IL FARO DEI SOGNI

Categoria:Gruppi etnici in Camerun

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Pagine nella categoria "Gruppi etnici in Camerun"

Questa categoria contiene le 14 pagine indicate di seguito, su un totale di 14.
B

Baka (popolo)
Bamiléké
Buduma

E

Efik

F

Fang
Fulani

G

Gbaya

I

Igbo

M

Massa (popolo)
Matakam
Musey

N

Ngbandi

P

Pigmei

W

Wodaabe





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Baka (popolo)


Baka è una popolazione di pigmei che vive nella foresta equatoriale dell'Africa centrale, in Congo, Gabon, Camerun e Repubblica Centrafricana.

Popolo africano di cacciatori-raccoglitori, i Pigmei Baka vivono nelle foreste africane del Congo del Camerun e del Gabon.

Tra le caratteristiche principali di questo popolo vi è la bassa statura, la propensione alla creazione di tecniche di caccia variegate e una parlata molto prolissa, a differenza di altri popoli indigeni.

Uno dei principali problemi che devono affrontare è la mancanza di riconoscimento dei loro diritti territoriali. Secondo Survival International, il movimento mondiale per i diritti dei popoli indigeni, finché questi diritti non verranno riconosciuti, gli estranei e lo Stato potranno continuare ad appropriarsi della loro terra, da cui dipendono per sopravvivere[1].

Molte comunità vengono sfrattate illegalmente nel nome della conservazione dell'ambiente. Nel Camerun sud-orientale, ad esempio, gran parte della terra ancestrale dei Baka è stata trasformata in parchi nazionali oppure assegnata a società che organizzano safari di caccia[2].

"Un tempo, la foresta era per i Baka, ora non lo è più. Ci muovevamo nella foresta secondo i cicli stagionali, ma adesso abbiamo paura” ha raccontato a Survival un uomo Baka. “Come possono proibirci di andare nella foresta? Non sappiamo come vivere diversamente. Ci picchiano, ci uccidono e ci costringono a fuggire in Congo.”[3]





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Bamiléké


I Bamiléké sono un importante gruppo etnico del Camerun.


Significato della denominazione

Il termine “bamiléké” non è quello con cui si identificavano coloro ai quali fu attribuito. Quelli che, nel ventunesimo secolo, vengono detti bamiléké erano soliti distinguersi tra loro attraverso il nome del reame cui appartenevano. Il termine “bamiléké” non è altro che un vocabolo amministrativo coniato all'epoca della colonizzazione tedesca che appare scritto, per la prima volta, nel 1913 sulla “carta Moisel”. La denominazione sarebbe una deformazione dell'espressione regionale ba liku o mbale-keo, che nella lingua dei Bali significa “le genti che stanno in basso”.
Origine del nome

L'etimologia del termine “bamiléké”, stabilita dal Reverendo Padre Stoll, è stata esposta per la prima volta da Dugast nel suo Inventaire ethnique du Sud-Cameroun: in una lettera datata 27 marzo 1944 ed a lei indirizzata, l'amministratore di Dschang, Geay spiega la sua adozione del termine. Stando a quanto scrive l'amministratore, nei primi anni del 1900 uno degli esploratori tedeschi, giunto al di sopra della conca di Dschang passando per le montagne, trovandosi di fronte al paesaggio fortemente umanizzato delle colline alle pendici dei monti Bambouto, domandò “chi sono le genti che si vedono qui?”. La sua guida, originaria di Bali-Nyoga, rispose semplicemente: mbale-keo, cioè “sono le genti che stanno in basso”, come in altri luoghi ebbe a dire “sono le genti che stanno in alto”, secondo un'abitudine propria delle popolazioni del luogo di chiamare i propri vicini in rapporto alla loro posizione in altitudine. Ne deriva che mbale-keo sono quei gruppi che abitano dei territori posti in basso rispetto a quelli in cui vivono i Bali. L'esploratore trascrisse questa risposta credendo che quanto pronunciato dalla guida fosse il nome proprio di quelle genti.
Applicazione della denominazione

Il termine mbale-keo, divenuto poi Bamiléké, fu applicato quindi inizialmente agli abitanti della circoscrizione di Dschang prima di divenire il termine ufficiale che designava le popolazioni dei monti Bambouto, ma anche i popoli autoctoni del Grassland, in particolare quelli degli altipiani del sud della parte francese del Camerun, dopo la divisione del paese a seguito della seconda guerra mondiale. Da allora il termine ha acquisito uno statuto ufficiale di etnonimo.
Tradizioni
Cerimonia dei Teschi: è una delle più importanti cerimonie di questo popolo, che si basa sulla venerazione dei defunti.





fonte https://it.wikipedia.org/wiki/Bamil%C3%A9k%C3%A9

 
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Buduma



I Buduma sono un gruppo etnico del Ciad, Camerun, e Niger che abitano molte delle isole del Lago Ciad. Essi sono maggiormente pescatori e pastori. In passato, i Buduma eseguirono violente incursioni sulle mandrie di bestiame dei loro vicini. Ritenuti violenti e temuti, furono lasciati in pace per molti anni protetti dal loro habitat dalle acque e dalle canne.

Oggi, i Buduma sono pacifici e amichevoli, desiderosi di adottare qualche moderno cambiamento. Sebbene i loro vicini li chiamino "buduma" che significa "gente proveniente dall'erba (o dalle canne)" loro preferiscono essere chiamati Yedina. La loro lingua è conosciuta come Yedina





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Efik


Gli Efik sono una popolazione africana della Nigeria sud occidentale e del Camerun (circa 10.000 persone).

La loro lingua è parlata da 400.000 persone e da 2.000.000 come seconda lingua. Essa è usata in ogni scuola, dalla primaria all'università, e nei mezzi di comunicazione; usa i caratteri latini.

