IL FARO DEI SOGNI

Categoria:Inventori greci antichi

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Retrato_de_un_erudito__Arquimedes___por_Domenico_Fetti





Pagine nella categoria "Inventori greci antichi"

Questa categoria contiene le 9 pagine indicate di seguito, su un totale di 9.
A

Archimede

B

Butade di Sicione

C

Calliroe (artista)
Ctesibio

D

Diade (inventore)

E

Erone di Alessandria

M

Metagene (architetto)

P

Perillo

T

Enea Tattico



.........................................................................................





Archimede


Archimede di Siracusa (in greco antico: Ἀρχιμήδης, Archimédēs; Siracusa, 287 a.C. circa – Siracusa, 212 a.C.[1]) è stato un matematico, fisico e inventore siceliota.

Considerato come uno dei più grandi scienziati e matematici della storia, contribuì ad avanzare la conoscenza in settori che spaziano dalla geometria all'idrostatica (branca della meccanica), dall'ottica alla meccanica: fu in grado di calcolare la superficie e il volume della sfera e formulò le leggi che regolano il galleggiamento dei corpi; in campo ingegneristico, scoprì e sfruttò i principi di funzionamento delle leve e il suo stesso nome è associato a numerose macchine e dispositivi, come la vite di Archimede, a dimostrazione della sua capacità inventiva; circondate ancora da un alone di mistero sono invece le macchine da guerra che Archimede avrebbe preparato per difendere Siracusa dall'assedio romano.

La sua vita è ricordata attraverso numerosi aneddoti, talvolta di origine incerta, che hanno contribuito a costruire la figura dello scienziato nell'immaginario collettivo. È rimasta celebre nei secoli, ad esempio, l'esclamazione èureka! (εὕρηκα! - ho trovato!) a lui attribuita dopo la scoperta del principio sul galleggiamento dei corpi che ancora oggi porta il suo nome[2].

Biografia
Elementi storici
Statua di Archimede al Treptower Park di Berlino

Si hanno pochi dati certi sulla sua vita, ma tutte le fonti concordano sul fatto che egli fosse siracusano e che sia stato ucciso durante il sacco romano di Siracusa del 212 a.C. Vi è inoltre la notizia, tramandata da Diodoro Siculo, che abbia soggiornato in Egitto e che proprio ad Alessandria d'Egitto abbia stretto amicizia con il matematico e astronomo Conone di Samo. Molto probabilmente non fu davvero così: lo scienziato sarebbe voluto entrare in contatto con gli eruditi dell'epoca appartenenti alla scuola di Alessandria, ai quali inviò molti suoi scritti. Durante questo ipotetico soggiorno, Archimede avrebbe inventato la "vite idraulica"[3].

L'unica cosa certa è che egli fu veramente in contatto con Conone (come si evince dal rimpianto per la sua morte espresso in alcune opere[4]) che però potrebbe aver conosciuto in Sicilia. Tenne corrispondenza con vari scienziati di Alessandria, tra cui Eratostene, al quale dedicò il trattato Il metodo e Dositeo. Un esempio valido pervenutoci sulla collaborazione tra lo scienziato e gli alessandrini è la lettera di premessa al trattato Sulle spirali.[5]

Secondo Plutarco era imparentato col monarca Gerone II.[6] La tesi è controversa ma trova riscontro nella stretta amicizia e stima che, anche secondo altri autori, li legava. La data di nascita non è certa. Viene di solito accettata quella del 287 a.C., sulla base dell'informazione, riferita dall'erudito bizantino Giovanni Tzetzes, che fosse morto all'età di settantacinque anni.[7] Non si sa però se Tzetzes si basasse su fonti attendibili ora perdute o avesse solo tentato di quantificare il dato, riportato da vari autori, che Archimede fosse vecchio al momento dell'uccisione. L'ipotesi che fosse figlio di un astronomo siracusano di nome Fidia (altrimenti sconosciuto) è basata sulla ricostruzione di una frase di Archimede effettuata dal filologo Friedrich Blass, contenuta nell'Arenario, che nei manoscritti era giunta corrotta e priva di senso.[8] Se questa ipotesi è corretta, si può pensare che abbia ereditato dal padre l'amore per le scienze esatte.[9]
Archimede intento a studiare la geometria in un particolare de La scuola di Atene di Raffaello; ha le sembianze di Donato Bramante Per alcuni storici questa figura corrisponderebbe però ad Euclide

Dalle opere conservate e dalle testimonianze si sa che si occupò di tutte le branche delle scienze a lui contemporanee (aritmetica, geometria piana e solida, meccanica, ottica, idrostatica, astronomia, ecc.) e di varie applicazioni tecnologiche.

Polibio,[10] Tito Livio[11] e Plutarco[12] riferiscono che durante la seconda guerra punica, su richiesta di Gerone II, si dedicò (a detta di Plutarco con minore entusiasmo ma secondo tutti e tre con grandi successi) alla realizzazione di macchine belliche che aiutassero la sua città a difendersi dall'attacco di Roma. Plutarco racconta che, contro le legioni e la potente flotta di Roma, Siracusa disponeva di poche migliaia di uomini e del genio di un vecchio; le macchine di Archimede avrebbero scagliato massi ciclopici e una tempesta di ferro contro le sessanta imponenti quinqueremi di Marco Claudio Marcello. Fu ucciso nel 212 a.C., durante il sacco di Siracusa. Secondo la tradizione l'uccisore sarebbe stato un soldato romano che, non avendolo riconosciuto, non avrebbe eseguito l'ordine di catturarlo vivo.[13]

Archimede godeva di grande stima sia nel suo Paese, infatti era un riferimento per re Gerone, sia ad Alessandria d'Egitto, dove intratteneva una corrispondenza con i più illustri matematici del suo tempo, sia tra i Romani, tant'è che secondo la leggenda era stato ordinato di catturarlo vivo (invece fu ucciso). Il comandante romano fece costruire una tomba in suo onore.[14]

La figura di Archimede affascinò i suoi contemporanei al punto che nel tempo le vicende biografiche si sono fittamente intrecciate alle leggende ed è tuttora difficile distinguere gli elementi di finzione dalla realtà storica. Alla mancanza di testimonianze si aggiunge anche il fatto che Archimede scrisse solo opere di carattere teorico e speculativo.
Due celebri aneddoti
La soluzione di Archimede al problema della corona d'oro
(EL)

«Εὕρηκα!»
(IT)

«Eureka!»
(Archimede)

Nell'immaginario collettivo Archimede è indissolubilmente legato a due aneddoti. Vitruvio racconta che avrebbe iniziato a occuparsi di idrostatica perché il sovrano Gerone II gli aveva chiesto di determinare se una corona fosse stata realizzata in oro puro oppure utilizzando (all'interno della corona) altri metalli.[15] Egli avrebbe scoperto come risolvere il problema mentre faceva un bagno, notando che immergendosi nell'acqua si verificava l'innalzamento del suo livello. L'osservazione l'avrebbe reso così felice che sarebbe uscito nudo di casa e avrebbe corso per le strade di Siracusa esclamando "εὕρηκα" (èureka!, ho trovato!). Se non fossimo stati a conoscenza del trattato Sui corpi galleggianti, non avremmo potuto dedurre il livello dell'idrostatica archimedea dal racconto vitruviano.[16]

Vitruvio riferisce che il problema sarebbe stato risolto misurando i volumi della corona e di un uguale peso d'oro immergendoli in un recipiente colmo d'acqua e misurando l'acqua traboccata. Si tratta però di un procedimento poco plausibile, sia perché comporta un errore troppo grande, sia perché non ha alcuna relazione con l'idrostatica sviluppata da Archimede. Secondo una ricostruzione più attendibile, attestata nella tarda antichità,[17] Archimede aveva suggerito di pesare la corona e un quantitativo di oro uguale in peso immersi entrambi in acqua. Se la corona fosse stata d'oro puro la bilancia sarebbe stata in equilibrio. Poiché invece la bilancia si abbassò dalla parte dell'oro, si poté dedurre che, essendo pari i pesi, la corona aveva subito una spinta idrostatica verso l'alto maggiore, quindi doveva avere un maggiore volume, il che implicava che doveva essere stata fabbricata impiegando anche altri metalli, in quanto tali metalli (come per esempio l'argento) avevano densità minore dell'oro.[18]

Secondo un altro aneddoto altrettanto famoso Archimede (o Gerone) sarebbe riuscito a spostare una nave grazie a una macchina da lui inventata. Esaltato dalla capacità di costruire macchine che potessero spostare grandi pesi con piccole forze, in questa o in un'altra occasione avrebbe esclamato: “Datemi un punto d'appoggio e solleverò la Terra”. La frase è riportata, con piccole varianti, da vari autori, tra i quali Pappo di Alessandria[19] e Simplicio.[20]




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Leggende sulla morte
Lo stesso argomento in dettaglio: Tomba di Archimede.
(GRC)

«Ἄφνω δ'ἐπιστάντος αὐτῷ στρατιώτου καὶ κελεύοντος ἀκολουθεῖν πρὸς Μάρκελλον, οὐκ ἐβούλετο πρὶν ἢ τελέσαι τὸ πρόβλημα καὶ καταστῆσαι πρὸς τὴν ἀπόδειξιν. Ὁ δ'ὀργισθεὶς καῖ σπασάμενος τὸ ξίφος ἀνεῖλεν αὐτόν»
(IT)

«Ad un tratto entrò nella stanza un soldato romano che gli ordinò di andare con lui da Marcello. Archimede rispose che sarebbe andato dopo aver risolto il problema e messa in ordine la dimostrazione. Il soldato si adirò, sguainò la spada e lo uccise.»
(Plutarco, Vita di Marcello, 19, 9)
La morte di Archimede
Presunta tomba di Archimede a Siracusa

La leggenda ha tramandato ai posteri anche le ultime parole di Archimede, rivolte al soldato che stava per ucciderlo: «noli, obsecro, istum disturbare» (non rovinare, ti prego, questo disegno).[21] Plutarco, dal canto suo, narra[22] tre differenti versioni della morte di Archimede.

