| Chi è quello scemo che è andato in giro dicendo che 13 porta fortuna? C’era, infatti, una volta un «morto di fame» che aveva dodici figli, che bene o male riusciva a nutrire, ma quando gli nacque il Tredicesimo, si trovò messo alle strette: qualcosa nei conti (della dispensa) più non gli tornava. Il poveraccio non sapeva più come sbarcare il lunario. Non sapeva più in quale barca imbarcare lo scarto tra i due calendari – tra quello antico in cui l’anno si contava a lune, a mestruazioni, e a regole femminili, e quello più recente fatto di soli dodici mesi l’anno.
C’erano una volta Tredici Fate: quando al Re e alla Regina (del nuovo calendario) nacque una bambina, alla festa di battesimo ne furono invitate solo Dodici, e alla Tredicesima fu detto esplicitamente: tu, non venire! perché tu nel nostro conto sarai sempre l’Intrusa! Tu qui, vecchia strega, sarai sempre in soprannumero! Il tuo mondo, fatto di trame sibilline e di lunatiche tessiture, noi lo releghiamo in soffitta. Prendi il tuo fuso (di Ananke), la spola e la conocchia, e togliti dai piedi!
Che? c’è da dubitarne? Il Re e la Regina (del nuovo computo dell’anno) s’erano fatti bene i loro conticini «duodecimali»: Dodici Fate, pardon: Dodici Lune fanno 354 giorni! E perciò nel nostro Anno ci stanno, e noi le accoglieremo. L’altra, quella che sta con un piede nel vecchio e con l’altro nel nuovo anno, la metteremo alla porta! Se ne vada lassù, nel suo donna-alchimiaPaese, e stia alla larga dalla nostra bambina – perché la nostra bambina vivrà alla luce del nostro Anno Solare, Maschio, Simbolico, Astratto. Che dici? quando verrà il giorno del sangue (mestruale) e la bambina si pungerà lunazione dopo lunazione, non sarà per caso tentata di salire lassù, nella soffitta della Vecchia Luna, di cui un «morto di fame» qualsiasi dovette disfarsi per far quadrare i suoi conti?
A chi lo do questo «di più», questo «scarto» lunare a chi lo passo? – si domandò. E si propose di passarlo al primo che avesse incontrato. Ma poi le cose non andarono così. Non lo passò al Primo che era nientemeno il buon Dio, e non lo passò nemmeno al Secondo che era quel tale Mefistofele pronto a soddisfare tutte le voglie di Faust. Diversamente da come s’era proposto, lo «consegnò» al Terzo, lo «imbarcò» sulla Barca della Morte. E per quale ragione? Perché, lo dice esplicitamente, solo la Morte è giusta. La Morte è la sola «livella», postilla poeticamente Totò, la sola uguale per tutti. Solo la Morte ci «eguaglia».
Più chiaro di così… si muore! Il bambino o la bambina dev’essere sacrificato sull’altare del (Numero) giusto, del (Calcolo) razionale, del (Concetto) generale. Dev’essere immolato all’Idea di Uguaglianza. E perciò deve essere votato alla Sola Ratio che annienta tutte le nostre differenze. È inutile girarci intorno: l’«essere per la morte» (ventura) non è una patologia, più o meno conclamata, di qualche moderno Filosofo (penso in particolare a Heidegger e a Lacan). È, anzi, la radice prima del nostro linguaggio Solare, Maschio, Simbolico, Astratto: l’altra radice, l’Eterna Intrusa, la Sanguigna, la radice del nostro linguaggio Lunare, Femminile, Immaginale, Narcisistico, poiché risale ai tempi in cui l’Albero (l’asse verticale) del Mondo non era stato ancora rovesciato, è dove adesso è il fogliame dell’Albero, in alto – lassù, in soffitta… che ci attende. Per suggerirci di fare in altro modo il conto dello stesso Racconto che hai sentito dire nella lingua dei maschi. Dei «morti di fame» che per quattro soldi vendettero, e vendono tuttora, i propri «figli» alla (Parola «giusta» della) Morte.
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