IL FARO DEI SOGNI

Hillman – Jung e il sogno dei due teschi

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view post Posted on 24/9/2023, 08:42     Top   Dislike
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In Ricordi sogni riflessioni, Jung racconta un sogno fatto nel 1909 durante il viaggio che lo portava, assieme a Freud, negli Stati Uniti – «il sogno dei due teschi», che avrebbe avuto una parte significativa nella sua separazione da Freud. Il sogno presenta a Jung la sua casa, una casa a due piani. Il piano superiore, dove l’io di Jung si ritrova all’inizio, è arredato in stile rococò, con bei quadri antichi. Scendendo al pianterreno, Jung vi riconosce, mescolati assieme, elementi del Rinascimento e del Medioevo. Al di sotto, poi, trova una cantina romana e, ancora sotto, in una grotta più profonda e buia, resti archeologici primitivi, e i due teschi. Per Jung il sogno

… evidentemente risaliva fino alle fondamenta della storia della civiltà, una storia di successive stratificazioni della coscienza (…) una specie di diagramma di struttura della psiche umana, un presupposto di natura affatto impersonale (…) divenne per me un’immagine-guida (…) fu la prima intuizione dell’esistenza, nella psiche personale, di un a-priori collettivo (…) delle forme istintive, cioè degli archetipi.
(Jung, Ricordi sogni riflessioni)




Jung racconta inoltre che il sogno risvegliò il suo «antico interesse per l’archeologia» (negli anni in cui era studente l’archeologia era stata il suo primo amore, mentre la psichiatria veniva per seconda, faute de mieux). E così riprese in mano i libri sugli scavi archeologici e sui miti. Aggiunge poi:

Nel corso di queste letture mi capitò tra le mani l’opera di Friedrich Creuzer Simbolica e mitologia dei popoli antichi, che mi accese d’entusiasmo. Lessi come un folle, e lavorai con un interesse febbrile in mezzo a una montagna di materiale mitologico, e poi anche di scritti gnostici, e finii in una totale confusione (…) Era come se mi trovassi in un fantastico manicomio e cominciassi a «trattare» e ad analizzare tutti i centauri, le ninfe, gli dèi e le dee del libro di Creuzer, come se fossero i miei pazienti.
(Jung, Ricordi sogni riflessioni)


In seguito, Jung s’imbatté nel lavoro di Flournoy sulle fantasie di Miss Miller, e cominciò quell’opera straordinaria, Trasformazioni e simboli della libido, la cui prima parte fu pubblicata nel 1911, che inaugura quell’orientamento della cultura e del pensiero oggi Simpson-ranunculuschiamato «junghiano». Prima di quest’opera, Jung aveva dato altri contributi che recavano la sua impronta originale, ma è solo a partire da essa che la psicologia prende una direzione nuova, o meglio una direzione antica. Io credo che il motivo dei «due teschi» non solo adombri il tema dell’imminente separazione da Freud, ma che trovi un’ulteriore e più radicale riflessione in Le due forme del pensare, quel capitolo col quale inizia e su cui si fonda l’argomentazione di Trasformazioni e simboli della libido, un capitolo che si apre riferendosi al metodo simbolico dell’interpretazione.

Se la fonte psicologica degli eventi che portarono alla teoria degli archetipi si trova in parte in quel sogno di Jung, la fonte storica di questa psicologia archetipica si trova in parte nell’opera di Friedrich Creuzer. Fu questo autore ad accendere l’immaginazione di Jung, che lesse «con febbrile interesse» il suo libro. Ma cos’è questo libro? Chi era Creuzer? E cosa della sua opera accese quello straordinario combustibile? Come si accordava il dato scritto con la visione degli archetipi, che il sogno della casa introduceva?





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view post Posted on 11/11/2023, 10:06     Top   Dislike
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Creuzer nacque nel 1771 e morì ad Heidelberg nel 1858: ottantasette anni straordinari – la nascita quasi contemporanea a quella di Beethoven, la morte due anni dopo la nascita di Freud. Allievo di Schiller, in stretto rapporto con il movimento romantico di Heidelberg, suscitò (in Karoline von Günderrode) una delle più famose passioni romantiche dell’epoca, finita in un suicidio. Fu lui a dare inizio alla storiografia greca e curò la pubblicazione dei testi neoplatonici di Proclo e Olimpiodoro, nonché di Plotino. Fu a partire da questo neoplatonismo che Creuzer inventò l’approccio simbolico al mito e allo studio comparativo delle religioni. […]

