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Penna San Giovanni (La Penna in dialetto fermano e maceratese[4]) è un comune italiano di 968 abitanti[1] della provincia di Macerata nelle Marche.
«L’avere dunque innanzi quest’ameno teatro, e il poter con un volgere di capo variarsi insieme il punto di vista in altri niente meno dilettevoli e vaghi, a me sembra certamente che sia sufficiente compenso agl’incomodi.»
(Giuseppe Colucci, Delle Antichità Picene, Tomo XXX, p. 5)
La sua collocazione, le vedute, l'aria salubre e le preziose opere architettoniche, quale il settecentesco e interamente ligneo Teatro Comunale, fanno di questo comune una perla della antica Marca Fermana.
Geografia fisica Si eleva a 630 m s.l.m. ubicato a ridosso di uno sperone roccioso tra le valli dei fiumi Salino e Tennacola. Circondato da una campagna di alta collina, domina il territorio dalla catena dei Monti Sibillini alla costa Adriatica.
Territorio e clima
Lo storico pennese Giuseppe Colucci (1752-1809) così descrisse la topografia del luogo:
«A ridosso di un alto monte (…) e nel suo pendio verso levante, distante circa quindici miglia dal mare, e circa sette dagli Appennini, in mezzo alle città di Fermo all’oriente, di Ascoli a mezzo giorno, e di Macerata a tramontana, tutte distanti quale poco più, quale poco meno di quindici miglia, sorge la Terra, che gli antichi del secolo decimo terzo dicevano ora Castel della Penna, ora Castello di S. Giovanni, ora Castello del Monte di S. Giovanni e noi chiamiamo al presente PENNA S. GIOVANNI. Sulle cime di questo monte, che fa spalla al paese verso ponente (…) in antico vi era una interessante fortezza, detta il Girone, ne altro vuol dire se non quello che altrove si chiama CASSARO, e cioè luogo forte, e munito. (…) L’incasato che ora compone il paese si stende in lungo da ponente a levante, (…) poiché inclina verso il mezzodì, e a ponente vi rimane il riparo del monte, questo rigore è molto temperato, e il freddo non è punto più sensibile che in altre parti di quelle vicinanze, mentre l’aria è la più purgata, e più pura, e insieme molto grata, e gioconda la vita. In prospetto, come dissi, si vede il mare, e per un tratto sì lungo quanto ne intercede fra il monte di Ancona, e le foci del Tronto. A tramontana si scopre come in un vago teatro una infinità di paesi, i quali essendo alcuni grandi, e altri piccoli, parte in alto, e parte in basso, tutti insieme veduti a un colpo d’occhio col resto di tanti campi, e colline amene, e verdeggianti di erbe e di piante, formano il più vago prospetto che mai si possa ideare. Da ponente vi sono in vero gli alti, e nevosi Appennini, e ne continua la catena fino al mezzogiorno.[5]»
Il nome di Penna
Il nome Penna, secondo gli etimologisti, non proviene dal latino, né dal linguaggio dei Goti, o di altri invasori dell’Italia. È da preferire infatti l’etimologia celtica, secondo cui Penna indica un luogo posto su di un’altura scoscesa. Prova ne è il nome stesso dei Monti Appennini e quello del Jupiter Poeninus, nume notissimo idolatrato sulle Alpi.
Dalla necessità di distinguere questo luogo da altri con lo stesso nome si decise di intitolarlo a San Giovanni Battista al quale, fin da tempi remoti, venne dedicato un primo tempio eretto sul monte. E siccome Penna equivaleva allo stesso significato di Monte, non è infrequente che nei documenti antichi si alternassero i nomi di Penna e di Mons S. Johannis.[6] Storia Il periodo romano
Per quanto non si abbiano informazioni dirette circa il periodo romano, è da supporre che il territorio di Penna San Giovanni fosse compreso nella Colonia Faleriense, il cui centro si trovava a pochi chilometri da Penna. Penna San Giovanni, resti della Porta Romana, sec. XII
Prova ne è un'iscrizione romana, incastonata nella facciata della chiesa di Sant’Antonio Abate in cui si legge: C. SILLIVS. C. / L. PRINCEPS / HIC REQVIESCIT / NOBILIS / DE SVO POSVIT. Alla famiglia Sillia, che aveva residenza a Falerone, si faceva dunque riferimento nella lapide di un liberto, o servo, chiamato Nobile e tumulato, appunto, a Penna San Giovanni.[7] Il periodo altomedievale
Sebbene la storia documentata di Penna San Giovanni sia da far incominciare nel 1248, anno in cui i feudatari del castrum cedettero la loro signoria alla cittadinanza pennese che contestualmente si costituì in comune, è possibile definire delle ipotesi attendibili circa gli assetti politico-amministrativi dell’area.