Nella prima afferma che un soldato romano avrebbe intimato ad Archimede di seguirlo da Marcello; al suo rifiuto il soldato lo avrebbe ucciso.

Nella seconda un soldato romano si sarebbe presentato per uccidere Archimede e quest'ultimo lo avrebbe pregato invano di lasciargli terminare la dimostrazione nella quale era impegnato.

Nella terza, dei soldati avrebbero incontrato Archimede mentre portava a Marcello alcuni strumenti scientifici, meridiane, sfere e squadre, in una cassetta; pensando che la cassetta contenesse oro, i soldati lo avrebbero ucciso per impadronirsene.

Secondo Tito Livio[23] e Plutarco,[22] Marcello, che avrebbe conosciuto e apprezzato l'immenso valore del genio di Archimede e forse avrebbe voluto utilizzarlo al servizio della Repubblica, sarebbe stato profondamente addolorato per la sua morte. Questi autori raccontano che fece dare onorevole sepoltura allo scienziato. Ciò non è però riferito da Polibio, che è considerato fonte più autorevole sull'assedio e il saccheggio di Siracusa.

Cicerone racconta di avere scoperto la tomba di Archimede grazie a una sfera inscritta in un cilindro, che vi sarebbe stata scolpita in ottemperanza alla volontà dello scienziato.[24]
(LA)

«Cuius [i.e. Archimedis] ego quaestor ignoratum ab Syracusanis, cum esse omnino negarent, saeptum undique et vestitum vepribus et dumetis indagavi sepulcrum. Tenebam enim quosdam senariolos, quos in eius monumento esse inscriptos acceperam, qui declarabant in summo sepulcro sphaeram esse positam cum cylindro. Ego autem cum omnia collustrarem oculis - est enim ad portas Agragantinas magna frequentia sepulcrorum - animum adverti columellam non multum e dumis eminentem, in qua inerat sphaerae figura er cylindri. Atque ego statim Syracusanis - erant autem principes mecum - dixi me illud ipsum arbitrari esse, quod quaererem. Immissi cum falcibus multi purgarunt et aperuerunt locum. Quo cum patefactus esset aditus, ad adversam basim accessimus. Apparebat epigramma exesis posterioribus partibus versiculorum dimidiatum fere. ita nobilissima Graeciae civitas, quondam vero etiam doctissima, sui civis unius acutissimi monumentum ignorasset, nisi ab homine Arpinate didicisset.»
(IT)

«Io quand'ero questore scoprii la sua tomba [di Archimede], sconosciuta ai Siracusani, cinta con una siepe da ogni lato e vestita da rovi e spineti, sebbene negassero completamente che esistesse. Tenevo, infatti, alcuni piccoli senari, che avevo sentito essere scritti nel suo sepolcro, i quali dichiaravano che alla sommità del sepolcro era posta una sfera con un cilindro. Io, poi, osservando con gli occhi tutte le cose - c'è, infatti, alle porte Agrigentine una grande abbondanza di sepolcri - volsi l'attenzione ad una colonnetta non molto sporgente in fuori da dei cespugli, sulla quale c'era sopra la figura di una sfera e di un cilindro. E allora dissi subito ai Siracusani - c'erano ora dei principi con me - che io ero testimone di quella stessa cosa che stavo cercando. Mandati dentro con falci, molti ripulirono e aprirono il luogo. Per il quale, dopo che era stato aperto l'accesso, arrivammo alla base posta di fronte. Appariva un epigramma sulle parti posteriori corrose, di brevi righe, quasi dimezzato. Così la nobilissima cittadinanza della Grecia, una volta veramente molto dotta, avrebbe ignorato il monumento del suo unico cittadino acutissimo, se non lo fosse venuto a sapere da un uomo di Arpino.»
(Cicerone, Tusculanae disputationes V 23, 64-66)
Archimede ingegnere e inventore
Ordigni bellici
Stampa che riproduce l'uso degli specchi ustori durante l'assedio romano a Siracusa

Archimede di Siracusa deve gran parte della popolarità al suo contributo alla difesa di Siracusa contro l'assedio romano durante la seconda guerra punica. Polibio, Tito Livio e Plutarco descrivono macchine belliche di sua invenzione, tra cui la manus ferrea, artiglio meccanico in grado di ribaltare le imbarcazioni nemiche, e armi da getto da lui perfezionate.[10][11][12]

Nel II secolo lo scrittore Luciano di Samosata riportò che durante l'assedio di Siracusa (circa 214-212 a.C.), Archimede distrusse le navi nemiche con il fuoco. Secoli dopo, Antemio di Tralle menziona delle "lenti con il fuoco" come armi progettate da Archimede. Lo strumento, chiamato "specchi ustori di Archimede", fu progettato con lo scopo di concentrare la luce solare sulle navi che si avvicinavano, causando loro incendi.[25][26]

Questa ipotetica arma fu oggetto di dibattiti sulla sua veridicità fin dal Rinascimento. René Descartes la ritenne falsa, mentre i ricercatori moderni hanno tentato di ricreare l'effetto usando i soli mezzi disponibili ad Archimede.[27] È stato ipotizzato che una vasta schiera di scudi di bronzo o rame lucidati fossero stati impiegati come specchi per concentrare la luce solare su una nave. Questo avrebbe utilizzato il principio della riflessione parabolica in un modo simile a una fornace solare.

Un esperimento per testare gli specchi ustori di Archimede fu effettuato nel 1973 dallo scienziato greco Ioannis Sakkas. L'esperimento ha avuto luogo presso la base navale di Skaramagas, fuori Atene. In questa occasione sono stati utilizzati 70 specchi, ciascuno con un rivestimento di rame e con una dimensione di circa 1 metro e mezzo. Gli specchi sono stati puntati su una riproduzione realizzata in compensato di una nave da guerra romana a una distanza di circa 50 m. Quando gli specchi hanno concentrato i raggi solari con precisione la nave ha preso fuoco in pochi secondi. Il modello aveva un rivestimento di vernice di catrame che può aver aiutato la combustione.[28] Un rivestimento tale sarebbe stato comune sulle navi di quell'epoca.[29]




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La Siracusia
Lo stesso argomento in dettaglio: Siracusia.

Moschione, in un'opera di cui Ateneo riporta ampi stralci, descrive una nave immensa voluta dal re Gerone II e costruita da Archia di Corinto[30] con la supervisione di Archimede.[31] L'imbarcazione, la più imponente dell'antichità, fu chiamata Siracusia. Il nome fu cambiato in quello di Alessandria quando fu inviata in regalo al re Tolomeo III d'Egitto assieme a un carico di grano, per dimostrare la ricchezza della città siciliana. Per questa barca, Archimede adottò uno strumento, la coclea, che permetteva di pompare l'acqua al di fuori delle stive, mantenendole asciutte.[32]
Orologio ad acqua

Un manoscritto arabo contiene la descrizione di un ingegnoso orologio ad acqua progettato da Archimede.[33] Nell'orologio il flusso dell'acqua uscente era mantenuto costante grazie all'introduzione di una valvola galleggiante.

L'orologio era costituito da due vasche, una sopraelevata rispetto all'altra. La più alta era dotata di un rubinetto che erogava un flusso costante di acqua nella vasca sottostante.

Sopra la vasca inferiore era posto un asse girevole al quale era arrotolato un filo alle cui estremità erano legate una piccola pietra e un galleggiante.

All'inizio della giornata la vasca inferiore doveva essere vuota e il filo veniva tirato giù affinché il galleggiante toccasse il fondo e la pietra salisse in cima.