Tutte le immagini, tutte le statue, tutti i racconti erano simboli di cui si dovevano cercare i significati reconditi. Per Creuzer la ricerca sul mito e sulla religione si ferma non quando arriva a un’origine storica, a una spiegazione causale, a una descrizione naturalistica, ma Creuzerquando viene raggiunto il significato simbolico. Per scoprire il significato simbolico era necessario quello che lui considerava il dono ermeneutico, la capacità di immaginare in modo mitologico, un’arte simile a quella del poeta. Il livello più profondo al quale la percezione simbolica poteva penetrare era l’implicazione neoplatonica dell’immagine considerata. Creuzer era un neoplatonico.

Io credo che la risposta di Jung al sogno del 1909 traesse sostegno da ciò che in quello stesso anno Jung trovò in Creuzer: la sua era infatti una risposta neoplatonica. E con questo voglio anche dire che tra il 1911 e il 1913 la questione che divise scopertamente Freud e Jung fu la psicologia dell’incesto: andava preso in modo letterale o in modo simbolico? Contro il positivismo letterale di Freud, Jung assunse la tradizionale posizione neoplatonica:

… di solito (l’incesto) presenta un contenuto fortemente religioso, motivo per cui il tema dell’incesto ha una parte decisiva in quasi tutte le cosmogonie e in numerosi miti. Ma Freud si atteneva all’interpretazione letterale e non sapeva cogliere il significato spirituale dell’incesto in quanto simbolo.
(Jung, Ricordi sogni riflessioni)

Gli scritti neoplatonici cercano di mostrare lo spirito simbolico in azione negli eventi naturali: essi leggono «l’incesto come simbolo». Troviamo la più famosa di queste esposizioni in un frammento di Proclo: «In difesa dei miti omerici».

Credo inoltre che per Jung la separazione da Freud significasse liberare la propria anima dall’interpretazione personalistica e letteralistica che Freud aveva dato della sua «grotta», una liberazione che equivaleva al movimento platonico di uscita dalla Caverna. Essenziale alla psicologia dei platonici è il movimento di vedere in trasparenza le illusioni della realtà letterale e personale, alla luce delle verità archetipiche. Nel neoplatonismo la Caverna di Platone è il regno della physis – la prospettiva della realtà naturale, dove l’incesto è sessuale, letterale, personale, dove i due teschi della grotta si riferiscono a contenuti personali reali e alle loro emozioni. Re-interpretando il suo sogno della grotta, Jung uscì dall’imprigionamento nella Caverna dell’ermeneutica fisicalistica, che per il neoplatonismo è il nemico dal quale l’occhio psicologico è accecato.

(Hillman, L’Anima del mondo e il pensiero del cuore)

***


Freud dice – il morto è uno solo. Jung gli obietta – sarà pure uno solo, ma io ho visto due teschi. Deleuze e Guattari a loro volta incalzano – va beh, ne avrai pure visti due, ma se ci pensi bene quei due teschi erano in un ossario, in una molteplicità di frammenti ossei sparsi qua e là.

Ma di che stanno parlando? – stanno disputando dell’inconscio, cioè di quel misterioso «non-dove» in cui si sarebbe aggirata la mente del «morto» prima di «morire». O di quel «rimosso» di cui si dice che giace sepolto negli oscuri sotterranei di ciascuno di noi. O anche: di quel vuoto che ciascuna memoria «falsifica» a se stessa, riempiendolo di questo o quel «sostituto» (di cosa o di parola, o di un fritto misto di tutt’e due).

Freud non vuole sentire ragioni: il morto è papà, è Edipo che l’ha ucciso, per poi macchiarsi d’incesto. Sì, d’accordo, dice Jung: in principio fu l’incesto, fu Edipo a giacere con Giocasta, ma non fu niente di «carnale», niente che si possa prendere «alla lettera», come fai tu. In principio, dice, fu un incesto simbolico. Fu uno sposalizio spirituale tra due coniugi illibati, tra Leonard-Edipo-complessodue correnti vergini e asessuate confluite poi in una «libido», tra due «piaceri» entrambi archetipici, entrambi però morti nell’atto stesso di compiacersi. Ecco perché in sogno ho visto due teschi.

