| Storia Panorama dal Castello di Petriolo
Grazie a numerosi ritrovamenti di reperti di epoca romana, come epigrafi, monete e un monumento funerario, è possibile affermare con che il territorio dell'antica Petra era al centro di un territorio composto da numerose ville e aziende agricole.[6]
Risale al 957 un documento farfense che prova per la prima volta l’esistenza di un fundo Peturiolo, il termine latino per indicare villaggio. Successivamente fu acquisito dal vescovo di Fermo, che nel 977 lo vendette a un conte Mainardo. Benché non sia possibile risalire alla data esatta dell'edificazione del castello, la sua esistenza è attestata nel 1119. I discendenti di Mainardo, signori di Petriolo, avrebbero assunto in seguito il cognome De’ Nobili. Le generazioni di questa famiglia si succedettero nel dominio del castello per oltre due secoli. Nel 1264 il re Manfredi inflisse un duro colpo a Petriolo e ai suoi signori per essersi schierati contro il partito ghibellino. Il castello fu parzialmente distrutto e annesso a Monte dell'Olmo (Corridonia).[6] Nel 1341 il castello fu venduto alla città di Fermo e la signoria fermana durò fino al 1808 con l'avvento del Regno d'Italia sotto l'imperatore Napoleone Bonaparte. Con la restaurazione pontificia del 1815 Petriolo passa sotto la Delegazione apostolica di Macerata, quindi a seguito dell'Unità d'Italia, nel 1861 diventa uno dei 57 comuni della provincia di Macerata.[6]
Nel 1942 durante la seconda guerra mondiale fu collocato un campo di internamento femminile presso la villa Savini Catalani in località Castelletta .[7][8] Monumenti e luoghi d'interesse Il castello Veduta del Castello
Vista la vicinanza dell’antica Urbs Salvia, circa 5 km, si può pensare che un influente cittadino, civile o militare che sia, costruì la sua villa o il suo praetoriolum, da cui deriverebbe l’attuale nome Petriolo. L’antico castello fu costruito probabilmente dai monaci benedettini farfensi sulle sue rovine. Dai documenti risalenti all’anno 1000, l’attuale territorio di Petriolo era allora proprietà del vescovo di Fermo, che lo aveva ricevuto da un certo Butto o Buttolo, che, a sua volta acquisito, o forse, con più probabilità, usurpato ai monaci benedettini, grandi proprietari terrieri, in quel periodo in piena crisi a causa di discordie interne. Nel 1070 il vescovo di Fermo lo vendette, (assieme a parte dei suoi possedimenti) ad un ricco signore della zona, Grimaldo, figlio di Attone dei Nobili Della Marca: è a lui che si attribuisce la fondazione del castello di Petriolo[6]. Nell’anno del Signore 1264 Manfredi di Svevia, irritato dal tradimento dei figli di Gentile de Nobili di Petriolo, che non ne volevano sapere di restare ghibellini, ordinò la distruzione del castello e la deportazione dei suoi abitanti nella vicina Montolmo, fatto che, per motivi ancora ignoti, non accadde. Non a caso il Castello fu costruito in questa posizione.[4] Il torrione (Porta Rondella) Porta Rondella
Il torrione (o Porta Rondella) di forma semicircolare, fu realizzato all’inizio del 1500 (probabilmente fra il 1526 e il 1529), in sostituzione di una preesistente porta che chiudeva la cinta muraria più ad est; in origine, si entrava nel borgo tramite un’apertura a pieno sesto, odiernamente murata ma della quale è ben visibile l’arco in pietra sulla cui sommità è incastonata una formella che riporta la scritta “ FIRMI-PETRIOLUM” collocata sopra due stemmi affiancati. Sotto a questi si legge la data 1529; essa potrebbe non indicare l’anno di costruzione della struttura difensiva, ma quello del ritorno del castello sotto il dominio di Fermo[9]. Il torrione è coronato da beccatelli ciechi, che sostenendo la parte terminale, si allargano per chiudersi creando una leggera cornice al contrasto chiaroscurale. Recenti studi ipotizzano che il torrione possa essere stato parzialmente interrato e che abbia perso una possibile scarpata e di conseguenza parte della sua imponenza; certo è che la costruzione del palazzo comunale ad esso addossato verso est, avvenuta nel 1782 abbia privato il torrione della copertura e dell’arredo interno.[9] La Torre Civica Torre Civica