La religione del passato
La popolazione è di religione animista e cristiana. Nella mitologia degli Efik, Abassi è il Dio creatore. Sua moglie Atai lo convinse a permettere a due esseri umani (loro figli, un maschio ed una femmina) a colonizzare la Terra, proibendogli di riprodursi e lavorare con l'obbligo di tornare al Paradiso quando Abassi suonava la campana per il pranzo; queste regole furono fissate per non permettere di superare Abassi in forza e saggezza. Quando i figli violarono queste regole Atai li uccise entrambi, e causò guerra e morte fra i loro discendenti. Abassi e Atai furono così disgustati dai comportamenti che non si interessarono più delle vicende dei loro discendenti.





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Fang


I fang sono un popolo africano presente in Camerun, Gabon e Guinea Equatoriale / Rio Muni (o Mbini), nonché nel gruppo insulare Pedro Escobar (regione meridionale delle Sporadi di Guinea costituita dalle isole Principe, São Tomé e Annobón), dove furono trasferiti dai portoghesi come forza lavoro; in seguito i fang sono stati nuovamente trasferiti ad opera del regime della Guinea Equatoriale, dal territorio continentale di Mbini anche nella regione insulare di Bioko (isola Fernando Póo, costituente la regione settentrionale delle Sporadi di Guinea). Nella parte continentale vivono tra foresta e savana in una zona la cui parte meridionale è attraversata dall'Ogooué.

Occuparono questi territori nella seconda metà del XVIII secolo e successivamente si sono dispersi per le eccessive migrazioni e hanno pertanto adottato i caratteri culturali dei popoli incontrati nelle loro peregrinazioni. Le divisioni e gli spostamenti di questo popolo rendono estremamente difficile determinare in modo rigoroso la natura dei gruppi attualmente presenti nella regione fang; di conseguenza le identità tribali hanno perduto da tempo il loro significato sociologico. Le migrazioni sono state contrassegnate da un processo di dominazione militare per il controllo dei circuiti tant'è che Georges Balandier definì i fang un popolo di guerrieri.


Società

Società che presenta una struttura costituita da lignaggi patrilineari a incastro. Da notare che la scissione dei clan esogami porta ai lignaggi costitutivi dei villaggi; questa situazione è dovuta ad un'organizzazione sociale che accorda la preminenza economica e politica agli anziani. La volontà di indipendenza espressa dai “capi” dei lignaggi, nel momento in cui il loro gruppo raggiunge una certa entità, non viene più contestata, di conseguenza è la personalità dei capi che determina l'importanza e la coesione dei gruppi. La società fang non presenta organizzazioni gerarchiche tanto che non esiste un termine proprio per designare il capo perché i deboli legami con la terra hanno reso impossibile la stabilizzazione sociale basata sulla territorialità; di conseguenza i fang non conoscono il significato di schiavitù, nemmeno quella domestica. Di fatto, il più influente è il più capace, anche se nei villaggi la qualifica di capo viene in generale attribuita da figlio maggiore a figlio maggiore nel lignaggio del fondatore. Il capo, a sua volta, è controllato da un consiglio che non comprende soltanto i rappresentanti dei lignaggi minori, ma è aperto anche al miglior guerriero, al più ricco, al più abile nel risolvere le dispute nonché ai dignitari delle “associazioni”.
Associazioni fang

Il sistema delle associazioni assicura una coesione sociale altrimenti difficile da realizzare. Il culto bieri è contemporaneamente un culto di iniziazione e degli antenati: si afferma la continuità del lignaggio e l'iniziazione a questo culto crea gruppi di giovani che appartengono alle stesse classi di età. Tuttavia esistono associazioni che non funzionano nell'ambito della parentela. Il ngil è un'associazione rituale, la cui presenza è sollecitata nei momenti di grave crisi: serve al tempo stesso da elemento di coesione fra le tribù e i clan. I membri del ngil portano severe maschere bianche. I fang hanno anche altre associazioni di uomini con funzioni specializzate: una di queste è esercitata dall'akum, una specie di cantastorie che interviene durante i funerali e le trattative commerciali. Infine, l'associazione detta degli stregoni svolge il ruolo più ambiguo di opposizione all'ordine sociale; per Balandier rappresenta la “parte più individualizzante, più rivoluzionaria della cultura fang”.
Sussistenza

Questa società, il cui insediamento sociale è eterogeneo, basa il proprio legame su una duplice esogamia di clan, paterna e materna. L'antica divisione del lavoro – caccia e commercio per l'uomo, agricoltura per la donna – è scomparsa con le coltivazioni commerciali: cacao, arachidi, palma da olio. Le colture alimentari sono costituite essenzialmente da manioca, igname, granturco e banana. I fang si dedicano anche alla caccia e raccolta. Il commercio dell'avorio è scomparso e le piantagioni costituiscono la ricchezza degli abitanti dei villaggi, oggi non più nomadi, e il loro sviluppo ha portato alla creazione di società di lavoro di giovani che non esistevano nella società fang originaria.
Maschera fang usata nelle cerimonie magiche
Religione

La presenza coloniale ha provocato la diffusione di un culto originale, il bwiti. Questo termine designa sia la divinità superiore che si rivela all'iniziato cioè il palo scolpito che costituisce l'elemento fondamentale del tempio, sia la società degli adepti. Il tempio è fondato sulle reliquie di un uomo potente; l'appartenenza a un culto avviene a partire da una scelta personale. Tuttavia, il sincretismo bwiti lascia spazio a numerosi elementi cristiani, che tendono a trasformarlo in una religione unitaria, persino monoteistica. I fang sono anche cattolici, mentre non conoscono la religione musulmana.
Arte
Le arti plastiche, in particolare la statuaria, costituiscono una produzione culturale ed estetica molto elaborata. Lo ieratismo e la semplicità delle grandi maschere rendono l'arte dei fang tra le più creative e originali dell'Africa.



fonte https://it.wikipedia.org/wiki/Fang

 
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Fulani


I fulani sono un'etnia nomade dell'Africa occidentale, dedita alla pastorizia e al commercio. Sono diffusi dalla Mauritania al Camerun e contano complessivamente fra i 6 e i 19 milioni di persone.