Aprendo il rubinetto la vasca inferiore cominciava a riempirsi sollevando il galleggiante e facendo abbassare la pietra. La lunghezza del filo e il flusso dell'acqua erano calibrati in modo che fossero le 12 quando il galleggiante si trovava all'altezza della pietra e le 6 del pomeriggio quando la pietra era sul fondo.

Archimede si pose il problema di mantenere costante il flusso dal rubinetto: infatti, svuotandosi la vasca superiore, si riduceva la pressione dell'acqua e il flusso diminuiva. Allora aggiunse, più in alto delle prime due una terza vasca che, tramite un galleggiante riempiva la seconda per mantenere costante il livello e dunque la pressione con cui l'acqua fuoriusciva dal rubinetto.[34]

Un merito che oggi viene riconosciuto ad Archimede è anche quello di essere stato il primo a interpretare il tempo come una grandezza fisica analizzabile con gli strumenti matematici usati per le grandezze geometriche (ad esempio nel trattato Sulle spirali rappresenta intervalli di tempo con segmenti e applica loro la teoria delle proporzioni di Euclide).[35]
Invenzioni meccaniche
Il principio del sollevamento della vite di Archimede

Ateneo,[36] Plutarco[6] e Proclo[37] raccontano che Archimede aveva progettato una macchina con la quale un solo uomo poteva spostare una nave con equipaggio e carico. In Ateneo l'episodio è riferito al varo della Siracusia, mentre Plutarco parla di un esperimento dimostrativo, eseguito per mostrare al sovrano le possibilità della meccanica. Questi racconti contengono indubbiamente dell'esagerazione, ma il fatto che Archimede avesse sviluppato la teoria meccanica che permetteva la costruzione di macchine con elevato vantaggio meccanico assicura che fossero nati da una base reale.

Secondo le testimonianze di Ateneo[38] e Diodoro Siculo[39] egli aveva inventato quel meccanismo per il pompaggio dell'acqua, impiegato per l'irrigazione dei campi coltivati, noto come vite di Archimede.

«Non mi pare che in questo luogo sia da passar con silenzio l'invenzione di Archimede d'alzar l'acqua con la vite: la quale non solo è maravigliosa, ma è miracolosa; poiché troveremo, che l'acqua ascende nella vite discendendo continuamente»
(Galileo Galilei, Mecaniche)

Lo storico della tecnologia Andre W. Sleeswyk ha attribuito ad Archimede anche l'odometro, descritto da Vitruvio.[40]

L'Architronito, descritto da Leonardo da Vinci, era un cannone a vapore la cui invenzione fa risalire ad Archimede di Siracusa[41] attorno al 200 a.C. Si pensa che la macchina fu usata nell'assedio di Siracusa nel 212 a.C. e nel 49 a.C. come attesta Giulio Cesare durante l'assedio di Marsiglia[42].
Il planetario
La macchina di Anticitera

Una delle realizzazioni di Archimede più ammirate nell'antichità fu il planetario. Le migliori informazioni su questo marchingegno sono fornite da Cicerone, il quale scrive che nell'anno 212 a.C., quando Siracusa fu saccheggiata dalle truppe romane, il console Marco Claudio Marcello portò a Roma un apparecchio costruito da Archimede che riproduceva su una sfera la volta del cielo e un altro che prediceva il moto apparente del sole, della luna e dei pianeti, equivalente quindi a una moderna sfera armillare.[43][44][45] Cicerone, riferendo le impressioni di Gaio Sulpicio Gallo che aveva potuto osservare lo straordinario oggetto, sottolinea come il genio di Archimede fosse riuscito a generare i moti dei pianeti, tra loro tanto diversi, a partire da un'unica rotazione. È noto grazie a Pappo che Archimede aveva descritto la costruzione del planetario nell'opera perduta Sulla Costruzione delle Sfere.[46]

La scoperta della macchina di Anticitera, un dispositivo a ingranaggi che secondo alcune ricerche risale alla seconda metà del II sec. a.C., dimostrando quanto fossero elaborati i meccanismi costruiti per rappresentare il moto degli astri, ha riacceso l'interesse sul planetario di Archimede. Un ingranaggio identificabile come appartenuto al planetario di Archimede sarebbe stato rinvenuto nel luglio del 2006 a Olbia; gli studi sul reperto sono stati presentati al pubblico nel dicembre del 2008. Secondo una ricostruzione il planetario, che sarebbe passato ai discendenti del conquistatore di Siracusa, potrebbe essere andato perso nel sottosuolo di Olbia (probabile scalo del viaggio) prima del naufragio della nave che trasportava Marco Claudio Marcello (console 166 a.C.) in Numidia.[47]
(LA)

«Nam cum Archimedes lunae solis quinque errantium motus in sphaeram inligavit, effecit idem quod ille, qui in Timaeo mundum aedificavit, Platonis deus, ut tarditate et celeritate dissimillimos motus una regeret conversio. Quod si in hoc mundo fieri sine deo non potest, ne in sphaera quidem eosdem motus Archimedes sine divino ingenio potuisset imitari.»
(IT)

«In realtà, quando Archimede racchiuse in una sfera i movimenti della luna, del sole e dei cinque pianeti, fece lo stesso che colui che nel Timeo edificò l'universo, il dio di Platone, e cioè che un'unica rivoluzione regolasse movimenti molto diversi per lentezza e velocità. E se questo non può avvenire nel nostro universo senza la divinità, neanche nella sfera Archimede avrebbe potuto imitare i medesimi movimenti senza un'intelligenza divina.»
(Cicerone, Tusculanae disputationes I, 63)
Misura del diametro della pupilla

Nell'Arenario (libro I, cap. 13), dopo aver accennato a un metodo per procedere alla misura angolare del Sole utilizzando un regolo graduato su cui posizionava un piccolo cilindro, Archimede nota che l'angolo così formatosi (vertice nell'occhio e rette tangenti ai bordi del cilindro e del Sole) non esprime una misura corretta in quanto non si conosce ancora la dimensione della pupilla. Posizionati quindi un secondo cilindro di diverso colore e collocato l'occhio in posizione più arretrata rispetto al termine del regolo, ottiene in questo modo con l'utilizzo del regolo il diametro medio della pupilla e, di conseguenza, una stima più precisa del diametro del Sole.[48] La pur breve discussione in materia lascia presumere che in materia Archimede più che riferirsi agli scritti euclidei tenesse in questo caso conto anche degli studi di Erofilo di Calcedonia che alla composizione dell'occhio aveva dedicato diversi scritti, tutti interamenti perduti e noti soltanto per le citazioni che ne fa Galeno.


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Archimede matematico e fisico

I risultati scientifici di Archimede possono essere esposti descrivendo prima il contenuto delle opere conservate[49] e poi le testimonianze sui lavori perduti.
Opere conservate
La misura del cerchio

Screenshot_2023-03-17_at_19-21-18_Archimede_-_Wikipedia

Metodo di quadratura del cerchio

Già nella Bibbia si suggeriva che il rapporto tra la semicirconferenza e il raggio fosse circa 3[50] e tale approssimazione era accettata universalmente.[51]

Nel breve lavoro La misura del cerchio, Archimede dimostra anzitutto che un cerchio equivale a un triangolo con base di lunghezza eguale a quella della circonferenza e altezza di lunghezza uguale a quella del raggio. Tale risultato è ottenuto approssimando il cerchio, dall'interno e dall'esterno, con poligoni regolari inscritti e circoscritti. Con lo stesso procedimento Archimede espone un metodo con il quale può approssimare quanto più possibile il rapporto, che oggi s'indica con π, tra lunghezza di una circonferenza e diametro di un cerchio dato. Le stime ottenute limitano questo valore fra 22/7 (circa 3,1429) e 223/71 (circa 3,1408).[52][53]
Quadratura della parabola
Procedimento per determinare il massimo triangolo inscritto

Nell'opera Quadratura della parabola (che Archimede dedica a Dositeo) è calcolata l'area di un segmento di parabola, figura delimitata da una parabola e una linea secante, non necessariamente ortogonale all'asse della parabola, trovando che vale i 4/3 dell'area del massimo triangolo in esso inscritto.[54]

Si dimostra che il massimo triangolo inscritto può essere ottenuto mediante un determinato procedimento. Il segmento della secante compreso tra i due punti di intersezione è detto base del segmento di parabola. Si considerano le rette parallele all'asse della parabola passanti per gli estremi della base. Viene poi tracciata una terza retta parallela alle prime due e da loro equidistante.[54]

L'intersezione di quest'ultima retta con la parabola determina il terzo vertice del triangolo. Sottraendo al segmento di parabola il massimo triangolo inscritto si ottengono due nuovi segmenti di parabola, nei quali si possono inscrivere due nuovi triangoli. Iterando il procedimento si riempie il segmento di parabola con infiniti triangoli.[54]

L'area richiesta è ottenuta calcolando le aree dei triangoli e sommando gli infiniti termini ottenuti. Il passo finale si riduce alla somma della serie geometrica di ragione 1/4:

∑ n = 0 ∞ 4 − n = 1 + 4 − 1 + 4 − 2 + 4 − 3 + ⋯ = 4 3 . \sum _{{n=0}}^{\infty }4^{{-n}}=1+4^{{-1}}+4^{{-2}}+4^{{-3}}+\cdots ={4 \over 3}\;.