Siete due maestri, siete tutt’e due – Freud e Jung – nobili guide sulla via del ritorno al nostro «non-dove». Eppure, li incalzano Deleuze e Guattari, vi siete entrambi lasciare sfuggire la molteplicità (di lupi, di ossa, di macerie archeologiche, di ceneri e di buchi neri) che pure avevate intravisto sullo sfondo della vostra geniale scoperta: avevate scoperto l’inconscio, il «non-mondo», ma il vostro sguardo non fu capace di sostenere tanta e così immonda vastità. Sì, avevate alzato il sipario e intravisto in tutta la sua cupa lordura l’Altro, come ama chiamarlo Lacan. L’Altro e il suo labirinto. L’Altro e i suoi fantasmi, così tanto forestieri e così poco a noi familiari (i lupi, i crani sparsi, e tutte le molteplicità disseminate a casaccio nel sottosuolo della «casa») da essere, questo è a prima vista il paradosso, essi, i più intimi e insieme i più superficiali, i più evidenti nostri compagni di viaggio, i nostri più remoti «moventi», i flussi che ci mossero (e che ancora ci muovono) a fluire, chi più chi meno, nella loro corrente. Avevate scoperto il rimosso, il morto e sepolto, omettendo però di meditare quel che si legge nel Vangelo: e cioè che esso è tanto più morto e sepolto quanta più dottrina vi si getta sopra. Avevate trovato il buco di una serratura per cui spiare il Tartaro, ma … vi faceste distrarre dalla questione del letterale e del simbolico. Oh sì, certo, una bella questione, ma vi pare che poteva bastare?

Il sogno, se davvero è quel buco, come diceste voi, da cui ancora si può spiare l’inconscio, non è che una fessura per la quale però s’intravede una molteplicità di buchi, ciascuno dei quali è una cruna dell’ago per cui è più facile che passi un cammello o un povero cristo ignorante piuttosto che un sapiente ricco di molto acume e di molto spirito. Perché è proprio Boccardi-buco-neroil molto sapere, il molto che il sapere s’intestardisce a unificare, e unificandolo a farlo significare una cosa, è proprio esso, il saputo, che ci ostruisce lo sguardo e, col paraocchi della cosa o del significato, ci impedisce di vedere l’Aperto – dice, a sua volta, Rilke.

Il buco non è la vagina di Giocasta, che il parricida Edipo si prenderebbe, usurpandola al morto, la libertà di penetrare letteralmente, con tutta la tragedia che ne consegue. Ma non è neanche una pura e semplice breccia da aprire simbolicamente nel muro del linguaggio collettivo. Perché il buco parla. Il buco è il linguaggio che parla più veloce della luce. Dal buco a parlare è un vuoto di significato, è un non-senso che risucchia e rapisce ogni senso per trascinarlo al di là delle nostre cose e dei nostri nomi, ben oltre Edipo e la trasgressione più o meno colpevole della sua libido, là dove non c’è né legge né reato, né incesto alla lettera né incesto simbolico – là dov’è tutto e solo intreccio di forze vive che scorrono, come diceva Eraclito: di flussi che s’incontrano e/o si scontrano, che fanno all’amore o fanno la guerra, che tra loro come Penelope fanno di giorno la tela delle alleanze e delle ostilità che disfano la notte, o viceversa.

Il buco stesso è una di queste forze. Anzi, è la più forte. Più forte di ogni pieno, il vuoto attrae a sé, fa a sé affluire perfino la luce. Non solo cose e nomi, non solo significante e significato, non solo grammatica, retorica e dialettica, ma addirittura la luce. Il buco è affamato di luce. È pura intensità che intende solo ciò che divora. E ciò che ingoia, da qualche altra parte, in qualche modo, oscuramente lo restituisce. Metamorfosi (anche, ma non solo) di ciò che, da quest’altro versante, da qui, dal «mondo», chiamiamo libido. Ciò che risputa, il buco ogni volta lo rinnova. Mangia ogni forma illusoria di realtà e la restituisce all’amorfo. Ogni differenza, e la restituisce all’indifferenziato. Perciò, di qua, da quest’altro versante del buco, dal nostro mondo cosciente, non si vedono che ibridi del tutto provvisori: centauri, sirene, chimere, ciclopi, mostri e arpie varie … nient’altro che approssimazioni, per eccesso o per difetto, di quanto nel buco è stato già inteso. Già intuito, senza parole e senza cose.



fonte https://lartedeipazzi.blog/2020/12/19/hill...dei-due-teschi/

 
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