IL FARO DEI SOGNI

Categoria:Gruppi etnici nella Repubblica Centrafricana

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Pagine nella categoria "Gruppi etnici nella Repubblica Centrafricana"

Questa categoria contiene le 8 pagine indicate di seguito, su un totale di 8.
A

Aka (popolo)

B

Baka (popolo)

G

Gbaya

M

Mandja

N

Ngbandi

P

Pigmei

W

Wodaabe

Z

Zande





Aka (popolo)


Gli Aka sono un popolo pigmeo Mbenga nomade che vive di caccia. Sebbene il popolo Aka chiami se stesso BiAka, sono anche conosciuti come Babenzele nella parte occidentale della Repubblica Centrafricana e nel Congo Nord-occidentale.

Gli Aka vivono a sud-ovest della Repubblica Centrafricana e nel Congo settentrionale (Brazzaville) in 11 zone ecologiche differenti del bacino del fiume Congo occidentale e la lingua parlata è lo yaka.
Sono correlati ma distinti dai popoli Baka del Camerun, Gabon, Congo settentrionale e Repubblica Centrafricana sud-occidentale. I BiAka hanno un'alta predominanza dell'aplotipo genetico L1 che si crede sia per lo più divergente dall'aplotipo DNA umano.

Si crede che il moderno antenato dell'uomo si sia sviluppato nell'Africa orientale dove gli Efe e gli Hadzabe della Tanzania possiedono l'aplotipo L1.

Musica

Gli Aka sono noti per la complessa musica polifonica da loro elaborata, un sistema studiato da molti etnomusicologi. A tale proposito, si posseggono le storiche registrazioni sul campo effettuate da Simha Arom su qualche loro repertorio. Michelle Kisliuk ha scritto una dettagliata etnografia delle loro esibizione[1]. Mauro Campagnoli ha studiato a fondo i loro strumenti musicali, confrontandoli con quelli di gruppi confinanti di pigmei come i Baka.

Musicisti Aka compaiono in varie registrazioni: African Rhythms (György Ligeti, Steve Reich, e Pierre-Laurent Aimard, 2003); Echoes of the Forest: Music of the Central African Pygmies (Ellipsis Arts, 1995); BOYOBI: Ritual Music of the Rainforest Pygmies (Louis Sarno, 2000); Bayaka: The Extraordinary Music of the BaBenzele Pygmies (Louis Sarno, 1996).





fonte https://it.wikipedia.org/wiki/Aka_(popolo)

 
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Baka (popolo)



Baka è una popolazione di pigmei che vive nella foresta equatoriale dell'Africa centrale, in Congo, Gabon, Camerun e Repubblica Centrafricana.

Popolo africano di cacciatori-raccoglitori, i Pigmei Baka vivono nelle foreste africane del Congo del Camerun e del Gabon.

Tra le caratteristiche principali di questo popolo vi è la bassa statura, la propensione alla creazione di tecniche di caccia variegate e una parlata molto prolissa, a differenza di altri popoli indigeni.

Uno dei principali problemi che devono affrontare è la mancanza di riconoscimento dei loro diritti territoriali. Secondo Survival International, il movimento mondiale per i diritti dei popoli indigeni, finché questi diritti non verranno riconosciuti, gli estranei e lo Stato potranno continuare ad appropriarsi della loro terra, da cui dipendono per sopravvivere[1].

Molte comunità vengono sfrattate illegalmente nel nome della conservazione dell'ambiente. Nel Camerun sud-orientale, ad esempio, gran parte della terra ancestrale dei Baka è stata trasformata in parchi nazionali oppure assegnata a società che organizzano safari di caccia[2].

"Un tempo, la foresta era per i Baka, ora non lo è più. Ci muovevamo nella foresta secondo i cicli stagionali, ma adesso abbiamo paura” ha raccontato a Survival un uomo Baka. “Come possono proibirci di andare nella foresta? Non sappiamo come vivere diversamente. Ci picchiano, ci uccidono e ci costringono a fuggire in Congo.”[3]





..............................................................................



Gbaya


I Gbaya sono un popolo del'Africa centrale che vivono nell'ovest della Repubblica Centrafricana e nel Camerun centro-orientale. L'80 % vive nella Repubblica Centrafricana ed il 20 % nel Camerun[1].

Etnonimia

Secondo le fonti ed i contesti, vengono denominati in vari modi: Baja, Baya, Bayas, Beya, Bwaka, Gbaja, Gbaya Bodomo, Gbaya Bokoto, Gbaya Bouli, Gbaya Dooka, Gbaya Kaka, Gbaya Kara, Gbaya Lai, Gbayas, Gbaya Yaiyuwe, Gbea, Gbeya, Igbaka, Igbaya[2].
Popolazione

Il numero di Gbaya era stimato superiore ai 1 200 000 individui negli Anni 1980.[3].
Lingue

I Gbaya parlano differenti dialetti della lingua gbaya, il cui numero di locutori è stimato intorno a 877 000[4].
Religioni

Il 20 % dei Gbaya soni musulmani[3]. La loro conversione all'islam data dell'inizio del XIX secolo, quando i Fulani e gli Hausa svilupparono relazioni commerciali con loro.
I primi missionari cristiani sono arrivati intorno agli Anni 1920. Il Cristianesimo si è propagato soprattutto tra i Gbaya che hanno ricevuto un'educazione all'occidentale.
Differenti pratiche animistes sussistono, ma stanno perdendo terreno[3].



fonte https://it.wikipedia.org/wiki/Gbaya

 
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Mandja


Il popolo Mandja occupa l'ex Oubangui-Chari (l'attuale Repubblica Centrafricana) tra i paralleli 4°30′ e 7°30′ nord in un'area compresa, a ovest, tra il fiume Wam, e a est tra i corsi del Gribingui e l'Alto Kemo.