La Torre Civica (alta circa 35 metri) sorge a ridosso dell'attuale chiesa parrocchiale dei Santi Martino e Marco. Non si conosce con precisione l’epoca della sua edificazione, che il conte Giuseppe Sabbioni (1789-1874), autore di una pregevole pubblicazione sulla storia di Petriolo, dice antichissima. Nei tempi più remoti al piano terra di questa torre civica, in un locale che si può ammirare tuttora, coperto da un’antica volta a crociera, era collocata la sacrestia della chiesa cinquecentesca, di cui la torre ospitava anche la campana a fianco di quella della comunità, il cui suono doveva essere avvertito nitidamente per il paese e suo intero territorio. Nel 1575 furono necessari radicali interventi di restauro ad opera di maestri longobardi, compensati dalla Comunità con la somma di 40 fiorini.[6] Altre notizie riferite ai restauri necessari periodicamente per mantenere funzionale la torre si hanno nel corso di tutto il XVIII secolo, fino a quello del 1793, su perizia dell’architetto comasco Pietro Augustoni (1741-1815).[6] La torre civica aveva anche l’importante funzione di ospitare l’orologio pubblico, le cui origini risalgono a prima dell’anno 1623, anno in cui il pubblico consiglio discusse la proposta di eleggere il moderatore del “nuovo orologio”. Era infatti compito del moderatore, eletto annualmente, occuparsi di mantenere l’efficienza e la precisione del meccanismo dell’orologio. L’orologio era di fondamentale importanza, dai registri degli atti consiliari del XVIII secolo emerge che era oggetto delle cure e delle attenzioni degli amministratori dell’epoca.
Ultimo in ordine di tempo, l’orologio a carica manuale realizzato nel 1912 dalla Fabbrica di Orologi Cesare Fontana di Milano e restato in funzione fino al 1997, anno in cui fu sostituito da un nuovo modello di tipo elettronico.[4] Il teatro
Tutti i paesi della provincia di Macerata, anche i più piccoli, hanno il loro teatro antico. A Petriolo l'attuale teatro è caratterizzato da uno stile moderno. Recentemente esso è stato restaurato e dotato di sistemi di sicurezza.
Presso l'archivio di Stato di Macerata, nel fondo di Petriolo la dott.ssa. Laura Vissani ha trovato un documento, il quale dimostra che nel 1737 esisteva già un teatro a Petriolo, di proprietà di Benedetti, il cui acquisto veniva proposto al Consiglio del Comune.[4] Il mulino Mappa firmata da Giulio Caradonna rappresentante il capovallato per il mulino, per la causa tra il Marchese Gaucci, affittuario della Rev. Camera Apostolica per il vallato e la comunità di Petriolo
Esso costituiva una realtà molto importante, in quanto era fonte di vita per il paese. È riportato in una bellissima pianta conservata presso il Comune e datata 1782. Nella descrizione riporta il percorso del vallato verso il mulino storico, rappresentato dalla casetta all'estrema sinistra e, come particolare ingrandito.
Il vallato permetteva di prelevare l'acqua dal Fiastra in prossimità dell'Abbadia e di convogliarla al mulino per azionare le macine. Grande cura era riservata sia al vallato che al mulino perché da queste realtà dipendeva la vita della comunità. Gli argini erano continuamente monitorati e le paratie presenti lungo il percorso del vallato permettevano di regolare il flusso dell'acqua in modo da non danneggiare gli argini. Dopo l'inizio dell'era dell'energia elettrica il vallato è caduto in disuso ed è stato riassorbito dai terreni adiacenti. Resta solo un piccolo manufatto: un piccolo ponte che permetteva all'acqua del vallato di scavalcare il fosso di Rio che scorreva perpendicolarmente. Il ponte era corredato di sponde che agli inizi del 900 sono state smontate.