È questo il primo esempio conosciuto di somma di una serie.[55][56] All'inizio dell'opera è introdotto quello che oggi è chiamato Assioma di Archimede.[57]

Dimostrazione della quadratura della parabola

Dimostrazione della quadratura della parabola

Dato un segmento di parabola delimitato dalla secante AC, si inscrive un primo triangolo massimo ABC.

Nei 2 segmenti di parabola AB e BC si inscrivono altri 2 triangoli ADB e BEC.

Si prosegue nello stesso modo per i 4 segmenti di parabola AD, DB, BE e EC formando i triangoli AFD, DGB, BHE e EIC.

Sfruttando le proprietà della parabola si dimostra che l'area del triangolo ABC è pari a 4 volte l'area di ADB + BEC e che: A D B + B E C = 4 ( A F D + D G B + B H E + E I C ) ADB+BEC=4(AFD+DGB+BHE+EIC)

Ogni passaggio aggiunge all'area del triangolo 1/4 dell'area del precedente.

A questo punto basta mostrare che il poligono che si costruisce in questo modo approssima effettivamente il segmento di parabola e che la somma della serie delle aree dei triangoli è uguale a 4/3 del primo triangolo.[58]
Sull'equilibrio dei piani ovvero: sui centri di gravità dei piani

Sull'equilibrio dei piani ovvero: sui centri di gravità dei piani, opera in due libri, è il primo trattato di statica a noi pervenuto. Archimede vi enuncia un insieme di postulati su cui basa la nuova scienza e dimostra la legge della leva. I postulati definiscono anche, implicitamente, il concetto di baricentro, la cui posizione viene determinata nel caso di diverse figure geometriche piane.[59]
Sulle spirali

Ne Sulle spirali, che è tra le sue opere principali, Archimede definisce con un metodo cinematico ciò che oggi è chiamata spirale di Archimede e ottiene due risultati di grande importanza. In primo luogo calcola l'area del primo giro della spirale, con un metodo che anticipa l'integrazione di Riemann.[60] Riesce poi a calcolare in ogni punto della curva la direzione della tangente, anticipando metodi che saranno impiegati nella geometria differenziale. Definizione di Archimede della spirale: una retta che ha un'estremità fissata ruota uniformemente; su di essa si muove di moto uniforme un punto: la curva descritta da questo punto sarà la spirale.[61]
Della sfera e del cilindro

I principali risultati di Della sfera e del cilindro, opera in due libri, sono che l'area della superficie della sfera è quattro volte l'area del suo cerchio massimo e che il volume della sfera è due terzi del volume del cilindro circoscritto.

Secondo una tradizione trasmessa da Plutarco e Cicerone, Archimede era così fiero di quest'ultimo risultato che volle fosse posta sulla sommità della sua tomba una sfera con un cilindro.[62]
Sui conoidi e sferoidi

Nell'opera Sui conoidi e sferoidi Archimede definisce ellissoidi, paraboloidi e iperboloidi di rotazione, ne considera segmenti ottenuti sezionando tali figure con piani e ne calcola i volumi.
Sui corpi galleggianti
Il principio di Archimede sul galleggiamento dei corpi

Sui corpi galleggianti è una delle principali opere di Archimede, con essa viene fondata la scienza dell'idrostatica. Nel primo dei due libri dell'opera si enuncia un postulato dal quale viene dedotto come teorema quello che oggi è impropriamente chiamato il principio di Archimede. Oltre a calcolare le posizioni di equilibrio statico dei galleggianti, si dimostra che in condizioni di equilibrio l'acqua degli oceani assume una forma sferica. Sin dall'epoca di Parmenide gli astronomi greci sapevano che la Terra avesse forma sferica, ma qui per la prima volta essa viene dedotta da principi fisici.[63]

Il secondo libro studia la stabilità dell'equilibrio di segmenti di paraboloide galleggianti. Il problema era stato scelto per l'interesse delle sue applicazioni alla tecnologia navale, ma la soluzione ha anche un grande interesse matematico. Archimede studia la stabilità al variare di due parametri, un parametro di forma e la densità, e determina valori di soglia di entrambi i parametri che separano le configurazioni stabili da quelli instabili. Per E.J. Dijksterhuis si tratta di risultati "decisamente al di là del confine della matematica classica".[64]
Arenario

«Alcuni pensano, o re Gelone, che il numero dei granelli di sabbia sia infinito in quantità: non intendo soltanto la sabbia che si trova nei dintorni di Siracusa e del resto della Sicilia, ma anche quella che si trova in ogni altra regione, abitata o deserta. Altri ritengono che questo numero non sia infinito, ma che non possa esistere un numero esprimibile e che superi questa quantità di sabbia.»
(Incipit dell'Arenario)

Nell'Arenario (vedi in fondo link per la traduzione italiana), indirizzato a Gelone II, Archimede si propone di determinare il numero di granelli di sabbia che potrebbero riempire la sfera delle stelle fisse. Il problema nasce dal sistema greco di numerazione, che non permette di esprimere numeri così grandi. L'opera, pur essendo la più semplice dal punto di vista delle tecniche matematiche tra quelle di Archimede, ha vari motivi di interesse. Innanzitutto vi s'introduce un nuovo sistema numerico, che virtualmente permette di generare numeri comunque grandi. Il più grande numero nominato è quello che oggi si scrive 108•1016. Il contesto astronomico giustifica poi due importanti digressioni. La prima riferisce la teoria eliocentrica di Aristarco ed è la principale fonte sull'argomento; la seconda descrive un'accurata misura della grandezza apparente del Sole, fornendo una rara illustrazione dell'antico metodo sperimentale.[65] Va tuttavia notato che la contestazione delle tesi eliocentriche aristarchee è soprattutto geometrica, non astronomica, perché pure assumendo di fatto che il cosmo sia una sfera con la Terra al centro, Archimede precisa che il centro della sfera non possiede grandezza e non può avere alcun rapporto con la superficie; libro I, cap. 6.
1° postulato sull'equilibrio della leva fatto da Archimede

Dal punto di vista scientifico, le dimostrazioni proposte da Archimede sulle leve, sono alquanto innovative. Infatti, lo scienziato siceliota adotta un metodo rigorosamente deduttivo basato sulla meccanica dell'equilibrio dei corpi solidi. Per farlo dimostra le sue tesi e i suoi concetti di equilibrio e baricentro per mezzo della teoria delle proporzioni e con termini geometrici. Da questi studi venne postulata la 1° legge sull'equilibrio della leva[66]:

«Corpi di peso uguali sono in equilibrio quando la loro distanza dal fulcro dei bracci della leva è uguale, nel caso di pesi disuguali questi non saranno in equilibrio»




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Principio di leva
Il disegno illustra il principio della leva
(LA)

«da mihi ubi consistam, et terram movebo»
(IT)

«Dammi dove appoggiarmi e sposterò la terra!»
(in Pappi Alexandrini Collectionis, a cura di Friedrich Hultsch, Berlino, 1878, vol. III, Liber Octavus, Problema VI, Propositio X, p. 1061)

Partendo dall'idea di una bilancia, composta da un segmento e da un fulcro, cui sono appesi due corpi in equilibrio, si può affermare che il peso dei due corpi è direttamente proporzionale all'area e al volume dei corpi stessi. Secondo la leggenda Archimede avrebbe detto: "Datemi una leva e vi solleverò il mondo"[67] dopo aver scoperto la seconda legge sulle leve. Utilizzando leve vantaggiose, infatti, è possibile sollevare carichi pesanti con una piccola forza d'applicazione, secondo la legge:

P : R = b R : b P {\displaystyle P:R=b_{R}:b_{P}}

dove P P è la potenza e R R la resistenza, mentre b P {\displaystyle b_{P}} e b R {\displaystyle b_{R}} sono i rispettivi bracci d'azione.[68][69]
Il metodo

Il breve lavoro Il metodo sui problemi meccanici, perduto almeno dal Medioevo, fu letto per la prima volta nel famoso palinsesto trovato da Heiberg nel 1906, poi di nuovo perduto, probabilmente trafugato da un monaco nel corso di un trasferimento di manoscritti, e ritrovato nel 1998.[70] Esso consente di penetrare nei procedimenti usati da Archimede nelle sue ricerche. Rivolgendosi a Eratostene, spiega di usare due metodi nel suo lavoro.[71]