Vita sociale e credenze religiose

Agricoltori e allevatori di pollame e caprini, i loro villaggi sono agglomerati di capanne appartenenti ad individui della stessa famiglia. Discendenti da uno unico antenato, formano un clan patriarcale. I membri riconoscono l'autorità, sia politica che religiosa, al più anziano del gruppo. La prima moglie del capo “gasa ko-ba-wantua”, gode di alcuni privilegi e dirige le altre donne. Gli individui dello stesso clan devono aiutarsi e proteggersi reciprocamente ed è a loro proibito sposare una donna dello stesso clan.

Accanto alle abitazioni esiste un altare, “ngo”, per le offerte agli antenati. Ogni clan ha un totem. Normalmente è un animale che non deve essere ucciso e del quale non si può mangiare la carne. I Mandja credono che sia l'Essere Supremo a creare, con il sangue mestruale, il bambino nel ventre della donna.
Nascita

Al momento delle doglie, quando il parto è imminente, vengono chiamate due anziane. La partoriente si siede sul suolo della capanna, con le gambe divaricate e le ginocchia sollevate. Alle spalle una vecchia la sostiene per le braccia. È lei che al momento del parto, solleva la partoriente in modo che il nascituro sia accolto dall'altra vecchia che lo prende per la testa.

Il cordone ombelicale, tagliato con una scheggia di legno, viene raccolto in un recipiente. Servirà alla madre, con l'aggiunta di olio, per ungere il corpo del figlio.

Se il neonato dopo la nascita non fa sentire la sua voce, una vecchia può usare delle foglie dai peli urticanti, per farlo piangere.

Quando la “montata lattea” tarda a venire, i seni della madre vengono frizionati con il lattice bianco di un particolare albero chiamato “ba-fio”.

La nascita gemellare, pur non essendo considerata nefasta, è comunque temuta e dà origine a danze, libagioni e alla installazione di un feticcio messo all'esterno della capanna, vicino alla porta. È credenza che i gemelli si vendichino di chi li maltratta, facendoli mordere dai serpenti.

Dopo la nascita vengono messi in una "calebasse" un pizzico dei diversi alimenti abituali dell'etnia. Frantumati e mischiati con acqua si ottiene una mistura che viene deposta sull'altare degli antenati. Poi l'anziano “wan-tua” ne fa bere alcune gocce al neonato e ripete il gesto tre volte per un maschio e quattro volte per una femmina. Infine batte sul suolo della capanna il grosso pilone usato per frantumare i cereali, (che i Mandja ritengono possegga una forza occulta e potente), affinché trasmetta al nuovo nato la forza e la voglia di lavorare.

La donna che non può avere figli è oggetto di scherno e la sterilità è frequente causa di divorzio. Gli orfani non vengono abbandonati ma sono accuditi dal fratello del defunto che li alleva con amore, come se fossero propri. I figli devono rispetto e obbedienza ai padri e i castighi a loro inflitti variano dalla privazione del cibo, fino alle punizioni corporali, inflitte sovente con la frusta.
Morte

Talvolta quando un anziano sente prossima la fine, si allontana dal villaggio e si nasconde nella foresta dove attende la morte.

I Mandja sono superstiziosi, credono che alcuni segni o avvenimenti, annuncino la morte. Il richiamo cupo di un uccello notturno “dili”, probabilmente un gufo, vicino a una casa è indice di un prossimo decesso.

Il defunto viene lavato e il corpo è cosparso di olio e polvere di legno rosso.

Le mani vengono aperte e le palme sono poste sul viso. Il corpo viene avvolto in una stuoia di paglia e deposto sul suolo della capanna. Se è una donna le mani sono messe tra le cosce.

I parenti si radunano intorno al cadavere e i gridi di dolore e i lamenti, si mescolano ai monotoni canti funebri. Se nel villaggio una donna è incinta. si procede subito ad inumare il cadavere. Al momento del parto, il neonato assumerà il nome del defunto la cui anima, credono fermamente i Mandja, si è reincarnata nel nuovo essere.

Quando tutta la famiglia si è riunita intorno al defunto, viene scavata la tomba, sovente nel pavimento della capanna dello scomparso. Profonda circa due metri, contiene una cripta, nella quale il corpo viene deposto legato, talvolta adagiato su un fianco, con il viso rivolto a levante, se è un uomo, simbolo di forza, verso il tramonto, se è una donna, simbolo di debolezza. Per i Mandja la morte non è mai naturale. Può essere stata causata da un maleficio di un uomo malevolo. Per scoprirlo, i Mandja usano talvolta immergere la cintura del defunto nella birra di miglio preparata per il funerale. Sarà sufficiente un sorso per far morire il colpevole, oppure si taglia la testa di una gallina e si pronuncia il nome dell'indiziato che verrà scoperto dalla particolare posizione assunta dal volatile morente.