Esiste un Istromento, nell'archivio comunale, rogato alla fine del ‘700 con il quale il Comune di Petriolo (in difficoltà economiche) cede in enfiteusi per tre generazioni “mascoline” al Conte Sabbioni di Fermo tutte le terre, tranne il vallato ed il mulino. Inoltre limita i diritti sulle selve, che servivano ai petriolesi per approvvigionarsi di legna, da dare ai fornai per poter cuocere il pane. Il mulino in figura esiste ancora ed è rimasto cristallizzato ai primi del ‘900, quando era ancora in funzione.[6] Il sacrario dei caduti Sacrario dei caduti, Petriolo
Il tributo di sangue che Petriolo ha pagato nelle due guerre mondiali è stato onorato edificando un luogo di culto, dove sono raccolte le spoglie dei soldati caduti. Esso sorge in un luogo “sacro”. Infatti nel ‘700, come è riportato nel catasco settecentesco redatto da Pietro Tartufoli (1732), era ivi ubicata la chiesa del Crocifisso. Questa chiesa fu poi demolita, tanto che Mollari, Ingegnere capo del Dipartimento del Musone dal 1806 alla fine del periodo napoleonico, non ha lasciato traccia di una chiesa nella sua tavola acquerellata che riporta la strada che da Petriolo va verso Montolmo. Successivamente in questa area sorse il Cimitero, di cui Marzio Tamburri, fine disegnatore, ha lasciato il ricordo in uno dei suoi disegni. Questo luogo ha poi conosciuto una nuova trasformazione in quanto il Cimitero è stato spostato nella sede attuale e qui fu eretto il Sacrario per i caduti di tutte le Guerre, per onorare la loro memoria. Una volta che il cimitero fu spostato nell'attuale posizione, quest'area fu utilizzata per la commemorazione dei soldati morti in guerra.[4] Il Santuario della Madonna della Misericordia Il Santuario della Madonna della Misericordia
La chiesa della Madonna della Misericordia risale alla fine del XV secolo. Nel 1495 la comunità di Petriolo mandò a Roma, allo scopo di fare donazione di una casa di sua proprietà al Capitolo Lateranense, il sacerdote don Giovanni Sanici da Berlanga della diocesi Oscomense nella Spagna, residente nel castello di Petriolo. Il 5 settembre, sotto il pontificato di papa Alessandro VI, il sacerdote presentava l’istrumento di donazione al Capitolo. L’anno successivo, dopo accordi intercorsi con il Comune, la Confraternita della Misericordia domandava e otteneva l’autorizzazione dell’Arcibasilica romana poter edificare una nuova chiesa in suolo Lateranense, posta tra la chiesa di Santa Maria e San Basso e quella di San Martino. Lo stemma della Basilica Lateranense posto attualmente sopra il portale della Chiesa ne perpetua la memoria. Dalla relazione della visita apostolica di monsignor Maremonti del 23 luglio 1573, è noto che la chiesa della Misericordia era retta e mantenuta dai confratelli della Compagnia dello stesso nome, assistiti da un cappellano che doveva celebrarvi la messa in tutti i giorni festivi, e in altri tre giorni la settimana, mentre il sabato si cantava coralmente l’ufficio in onore della Beata Vergine Maria. Nel 1780 su disegno dell’architetto camerale Pietro Augustoni iniziarono i lavori di ricostruzione di ampliamento della chiesa che fu consacrata solennemente nel 1787[6]. L’impianto fu ridotto ad una sola navata, che venne prolungata di circa sei metri. Le decorazioni a stucco, le cappelle degli altari, le nicchie e le statue furono realizzate dallo scultore di origine lombarda Lorenzo Bernasconi, collaboratore dell’Augustoni, il quale, in seguito, fissò la sua residenza definitivamente a