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Giovanni Pierluigi da Palestrina (Palestrina, 1525 – Roma, 2 febbraio 1594) è stato un compositore e organista italiano, uno tra i più importanti del Rinascimento europeo.
Fu considerato tra i massimi compositori di area romana del XVI secolo[1] e venerato come modello ideale per la composizione polifonica sacra.
Biografia
Giovanni Pierluigi (o, in latino, Johannes Petraloysius[2]) nacque presumibilmente a Palestrina, vicino a Roma; il padre si chiamava Sante, o Santo, e la nonna Jacobella, che lo cita nel suo testamento datato ottobre 1527 e che costituisce il primo documento dove è nominato. L'anno di nascita del compositore è stato proposto sulla base di un elogio commemorativo scritto da un giovane contemporaneo, Melchiorre Major, nel quale si affermava che al momento della morte Palestrina aveva 68 anni[3].
Giovanni visse la maggior parte della sua vita a Roma, dove probabilmente si trovava già da fanciullo; un documento del 1537 riporta infatti il nome di «Joannem da Palestrina» tra i putti cantori della basilica di Santa Maria Maggiore. I maestri allora in carica erano un certo Robert e i francesi Robin Mallapert e Lebel.
Il futuro compositore ebbe il suo primo incarico come organista della cattedrale di S. Agapito a Palestrina nel 1544; gli obblighi di questo contratto gli imponevano anche di insegnare il canto ai canonici e ai bambini cantori.
Il 12 giugno 1547 si sposò con Lucrezia Gori, da cui avrà i figli Rodolfo (1549–1572), Angelo (1551–1575) e Iginio (1558–1610).
Nel 1551 il vescovo di Palestrina Giovanni Maria del Monte fu eletto papa e nel mese di settembre Giovanni diventò magister cappellae della Cappella Giulia[4] così come risulta dai libri censuali "D. Ioanni praenestino magistro cappelle Sc.6", succedendo al magister Robin Mallapert, e così fino al 1554 (mancano poi i libri censuali dal 1555 al 1557 ove si potrebbe vedere quando il Pierluigi lasciò questo posto luminoso di primo de' maestri).
Nel 1554 Giovanni pubblicò il suo primo libro di messe[5], dedicato al papa Giulio III, e il 13 gennaio 1555 fu ammesso dallo stesso pontefice tra i cantori della cappella papale, senza chiedere il consenso ai cantori stessi, che al contrario erano particolarmente gelosi del loro privilegio. Così, morto papa Giulio III e concluso il brevissimo regno anche del successore Marcello II, a settembre del 1555 il nuovo papa Paolo IV costrinse alle dimissioni tutti i cantori ammogliati (Leonardo Baré, Domenico Ferrabosco e lo stesso Giovanni Pierluigi), concedendo però loro una pensione. Il mese successivo Palestrina fu assunto come maestro di cappella della Cappella musicale Pia Lateranense[4]; lascerà l'incarico nel 1560, portando via con sé anche il figlio Ridolfo, che era cantorino del coro. Dal marzo 1561, trovò un nuovo impiego presso la Basilica di Santa Maria Maggiore.
Risale forse a questo periodo la composizione della famosa Missa papae Marcelli, la cui importanza è legata alle riforme del Concilio di Trento.
Giovanni divenne intanto maestro del neonato Seminario Romano nel 1566, riuscendo nel contempo a prestare servizio anche per il Cardinale Ippolito II d'Este (1º agosto 1567 - marzo 1571).
La sua fama di compositore, già largamente attestata dai contemporanei, gli procurò offerte di lavoro dall'aristocrazia sia italiana sia straniera, alcune delle quali rifiutate; il duca Guglielmo Gonzaga fu tra i più grandi ammiratori e finanziatori di Palestrina, almeno dal 1568 sino 1587, anno in cui il duca morì.
Nell'aprile del 1571, alla morte di Giovanni Animuccia, Palestrina tornò come maestro in Cappella Giulia, mantenendo l'incarico sino alla fine.
Tra il 1572 e il 1575, a causa di un'epidemia morirono il fratello Silla e i figli Ridolfo e Angelo.
Nel 1580 morì la moglie Lucrezia; Giovanni inizialmente chiese e ottenne di prendere la tonsura, ma pochi mesi dopo sposò invece una ricca vedova romana, Virginia Dormoli, che aveva ereditato dal defunto marito una prospera attività di commercio di pellicce.
Negli ultimi anni di vita, Giovanni accrebbe ulteriormente la sua fama, e fu considerato il massimo compositore esistente.