Per tutto il periodo di lutto, che si protrae talvolta a lungo, la vedova non si deve lavare e i coprisesso sono realizzati con rami di una pianta “douma” fissati alla cintura.
Matrimonio

Normalmente è il padre che sceglie la prima moglie del figlio. Durante una intera stagione, dalla semina al raccolto, il pretendente dovrà lavorare nella piantagione del futuro suocero. Questa usanza è anche una prova per dimostrare che, in futuro, il giovane sarà capace di far fonte ai bisogni della famiglia. Nel frattempo il giovane inizia a versare la dote alla famiglia della ragazza. Se non può versare per intero il “prezzo della sposa”, il giovane lavorerà per i suoceri per un periodo di uno o due anni. Il giovane non può dormire con la sposa fino a quando non avrà versata l'intera dote e solo quando la giovane avrà subito l'escissione del clitoride. Il versamento della prima parte della dote dà luogo a una festa. Davanti al feticcio “ngo”, l'altare degli antenati, il giovane depone alcune frecce, braccialetti di rame, zappe. Le due famiglie riunite festeggiano anche il giorno in cui la giovane viene escissa Questa operazione è talvolta effettuata quando la dote è stata interamente versata. Poi la sposa raggiungerà, nel corso dell'anno, la casa del marito.

Quando saranno evidenti i segni dell'imminente maternità, il marito inizierà a costruire una nuova abitazione. È un avvenimento che origina gli ultimi riti matrimoniali. Davanti al feticcio “ngo”, le due famiglie si riuniscono. Viene sacrificato un pollo il cui cuore viene dato alla futura madre, mentre la testa e il fegato sono offerti agli antenati. Poi le famiglie accompagnano gli sposi alla nuova abitazione e portano in dono panieri di sesamo, miglio, sale e generi alimentari di prima necessità.

Da questo momento il marito inizia a lavorare in proprio in un nuovo campo.

Se la donna non riesce ad avere figli, è infedele o quando i figli continuano a morire in giovane età, può essere ripudiata, e rimandata alla casa del padre il quale sarà tenuto a rimborsare la dote che ha ricevuto.
Modifiche corporali

I denti incisivi di uomini e donne sono scheggiati in forme differenti (triangolari, arrotondati). Alle varie forme sono attribuiti significati diversi e straordinari poteri.

Durante l'operazione di scheggiatura il paziente viene adagiato sul dorso su una stuoia di paglia e tiene le mascelle divaricate, stringendo tra i denti, uno stele di mais o un pezzetto di legno arrotondato.

Le labbra vengono modificate introducendo ornamenti cilindrici di quarzo di differenti colori, bianchi, rosa, verdi.

Altre modifiche corporali sono le scarificazioni in rilievo e i tatuaggi, che designano l'origine etnica e sono un segno di riconoscimento per gli individui appartenenti alla stessa famiglia. Hanno anche un valore estetico molto apprezzato da uomini e donne.

Per produrre le scarificazioni in rilievo viene introdotto nelle incisioni carbone di legna, sciolto nell'olio di sesamo.

I tatuaggi, invece, vengono realizzati incidendo superficialmente la pelle e spargendo sopra le ferie il fumo denso (ottenuto bruciando talvolta pezzi di pneumatici), che si deposita sul fondo di una marmitta o il lattice ricavato dalla corteccia di alberi particolari
La casa e il villaggio

Ogni donna possiede una propria abitazione circolare i cui diametri e altezza variano dai tre ai quattro metri. Intorno è costruito un muro di fango di circa un metro e cinquanta, che sorregge un tetto di paglia. La porta d'ingresso è orientata normalmente verso est. C'è anche un porta segreta, aperta sul lato opposto e dissimulata da paglia e da erbe che sono lasciate crescere all'esterno, porta che è una via di fuga in caso di attacco nemico. La capanna è divisa in due con un muro di paglia. Una parte è riservata alle donne e agli uomini, l'altra ai bambini e agli ospiti. Letti di legno, focolari delimitati da pietre, marmitte, vasi, piloni per frantumare i cereali, e altri utensili di cucina, completano l'arredamento. Alle pareti, appese o appoggiate al muro ci sono le armi, la faretra con le frecce e la lancia.

I villaggi si trovano generalmente vicino a un corso d'acqua al bordo della foresta. Le capanne sono costruite senza un ordine apparente, raggruppate per famiglie.
Alimentazione

Vegetariani, consumano normalmente il miglio, la manioca, le patate dolci. il mais, le banane, i fagioli, il miele delle api selvatiche, l'olio di palma e di arachidi.

Soprattutto le donne conoscono e raccolgono frutti spontanei, tuberi, leguminose, radici, bacche, ecc.; inoltre non disdegnano di cibarsi di locuste e termiti. I pesci che catturano nei piccoli corsi d'acqua vengono normalmente affumicati.

I capretti, i polli e gli altri animali del cortile, sovente sacrificati, vengono mangiati. Un apporto di proteine viene dai piccoli mammiferi e dagli uccelli che catturano con ingegnose trappole, lacci e reti.