«Dato che so che sei abile e un eccellente maestro di filosofia e che non ti tiri indietro di fronte a problemi matematici che ti si presentano, ho pensato di esporti per iscritto e illustrarti in questo stesso libro un metodo di natura particolare, grazie al quale sarai in grado di venire a capo di problemi matematici grazie alla meccanica. Sono convinto che questo metodo sia utile per trovare le dimostrazioni dei teoremi; infatti alcune cose che inizialmente ho trovato grazie al metodo meccanico, le ho poi dimostrate geometricamente, perché lo studio con questo metodo non fornisce una dimostrazione effettiva»
(Estratto della lettera di Archimede a Eratostene[72])

Una volta individuato il risultato, per dimostrarlo formalmente usava quello che poi fu chiamato metodo di esaustione, del quale si hanno molti esempi in altre sue opere. Tale metodo non forniva però una chiave per individuare i risultati. A tale scopo Archimede si serviva di un "metodo meccanico", basato sulla sua statica e sull'idea di dividere le figure in un numero infinito di parti infinitesime. Archimede considerava questo metodo non rigoroso ma, a vantaggio degli altri matematici, fornisce esempi del suo valore euristico nel trovare aree e volumi; ad esempio, il metodo meccanico è usato per individuare l'area di un segmento di parabola.[71]

Il metodo possiede anche delle connotazioni filosofiche in quanto si pone il problema di considerare, come un vincolo necessario, l'applicazione della matematica alla fisica. Archimede utilizzava l'intuito per ottenere risultati meccanici immediati e innovativi, che poi però si impegnava nel dimostrarli rigorosamente da un punto di vista geometrico.[73]
Frammenti e testimonianze su opere perdute
Stomachion
Stomachion è un puzzle a dissezione contenuto nel Palinsesto di Archimede

Lo stomachion è un puzzle greco simile al tangram, a cui Archimede dedicò un'opera di cui restano due frammenti, uno in traduzione araba, l'altro contenuto nel Palinsesto di Archimede. Analisi effettuate nei primi anni duemila hanno permesso di leggerne nuove porzioni, che chiariscono che Archimede si proponeva di determinare in quanti modi le figure componenti potevano essere assemblate nella forma di un quadrato.[74] È un difficile problema nel quale gli aspetti combinatori s'intrecciano con quelli geometrici.
Il problema dei buoi

Il problema dei buoi è costituito da due manoscritti che presentano un epigramma nel quale Archimede sfida i matematici alessandrini a calcolare il numero di buoi e vacche degli Armenti del Sole risolvendo un sistema di otto equazioni lineari con due condizioni quadratiche. Si tratta di un problema diofanteo espresso in termini semplici, ma la sua soluzione più piccola è costituita da numeri con 206 545 cifre.[75]

La questione è stata affrontata sotto un diverso punto di vista nel 1975 da Keith G. Calkins,[76] ripreso successivamente nel 2004 da Umberto Bartocci e Maria Cristina Vipera, due matematici dell'Università di Perugia.[77] Si fa l'ipotesi che un "piccolo" errore di traduzione del testo del problema abbia reso "impossibile" (alcuni sostengono che tale era l'intenzione di Archimede[78]) un quesito che, formulato in maniera leggermente diversa, sarebbe stato invece affrontabile con i metodi della matematica del tempo.

Secondo Calogero Savarino, non di un errore di traduzione del testo si tratterebbe, bensì di una cattiva interpretazione, o di una combinazione delle due possibilità.[79]
Libro dei lemmi

Il Libro dei lemmi è pervenuto attraverso un testo arabo corrotto. Esso contiene una serie di lemmi geometrici il cui interesse è menomato dall'ignoranza odierna del contesto in cui erano usati.[80]
Catottrica

Archimede aveva scritto Catottrica, un trattato, di cui si hanno informazioni indirette, sulla riflessione della luce. Apuleio sostiene che era un'opera voluminosa che trattava, tra l'altro, dell'ingrandimento ottenuto con specchi curvi, di specchi ustori e dell'arcobaleno[81]. Secondo Olimpiodoro il Giovane vi era studiato anche il fenomeno della rifrazione.[82] Uno scolio alla Catottrica pseudo-euclidea attribuisce ad Archimede la deduzione delle leggi della riflessione dal principio di reversibilità del cammino ottico; è logico pensare che in quest'opera vi fosse anche questo risultato.[83]
Poliedri semiregolari
Un poliedro archimedeo, il dodecaedro camuso

In un'opera perduta, di cui fornisce informazioni Pappo,[84] Archimede aveva descritto la costruzione di tredici poliedri semiregolari, che ancora sono detti poliedri archimedei (nella terminologia moderna i poliedri archimedei sono quindici poiché vi s'includono anche due poliedri che Archimede non aveva considerato, quelli chiamati impropriamente prisma archimedeo e antiprisma archimedeo).
Formula di Erone

La formula di Erone, che esprime l'area di un triangolo a partire dai lati, è così chiamata perché è contenuta nei Metrica di Erone di Alessandria, ma secondo la testimonianza di al-Biruni il vero autore sarebbe Archimede, che l'avrebbe esposta in un'altra opera perduta.[85] La dimostrazione trasmessa da Erone è particolarmente interessante perché un quadrato vi viene elevato al quadrato, un procedimento strano nella matematica greca, in quanto l'ente ottenuto non è rappresentabile nello spazio tridimensionale.
Il Libro di Archimede

Thābit ibn Qurra presenta come Libro di Archimede un testo in lingua araba tradotto da J. Tropfke.[86] Tra i teoremi contenuti in quest'opera appare la costruzione di un ettagono regolare, un problema non risolubile con riga e compasso.
Altre opere

Un passo di Ipparco in cui si citano determinazioni dei solstizi compiute da Archimede, trasmesso da Tolomeo, fa pensare che egli avesse scritto anche opere di astronomia.[87] Pappo, Erone e Simplicio gli attribuiscono vari trattati di meccanica e diversi titoli di opere di geometria sono trasmessi da autori arabi. Il libro sulla costruzione di un orologio ad acqua meccanico, preservato solo in traduzione araba e attribuito allo pseudo-Archimede, è in realtà probabilmente opera di Filone di Bisanzio.




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Il Palinsesto di Archimede
Lo stesso argomento in dettaglio: Palinsesto di Archimede.
Una pagina distesa del Palinsesto di Archimede. Il manoscritto di Archimede è visibile come un testo più tenue scritto dall'alto in basso; il testo del libro di preghiere è visibile sovrascritto perpendicolarmente su due pagine separate dalla cucitura alla piega centrale.

Il Palinsesto di Archimede è un codice pergamenaceo medioevale, contenente nella scrittura sottostante alcune opere dello scienziato siracusano. Nel 1906, il professore danese Johan Ludvig Heiberg esaminando a Costantinopoli 177 fogli di pergamena di pelle di capra, contenenti preghiere del XIII secolo (il palinsesto), scoprì che vi erano in precedenza degli scritti di Archimede. Secondo una pratica molto diffusa all'epoca, a causa del costo elevato della pergamena, dei fogli già scritti furono raschiati per riscriverci sopra altri testi, riutilizzando il supporto. Si conosce il nome dell'autore dello scempio: Johannes Myronas, che finì la riscrittura delle preghiere il 14 aprile del 1229.[88] Il palinsesto trascorse centinaia di anni in una biblioteca del monastero di Costantinopoli prima di essere trafugato e venduto a un collezionista privato nel 1920. Il 29 ottobre 1998 è stato venduto all'asta da Christie's a New York a un acquirente anonimo per due milioni di dollari.[89]

Il codice contiene sette trattati di Archimede, tra cui l'unica copia superstite in greco (bizantino) di Sui corpi galleggianti e l'unica del Metodo dei teoremi meccanici, nominato nella Suida, che si riteneva fosse andato perduto per sempre. Anche lo Stomachion è stato identificato nelle pagine, con un'analisi più precisa. Il palinsesto è stato studiato presso il Walters Art Museum di Baltimora, nel Maryland, dove è stato sottoposto a una serie di test moderni, compreso l'uso di raggi ultravioletti e raggi X per poterne leggere il testo sottostante.[90] Al termine del lavoro Reviel Netz, William Noel, Natalie Tchernetska e Nigel Wilson pubblicarono The Archimedes Palimpsest (2011) in due volumi: il primo volume è prevalentemente codicologico, descrivendo i manoscritti, le loro vicende, le tecniche usate nel recupero e la presentazione dei testi; il secondo volume contiene, a pagine affiancate, la pagina distesa fotografata del codice con la trascrizione del testo greco e la traduzione inglese. Le pagine del palinsesto sono disponibili in rete come immagini fotografiche, ma di quasi impossibile lettura.