Loro stessi si definiscono con il nome di Fulbe (al singolare Pullo), nome che deriva da una parola in lingua fulfulde che significa "libero". Fulani è la definizione di derivazione araba,[1] mentre in francese il nome della popolazione è peul. La forma mandinka usata in Senegal e Gambia è fula, mentre in Sudan la popolazione araba li chiama 'fellah.[2]

Vi sono diverse teorie sull'origine della popolazione fulani: una di queste ipotizza che siano i discendenti di una popolazione preistorica del Sahara, migrata inizialmente verso il Senegal e in seguito (intorno all'anno 1000 a.C.) lungo le rive del fiume Niger alla ricerca di pascoli per le mandrie.

In passato i fulani ebbero un ruolo importante nell'ascesa e caduta degli Stati Mossi in Burkina Faso; contribuirono inoltre ai movimenti migratori verso meridione diretti in Nigeria e Camerun.

A loro si deve l'introduzione e la diffusione della religione islamica in Africa occidentale. L'apice dell'impero Fulani fu tra la fine del XVIII e l'inizio del XIX secolo quando una serie di guerre religiose intraprese da Usman dan Fodio rafforzò l'impero.


Studi

Henri Lhote, studioso francese di preistoria, ha dedicato uno studio ai Fulani (Peuls in francese) dal titolo L'extraordinaire aventure des Peuls.[3]





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Gbaya


I Gbaya sono un popolo del'Africa centrale che vivono nell'ovest della Repubblica Centrafricana e nel Camerun centro-orientale. L'80 % vive nella Repubblica Centrafricana ed il 20 % nel Camerun[1].


Etnonimia

Secondo le fonti ed i contesti, vengono denominati in vari modi: Baja, Baya, Bayas, Beya, Bwaka, Gbaja, Gbaya Bodomo, Gbaya Bokoto, Gbaya Bouli, Gbaya Dooka, Gbaya Kaka, Gbaya Kara, Gbaya Lai, Gbayas, Gbaya Yaiyuwe, Gbea, Gbeya, Igbaka, Igbaya[2].
Popolazione

Il numero di Gbaya era stimato superiore ai 1 200 000 individui negli Anni 1980.[3].
Lingue

I Gbaya parlano differenti dialetti della lingua gbaya, il cui numero di locutori è stimato intorno a 877 000[4].
Religioni

Il 20 % dei Gbaya soni musulmani[3]. La loro conversione all'islam data dell'inizio del XIX secolo, quando i Fulani e gli Hausa svilupparono relazioni commerciali con loro.
I primi missionari cristiani sono arrivati intorno agli Anni 1920. Il Cristianesimo si è propagato soprattutto tra i Gbaya che hanno ricevuto un'educazione all'occidentale.
Differenti pratiche animistes sussistono, ma stanno perdendo terreno[3].





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Igbo


Gli igbo o ibo costituiscono uno dei più grandi gruppi etnici africani, per un totale di circa 30 milioni di persone. In Nigeria rappresentano circa il 17% della popolazione, e sono presenti soprattutto negli stati confederati di Anambra, Abia, Imo, Ebonyi, Enugu, Delta e Rivers. Altri gruppi significativi si trovano in Camerun e Guinea Equatoriale. Le regioni tradizionalmente abitate dal popolo Igbo (specialmente con riferimento alla Nigeria) vengono talvolta chiamate Igboland (o Alaigbo in lingua igbo).

Parlano la lingua igbo, che in Nigeria è la lingua principale in città come Bonny, Port Harcourt, Onitsha, Agbo, Ikwo, Aba, Owerri, Enugu, Nnewi, Nsukka, Awka, Umuahia, Asaba e altre.


Storia

L'organizzazione politica e sociale degli igbo, prima della colonizzazione europea, era basata su comunità semi-autonome. Con poche eccezioni (fra cui Onitsha, che aveva un re, e Nri e Arochukwu, che avevano re-sacerdoti), i villaggi igbo erano retti da un'assemblea di persone comuni. Questo tipo di organizzazione rappresenta un caso molto peculiare nel panorama dell'Africa occidentale, infatti lo si ritrova solo presso il popolo ewe del Ghana.

Gli igbo misuravano il tempo con un calendario in cui una settimana contava quattro giorni, un mese contava sette settimane e un anno contava tredici mesi. L'ultimo mese dell'anno aveva un giorno aggiuntivo (per un totale di 365 giorni l'anno). Avevano due sistemi matematici (chiamati okwe e mkpisi) e una forma di prestiti bancari chiamato isusu.

Nel 1870, le regioni abitate dagli igbo furono acquisite dall'Impero britannico. Le conseguenze della colonizzazione sulla cultura e la società igbo furono profondissime. In seguito ai contatti più frequenti con altri popoli nigeriani, gli igbo maturarono un senso di appartenenza etnica sempre più marcato. Abbracciarono in modo entusiastico il Cristianesimo e i modelli culturali occidentali. Il romanzo Il crollo dello scrittore Chinua Achebe testimonia di questa rapida evoluzione della cultura igbo nel periodo coloniale.

Nel 1966, accuse di brogli elettorali e un successivo colpo di Stato militare portarono la Nigeria in una situazione di crisi che sfociò nel tentativo di secessione di molte regioni igbo, autoproclamatesi Repubblica del Biafra. Il governo centrale nigeriano rispose dando inizio a una guerra civile che si concluse con la sconfitta del Biafra. La guerra divenne tristemente nota per le conseguenze dell'assedio posto dall'esercito nigeriano al Biafra, che causò la morte per fame di milioni di civili e fu da molte parti condannato come genocidio.

Le regioni igbo giunsero alla fine della guerra civile con gravissimi danni alle infrastrutture; la ricostruzione richiese quasi un ventennio, e fu finanziata principalmente con i proventi ricavati dall'estrazione del petrolio del delta del Niger.[senza fonte] Diverse città igbo (per esempio Enugu, Onitsha e Owerri) volgono ancora in gravi condizioni socioeconomiche. In seguito a queste difficoltà, molti igbo nigeriani sono emigrati verso città ricche come Lagos, Benin City e Abuja, o addirittura verso altre nazioni, come Togo, Ghana, ma anche Canada, Stati Uniti e Regno Unito, dando luogo a quella che viene talvolta definita diaspora igbo.
Cultura

Il blues, secondo alcuni studiosi, [2] deriva dai lamenti degli schiavi igbo, detti anche calabars, delle due Caroline (Carolina del Nord e del Sud) e della Florida.