Durante i pasti, quasi sempre a base di polenta di miglio, i commensali prendono a turno, con tre dita della mano destra, il cibo. Un altro alimento comune è la manioca di cui mangiano il tubero, mentre le foglie sono usate come medicinali. Prima di essere consumati i tuberi vengono lasciarti macerare nell'acqua, poi seccati e schiacciati in un mortaio fino a ridurli in farina che viene lasciata seccare al sole.

Si dissetano normalmente con acqua ma non disdegnano, in particolari circostanze, di bere una specie di birra ottenuta dalla fermentazione del miglio, del mais o della manioca. Una bevanda alcolica viene ottenuta anche con il miele di api selvatiche.

Per produrre il sale ricorrono ad un sistema semplice e ingegnoso. Fanno colare lentamente l'acqua sulla cenere di particolari foglie, raccolta e pressata in un recipiente bucherellato. L'acqua scioglie il sale contenuto nelle ceneri. È poi sufficiente far evaporare il liquido per ottenere un leggero strato di sale.

Coltivano anche foglie di tabacco che, seccate, vengono fumate in pipe con il fornello d'argilla o di legno duro e con il bocchino generalmente di ferro.

Vasi e marmitte per cuocere il cibo, contenere liquidi ecc., sono costruiti dalle donne. Per tutto il tempo necessario alla fabbricazione, le donne devono astenersi dai rapporti sessuali per evitare che, durante la cottura, i recipienti si spezzino. L'argilla fresca viene decorata con punti, linee e incisioni geometriche.
Magia nera, magia bianca

I Mandja conoscono diversi tipi di veleni che ricavano da vegetali, da insetti, da funghi o da parti di animali (teste di serpenti). La preparazione dei veleni avviene nella savana, lontano dai villaggi e alla insaputa di tutti.

Gli ingredienti che compongono i veleni sono gelosamente tenuti segreti e trasmessi da padre in figlio.

Sono paste, liquidi, polveri, usati normalmente da coloro che esercitano la "magia nera", per far ammalare i corpi o, peggio, per uccidere.

L'indigeno crede fermamente alla potenza occulta degli spiriti. Ed ecco rivolgersi frequentemente ai guaritori, a coloro che esercitano la magia bianca, quella che guarisce e allontana gli influssi negativi. Il guaritore ricorre sovente agli oroscopi, usa tecniche diverse e utilizza gli oggetti più eterogenei, Anche i sacrifici di capretti o, più frequentemente, di galline, servono a conoscere il futuro I guaritori, per curare le malattie, si servono di massaggi, inalazioni, gargarismi, impiastri di unguenti segreti. Succhiano talvolta la parte malata e sputano la malattia che dicono di aver estratta dal corpo. Effettuano anche scarificazioni e ungono la parte ammalata, sia con il sangue di animali sacrificasti, sia con piante e erbe particolari, triturate e fatte macerare nell'acqua. Alcuni guaritori sanno come salvare un individuo morsicato da un serpente velenoso. Stringono fortemente il membro colpito per arrestare la diffusione del veleno nell'organismo, poi praticano incisioni dove ci sono i segni del morso o sull'edema che nel frattempo si è sviluppato. Applicano sulla ferita un impiastro segreto e viene fatto bere un decotto di erbe particolari che solo il guaritore conosce. Se l'avvelenato vomita violentemente e a lungo si salva, altrimenti è destinato a morire in poco tempo. I salassi sono frequenti. Il guaritore incide la parte malata, poi applica sulla ferita il corno di un bue. Attraverso un piccolo foro praticato nella punta, succhia con forza togliendo l'aria. Poi chiude il buco con cera e lascia che il corno si riempia di sangue che viene versato in un buco scavato nel suolo e sepolto rapidamente.

I bravi guaritori sanno curare le ferite (con impiastri di piante segrete), ma sanno anche ridurre le fratture mettendo a posto l'osso, e immobilizzandolo poi con canne elastiche di bambù.
Riti iniziatici: circoncisione e clitoridectomia

Sono chiamati “riti di passaggio” e segnano la fine dell'infanzia e della pubertà fisica dell'adolescenza e permettono all'individuo di entrare da adulto nel clan tribale. Sono una tappa fondamentale nella vita dell'individuo. Con l'eliminazione del prepuzio (residuo femminile presente nell'uomo) si sancisce in modo evidente l'appartenenza maschile del giovane Mandja.

La circoncisione prevede l'isolamento del giovane in un campo, nascosto nella foresta, lontano da occhi indiscreti. Coloro che devono essere circoncisi devono mantenere un assoluto silenzio, e ubbidire agli ordini degli anziani se non vogliono subire dure punizioni, anche con l'uso della frusta. Vestono un costume di foglie e braccialetti di liane attorcigliati alle caviglie. Lasceranno il capo, dopo mesi di segregazione trasformati. Avranno un nuovo nome e saranno veri uomini.

