mito ed è costituito dalla sua stessa essenza. Nella forcella lasciata alla sommità quando si taglia il tronco viene sistemata una fascina di frasche, in cui si infila un bastone da scavo.

Si tratta – dicono – dello stesso utensile di cui si servì la sposa umana di Luna per estrarre la radice che otturava la volta celeste e che essa mise di traverso all’orifizio per annodarvi un capo della sua corda di corregge di cuoio. Queste corregge si possono vedere arrotolate intorno al manico del bastone. I penitenti, legati alle corregge con i cavicchi di legno conficcati nella schiena, rappresentano la donna durante la discesa dal cielo. E se l’altare sistemato sotto il chiosco raffigura una piccola fossa, questo serve a ricordare il buco scavato dall’eroina.

(Lévi-Strauss, Le origini delle buone maniera a tavola)



fonte https://lartedeipazzi.blog/2019/01/02/arap...se-degli-astri/

 
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