I trattati di Archimede contenuti nel Palinsesto sono: Sull'equilibrio dei piani, Sulle spirali, Misura di un cerchio, Sulla sfera e sul cilindro, Sui corpi galleggianti, Metodo dei teoremi meccanici e Stomachion. Il palinsesto contiene ancora due orazioni di Iperide (Contro Dionda e Contro Timandro), un commento alle Categorie di Aristotele (probabilmente una parte del commento Ad Gedalium di Porfirio[91]) e, di autori ignoti, una Vita di san Pantaleone, due altri testi e un Menaion, un testo della chiesa orientale per festività non dipendenti dalla Pasqua.
La tradizione del corpus archimedeo
Inizio del Circuli dimensio
Opere di Archimede (Archimedous Panta Sozomena), Parigi, 1615

In effetti l'avvincente storia del palinsesto è solo uno degli aspetti della tradizione del corpus delle opere di Archimede, ovvero del processo attraverso il quale le sue opere sono giunte fino a noi.

Bisogna cominciare con l'osservare che già nell'Antichità i suoi testi più avanzati non godettero di grande considerazione, al punto che Eutocio (VI sec. d.C.) sembra non conoscere né la Quadratura della parabola né le Spirali. All'epoca di Eutocio infatti pare fossero in circolazione solo i due libri del Sulla sfera e il cilindro, la Misura del cerchio e i due libri dell'Equilibrio dei piani. In effetti gli Arabi non sembrano aver conosciuto molto di più o di diverso dell'opera di Archimede, tanto che nel Medioevo latino l'unico testo archimedeo in circolazione saranno varie versioni della Misura del cerchio tradotte dall'arabo.

Diversa la situazione nel mondo greco: nel IX secolo, per opera di Leone il matematico vengono allestiti a Costantinopoli almeno tre codici contenenti opere di Archimede: il codice A, il codice ฿ (b 'gotico') e il codice C, quello destinato poi a divenire un palinsesto nell'XI secolo. A e ฿ si trovavano nella seconda metà del XIII secolo nella biblioteca della corte papale di Viterbo: Guglielmo di Moerbeke li utilizzò per la sua traduzione dell'opera di Archimede eseguita nel 1269. La traduzione di Guglielmo è oggi conservata nel ms. Ottob. Lat. 1850 della Biblioteca vaticana dove fu scoperta da Valentin Rose nel 1882. Il codice ฿ (che era il solo, oltre al codice C a contenere il testo greco dei Galleggianti) andò perduto dopo il 1311. Diversa sorte ebbe il codice A: nel corso del Quattrocento finì prima in possesso del cardinale Bessarione che ne fece trarre una copia, oggi conservata alla Biblioteca nazionale Marciana di Venezia; poi dell'umanista piacentino Giorgio Valla che pubblicò alcuni brevi excerpta del commento di Eutocio nella sua enciclopedia De expetendis et fugiendis rebus opus, pubblicata postuma a Venezia nel 1501. Copiato varie altre volte, il codice A finì in possesso del cardinale Rodolfo Pio; venduto alla sua morte (1564) non è più stato rintracciato.

Tuttavia, le numerose copie che di esso restano (e in particolare il ms. Laurenziano XXVIII,4, fatto copiare da Poliziano per Lorenzo de Medici con assoluta fedeltà all'antico modello del IX secolo) hanno permesso al grande filologo danese Johan Ludvig Heiberg di ricostruire questo importante codice perduto (l'edizione definitiva di Heiberg del corpus è del 1910–15).

Un discorso a parte merita la traduzione eseguita a metà del Quattrocento da Iacopo da San Cassiano. Sulla scia di Heiberg, fin qui si riteneva che Iacopo avesse tradotto utilizzando il codice A. Più recenti studi[92] hanno invece dimostrato che Iacopo si servì di un modello indipendente da A. La sua traduzione viene così a costituire un quarto ramo della tradizione archimedea, insieme con A, ฿, e il palinsesto C.






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Il ruolo di Archimede nella storia della scienza
Lo stesso argomento in dettaglio: Scienza greco-romana e Metodo scientifico.
Ritratto ideale di Archimede

L'opera di Archimede rappresenta uno dei punti massimi dello sviluppo della scienza nell'antichità. In essa, la capacità di individuare insiemi di postulati utili a fondare nuove teorie si unisce con la potenza e originalità degli strumenti matematici introdotti, con un interesse maggiore verso i fondamenti della scienza e della matematica. Plutarco racconta infatti che Archimede fu convinto dal re Gerone a dedicarsi agli aspetti più applicativi e a costruire macchine, di carattere principalmente bellico, per aiutare più concretamente lo sviluppo e la sicurezza della società.[93] Archimede si dedicò alla matematica, alla fisica e all'ingegneria, in un'epoca in cui le divisioni fra queste discipline non erano nette come oggi, ma in cui comunque, secondo la filosofia platonica, la matematica doveva avere un carattere astratto e non applicativo come nelle sue invenzioni.[93] I lavori di Archimede costituirono quindi per la prima volta una importante applicazione delle leggi della geometria alla fisica, in particolare alla statica e all'idrostatica.[94]

Nell'antichità Archimede e le sue invenzioni furono descritte con meraviglia e stupore dagli autori classici greci e latini, come Cicerone, Plutarco e Seneca. Grazie a questi racconti nel tardo Medioevo e all'inizio dell'era moderna, un grande interesse mosse la ricerca e il recupero delle opere di Archimede, trasmesse e talvolta perdute durante il medioevo per via manoscritta.[93] La cultura romana rimase quindi impressionata per lo più dalle macchine di Archimede piuttosto che dai suoi studi matematici e geometrici, al punto che lo storico della matematica Carl Benjamin Boyer si spinse ad affermare in modo più che pungente che la scoperta della tomba di Archimede da parte di Cicerone è stato il maggior contributo, forse l'unico, dato alla matematica dal mondo romano.[95]

Piero della Francesca,[96] Stevino, Galileo, Keplero, e altri fino Newton, studiarono, ripresero ed estesero in maniera sistematica gli studi scientifici di Archimede, in particolare riguardo al calcolo infinitesimale.

L'introduzione del moderno metodo scientifico di studio e verifica dei risultati ottenuti fu ispirato da Galileo al metodo con cui Archimede portava avanti e dimostrava le sue intuizioni. Inoltre lo scienziato pisano trovò il modo di applicare i metodi geometrici simili a quelli di Archimede per descrivere il moto accelerato di caduta dei corpi, riuscendo finalmente a superare la descrizione della fisica dei soli corpi statici sviluppata dalla scienziato siracusano.[97] Galileo stesso nei suoi scritti definiva Archimede "il mio maestro", tanta era la venerazione per i suoi lavori e il suo lascito.[98]

Lo studio delle opere di Archimede, impegnò perciò a lungo gli studiosi della prima età moderna e costituì un importante stimolo allo sviluppo della scienza come è intesa oggi. L'influenza di Archimede negli ultimi secoli (ad esempio quella sullo sviluppo di un'analisi matematica rigorosa) è oggetto di valutazioni discordi da parte degli studiosi.
In onore di Archimede
La medaglia Fields
Arte

Nel celebre affresco di Raffaello Sanzio, La scuola di Atene, Archimede viene disegnato intento a studiare la geometria. Le sue sembianze sono di Donato Bramante.

Il poeta tedesco Schiller ha scritto la poesia Archimede e il giovinetto.
Statua di Archimede a Siracusa

L'effigie di Archimede compare anche su francobolli emessi dalla Germania dell'Est (1973), dalla Grecia (1983), dall'Italia (1983), dal Nicaragua (1971), da San Marino (1982), e dalla Spagna (1963).[99]

Il gruppo rock progressivo italiano, Premiata Forneria Marconi all'interno dell'album Stati di immaginazione ha dedicato l'ultimo brano allo scienziato col titolo Visioni di Archimede nel cui video si ripercorrono la vita e le sue invenzioni.[100]

Archimede è il protagonista del romanzo Il matematico che sfidò Roma di Francesco Grasso (Edizioni 0111, Varese, 2014).
Scienza

Il 14 marzo si festeggia in tutto il mondo il pi greco day, in quanto nei paesi anglosassoni corrisponde al 3/14. In quel giorno vengono organizzati concorsi di matematica e ricordati anche i contributi di Archimede, che di pi greco dette la prima stima accurata. In onore di Archimede sono stati nominati sia il cratere lunare Archimede sia l'asteroide 3600 Archimede.[101]

Nella medaglia Fields, massima onorificenza per matematici, vi è nel verso della medaglia il ritratto di Archimede con iscritta una frase a lui attribuita: Transire suum pectus mundoque potiri,[102] una cui traduzione può essere la seguente: "Elevarsi al di sopra di sé stessi e conquistare il mondo".
Tecnologia

È stata progettata e costruita in Sicilia la Archimede solar car 1.0, un'automobile a propulsione solare.[103]

È stato realizzato il Progetto Archimede, una centrale solare presso Priolo Gargallo che utilizza una serie di specchi per produrre energia elettrica.
Musei e monumenti

A Siracusa è stata eretta una statua in onore dello scienziato e il Tecnoparco Archimede, un'area in cui sono state riprodotte le invenzioni.