L'operazione avviene normalmente nei mesi di novembre e dicembre, al debutto della stagione secca. Prima della circoncisione, effettuata sempre da un uomo anziano, i giovani vengono portati ad un ruscello, dove si devono lavare con l'acqua fredda del mattino. Una parziale anestesia che permetterà loro di meglio sopportare il dolore dell'operazione. La circoncisione avviene con il giovane in piedi posto di fronte all'operatore. Questi afferra con due dita il prepuzio e lo tira verso di sé. Poi, rapidamente, lo recidere con un particolare coltello curvo e getta nell'acqua la parte tagliata. Il giovane, fin dall'inizio dell'operazione, è sostenuto alle spalle da due padrini. Sono loro che lo accompagnano e lo fanno sedare sul bordo del corso d'acqua. Un ramoscello viene appoggiato sulle cosce per tenere sollevato il membro tagliato. Poi i padrini inizieranno a curare la ferita. Lavata con acqua fredda, verrà cosparsa con la cenere di una erba a fiori bianchi della foresta, chiamata “kangha” e protetta con una sottile striscia di scorza battuta di un particolare "ficus". Alcuni giorni dopo l'operazione i circoncisi, mascherano le loro sembianze con occhiali tagliati in un frammento di “calebasse” e si tingono il corpo di bianco caolino. Il bianco è simbolo di rinascita, di purezza, protegge dalle malattie. Il corpo così modificato indica che sono individui nuovi. Ora sono uomini.

L'escissione del clitoride è l'operazione alla quale vengono sottoposte le giovani Mandja per eliminare la “parte” maschile" presente nel loro corpo Ma altri motivi sembrano giustificare l'intervento: l'igiene, ma anche rendere la donna meno voluttuosa e facilitare il parto(?).

Si tratta di un'operazione cruenta ma nessuna giovane Mandja può esimersi. Solo dopo ablazione del clitoride e delle piccole “labia” potrà sposarsi, lo scopo di tutte le giovani. Prima dell'operazione, per giorni, cantano e danzano in coro.

L'operazione è effettuata solo da donne. Gli uomini non possono partecipare o assistere: è credenza infatti che la vista del sangue farebbe perdere loro la vista. Vengono poi condotte ad un ruscello e somministrati cibi nei quali sono incorporati sostanze che servono a dar loro coraggio e a sopportare il dolore. La giovane è assistita dalle madrine e viene operata da una anziana che, con un coltello speciale, elimina il clitoride e le piccole “labia”. Poi getta nell'acqua ciò che ha tagliato che, secondo le credenze Mandja, si trasformerà in una sanguisuga.

La sera stessa dell'operazione le giovani cantano e danzano per vincere il dolore. Per sei giorni si coprono con un gonnellino di foglie e vengono curate con misture magiche e decotti di piante astringenti e cicatrizzanti. Le guarigioni avvengono normalmente in pochi giorni. I corpi sono unti di olio e di polveri di legno rosso. Il colore rosso, colore del sangue, è simbolo di vita, di gioia, di salute e rende più forti i corpi indeboliti.
Ricerche

Usi, riti e costumi dei Mandja sono stati indagati e documentati con foto e pellicole cinematografiche durante numerose missioni di ricerca condotte, per alcuni anni, a partire dal 1960. dagli etnologi e archeologi Angelo e Alfredo Castiglioni. Le informazioni raccolte nel corso dei viaggi dai fratelli Castiglioni, sono state riportate in varie pubblicazioni e in alcuni lungometraggi tra i quali: Magia nuda (1975), con il commento di Alberto Moravia, Africa dolce e selvaggia (1982), con il commento di Guglielmo Guariglia, già docente di Etnologia e Antropologia culturale all'Università Cattolica di Milano, Africa ama (1971) e Africa segreta (1960).

Già a partire dagli anni sessanta vi è stato il progressivo e continuo abbandono da parte dei Mandja della loro cultura, sostituita da quella occidentale.
Bibliografia

Angelo e Alfredo Castiglioni, Ora sono un uomo, in 49 racconti africani, Nomos, 2011, p. 123
Angelo e Alfredo Castiglioni, Sorciers, in 49 racconti africani, Nomos, 2011, p.147
Angelo e Alfredo Castiglioni, I Manja: la magia imitativa, in C'era una volta l'Africa, White Star, 2010, p.100
Angelo e Alfredo Castiglioni, Alberto Salsa, Affari di famiglia, in Madre Africa, Mondadori, 1995, p.26
Angelo e Alfredo Castiglioni, Alberto Salsa, Circoncisione Manja, in Madre Africa, Mondadori, 1995, p.162
Angelo e Alfredo Castiglioni, Alberto Salsa, Escissione, in Madre Africa, Mondadori, 1995, p.171
Angelo e Alfredo Castiglioni, Giovanna Salvioni, in Babatundé; la vita rinasce, Lativa, 1988
Angelo e Alfredo Castiglioni, Giovanna Salvioni, in Babatundé; la vita rinasce, Lativa, 1988, fotografie e didascalie p.50 e p.101
Angelo e Alfredo Castiglioni, Giovanna Salvioni, Morte e rinascita dei giovani Manja, in Babatundé; la vita rinasce, Lativa, 1988, p.125
Angelo e Alfredo Castiglioni, Giovanna Salvioni, Escissione Manja, in Babatundé; la vita rinasce, Lativa, 1988, p.139
Angelo e Alfredo Castiglioni, Giovanna Salvioni, in Lo specchio scuro di Adamo, Lativa, 1987, pp.62-63
Angelo e Alfredo Castiglioni, Escissione Manja in Venere nera, Lativa, 1985, p.98
A.M. Vergiat, Les rites secrets des primitifs del l'Oubangui, Payot, Paris, 1936





fonte https://it.wikipedia.org/wiki/Mandja

 
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Ngbandi



Gli ngbandi (trascritto anche come bandi, ngwandi, mogwandi e gbandi) sono un gruppo etnico africano di origine sudanese. Si trovano principalmente nella Repubblica Centrafricana e nella Repubblica Democratica del Congo; gruppi minori sono presenti anche in Camerun, nella Repubblica del Congo e in Sudan. Parlano la lingua sango, la lingua ngbandi o la lingua yakoma; i diversi gruppi sono spesso distinti con i nomi corrispondenti di ngbandi, sango e yakoma.
Storia