Lo storico locale Delio Pacini associa a questo luogo la figura del Conte Mainardo, capostipite di diverse famiglie aristocratiche dell’area, il quale, in un atto del 1012 attualmente depositato presso l’Archivio comunale di Sarnano[8], viene denominato Mainardus Comes de Monte Sancti Ioannis, ossia Mainardo Conte di Monte San Giovanni. Il Pacini identifica il luogo cui si riferisce questo predicato con il feudo di Morrone. Di tale toponimo, che probabilmente in antichità indicava Penna stessa o una porzione di suo territorio estremamente rilevante, resta memoria nella attuale contrada pennese, il Morrone ai confini con il comune di Gualdo.[9][10]
Il Conte Mainardo detenne vasti territori tra l’Aso e il Tenna e tra il Tenna e il Tennacola fino ai Monti Sibillini. Alcuni dei suoi discendenti – tra questi i capostipiti di alcune fra le famiglie più antiche e potenti della zona (ad esempio i Brunforte) – permasero in Penna San Giovanni come Conti e Signori feudali.
La fine della Signoria Parco Monte. I resti della antica rocca di Penna San Giovanni e i Monti Sibillini sullo sfondo
Dei Signori che dominarono su Penna San Giovanni sappiamo che, agli scorci del secolo XII, due fratelli, i conti Aldobrandino e Subberardo, figli a loro volta del conte Berardo (o Bernardo), detenevano il potere feudale. Le loro famiglie poi si diramarono; tanto è vero che nel 1248 i nobili firmatari dell’atto costitutivo del Comune di Penna San Giovanni furono circa dieci.
Tale atto, stipulato il 24 maggio 1248, faceva seguito a un altro patto definito in precedenza con Mainardino di Paganello di Subberardo, e con Guglielmo figlio di Giovanni del Conte Aldobrandino. Vi si sanciva la libertà della comunità di eleggersi liberamente il giudice, il notaio, i massari, il consiglio e tutti gli altri ufficiali necessari, e di farsi leggi e statuti con cui regolarsi. Ai nobili che rinunciavano ai diritti feudali rimaneva l’onore di proteggere la nascente comunità in ogni occorrenza, e di esserne podestà per venti anni. I nobili rinunciarono inoltre alla proprietà del Girone, ossia del luogo in cui sorgeva il loro castello, promisero di abbassare le loro torri e case e di sottomettersi come tutti gli altri cittadini alle leggi del nascente Comune. Pieve di San Giovanni Battista, iscrizione del 1256 incastonata nel portale che commemora la costruzione della stessa: In nomine Domini Amen. Hoc opus inceptum fuit tempore D. Gualtieri plebani et expletum tempore D. Gratie plebani per magistrum Georgium de esio sub A.D. MCCLVI.
Stipulati che furono i primi atti, la comunità pennese si sottomise a Fermo, di cui ottenne la cittadinanza, e di conseguenza alla Santa Sede: i rappresentanti del neocostituito Comune inoltre, schierandosi con Fermo, manifestarono la loro alleanza con il partito guelfo. Ciò portò, nel 1252, a un accordo attraverso il quale la comunità ottenne dai nobili, rappresentati da Monalduccio di Paganello, il dominio sulla rocca e sulle fortificazioni.[11][12]
Nella seconda metà del secolo XIII, quando la Santa Sede chiese alla "repubblica pennese" di ricevere in cessione la rocca e la cinta muraria, che i residenti avrebbero comunque mantenuto nella quotidiana custodia, il ceto nobiliare avanzò sonore rimostranze. Di contro al consenso popolare, favorevole alla richiesta, l'aristocrazia pennese prese a pretesto la mancata osservanza di alcune condizioni siglate nel patto del 1248 per giustificare le proprie resistenze alle istanze guelfe e defezionare nelle file dell'imperatore di Sicilia Manfredi, figlio di Federico II e aperto nemico della Chiesa. Manfredi si pose a capo delle forze ghibelline, cui i nobili locali aderivano, e tentò di far propria Penna San Giovanni. Accadde allora che il popolo, pur di non consegnare la cittadina intonsa alle forze nemiche del Papa, mettesse a ferro e fuoco molte delle case che pure aveva in abitazione e devastasse la rocca. E se questo suscitò in un primo momento le perplessità dello Stato Pontificio, cui il castello fortificato era andato in proprietà, subito il legato della Marca Cardinal Paltiniero riferì le debite spiegazioni al Papa. Deceduto lo scomunicato Manfredi nel 1266 nella guerra contro Carlo d'Angiò, il partito nobiliare circa un decennio più tardi una sortita per occupare il castello riedificato. Giovannuccio della Penna con Rinaldo di Brunforte, lontani parenti, capeggiarono l'assalto, respinto ancora una volta dal popolo guidato da uomini di carica pubblica.[13]
segueLa dominazione dei Da Varano
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