Un'altra statua di Archimede è al Treptower Park di Berlino.

Ad Archea Olympia in Grecia c'è un Museo dedicato ad Archimede.[104]





fonte https://it.wikipedia.org/wiki/Archimede#Il...a_della_scienza

 
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Butade di Sicione


Butade (in greco antico: Βουτάδης, Boutades) Sicionide, a volte erroneamente chiamato Dibutades (forse un patronimico), (Sicione, ... – ...; fl. VII-VI secolo a.C.) fu uno scultore, coroplasta, ceramista e vasaio greco antico, reputato come l'inventore dell'arte di modellare l'argilla in rilievo, che un incidente lo portò inizialmente a praticare, insieme alla figlia, a Corinto. Il periodo in cui fiorì è sconosciuto, ma è stato collocato intorno al 600 a.C..


Biografia
La storia di Butades, raccontata da Plinio, presenta sua figlia, Cora di Sicione, innamorata di un coetaneo a Corinto, dove vivevano, che disegnò sul muro il profilo della sua ombra, e su questo profilo Butades modellò un volto del giovane in creta, dopodiché lo cosse insieme alle tegole di creta del suo mestiere. Questo modello fu conservato nel Ninfeo di Corinto fino a quando Lucio Mummio occupò quella città nel 146 a.C., e si distrusse durante un incendio. Questo incidente portò Butades ad ornare le estremità ai bordi delle tegole di gronda con maschere di volti umani, dapprima in bassorilievo (protypa), poi in altorilievo (ectypa), una pratica attestata da numerosi esempi esistenti. Plinio prosegue scrivendo che Butades ha ideato la colorazione delle opere plastiche aggiungendovi un colore rosso (dai lavori esistenti di questo tipo sembra che fosse sabbia rossa, o modellandole con il gesso rosso).[1] Si dice anche che abbia inventato una miscela di argilla e ocra rossa, o che abbia introdotto l'uso di un tipo speciale di argilla rossa.[2] Plinio aggiunge: «Hine et fastigia templorum orta», cioè che le figure di terracotta realizzate da Butades, servivano per ornare i frontoni dei templi.





...................................................................................





Calliroe (artista)


Calliroe (in greco antico: Καλλιῤῥόη, Kallirrhoē; in latino: Callirrhoe) o Cora (Κόρα, Kora) Sicionide[1] (Sicione, fl. circa VII-VI secolo a.C.[1]) fu una artista greca antica, pittrice e scultrice, figlia e discepola di Butade (per questo detta anche Dibutade), ceramista e scultore.
La leggenda della figlia di Butade, dipinto parietale del pittore tedesco Johann Georg Hiltensperger, presente a San Pietroburgo, presso il Museo Ermitage, come parte di un immenso ciclo pittorico noto come Storia della pittura nell'antichità (1845—1848) lungo le gallerie del museo.

È considerata la prima artista in quanto tale di cui ci siano testimonianze oggettive.[1]

È accreditata, assieme al padre, come l'inventrice del rilievo.[2]

Biografia e mitografia

Plinio racconta nella sua Storia naturale[3] che Calliroe ebbe l'intuizione di tracciare col carboncino l'ombra del suo amante (in base a come viene rappresentato, forse un pastore-guerriero, com'era consuetudine all'epoca per un soldato greco benestante possedere e proteggere degli armenti da pascolo), disegnandone così il profilo riflesso su una parete dalla luce, di una lampada lì accanto. Gli antichi Greci considerano questa l'origine della pittura.[2][4][5]

Suo padre applicò l'argilla a quelle stesse linee d'ombra, conservandone i contorni, e poi riscaldò questo profilo di terra: così ebbe origine la scultura in rilievo.[2] Questo lavoro fu considerato il primo rilievo ceramico, e fu conservato come dono per circa 200 anni presso il Ninfeo di Corinto prima di esser distrutto da un incendio, quando i Romani sotto Lucio Mummio saccheggiarono la città nel 146 a.C.[2]
Nella cultura popolare
Il mito di Calliroe ha impressionato tanto i posteri, ed è stato rappresentato molte volte nella storia dell'arte, in particolare da Jean-Baptiste Regnault ne L'origine della pittura.


Screenshot_2023-03-25_at_09-42-39_Calliroe__artista__-_Wikipedia





fonte https://it.wikipedia.org/wiki/Calliroe_(artista)

 
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Ctesibio



Ctesibio (in greco antico: Κτησίβιος; ... – Alessandria d'Egitto, ...; fl. III secolo a.C.) è stato un ingegnere e inventore greco antico, inventore della pompa, dell'organo a canne e dell'orologio ad acqua, fondatore della pneumatica e iniziatore della scuola dei meccanici alessandrini.


Biografia

Fu attivo ad Alessandria nel III secolo a.C. La datazione non è nota con esattezza (nonostante si trovino in genere date precise senza fonti). Sulla base di tutte le testimonianze esistenti J. Perrot ha datato la sua attività tra i regni di Tolomeo II e Tolomeo III:[1] regni che coprono il periodo compreso tra il 283 a.C. e il 221 a.C., nonostante Ateneo lo collochi nel secolo successivo, all'epoca del secondo Evergete (Tolomeo VIII)[2].

Vitruvio riferisce che era di origini modeste. Figlio di un barbiere, da ragazzo avrebbe manifestato le sue capacità inventive progettando uno specchio ad altezza regolabile, grazie a un contrappeso, per la bottega del padre[3]. Ateneo fornisce l'informazione che aveva vissuto ad Aspenda, un sobborgo di Alessandria, ed era poi divenuto molto famoso.

Diogene Laerzio, nella sezione della sua opera dedicata ad Arcesilao, racconta un aneddoto su un Ctesibio miserabilmente povero. Anche se intendeva riferirsi realmente al nostro scienziato, l'aneddoto non è credibile. La fama di Ctesibio, acquistata anche grazie alla progettazione di armi e di macchine di uso pubblico[4], unita alla ben nota larghezza con cui i primi Tolomei finanziavano la ricerca, non permettono di dubitare che avesse raggiunto una posizione prestigiosa. Non a caso Filone di Bisanzio, che era stato tra i suoi allievi e lo cita ripetutamente, sottolinea che i primi meccanici (tra i quali, come è abbastanza chiaro dal contesto, deve intendersi incluso il maestro) avevano avuto il vantaggio di vivere sotto re che amavano la fama e sostenevano le arti[5].

Si è anche ipotizzato che Ctesibio possa aver diretto il Museo di Alessandria, ma non esiste alcuna documentazione che supporti questa congettura. Un passo di Filone che descrive esperimenti compiuti dal maestro a beneficio dei suoi allievi[6] non lascia tuttavia dubbi sul fatto che avesse creato una scuola (in realtà la scuola dei meccanici alessandrini, che gli sarebbe sopravvissuta a lungo) e sembra logico pensare che la sua attività di ricerca e insegnamento si svolgesse nell'ambito del Museo.
Opere e contributi scientifici

Ctesibio aveva scritto diverse opere, ormai tutte perdute. Un'opera dal titolo generico Memorie (Ὑπομνήματα) è citata da Ateneo Meccanico, che ne riporta un frammento[7] e da Vitruvio, che ne traduce il titolo in latino con Commentarii[8]. Essa conteneva la descrizione di vari apparecchi basati sulla pneumatica, ossia sull'uso della pressione dell'aria e dell'acqua. A giudizio di Vitruvio si trattava sia di strumenti utili, come orologi e pompe, sia di oggetti puramente ludici, come automi e apparecchi che imitavano il canto degli uccelli. Un'altra opera, dedicata all'organo idraulico, è citata da Ateneo[9]. La Belopoeica di Erone di Alessandria (ossia la sua opera sulle armi da getto) dipende strettamente da uno scritto di Ctesibio sullo stesso argomento, come è dimostrato sia da un'analisi del contenuto sia dal nome di Ctesibio presente nel titolo dell'opera accanto a quello di Erone [10] Non sappiamo se l'opera sulle armi usata da Erone fosse un'opera autonoma o una sezione delle Memorie già citate.

Filone di Bisanzio[11], a proposito delle proprietà di elasticità dell'aria, cita un'altra opera dal titolo Dimostrazioni pneumatiche ( πνευματικὰ θεωρήματα), che presumibilmente aveva un carattere più teorico. Che Ctesibio nei suoi scritti non si limitasse a descrizioni di apparecchi, ma affrontasse anche argomenti teorici sembra d'altra parte testimoniato anche da Vitruvio, quando afferma che le sue opere, come quelle di Archimede, erano comprensibili solo a coloro che avevano studiato la filosofia della natura.[12].