Hanno realizzato caratteristiche steli, costituiti da massi di basalto verdastro, dalla forma somigliante ai kudurru mesopotamici.[3] Durante le feste mbari vengono esibite statue di argilla raffiguranti gli antenati, dalla peculiarità del gusto del grossolano e del terrificante.

Un proverbio tradizionale è: "Ibos pend cor'a yo", ovvero "gli ibo si impiccano da soli".
Igbo celebri
Politica

Michael Iheonukara Okpara - primo ministro della Nigeria Orientale
Onulaaka Sam Mbakwe - leader rivoluzionario
Nnamdi Azikiwe - primo presidente della Nigeria
Johnson Aguiyi-Ironsi - presidente della Nigeria
Orji Uzor Kalu - governatore di Abua
Alex Ifeanyichukwu Ekwueme - vice presidente della Nigeria
Nwafor Orizu - primo presidente indigeno del senato nigeriano
Chuba Okadigbo - presidente del Senato nigeriano
Jaja Wachuku - primo membro del parlamento nigeriano di lingua non inglese
James Africanus Beale Horton - nazionalista e scienziato
Chukwuemeka Odumegwu Ojukwu - primo presidente del Biafra
P.N. Okeke-Ojiudu - politico e imprenditore
Emeka Anyaoku - segretario generale del Commonwealth delle nazioni
Ngozi Okonjo-Iweala - primo ministro della finanza di sesso femminile; ministro degli esteri; presidente della Banca Mondiale
Chukwuma Nzeogwu - rivoluzionario
G.O.P Obasi - segretario generale dell'Organizzazione meteorologica mondiale

Arte e cultura


Donatus Ibeakwadalam Nwoga - filosofo
Chinua Achebe - scrittore
Obianuju Catherine Acholonu - scrittore
Adiele E. Afigbo - professore di storia
Genevieve Nnaji - attrice di Nollywood
Kenneth Onwuka Dike - storico
Oluchi Onweagba - supermodel
Chiwetel Ejiofor - attore di Hollywood
Olaudah Equiano - scrittore
Oby Kechere - attrice di Nollywood
Megalyn Echikunwoke - attrice di Hollywood
Chris Abani - scrittore vincitore del Premio della Fondazione Hemingway nel 2005
Uzodinma Iweala - scrittore
Benedict Chuka Enwonwu - artista
Michael Okwu - corrispondente della CNN
Adaora Udoji - corrispondente di International News
Yaphet Kotto - attore di Hollywood
Nnenna Agba - modella di America's Next Top Model
Nkem Owoh - attore
Chimamanda Ngozi Adichie - scrittrice
Nnedi Okorafor - scrittore vincitore del Wole Soyinka Prize 2008
P-Square - duo musicale rhythm'n'blues
Christopher Okigbo - poeta
Ruggedman - musicista rap
Henry Ekwuruke - scrittore e presidente della Nnado Foundation
Ugonna Wachuku - scrittore
Uchenna Benneth Emenike - scrittore
Marcellus Okenwa Udugbor - professore di diritto storia ed istituzioni dei paesi africani nonché di diritto musulmano nei paesi islamici all'Università Lateranense, Città del Vaticano

Scienza e tecnologia

Leo Stan Eke - informatico e amministratore delegato della Zinox
Damian Anyanwu - inventore
Cyprian Emeka Uzoh - scienziato, detentore di centinaia di brevetti negli Stati Uniti
Augustine Njoku-Obi - sviluppatore del vaccino contro il colera
Bartholomew Nnaji - robotista
Peter Nwangwu - ricercatore nel campo farmacologico e imprenditore
Philip Emeagwali - informatico e matematico, vincitore del Gordon Bell Prize per il supercomputing
Augustine Esogbue - scienziato della NASA
Cyril Agodi Onwumechili - medico
Chike Obi - matematico
Mike Onwuejeogwu - antropologo
Emmanuel Chukwudi Orisakwe - informatico

Religione

Francis Arinze - prelato cattolico
Cipriano Iwene Tansi sacerdote e monaco, beato della Chiesa cattolica.

Sport

John Amaechi - cestista
Nnamdi Asomugha - giocatore di football americano
Julius Obiefuma Chigbolu - saltatore in alto
Brown Chukwudi - cestista
Ike Diogu - cestista
Andre Iguodala - cestista
Ugo Ihemelu - calciatore
Nwankwo Kanu - calciatore
Nk Kecy- campionessa europea 100 mt.
Ogonna Nnamani - pallavolista
David Nwaba - cestista
Simeon Nwankwo - calciatore
Emeka Okafor - cestista
Stefano Okaka - calciatore
Austin "Jay-Jay" Okocha - calciatore
Christian Okoye - giocatore di football americano
Marilyn Okoro - mezzofondista
Nedum Onuoha - calciatore
Iffy Onuora - calciatore
Oguchi Onyewu - calciatore
Dick Tiger - pugile
Osi Umenyiora - giocatore di football americano

Economia

Chief Emeka Offor - amministratore delegato di Chrome Oil
Sunny Odogwu - magnate delle assicurazioni
Eloka Okocha - imprenditore
Dennis Imoka - imprenditore
Prince Charles Jiduwah - investitore
Chief Christian Ohakwe- imprenditore
Chief Augustine Ilodibe - imprenditore
Chief Anny Okonkwor - imprenditore





fonte https://it.wikipedia.org/wiki/Igbo

 
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Massa (popolo)


I Massa o Masa[1] sono un popolo del Ciad e del Camerun, stanziato principalmente lungo il fiume Logone. Le città principali sono Bongor nella Regione di Mayo-Kebbi Est in Ciad e Yagoua nella Regione dell'Estremo Nord in Camerun.