Gli ngbandi sono originari dell'Alto Egitto e della Nubia occidentale. Sono migrati verso sud in cerca di terreno fertile e per fuggire alle razzie dei negrieri arabi.
Lingua
Gli ngbandi parlano tre lingue correlate, la lingua ngbandi, la lingua sango e la lingua yakoma, appartenenti al gruppo degli idiomi niger-kordofaniani. Queste tre lingue sono classificate da alcuni linguisti come tre varianti di un unico idioma, designato sango-ngbandi-yakoma. La classificazione del SIL identifica una serie di lingue di questo gruppo come lingue proprie.





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Pigmei


I pigmei sono un gruppo etnico diffuso in gran parte dell'Africa equatoriale. Sono di bassa statura (inferiore ai 150 cm) e caratterizzati da pelle scura, capelli crespi, naso schiacciato e cranio brachimorfo.

Il nome "pigmeo" deriva dal greco πυγμαῖος pygmâios ("alto un cubito") che i Greci usavano per riferirsi a un leggendario popolo di nani, localizzato a sud dell'Egitto o in India, perennemente in guerra contro le cicogne (o le gru) che devastavano i loro campi.

“Pigmei” è un termine collettivo usato per indicare diversi popoli cacciatori-raccoglitori del bacino del Congo e di altre regioni dell'Africa centrale. Il termine è considerato dispregiativo[1] e quindi evitato da alcuni indigeni, ma allo stesso tempo viene utilizzato da altri come il nome più facile e conveniente per riferirsi a se stessi[2]. I "Pigmei" si dividono in molti sottogruppi, ognuno dei quali costituisce un popolo a sé, tra questi ad esempio i Twa, gli Aka, i Baka e i Bambuti[3].

Per estensione, il nome "pigmei" viene indicato per riferirsi ad altri gruppi etnici di bassa statura.

Distribuzione

Gruppi di pigmei sono diffusi lungo gran parte della fascia tropico-equatoriale dell'Africa; sono presenti in Camerun, Repubblica Centrafricana, Gabon, Repubblica del Congo, Repubblica Democratica del Congo, Uganda e Ruanda. Si tratta di comunità composte da pochi individui; il numero totale dei pigmei africani si stima infatti inferiore a 250 000.
Storia

In Egitto sono state ritrovate iscrizioni del II millennio a.C. che si riferiscono ai pigmei come "Danzatori degli Dei". Anche da questi antichi contatti con la civiltà egizia si presume che i pigmei vivessero un tempo in regioni molto più a nord di quelle che abitano oggi, forse fino al basso Nilo. In una lettera pervenutaci in condizioni integre e risalente all'Antico Regno, un faraone ringraziava un suo governatore, Harkhuf, per avergli fatto dono di un "nano" proveniente dalla "terra degli spiriti" (espressione che gli egizi usavano per riferirsi ai territori a sud del loro dominio).[4]

Nell'arte romana, i pigmei della valle del Nilo sono spesso rappresentati come figure caricaturali, di grande potenza sessuale, come i fauni e le figure priapiche già conosciute ed usate dai romani stessi ed altre culture. Alcuni affreschi con questo tipo di soggetti, rinvenuti a Pompei, sono oggi esposti al Museo archeologico nazionale di Napoli. Altre scene erotiche con pigmei sono ancora visibili a Pompei, per esempio sul fianco di un triclinio nella casa dell'Efebo.

In antichità i pigmei ebbero contatti anche con i popoli bantu dell'Africa subsahariana, che erano molto superiori dal punto di vista tecnologico, e non ebbero difficoltà a cacciarli dalle loro terre o sottometterli. Nella cultura bantu i pigmei sono identificati da nomi come batwa ("piccoli uomini").
Cultura

Sono cacciatori-raccoglitori; gli uomini cacciano con arco e frecce avvelenate, e le donne pescano. Il loro stile di vita è in gran parte basato su una profonda conoscenza dell'ambiente (per esempio degli usi delle piante a fini curativi o per la produzione del veleno). In alcuni casi praticano modesti scambi commerciali con i popoli vicini (per esempio bantu). Lavorano il legno e l'osso (ma non la pietra).

Il legame con le foreste, che curano e venerano, è un elemento centrale della loro identità di popolo[5]. Ogni gruppo ha una sua lingua distinta, ma tutti hanno una parola che li accomuna: jengi, ovvero spirito della foresta.

Sono considerati "nomadi stanziali": ogni tribù (composta in genere di poche famiglie) si sposta periodicamente da un accampamento all'altro, sempre rimanendo all'interno di un'area circoscritta.

