| Il «principe azzurro» è in sogno che ritorna allo sguardo dell’anima «stregata» dalla Luce di Mezzogiorno, ed è sempre e solo in sogno (addirittura nel «sonno della morte») che al nostro guerriero Arikara, così smanioso di «gloria», Uomo-Luna svela il trucco del Sole. Chi cerca la «gloria» (un Persiano qui direbbe: chi è in cerca del Mandato Celeste; un poeta medioevale di casa nostra invece direbbe: chi è partito alla volta del Santo Graal; un greco antico a sua volta: chi naviga alla conquista del Vello d’oro; e un sumero, ne sono certo, direbbe: chi è andato alla ricerca del Segreto dell’Immortalità – insomma): chi cerca Quella Cosa che per lui è la più «reale» di tutte le Realtà, e che è il suo «proprio mondo» – farà bene ad armarsi di vecchie sapienze, invece di rincorrere le «novità», le «mode», gli «aggiornamenti» a proposito di inganni e seduzioni varie. Questo è quanto consiglia Luna a chi le dà ascolto.
Il suo «protetto» farà bene a non «dare udienza» al Sole – perché il Sole è Luce che non parla se non la lingua degli occhi, tant’è che chiede al guerriero di amputarsi la lingua, di kush-metaforafare questo sacrificio delle parole – ovvero dell’unica via attraverso cui gli potrebbe giungere un’eco delle vecchie sapienze –, lo obbliga dunque ad ammutolirsi per fidarsi a occhi chiusi di ciò che gli «promette» la visione. L’ultima, la nuova. Rosaspina «dorme» perché si è fidata delle apparenze: ha visto il bel Giovane e ha consegnato a lui, e non al Vecchio, il suo «cuore». Rosaspina «dormirà» fino alla prossima Luna: pare che sarà fra cent’anni, così un’altra volta impara a «interpretare» i suoi miraggi!
Facciamo tutti delle scelte sbagliate: questo sta scritto nel vecchio Racconto. Quali che siano i suoi protagonisti (astri, dèi o esseri umani), sempre a questo «nodo» il Racconto li vincola. Li obbliga a passare per l’errore – se è in cerca della Realtà che sono incamminati. È Lévi-Strauss che ce lo fa notare: ora sono Sole e Luna, «due personaggi celesti, che discutono i rispettivi meriti delle donne terrestri»; ora invece «due donne terrestri discutono i rispettivi meriti di maschi celesti». È sottinteso che queste «discussioni matrimoniali» risalgono al tempo in cui (anzi, a volte, più precisamente: al tramonto del tempo in cui) la via a salire e scendere dal cielo era aperta. E se oggi è chiusa, è proprio per via di quella certa scelta sbagliata, sempre per colpa di quell’«errore originale», la cui «origine» si ripete nella nostra vita di tutti i giorni.
Il motivo della scelta sbagliata si presenta dunque sotto tre forme: nel primo caso Sole e Luna, che sono uomini, si scelgono mogli diverse; nel secondo alcune femmine umane si scelgono come marito stelle diverse (quando queste stelle sono esplicitamente Sole e Luna, il racconto non fa che perfezionare la simmetria tra i due tipi); nel terzo, infine, un essere, invitato da Sole a scegliere tra oggetti diversi, viene a sapere da Luna che non deve fidarsi delle apparenze. Per questa via torniamo all’educazione delle fanciulle, poiché le forme estreme della scelta sbagliata ne richiamano due aspetti. Infatti, oltre a tutto il resto, una ragazza ben educata deve imparare a non fidarsi delle apparenze e a non farsi giudicare dalla propria apparenza. Nel primo caso è lei che sbaglia, nel secondo essa induce gli uomini a ingannarsi sul suo conto. (Lévi-Strauss, Le origini delle buone maniere a tavola)
Che dire a questo punto? Se Lévi-Strauss ha visto giusto, se davvero il Racconto è percorso in lungo e in largo da questo «comandamento» morale, e se a esservi assoggettato è in primis il «corpo dell’educanda», se veramente è questo «corpo» la mina bella-addormentatavagante all’interno della Tribù, allora le enigmatiche parole di Sigrdrífa – ho fatto l’errore di assegnare la gloria al giovane e non al vecchio – tradiscono un frammento dell’Antica Sceneggiata a cui sono sopravvissute.
Sono parole vecchie, di una Metafora che – alla luce del sole – pare arrugginita, ma la cui potenza d’inganno e di seduzione non ha mai cessato di suscitare «astio e lite» all’interno della Tribù. La Metafora della «guerra» che il desiderio scatena – il Desiderio è il Lupo che deve essere «incatenato», con le buone o con le cattive «maniere», se si vuole sedere a una stessa tavola (rotonda). Per favore, ditelo a Lancillotto! È perché l’«amore» è una «guerra» da sempre dichiarata, che nella messinscena del Racconto lo Spasimante è perlopiù un «guerriero», un «cacciatore di bisonti», un «prode d’armi», un «cavaliere della fede». Ma, dice il Racconto – e lo dice più chiaramente quando è la stessa fanciulla che non solo suscita, ma che addirittura fa la «guerra», è «guerriera» lei stessa, in prima persona come nel caso della Valchiria Sigrdrífa – il «corpo del contendere» non solo inganna, ma esso stesso è ingannato sul proprio conto.
Gli «aculei» (ne abbiamo già sentito parlare, e ne sentiremo ancora), di cui la fanciulla «nordamericana» è così appassionata, come Rosaspina lo è del «fuso della Strega» Ananke, finiranno per trafiggerla… la «san Sebastiano». Le «spine» (perché gli aculei sono spine) finiranno per pungerle il dito… Così dice il Racconto: morale o no che sia il suo più intimo «comandamento», esso dice: c’è una Rosa, chi la coglie si ferisce con le sue spine; oppure dice: c’è un Porcospino, chi l’insegue fino in cielo svanisce negli aculei delle sue proprie illusioni, e poi per scendere da lassù (per l’ultima volta, poi non ci salirà più!) deve aspettare la prossima Luna… forse cent’anni di solitudine, prima che Luna, baciandola, la risvegli.
fonte https://lartedeipazzi.blog/2019/01/22/arik...elta-sbagliata/
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