Lingua

Le lingue parlate dai Masa sono il masa, il francese e l'arabo

Religione

Culto tradizionale - Animismo - (Dio Creatore "Làwnà", Padre degli uomini "Bùm sùmùnà", Divinità e simbolo della terra "Nàgàtà", Divinità del mondo acquatico "Mùnùnnà e Mùnùndà" Lo spirito della morte "Màtnà" ed altre divinità oltre a quelle di lignaggio e personali)
Cristianesimo (Cattolici e Protestanti)
Islam (Sunniti)

Gruppi principali Masa

In Ciad

Gumay a nord di Bongor fino a Guelendeng;
Waliya nella zona di Teleme;
Haara a sud di Bongor;
Gire (Ciad) a sud degli Haara.

In Camerun

Bugudum nella zona di Bougoudoum;
Wailiya nella zona di Yagoua e Saavousou.





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Matakam


I Matakam sono un'etnia, forse la più numerosa, dei Kirdi dei monti Mandara del Camerun.

Area di occupazione

"Kirdi" è un termine usato dai pastori Fulbé della pianura per indicare i diversi gruppi etnici, tra i quali figurano i Kapsiki, i Mofu, i Muktele e altri, stanziati soprattutto sui monti Mandara del Camerun settentrionale.
Credenze religiose

L'isolamento di questi gruppi etnici ha determinato il persistente mantenimento di una loro religione originaria, legata al culto degli antenati e degli spiriti ai quali vengono effettuati frequenti sacrifici di galline e capre. I Matakam credono in una divinità suprema che chiamano Dzikile. In ogni capanna sono gelosamente custoditi i vray, piccoli vasetti che racchiudono le anime degli antenati sempre presenti accanto ai vivi. Modellati in argilla in differenti forme, i vray, evidenziano gli organi riproduttivi maschili e femminili. Nel corso di cerimonie o avvenimenti importanti vengono offerti agli antenati: birra, sangue, miglio, versati talvolta anche nell'interno dei vasetti. Accanto ai vray, esistono anche i mbulom, feticci con il compito di proteggere la casa e la corte. Sono disseminati in ogni luogo. Si tratta di semplici oggetti (un vaso spezzato, il collo di un recipiente, un mucchietto di pietre) nei quali sono infilate spighe di miglio, penne o ossa di animali che portano tracce di sacrifici di sangue o offerte di birra di miglio. Il mbulom è l'abitazione temporanea dell'anima di un defunto morto senza lasciare discendenti. Tra i kirdi la presenza degli stregoni è costante: a loro spetta, tra l'altro, trarre gli auspici interpretando la disposizione di pietruzze colorate sparse per terra (oroscopo dei sassi) o leggendo i simboli di legno che un granchio, introdotto in un recipiente pieno di sabbia bagnata, sposta casualmente (oroscopo del granchio)
Abbigliamento

Da sempre gli uomini kirdi osservano la completamente nudità, limitandosi in alcune occasioni a coprirsi le spalle con una pelle di montone. Talvolta i Matakan portano piccole borse di cuoio, chiamate goajem che servono a custodire l'acciarino e altri piccoli oggetti. Le donne indossano all'altezza del pube, un triangolo di cotone o di metallo e, a seconda dei gruppi, anche sbarrette metalliche che hanno funzione ornamentale anche se i kirdi ritengono che il tintinnio metallico serva ad allontanare e impedire che gli spiriti malevoli entrino dagli organi genitali femminili provocando aborti o la nascita di bambini malformati.
Alimentazione

Alla base dell'alimentazione dei Matakam ci sono il sorgo e il miglio che vengono coltivati in piccoli appezzamenti di terreno sostenuti da pietre a secco in modo da impedire che la terra venga portata a valle dalle piogge. Generazioni di contadini hanno costruito terrazzamenti che hanno fatto assumere alle pendici dei monti l'aspetto di lunghe scalinate. Allevano inoltre alcuni animali da cortile: piccole e ossute galline e qualche capra e pecora. Si cibano anche di tutto ciò che l'ambiente può fornire loro: bacche, frutti selvatici, non disdegnano le larve delle termiti e i piccoli topi che vivono tra le stoppie e che i bambini catturano con trappole a forma di nasse, costruite intrecciando gli steli del miglio. I Matakam coltivano anche foglie di tabacco che fumano (anche le donne) in pipe di ferro o d'argilla. Consumano anche una bevanda alcolica lo zom, una sorta di birra ottenuta dalla fermentazione del miglio. È una bevanda densa, dall'odore acre. L'apporto della caccia è scarso: catturano piccoli animali e uccelli con trappole o servendosi di un arco le cui frecce dalla punta di ferro ad arpione sono talvolta avvelenate con strofanto.
Abitazioni

Le capanne sono circolari col tetto di paglia a forma conica e gli ingressi protetti da feticci. La copertura viene sostituita normalmente ogni anno all'inizio della stagione secca. Numerosi i granai, talvolta di grandi dimensioni, simili a giare di fango e, nei cortili, non mancano mai i mortai litici per la macinazione del miglio e del sorgo: costruiti dalle donne, sono del tutto simili a quelli preistorici che si trovano sparsi numerosi nel deserto. Le abitazioni matakam non hanno finestre verso l'esterno, sono dotate un unico ingresso basso e stretto dove, all'entrata, sono incastonati nel muro oggetti eterogenei: conchiglie, ciottoli colorati, mascelle di animali, ed altro con lo scopo di impedire l'accesso agli spiriti malevoli. Il numero delle capanne varia secondo l'entità del nucleo familiare e sono collegate tra loro da piccoli muretti e porte. Ogni ambiente ha la sua funzione. C'è la capanna del capo famiglia, lo zao-zao, che si trova sempre vicino all'ingresso in modo che l'uomo possa controllare l'andirivieni della casa. C'è poi la capanna degli ospiti quella della prima moglie, delle altre mogli anche se la maggior parte delle famiglie è monogama) e dei bambini. Altri ambienti sono occupati dalla cucina, dalla stalla per le capre e dalle stie delle galline. Il tutto dà origine a una specie di labirinto semibuio. Il mobilio è inesistente se si eccettuano i letti: semplici assi di legno. Ci sono poi capanne particolari, come la stanza che contiene il serbatoio per i miglio e le mensole per custodire ogni genere di oggetti, armi, strumenti musicali, i rari indumenti. Sovente esiste anche una stalla dove vive segregato un toro. Murata la parete superiore, l'animale può comunicare con l'esterno solo allungando il collo. Il piccolo spazio in cui vive gli rende difficile i movimenti facendolo ingrassare. Resterà chiuso per tre anni per essere poi liberato e sacrificato durante il Maray, una grande festa collettiva in onore degli antenati. In un serbatoio d'argilla i Kirdi custodiscono la cenere dei focolari, serve per ottenere il sale inesistente sui monti. Introdotta in un recipiente bucherellato, la cenere viene bagnata con acqua che scioglie i sali contenuti. Lo scuro liquido prodotto è utilizzato per insaporire i cibi. Simili a fortezze arroccate sulle cime rocciose, l'insieme di capanne e gli abitanti prendono il nome del monte, che risulta così diviso in quartieri. Ogni quartiere ha il suo capo.
Musica

