| E la quercia, spogliatasi del suo fogliame, era pronta per dormire il lungo inverno, in cui sognare tanti sogni, sempre cose vissute, come nei sogni degli uomini. Una volta era stata piccola e aveva tratto origine da una ghianda; secondo il calcolo degli uomini, ora era nel suo quarto secolo: era l’albero più grande e più robusto del bosco: la sua chioma dominava su tutti gli altri alberi e la si poteva scorgere anche da molto lontano, dal mare aperto era un segnale per le navi. L’albero però nemmeno aveva idea di quanti occhi, nel mondo, lo cercassero.
In cima alle sue fronde verdi aveva fatto il nido la colomba, e il cuculo balzava di ramo in ramo e cantava il suo cucù; d’autunno, quando le foglie sembravano lamine di rame, arrivavano gli uccelli migratori e vi si riposavano prima di spiccare il volo per il mare aperto. Ora però era inverno, l’albero era senza foglie, e tutti potevano vedere come erano contorti e nodosi i rami che uscivano dal suo tronco. Le cornacchie e i corvi vi si posavano a turno e parlavano dei tempi duri che stavano per cominciare e delle difficoltà di procurarsi da vivere durante l’inverno. Era quasi il giorno di Natale quando la quercia sognò il suo sogno più bello: ascoltiamolo!
quadro-quercia
Ebbe la sensazione che quella fosse una giornata di festa, e le sembrò di sentire tutte le campane delle chiese suonare a festa, quasi fosse un bel giorno estivo, tanto l’aria era calda e mite. La quercia dispiegava la sua fitta chioma, fresca e verde, i raggi del sole giocavano tra i rami e le foglie, l’aria era piena del profumo delle erbe e dei boccioli, le farfalle multicolori giocavano a rincorrersi e le effimere ballavano: era come se tutto esistesse soltanto perché potessero ballare e divertirsi. Tutto quello che l’albero aveva vissuto e visto, nei suoi lunghi anni di vita, accadere intorno a lui, gli sfilò davanti, come in un corteo. Vide cavalieri e dame dei tempi antichi, con piume sui cappelli e falconi in pugno, cavalcare nel bosco; il corno da caccia risuonò e i cani abbaiarono. E vide guerrieri nemici in armature lucenti, con sproni e alabarde, montare e smontare le tende; i fuochi delle sentinelle ardevano e si cantava e si dormiva sotto i rami tesi della quercia. E vide anche coppie d’innamorati che s’incontravano pieni di gioia al chiaro di luna e incidevano i loro nomi, le loro iniziali, nella sua corteccia grigio-verde.
Una volta, moltissimi anni prima, cetre e arpe eolie erano state appese ai suoi rami da certi cantori erranti; ora erano ancora lì appese e risuonavano con tanta dolcezza. Le colombe tubavano come volessero raccontare quello che l’albero provava, e il cuculo lo chiamava per dirgli quanti giorni d’estate la quercia doveva ancora vivere. Fu come se una nuova linfa di vita scorresse dalle sue radici più intime fino ai rami suoi più alti; l’albero sentì che si stava protendendo coi rami, e che nelle sue radici c’era vita e moto, anche sottoterra; sentì crescere le sue forze e crebbe sempre più alto. Il tronco non quercia-paintcessava d’innalzarsi, la sua chioma si faceva sempre più folta e ampia, e l’albero, man mano che cresceva, sentiva crescere anche la sua felicità e il suo gioioso desiderio di elevarsi sempre più in alto, fino al caldo sole luminoso.
Ormai era cresciuto così oltre le nubi, che sotto la sua chioma fluttuavano oscuri stormi di uccelli migratori o grandi frotte di cigni bianchi! E ogni sua foglia poteva vedere quasi avesse avuto gli occhi; le stelle erano visibili anche alla luce del giorno, grandi e sfavillanti, e ognuna scintillava come un occhio così mite e chiaro da ricordargli tutti quei cari occhi, occhi di bambini, occhi di innamorati, che si erano dati convegno sotto i suoi rami. Che momento meraviglioso fu quello, e che gioia! Eppure, in tutta quella gioia, la quercia provò nostalgia, e desiderò che tutti gli altri alberi del bosco, tutti i cespugli, le erbe e i fiori si potessero innalzare insieme a lei, e potessero provare quella gioia e godere di quello splendore. La grande quercia, nel suo sogno di grandezza, non sarebbe stata pienamente felice se non li avesse avuti tutti quanti con sé, grandi e piccini, e questo sentimento inappagato fu un fremito che si ripercosse in ogni suo ramo, in ogni sua foglia, caldo e fervido come in un cuore umano.
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