Morì il 2 febbraio 1594 e venne tumulato nella Basilica di San Pietro; ai suoi solenni funerali parteciparono molti celebri musicisti del tempo. Palestrina, statua dedicata al compositore
Palestrina fu celebre sia in vita sia dopo la sua morte; le sue composizioni assursero a modello insuperato della polifonia vocale sacra rinascimentale della Chiesa Romana e sono tutt'oggi un riferimento per lo studio della composizione, in particolare della tecnica del contrappunto. Fu un uomo dotato anche di grande senso pratico; grazie a una serie di scelte oculate, operate in momenti difficili della sua vita, condusse un'esistenza agiata. Composizioni
La produzione palestriniana, per la maggior parte sacra, fu cospicua, anche rispetto a quella di famosi e prolifici compositori dell'epoca, come Orlando di Lasso e Philippe de Monte. Scrisse almeno 104 messe, superando ogni altro compositore contemporaneo; a questo numero già considerevole, si devono aggiungere più di 300 mottetti, 68 offertori, non meno di 72 inni, 35 magnificat, 11 litanie e 4 o 5 lamentazioni. Compose poi oltre 140 madrigali su testi sacri e profani. È stato il primo compositore del XVI secolo di cui siano stati pubblicati gli opera omnia: la prima volta nell'Ottocento[6], e un'altra volta nel Novecento[7]; nonostante ciò, una serie di composizioni a lui attribuite tratte da fonti manoscritte rimangono di dubbia autenticità, e un catalogo delle opere di Palestrina non è ancora stato completato.
104 messe 100 mottetti 35 Magnificat 11 litanie 4 o 5 lamentazioni 42 madrigali spirituali 91 madrigali profani, non riconosciuti autografi da alcuni musicologi[8] 68 offertori almeno 72 Inni
La sua attitudine verso i madrigali era alquanto enigmatica: mentre nella prefazione alla sua collezione di mottetti Canticum canticorum (1584) rinunciò all'utilizzo di testi profani, solo due anni dopo decise di pubblicare il suo II libro di madrigali (alcuni di questi sono tra le sue composizioni più riuscite). Ha pubblicato solo due raccolte di madrigali con testi profani, una nel 1555 e un'altra nel 1586. Le altre due collezioni erano invece madrigali spirituali, un genere amato dai sostenitori della Controriforma.
Le messe di Palestrina mostrano come il suo stile si sia evoluto nel tempo. La sua Missa sine nomine sembra essere stata particolarmente apprezzata da Johann Sebastian Bach, il quale la studiò e interpretò attentamente nel periodo di composizione della sua ‘’Messa in Si minore’’.[9] La maggior parte delle messe di Palestrina fu pubblicata in tredici volumi stampati tra il 1554 e il 1601, gli ultimi sette pubblicati postumi.[10] Messa di Papa Marcello - Kyrie
Una delle sue opere più importanti, la Missa papae Marcelli (5 parti della messa: Kyrie, Gloria, Credo, Sanctus e Agnus Dei), è stata storicamente associata a informazioni errate riguardanti il Concilio di Trento (1545-1563). Secondo questo racconto (che costituisce la base dell'opera di Hans Pfitzner, Palestrina), essa fu composta per convincere il Concilio di Trento che un divieto draconiano al trattamento polifonico del testo nella musica sacra non era necessario.[11] Tuttavia, studi più recenti dimostrano che questa messa fu di fatto composta prima che i cardinali si riunissero per discutere del divieto, molto probabilmente intorno al 1562.[11] I dati storici indicano come il Concilio di Trento, in quanto organo ufficiale, non avesse mai messo al bando alcuna musica sacra e non avesse emesso alcuna sentenza o dichiarazione ufficiale sull'argomento. Mentre le motivazioni compositive di Palestrina non sono note, egli potrebbe essere stato abbastanza consapevole della necessità di un testo intelligibile. In ogni caso il suo caratteristico stile rimase coerente all'impostazione liturgica sino alla fine della sua vita. Le ipotesi di Jerome Roche, secondo cui l'approccio apparentemente spassionato di Palestrina ai testi espressivi o emotivi potrebbe derivare dall'aver dovuto produrre molte opere su commissione oppure dal ritenere che qualsiasi eccessiva intensità di espressione fosse disdicevole nella musica sacra, appaiono frutto di un’interpretazione post-romantica dell'arte musicale. L'opinione rochiana sottovaluta infatti la possibilità che Palestrina abbia sempre voluto comporre musiche che fossero adatte alle occasioni liturgiche per le quali erano impiegati i testi da lui musicati.
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