La musica kirdi è basata su cori che passano da registri molto bassi a registri acutissimi, accompagnati da strumenti musicali, come il ganzavar, la chitarra a cinque corde la cui cassa di risonanza, scavata in un legno, è chiusa con una pelle, talvolta di varano, il flauto ricavato da un corno d'antilope e il tam-tam. Significative sono le melodie pastorali suonate con un flauto d'argilla e i canti funebri accompagnati dal ritmo lento di un grande tamburo. Notevoli sono anche i canti di guerra matakam, dove gli uomini danzano mostrando il senghese, un lungo coltello ricurvo da lancio, arma da guerra e da caccia. Durante le feste viene suonato un tamburello a forma di clessidra il deleleo, che il suonatore tiene stretto sotto il braccio.
Fabbricazione del ferro

Per ottenere il ferro necessario a costruire utensili agricoli, zappe, falcetti per la mietitura, (i goaza), le punte di freccia, ecc., i Matakm usano la magnetite, un ossido di ferro che nel periodo secco viene raccolto nei letti asciutti dei corsi d'acqua dove questo minerale nero raggiunge una notevole concentrazione. L'altoforno, una torre d'argilla alta sovente oltre due metri, permette di svolgere il processo siderurgico che inizia introducendo, su un fuoco di carbone di legna, l'ossido di ferro portato poi alla massima temperatura dall'aria sotto pressione immessa tramite mantici di pelle di capra azionati da un uomo seduto sulla cima della costruzione. L'altoforno è, per i Matakam, anche un altare dove Dzikile e gli antenati sono presenti e aiutano gli uomini. Un'attività metallurgica, quella svolta dai fabbri Matakam, che si protrae per molte ore e contempla lo svolgimento di numerosi atti magici: sacrifici di galline, offerte di sangue, di birra, canti e invocazioni ai defunti. L'apertura dell'altoforno è sempre un momento carico di attesa e tensione; dal suo interno escono una mescolanza di scorie di carbone e sabbia quarzifera cementata dal calore che viene raffreddata spruzzando acqua con la bocca tra nuvole di vapore, sibili e scoppiettii. Una volta raffreddato e frantumato, dal blocco di fusione si estraggono piccoli pezzi di ferro, talvolta non più grossi di una noce, che saranno nuovamente fusi e lavorati per ottenere gli utensili definitivi.
Nascita

Presso i Matakam la moglie del fabbro è normalmente la vasaia del villaggio. Modella l'argilla e fabbrica i contenitori, ma è suo anche il compito di assistere le partorienti. È la levatrice del villaggio. La donna Matakam lavora fino a poche ore prima del parto. Al sopraggiungere delle doglie si corica accanto ad un masso di granito scuro, lisciato dal tempo e dall'uso. È un luogo sacro ricco di valenze positive, sullo stesso masso hanno partorito tutte le donne del villaggio. Giunto il momento del parto la levatrice e due anziane circondano la partoriente. Talvolta, quando il parto si prolunga, vengono effettuati riti magici come uccidere un pulcino per farne colare il sangue sul ventre della donna. Così facendo la levatrice è certa che il sangue del pulcino richiamerà il sangue del parto. Sorretta alle spalle dalle anziane, la madre partorisce seduta. Subito le viene posto in braccio il neonato. La puerpera gli libera, succhiando, le vie respiratorie dal muco e lo bagna con un filo d'acqua che spruzza dopo averla tenuta in bocca per intiepidirla. Poi la levatrice recide il cordone ombelicale con uno stelo tagliente di miglio. Un rito particolare conclude il parto: la placenta, raccolta in un vaso, viene seppellita lontano da occhi indiscreti. Per i Matakam la placenta è il doppio del neonato, una specie di gemello. Impossessarsi della placenta vuol dire possedere anche il corpo e la mente del bambino e poter agire negativamente contro di lui. Dopo il parto la madre resterà chiusa nella sua capanna per quattro giorni assistita dalla levatrice. Al termine del periodo di segregazione il neonato verrà portato all'esterno, mostrato agli abitanti del villaggio e gli verrà imposto il nome.
Morte