Le pratiche religiose dei pigmei sono incentrate sulla credenza negli spiriti e in una particolare forma di metempsicosi, che prevede la trasmigrazione dell'anima del morto dentro il corpo di un elefante.[6]

I matrimoni tra pigmei sono di natura esogamica; per riequilibrare il rapporto fra donne e uomini all'interno di ogni gruppo sociale, il gruppo ricevente una sposa è tenuto a concederne una a quello offerente.

La sopravvivenza delle comunità pigmee e delle loro tradizioni è messa in pericolo tanto dall'impoverimento ambientale e dalla deforestazione quanto dalla difficoltà di integrazione nella società africana moderna.

Il dio supremo della loro religione tradizionale, Kvum, viene descritto come il creatore e signore di tutte le cose. Presenza tangibile, comanda sopra ogni uomo, controllandone ogni azione. Secondo la mitologia dei pigmei, il primo uomo e la prima donna (Ntaum e Rae) ebbero origine da due uova di tartaruga; oppure (a seconda delle tradizioni) Kvum li creò soffiando in una noce di cola.

Parte integrante della mitologia pigmea è l'emela-ntouka, una creatura leggendaria che abiterebbe le foreste della Repubblica del Congo.
Problemi attuali

Uno dei principali problemi che i “Pigmei” devono affrontare è la mancanza di riconoscimento dei loro diritti territoriali. Secondo Survival International, il movimento mondiale per i diritti dei popoli indigeni, finché questi diritti non verranno riconosciuti, gli estranei e lo Stato potranno continuare ad appropriarsi della loro terra, da cui dipendono per sopravvivere[7].

Molte comunità vengono sfrattate illegalmente nel nome della conservazione dell'ambiente. Nel Camerun sud-orientale, ad esempio, gran parte della terra ancestrale dei “Pigmei” Baka è stata trasformata in parchi nazionali oppure assegnata a società che organizzano safari di caccia[8].

“Un tempo, la foresta era per i Baka, ora non lo è più. Ci muovevamo nella foresta secondo i cicli stagionali, ma adesso abbiamo paura” ha raccontato a Survival un uomo Baka. “Come possono proibirci di andare nella foresta? Non sappiamo come vivere diversamente. Ci picchiano, ci uccidono e ci costringono a fuggire in Congo.”[9]

Nel Congo invece, l'etnia Bambuti è confinata con pochissimi mezzi sull'isola Idjwi all'interno del lago Kivu.[3]



fonte https://it.wikipedia.org/wiki/Pigmei

 
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view post Posted on 2/6/2023, 17:23     Top   Dislike
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Wodaabe



I Wodaabe (o Bororo) sono una sub-etnia appartenente al popolo dei Fulani e vivono una vita nomade nell'Africa centrale. Il nome dispregiativo "Bororo", letteralmente "pastori in stracci", datogli dalle tribù vicine non deve essere confuso con quello dei Bororo del Mato Grosso, Brasile.

Giacché nomadi, i Wodaabe si spostano con il loro bestiame e vivono in capanne di rami. Le loro migrazioni li portano dal sud del Niger al nord della Nigeria, dal nord-est del Camerun, al sud-ovest del Ciad e nelle regioni occidentali della Repubblica Centrafricana[2]. Da pochi anni a questa parte, penetrano anche nella Repubblica Democratica del Congo, nelle regioni del Basso Uele e dell'Alto Uele, che hanno una frontiera con il Centrafrica e il Sudan.

In autunno si radunano per una festa chiamata Guérewol, durante la quale le ragazze scelgono il fidanzato fra tutti i ragazzi presenti.

Popolazione

La natura nomade di questo popolo non permette un'enumerazione chiara della sua popolazione. Nel 1983, lo scrittore e fotografo Carol Beckwith stimava a 45 000 il numero di Wodaabe nel Niger[3]. Negli anni 2000, Elisabeth Boesen dell'Università del Lussemburgo valutava il loro numero a 100 000 persone[1][4].
Religione
I Wodaabe sono essenzialmente musulmani[5], anche se alcune pratiche legate a tradizioni locali sembrano negare alcuni precetti dell'Islam. L'Islam diventò una religione importante presso i Bororo nel corso del XVI secolo, quando lo studioso Muhammad al-Maghili predicò presso le élite del nord della Nigeria, convertendo le classi dirigenti dei popoli Hausa, Fulani e Tuareg[2][5].





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Zande


Gli zande[1] o azande (al singolare, rispettivamente, sandé[2] o asandé), soprannominati dispregiativamente gnam gnam (in francese: niam-niam)[1][2], sono un popolo dell'Africa centrale, che ammonta a circa 3,5 - 4 milioni di individui.
La maggior parte della popolazione vive nella parte settentrionale della Repubblica del Congo, nel Sudan occidentale, nel Sudan del Sud e nella Repubblica Centrafricana. Gli asandé congolesi vivono nella provincia dell'alto Zaire e gli asandé sudanesi vivono nello Uele. Parlano una lingua della famiglia linguistica del Niger-Congo, e in particolare del ramo Adamawa-Ubang; sono per la maggior parte degli animisti.

