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Pur essendo la seconda fonte di PM2,5 in Italia, gli allevamenti intensivi continuano a essere finanziati con i soldi pubblici. Lo svela Greenpeace.
Una nuova inchiesta di Greenpeace fa luce sui fondi della Pac stanziati a favore degli allevamenti intensivi. Quelli italiani nel 2020 hanno incassato 32 milioni di euro, circa 50mila euro ad azienda. Un sostegno pubblico che sembra ignorare un fatto: gli allevamenti intensivi ad oggi sono la seconda fonte di PM2,5 in Italia.
La Politica agricola comune europea (Pac) “sostiene gli agricoltori e garantisce la sicurezza alimentare dell’Europa”. In virtù di questa sua funzione essenziale, ha sempre assorbito una quota rilevante del bilancio generale dell’Unione: nel 2019, 59,9 miliardi di euro su 161,7. Una nuova inchiesta di Greenpeace svela però un paradosso: questi soldi vengono investiti anche per finanziare attività che avvelenano l’aria che respiriamo. Si tratta degli allevamenti intensivi. Nella pianura Padana, in particolare, ce ne sono centinaia. E nel 2020 hanno incassato la bellezza di 32 milioni di euro di fondi pubblici, per una media di 50mila euro ad azienda. Perché gli allevamenti intensivi sono anche un problema ambientale
Degli allevamenti intensivi si sente parlare per tanti motivi. Per le condizioni in cui vengono rinchiusi gli animali, condizioni che molti ritengono inaccettabili da un punto di vista etico e che possono costituire anche un rischio sanitario. Se ne sente parlare anche per il consumo di acqua e di suolo (necessario, quest’ultimo, per le coltivazioni da destinare a mangimi). Più di rado, però, si pone l’attenzione sul loro massiccio contributo all’inquinamento atmosferico.
I reflui zootecnici sono infatti ricchi di ammoniaca (NH3). Questo gas, una volta liberato in atmosfera, si combina con gli ossidi di azoto e di zolfo generando le polveri sottili. In Italia gli allevamenti causano il 17,5 per cento del PM2,5, cioè di quel particolato talmente fine da entrare nella circolazione sanguigna attraverso i polmoni. Solo gli impianti di riscaldamento fanno di peggio, con il 37 per cento; i trasporti si fermano al 14 per cento. E sappiamo che l’inquinamento atmosferico riduce l’aspettativa di vita di 2,2 anni, peggio del fumo di sigaretta.
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