La morte è sempre un avvenimento traumatico per le popolazioni kirdi, soprattutto quando a morire sono gli anziani, depositari di tradizioni destinate a scomparire in poco tempo con loro. Il defunto deposto sul suo letto di legno viene visitato e omaggiato dagli abitanti del villaggio che si accalcano numerosi all'esterno della capanna. Ha poi inizio la vestizione della salma composta in posizione seduta appoggiata al muro. Si usano strisce di cotone, non più larghe di una benda, prodotte con rudimentali telai di legno. Un'attività tessile che i kirdi hanno appreso dai Fulbè della pianura. Si inizia dalle braccia e dalle gambe poi vengono bendati il tronco e la testa. Fa seguito un pasto funebre che viene consumato dai presenti davanti al defunto. Infine la salma, posta a cavalcioni sulle spalle di un uomo, viene portata fuori dalla capanna. Circondato dai pianti e dal suono del tamburo funebre, è mostrata a tutto il villaggio e condotta sui luoghi, il campo e il pozzo, dove si è consumata l'esistenza dell'individuo. Trasportato sulla cima di un'altura il defunto viene inumato in una tomba a pozzo, composto in posizione fetale. I rituali funebri variano da gruppo a gruppo. Quello più sconvolgente si svolge tra i Kapsiki. La salma viene esposta, soprattutto quando si tratta di un anziano, all'ombra di un albero su un traliccio di legno. Poi alcuni uomini, il fabbro e i suoi aiutanti, trasportano il corpo in un angolo del villaggio lontano dagli occhi degli abitanti. Ha così inizio un macabro rito: gli uomini tolgono la pelle del defunto bagnando il corpo con un liquido, forse abrasivo. Ed ecco apparire sotto la pelle nera il corpo bianco che viene subito rivestito di stoffe colorate e ornato con penne di struzzo. Posto a cavalcioni sulle spalle di uno stregone viene mostrato agli abitanti del villaggio che circondano il defunto suonando e cantando musiche funebri. Dopo un lungo girovagare, la salma viene deposta in una fossa, in posizione fetale. Il suo corpo è ora bianco, bianco come lo era quando uscì dal grembo materno. Ora è stata adagiato nel grembo di un'altra madre, la Terra che lo custodirà per sempre.
Ricerche
Gli usi e i costumi dei Matakam, nonché di altri gruppi etnici riconducibili ai Kirdi, sono stati ampiamente indagati e documentati cinematograficamente e fotograficamente dagli etnologi - archeologi italiani Angelo e Alfredo Castiglioni durante numerose missioni di ricerca condotte a partire dal 1959. Le informazioni raccolte nel corso dei viaggi dei fratelli Castiglioni sono state riportate in varie pubblicazioni e in alcuni lungometraggi cinematografici tra i quali il film Africa segreta. Già dagli anni '60, nel corso di tali missioni di ricerca, si poteva notare da parte di queste popolazioni il progressivo, se pur lento, abbandono della completa nudità a beneficio dei costumi arabi e l'accettazione sempre più diffusa del credo islamico.





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Musey


I Musey sono un popolo del Ciad e del Camerun:

Stanziati principalmente lungo il fiume Logone, le loro città principali sono Gunu-Gaya e Pala nella Regione di Mayo-Kebbi Ovest in Ciad mentre nella Regione dell'Estremo Nord in Camerun stanno ai margini dei territori abitati da villaggi Massa e Gisey; la zona è attraversata da un corso d'acqua chiamato Kabbia.

Lingua

Le lingue parlate dai Musey sono il musey, il francese e l'arabo.
Religione

Culto tradizionale - Animismo
Cristianesimo (Cattolici e Protestanti)
Islam (Sunniti)


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fonte https://it.wikipedia.org/wiki/Musey

 
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Ngbandi


Gli ngbandi (trascritto anche come bandi, ngwandi, mogwandi e gbandi) sono un gruppo etnico africano di origine sudanese. Si trovano principalmente nella Repubblica Centrafricana e nella Repubblica Democratica del Congo; gruppi minori sono presenti anche in Camerun, nella Repubblica del Congo e in Sudan. Parlano la lingua sango, la lingua ngbandi o la lingua yakoma; i diversi gruppi sono spesso distinti con i nomi corrispondenti di ngbandi, sango e yakoma.
Storia

Gli ngbandi sono originari dell'Alto Egitto e della Nubia occidentale. Sono migrati verso sud in cerca di terreno fertile e per fuggire alle razzie dei negrieri arabi.
Lingua
Gli ngbandi parlano tre lingue correlate, la lingua ngbandi, la lingua sango e la lingua yakoma, appartenenti al gruppo degli idiomi niger-kordofaniani. Queste tre lingue sono classificate da alcuni linguisti come tre varianti di un unico idioma, designato sango-ngbandi-yakoma. La classificazione del SIL identifica una serie di lingue di questo gruppo come lingue proprie.





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Pigmei


I pigmei sono un gruppo etnico diffuso in gran parte dell'Africa equatoriale. Sono di bassa statura (inferiore ai 150 cm) e caratterizzati da pelle scura, capelli crespi, naso schiacciato e cranio brachimorfo.

Il nome "pigmeo" deriva dal greco πυγμαῖος pygmâios ("alto un cubito") che i Greci usavano per riferirsi a un leggendario popolo di nani, localizzato a sud dell'Egitto o in India, perennemente in guerra contro le cicogne (o le gru) che devastavano i loro campi.

“Pigmei” è un termine collettivo usato per indicare diversi popoli cacciatori-raccoglitori del bacino del Congo e di altre regioni dell'Africa centrale. Il termine è considerato dispregiativo[1] e quindi evitato da alcuni indigeni, ma allo stesso tempo viene utilizzato da altri come il nome più facile e conveniente per riferirsi a se stessi[2]. I "Pigmei" si dividono in molti sottogruppi, ognuno dei quali costituisce un popolo a sé, tra questi ad esempio i Twa, gli Aka, i Baka e i Bambuti[3].

Per estensione, il nome "pigmei" viene indicato per riferirsi ad altri gruppi etnici di bassa statura.

Distribuzione

Gruppi di pigmei sono diffusi lungo gran parte della fascia tropico-equatoriale dell'Africa; sono presenti in Camerun, Repubblica Centrafricana, Gabon, Repubblica del Congo, Repubblica Democratica del Congo, Uganda e Ruanda. Si tratta di comunità composte da pochi individui; il numero totale dei pigmei africani si stima infatti inferiore a 250 000.
Storia

In Egitto sono state ritrovate iscrizioni del II millennio a.C. che si riferiscono ai pigmei come "Danzatori degli Dei". Anche da questi antichi contatti con la civiltà egizia si presume che i pigmei vivessero un tempo in regioni molto più a nord di quelle che abitano oggi, forse fino al basso Nilo. In una lettera pervenutaci in condizioni integre e risalente all'Antico Regno, un faraone ringraziava un suo governatore, Harkhuf, per avergli fatto dono di un "nano" proveniente dalla "terra degli spiriti" (espressione che gli egizi usavano per riferirsi ai territori a sud del loro dominio).[4]

Nell'arte romana, i pigmei della valle del Nilo sono spesso rappresentati come figure caricaturali, di grande potenza sessuale, come i fauni e le figure priapiche già conosciute ed usate dai romani stessi ed altre culture. Alcuni affreschi con questo tipo di soggetti, rinvenuti a Pompei, sono oggi esposti al Museo archeologico nazionale di Napoli. Altre scene erotiche con pigmei sono ancora visibili a Pompei, per esempio sul fianco di un triclinio nella casa dell'Efebo.