Storia

La storia degli zande risale ad un periodo di conquista, iniziato probabilmente intorno alla prima metà del XVIII secolo. Essi erano guidati da due differenti dinastie le quali, pur se simili nella loro organizzazione interna, erano tuttavia completamente diverse sia per origine che per strategia politica. La prima di queste dinastie, il clan Vungara, era originaria di quella che è attualmente la regione del Rafaï, nella parte meridionale della Repubblica Centrafricana, e nel corso del tempo instaurò una campagna di conquista delle popolazioni vicine che incorporarono non solo politicamente ma anche culturalmente. La loro espansione territoriale si arrestò solo con l'avvento delle potenze coloniali nella regione. In questo stesso periodo una popolazione non originaria di questa regione, i bandia, iniziarono la loro espansione partendo da sud-ovest di Bangassou nel nord dello Zaire e si espansero prima a est e poi a nord. La loro fase espansionistica si arrestò solo intorno al 1855 e ad essa seguì una fase di consolidamento. Nonostante restassero una popolazione straniera, i bandia assimilarono la lingua e gli usi dei loro stessi sudditi. Sia i Vungara che i bandia sembra non avessero particolari vantaggi a livello di tecnologia, ma riuscirono ad imporsi nella regione grazie alla loro superiorità militare.

Un contributo importante alla storia dell'identità del popolo Zande sembra provenire dalla loro costante lotta con il vicino popolo Mangbetu, che viveva a sud del fiume Uele, e che gli zande non riuscirono mai a conquistare.

A partire dalla seconda metà del XVIII secolo si segnalano i primi contatti con le popolazioni arabe, con le quali ci furono diversi conflitti, ma l'influenza questi ultimi fu davvero irrilevante, tranne per il fatto che il contatto con gli zande permise loro di trafficare con le armi da fuoco sconosciute in quella regione.

I primi viaggiatori europei giunsero nella regione intorno al 1860 e verso la fine del XIX secolo la popolazione zande finì sotto ben tre diversi domini coloniali, belga, francese ed anglo-egiziano. I confini di queste colonie vennero poi ereditati dai successivi stati nazionali.
Religione

Gli asandé tendono ad attribuire l'esistenza di un'anima, mbisimo, sia agli esseri animati che a quelli inanimati e nutrono la credenza che gli stregoni dopo la morte si trasformino in spiriti maligni agirisa che al contrario degli spiriti benigni atoro danno prova di un odio velenoso nei confronti dell'umanità. Essi tormentano coloro che viaggiano nella savana e provocano stati passeggeri di sdoppiamento della personalità. Dimorano in caverne sotterranee come lo spirito supremo, chiamato Mbori, alla cui essenza partecipano anche gli spettri. Nella regione di lingua nzakara, dove la parola Mbori non esiste, il termine Zagi, che più gli si avvicina, sta ad indicare non solo l'essere supremo ma anche l'universo esterno in generale. La presenza delle missioni cristiane ha notevolmente influenzato la visione animistica degli asandé, creando una dicotomia tra l'essere supremo Mbori, identificato con il Dio cristiano e gli spettri, un tempo entità benevole, sempre più identificate con il male. Tuttavia nemmeno il cristianesimo e le sue missioni hanno potuto sradicare la forte credenza nel potere e nella pratica della stregoneria tra gli asandé. La stregoneria, chiamata mangu, è una vera e propria istituzione e assume forme diverse se viene praticata dagli uomini o dalle donne.

Lo stregone, sia uomo che donna, invia la sua anima della stregoneria (mbisimo mangu), che si dice sia visibile di notte, per portar via la parte psichica degli organi della vittima, la sua 'mbisimo pasio' ovvero l'anima della carne. La pratica della stregoneria è considerata tra gli zande responsabile anche di altre disgrazie, tuttavia, sebbene i suoi modi restino misteriosi e oggetto di cupo rispetto, essa non viene considerata affatto una pratica sovrannaturale, ma appartenente al mondo ordinario delle cose. Per questo motivo uno stregone non può rendere efficaci i suoi incantesimi sulle lunghe distanze e gli umili non possono colpire i nobili con la magia.

Per quanto riguarda la pratica religiosa del culto degli antenati, tra gli zande esso non richiede una particolare casta sacerdotale.
Usi e costumi

Tra gli zande il matrimonio viene contratto tramite il pagamento di una dote per la sposa. Sebbene sia concesso a un uomo di avere più mogli, quasi nessuno degli uomini zande può permettersi di avere più di una sposa. Per questo motivo re e nobili sono gli unici a poter avere più di una sposa, la gran parte delle quali di origini umili, e per questo vige l'usanza da parte di un sovrano di regalare una moglie ad un suo vassallo in segno di riconoscenza.
Hanno scritto

«Il popolo zande veniva chiamato anche col nome di "niam-niam". Tale nomignolo onomatopeico derivava dal rumore della masticazione, avendo gli zande acquistato una triste celebrità come consumatori di carne umana.»
(R. Biasutti, Razze e popoli della Terra, vol. 3, pag. 377, Utet 1967)

«L'esploratore italiano Carlo Piaggia il 1.11.1863 intraprendeva il viaggio verso il paese dei Niam-Niam, di cui si diceva che erano per metà uomini e per metà cani; che possedevano una coda a ventaglio; che uccidevano e mangiavano un vecchio in punto di morte o uno schiavo fuggiasco e che il solo condimento da essi usato era il grasso umano.»
(Ernesta Cerulli, Nel paese dei Bantu, pagg. 153-154, Utet 1961)





fonte https://it.wikipedia.org/wiki/Zande

 
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