| Così fecero, e la figlia del Re faceva l’ostessa. Ecco che capitano i tre soldati, affamati come lupi. Passano, cantando come facevano sempre anche se tiravano la cinghia, leggono l’insegna e il napoletano fa: «Ragazzi, qui si mangia e dorme gratis». E i compagni: «Sì, stacci a credere! Ci scrivono così per gabbare il prossimo». Ma s’era fatta sull’uscio la Principessa ostessina che disse loro di entrare, che quel che diceva l’insegna era vero. I tre entrarono e la Principessa servì loro una cena da signori.
Poi si sedette al loro tavolo, e disse: «Be’, che ci avete di nuovo da raccontarmi, voialtri che venite da fuori? Io, in mezzo a questa campagna, non so mai niente di quel che succede». «Che volete che vi raccontiamo, sora padrona?», fece il romano. E così, facendo il modesto, le raccontò la storia di quando era di guardia e gli s’era presentato il gigante e lui gli aveva tagliato la testa. «To’! – fece il fiorentino, – a me pure m’è successo così», e raccontò anche lui del suo gigante. «E voi? – disse la Principessa al napoletano, – non v’è successo niente?».
I compagni si misero a ridere: «Che volete che gli sia successo? È un fifone quest’amico nostro, che se sente muovere una foglia di notte piglia la fuga e non lo trovate più per una settimana». «Perché lo trattate così, poveretto?», disse la giovane, e insistette che raccontasse anche singleton-ostessalui. Allora il napoletano disse: «Se lo volete sapere, anche a me mentre voi dormivate, m’è comparso un gigante, e l’ho ammazzato». «Bum! – fecero i compagni sghignazzando. – Se solo lo vedevi morivi dalla tremarella! Basta: non vogliamo sentire più nulla. Andiamo a letto», e lo lasciarono solo con l’ostessina.
L’ostessina faceva bere il napoletano e lo faceva continuare a raccontare. Così lui, a poco a poco le raccontò tutto: delle tre vecchie, della lanterna, del fucile, della spada, e della bella fanciulla addormentata che lui aveva baciata, e le aveva portato via una pianella. «E ce l’avete ancora questa pianella?». «Eccola qui», disse il soldato, traendola di tasca. Allora la Principessa, tutta contenta, gli diede ancora da bere finché non cadde addormentato, poi disse al garzone: «Portatelo in quella camera che ho fatto preparare apposta; toglietegli i suoi abiti e mettetegli vestiti da Re sulla sedia».
Il napoletano la mattina si svegliò e si trovò in una camera tutta d’oro e di broccato. Andò per cercare i suoi vestiti e trovò abiti da Re. Si pizzicò per assicurarsi che non dormiva, e visto che da sé non si raccapezzava, suonò un campanello. Entrarono quattro servitori in livrea, con grandi inchini: «Altezza, comandi. Ha riposato bene, Altezza?». Il napoletano faceva tanto d’occhi: «Ma siete impazziti? Che altezza e non altezza? Datemi i miei panni che voglio vestirmi, e facciamola finita con questa commedia». «Ma si calmi. Altezza, si faccia fare la barba, si faccia pettinare». «Dove sono i miei compagni? Dove avete messo la mia roba?». «Adesso vengono, adesso avrete tutto, ma permetta che la vestiamo, Altezza».
scarpa-cenerentola
Quando vide che non c’era altro da fare per toglierseli di torno, il soldato li lasciò fare: lo sbarbarono, lo pettinarono, e gli misero gli abiti da Re. Poi gli portarono la cioccolata, la torta e i confetti. Finito di far colazione disse: «Ma i miei compagni li posso vedere, sì o no?». «Subito, Altezza». E fecero entrare il romano e il fiorentino, che a vederlo vestito in quel modo restarono a bocca aperta. «Ma, di’, come ti sei mascherato?». «Ne sapete qualcosa voialtri? Io ne so quanto voi». «Chissà cos’hai combinato! – dissero i compagni. – Chissà quante bubbole hai raccontato ieri sera alla padrona!». «Io per regola vostra bubbole non ne ho raccontato a nessuno», disse lui. «E allora come va questa storia?».
«Vi dirò io come va, – disse il Re entrando in quel momento con la Principessa vestita del suo manto più prezioso. – Mia figlia era sotto un incantesimo e questo giovanotto l’ha liberata». E tra domande e risposte, si informarono di tutto quel che era successo. «Per questo – disse il Re – lo faccio sposo di mia figlia e mio erede. In quanto a voialtri due, non vi preoccupate. Sarete fatti Duchi, perché se non aveste ammazzato gli altri due giganti, mia figlia non sarebbe stata salvata». Furono fatte le nozze tra l’allegria generale.
Mangiarono pane a tozzi E una gallina verminosa, Viva la sposa, viva la sposa.
(Calvino, Fiabe italiane: 100)
fonte https://lartedeipazzi.blog/2019/01/20/calv...ato-napoletano/
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