In antichità i pigmei ebbero contatti anche con i popoli bantu dell'Africa subsahariana, che erano molto superiori dal punto di vista tecnologico, e non ebbero difficoltà a cacciarli dalle loro terre o sottometterli. Nella cultura bantu i pigmei sono identificati da nomi come batwa ("piccoli uomini").
Cultura

Sono cacciatori-raccoglitori; gli uomini cacciano con arco e frecce avvelenate, e le donne pescano. Il loro stile di vita è in gran parte basato su una profonda conoscenza dell'ambiente (per esempio degli usi delle piante a fini curativi o per la produzione del veleno). In alcuni casi praticano modesti scambi commerciali con i popoli vicini (per esempio bantu). Lavorano il legno e l'osso (ma non la pietra).

Il legame con le foreste, che curano e venerano, è un elemento centrale della loro identità di popolo[5]. Ogni gruppo ha una sua lingua distinta, ma tutti hanno una parola che li accomuna: jengi, ovvero spirito della foresta.

Sono considerati "nomadi stanziali": ogni tribù (composta in genere di poche famiglie) si sposta periodicamente da un accampamento all'altro, sempre rimanendo all'interno di un'area circoscritta.

Le pratiche religiose dei pigmei sono incentrate sulla credenza negli spiriti e in una particolare forma di metempsicosi, che prevede la trasmigrazione dell'anima del morto dentro il corpo di un elefante.[6]

I matrimoni tra pigmei sono di natura esogamica; per riequilibrare il rapporto fra donne e uomini all'interno di ogni gruppo sociale, il gruppo ricevente una sposa è tenuto a concederne una a quello offerente.

La sopravvivenza delle comunità pigmee e delle loro tradizioni è messa in pericolo tanto dall'impoverimento ambientale e dalla deforestazione quanto dalla difficoltà di integrazione nella società africana moderna.

Il dio supremo della loro religione tradizionale, Kvum, viene descritto come il creatore e signore di tutte le cose. Presenza tangibile, comanda sopra ogni uomo, controllandone ogni azione. Secondo la mitologia dei pigmei, il primo uomo e la prima donna (Ntaum e Rae) ebbero origine da due uova di tartaruga; oppure (a seconda delle tradizioni) Kvum li creò soffiando in una noce di cola.

Parte integrante della mitologia pigmea è l'emela-ntouka, una creatura leggendaria che abiterebbe le foreste della Repubblica del Congo.
Problemi attuali

Uno dei principali problemi che i “Pigmei” devono affrontare è la mancanza di riconoscimento dei loro diritti territoriali. Secondo Survival International, il movimento mondiale per i diritti dei popoli indigeni, finché questi diritti non verranno riconosciuti, gli estranei e lo Stato potranno continuare ad appropriarsi della loro terra, da cui dipendono per sopravvivere[7].

Molte comunità vengono sfrattate illegalmente nel nome della conservazione dell'ambiente. Nel Camerun sud-orientale, ad esempio, gran parte della terra ancestrale dei “Pigmei” Baka è stata trasformata in parchi nazionali oppure assegnata a società che organizzano safari di caccia[8].

“Un tempo, la foresta era per i Baka, ora non lo è più. Ci muovevamo nella foresta secondo i cicli stagionali, ma adesso abbiamo paura” ha raccontato a Survival un uomo Baka. “Come possono proibirci di andare nella foresta? Non sappiamo come vivere diversamente. Ci picchiano, ci uccidono e ci costringono a fuggire in Congo.”[9]

Nel Congo invece, l'etnia Bambuti è confinata con pochissimi mezzi sull'isola Idjwi all'interno del lago Kivu.[3]





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Wodaabe


I Wodaabe (o Bororo) sono una sub-etnia appartenente al popolo dei Fulani e vivono una vita nomade nell'Africa centrale. Il nome dispregiativo "Bororo", letteralmente "pastori in stracci", datogli dalle tribù vicine non deve essere confuso con quello dei Bororo del Mato Grosso, Brasile.

Giacché nomadi, i Wodaabe si spostano con il loro bestiame e vivono in capanne di rami. Le loro migrazioni li portano dal sud del Niger al nord della Nigeria, dal nord-est del Camerun, al sud-ovest del Ciad e nelle regioni occidentali della Repubblica Centrafricana[2]. Da pochi anni a questa parte, penetrano anche nella Repubblica Democratica del Congo, nelle regioni del Basso Uele e dell'Alto Uele, che hanno una frontiera con il Centrafrica e il Sudan.

In autunno si radunano per una festa chiamata Guérewol, durante la quale le ragazze scelgono il fidanzato fra tutti i ragazzi presenti.

Popolazione

La natura nomade di questo popolo non permette un'enumerazione chiara della sua popolazione. Nel 1983, lo scrittore e fotografo Carol Beckwith stimava a 45 000 il numero di Wodaabe nel Niger[3]. Negli anni 2000, Elisabeth Boesen dell'Università del Lussemburgo valutava il loro numero a 100 000 persone[1][4].
Religione
I Wodaabe sono essenzialmente musulmani[5], anche se alcune pratiche legate a tradizioni locali sembrano negare alcuni precetti dell'Islam. L'Islam diventò una religione importante presso i Bororo nel corso del XVI secolo, quando lo studioso Muhammad al-Maghili predicò presso le élite del nord della Nigeria, convertendo le classi dirigenti dei popoli Hausa, Fulani e Tuareg[2][5].





fonte https://it.wikipedia.org/wiki/Wodaabe

 
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