Petriolo. La facciata si divide in tre parti: in alto un ricco cornicione delimita il timpano con occhio centrale; nella zona mediana si sviluppano due coppie di palaste di ordine toscano, in mezzo alle quali si aprono due nicchie con le statue raffiguranti l’Arcangelo Gabriele e l’Annunziata, modellate nel 1951 dall’artista autodidatta Nello Cruciani di Petriolo. Nella zona sottostante si ripetono le coppie delle paraste con capitelli di ordine toscano. Al centro si apre il bel portale di rame sbalzato, opera dello scultore maceratese Sesto Americo Luchetti, benedetto dal Papa Giovanni Paolo II il 22 agosto 1979. Lavori di restauro strutturale e di consolidamento dell’edificio iniziarono nell’aprile del 1920 e furono diretti dall’architetto Giuseppe Rossi di Macerata. A questo periodo risalgono pure le decorazioni pittoriche dei tondi della volta, dei pennacchi e delle pareti della navata, ad opera del pittore pesarese Ciro Pavisa. il 16 ottobre 1921 la chiesa fu riaperta al culto. All'interno del santuario si conserva una pregevole statua in legno policromo raffigurante la Madonna con il bambino (detta localmente della Misericordia), il cui restauro del 1985 ha portato alla luce un'iscrizione sulla base della statua che recita HOC. OPUS. F. MAGISTER. IO. ANTONIUS. AQUILANUS. M.D.XXV[9]., tale scultore sarebbe da identificarsi con Giovanni Antonio (Giannantonio) da Lucoli, attivo a l’Aquila tra il 1508 e il 1537. Secondo la tradizione popolare la prima domenica di settembre dell’anno 1525 la statua lignea della Madonna giunse alla chiesa della Misericordia di Petriolo proveniente dall’Abruzzo, trasportata da un carro trainato da buoi, i quali, arrestatisi dinanzi alla chiesa petriolese, non vollero più proseguire nel tragitto. Il popolo di Petriolo, cogliendo in questo un segno miracoloso del volere della Madonna di voler restare in paese, trasportarono festanti la statua all’interno della chiesa.[6] La chiesa dei SS. Marco e Martino
La notizia certa più antica ci viene dal privilegio di papa Gregorio IX che il 20 novembre 1231 all’abate di San Pietro di Ferentillo tutti possedimenti e le pertinenze spettanti all’abbazia. Certo è che l’origine risale ad epoca più remota essendo il santo vescovo di Tours particolarmente venerato dai Longobardi che allo stesso dedicarono numerose chiese nelle varie regioni d’Italia. Essendo la chiesa edificata su suolo lateranense, il Capitolo di San Giovanni in Laterano aveva diritto di confermarvi con una bolla la nomina di ogni nuovo rettore e di farla visitare annualmente da parte di un commissario. La Chiesa venne ricostruita all’inizio del XVI secolo e ultimata nel 1512. Tra il 1776 ed il 1790, grazie alla dedizione e prodigalità del prevosto dell’epoca don Giovanni Francesco Cordella l’edificio sacro venne totalmente riedificato nella forma attuale occupando una superficie molto più estesa del precedente. Venne consacrato nel 1790 da monsignor Martino Cordella, vescovo di Bagnorea, fratello del prevosto, come si legge nella lapide marmorea apposta nella controfacciata. La tela dell’altare maggiore raffigurante i Santi Martino e Marco e sullo sfondo il paese, è l’ultima opera del celebre pittore Luigi Fontana eseguita all’ età di 81 anni dall’artista ormai quasi cieco. Una tradizione paesana ci dice che in quest’ultima opera il Fontana fosse anzi coadiuvato dal giovane sacerdote petriolese don Francesco Fusari (1878-1964).[4]
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