Tutti gli antichi autori che si occupano dell'argomento sono concordi nel considerarlo il fondatore della pneumatica. Certamente nelle ricerche inquadrate sotto questo nome si era occupato della pressione dell'acqua e dell'aria. Negli studi sull'elasticità aveva poi esteso tale concetto, fino ad allora usato per materiali evidentemente flessibili, come il legno o le fibre animali, all'aria e alle leghe metalliche[13]. L'invenzione dell'organo e le testimonianze sugli effetti acustici da lui progettati lasciano intravedere anche un interesse per l'acustica.

Certamente Filone di Bisanzio ed Erone di Alessandria attingono largamente a lui nelle loro opere sulla pneumatica e sulla costruzione di automi, come è dimostrato dal confronto tra alcuni apparecchi da loro descritti e quelli che Vitruvio esplicitamente attribuisce a Ctesibio.
Realizzazioni tecnologiche
La pompa

Una delle più importanti e durature invenzioni di Ctesibio è la pompa per il sollevamento dell'acqua. La macchina è descritta da Vitruvio, che ne attribuisce la paternità a Ctesibio[14], e da Erone, che omette di citare l'autore[15]. La pompa è costituita da due cilindri di bronzo nei quali, mediante un'asta girevole, vengono alternativamente alzati e abbassati due pistoni a tenuta. Entrambi i cilindri comunicano con un tubo verticale. Azionando la pompa nell'acqua, questa riempie i cilindri quando i pistoni corrispondenti si alzano, mentre quando si abbassano, grazie alla chiusura di opportune valvole, che le impediscono di rifluire nell'altro cilindro, è costretta a salire nel tubo.

I due ingredienti essenziali di questo congegno, la coppia cilindro-pistone e la valvola sono due elementi tecnologici di grande importanza, entrambi senza precedenti documentati e entrambi usati ancora oggi. Naturalmente la realizzazione di questa pompa richiedeva sia un livello avanzato delle tecniche di molatura, necessarie per assicurare la perfetta aderenza tra pistoni e cilindri, sia l'uso di un olio lubrificante (che Vitruvio menziona). I ritrovamenti archeologici di pompe di questo tipo dimostrano quanto fossero ancora usate in epoca imperiale[16].
L'orologio ad acqua
Schema di funzionamento dell'orologio ad acqua di Ctesibio

Un antico strumento usato per rendersi conto del trascorrere del tempo era la clessidra ad acqua, risalente all'Egitto faraonico: si trattava di un contenitore con un piccolo foro sul fondo che veniva riempito di acqua. Il livello dell'acqua contenuta dava un'idea del tempo trascorso. Ctesibio trasformò questo apparecchio nell'orologio idraulico, ossia in un vero strumento di misura, grazie a vari accorgimenti, che sono descritti da Vitruvio[17]. L'idea essenziale fu quella di rendere costante la pressione presente al foro di uscita, lasciando defluire l'acqua da un recipiente in cui il livello dell'acqua era mantenuto costante. Il deflusso d'acqua, che dipende dalla pressione, diveniva così anch'esso costante.

La soluzione adottata mostra che alcuni dei concetti che saranno formalizzati da Archimede nel suo trattato Sui galleggianti erano già acquisiti. Un secondo problema era rappresentato dalle variazioni della superficie del foro d'uscita dovute a corrosioni o a formazioni calcaree. Per evitarle Ctesibio realizzava il foro in oro o in una gemma. Il tempo non era poi mostrato direttamente dal livello dell'acqua, ma da una lancetta girevole su un quadrante collegata meccanicamente ad un galleggiante che seguiva il sollevarsi il livello dell'acqua.

Gli orologi potevano includere vari altri meccanismi, come suonerie o automi che entravano in azione a tempi prefissati.
Tecnologia militare

L'elemento più rilevante che emerge dalle testimonianze sulla progettazione di armi da getto è la sperimentazione di nuove forme di energia elastica. Filone di Bisanzio ci informa di due direzioni di queste ricerche. La prima consistette nell'esplorazione delle proprietà elastiche di leghe metalliche e riguardò anche il trattamento dei materiali[18].

La seconda, forse anche più interessante, condusse alla progettazione di una catapulta pneumatica,[19] ossia di un'arma ad aria compressa. L'energia era immagazzinata spingendo pistoni a tenuta in due cilindri. Quando i pistoni, grazie a un meccanismo di sgancio, erano rilasciati, l'aria compressa forniva al proiettile una velocità che, almeno nell'opinione di Filone, era competitiva con quella delle altre catapulte. Filone precisa che la fuoriuscita dei pistoni produceva scintille.
L'organo a canne
Organo idraulico di Ctesibio secondo la descrizione di Erone di Alessandria

Forse la più famosa delle invenzioni di Ctesibio è quella dell'organo, che fu anche il primo strumento musicale a tastiera della storia e anche il primo progettato scientificamente.

Nello strumento, che è descritto sia da Vitruvio[20] che da Erone[21], l'acqua comprime l'aria contenuta in un serbatoio, che è spinta all'interno del somiere. Il serbatoio è continuamente rifornito di aria per mezzo di una o più pompe del tipo già descritto. La funzione dell'acqua è quella di mantenere approssimativamente costante la pressione nel serbatoio durante il funzionamento.

In una variante descritta da Erone la pompa è azionata dalla forza del vento, grazie a un meccanismo simile a quello usato nei mulini a vento.

Ctesibio diede al suo strumento il nome hydraulis (ὕδραυλις), composto con le radici di ὕδωρ (acqua) e αὐλός (flauto), dal quale è derivato l'aggettivo idraulico, usato inizialmente solo per l'organo ed esteso poi ad oggetti senza relazione con la musica.

L'organo fu in seguito migliorato sostituendo il sebatoio ad acqua con un mantice. In epoca imperiale e bizantina entrò in Europa quando l'imperatore bizantino Costantino V regalò uno strumento di questo tipo al re dei Franchi Pipino il Breve.
Note





fonte https://it.wikipedia.org/wiki/Ctesibio

 
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Diade (inventore)



Diade (Tessaglia, IV secolo a.C. – ...) è stato un inventore greco antico al seguito dell'esercito di Alessandro Magno, menzionato da Marco Vitruvio Pollione[1] e da Ateneo Meccanico.
Biografia

Diade era stato allievo di Poleidos, un architetto militare che aveva partecipato all'assedio che Filippo II di Macedonia aveva messo a Bisanzio nel 339 a.C. [2] e che aveva perfezionato la "testuggine arietaria" una macchina usata per espugnare le città assediate.

Invenzioni invece più efficienti sarebbero state quelle di Diade delle torri mobili portatili che potevano essere smontate e trasferite con l'esercito in marcia, di un particolare ordigno per trivellare le mura della città nemica e di una «macchina elevatoria che consent[iva] di passare sulle mura avversarie da pari altezza e ancora del "corvo demolitore" che alcuni chiamano "gru".»[3] Il "corvo", che Diade non considerava molto efficace, molto usato dai greci e dai romani, era di solito costituito di una trave collocata su una torre mobile con alla fine un grosso uncino di ferro a becco con il quale gli assedianti e gli assediati si servivano per agganciare le macchine dei nemici o gli assedianti usavano per sconnettere parte delle mura demolite con gli arieti.[4]

Diade descrive nelle sue opere le caratteristiche costruttive che devono avere le elepoli, ovvero le torri mobili usate per assaltare le mura, che devono essere o di almeno dieci piani e dotate di feritoie oppure di venti piani coperte di cuoio per resistere ai proiettili dei nemici.[3]





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Erone di Alessandria


Erone di Alessandria, chiamato anche Erone il Vecchio (in greco antico: Ἥρων ὁ Ἀλεξανδρεύς, Hérōn ho Alexandréus; I secolo d.C.? – ...),, è stato un matematico, ingegnere e inventore alessandrino, che realizzò l'eolipila e molti altri congegni meccanici. La sua collocazione cronologica non è sicura e oscilla fra il I secolo e il III secolo.

Biografia

Le informazioni riguardo alla vita di Erone sono scarsissime: il secolo in cui visse è stato individuato datando al 13 marzo del 62 d.C. un'eclissi di Luna da lui osservata. Matematico e meccanico, ricoprì la carica di insegnante di materie tecniche nel prestigioso Museo di Alessandria. Attento lettore dei testi di Ctesibio e Filone, Erone studiò accuratamente anche le opere di Euclide e Archimede, traendone notevole frutto. Autore di numerosi trattati, Erone affermerà con vigore la necessità di una preparazione completa, fatta di teoria e pratica. Nelle opere di matematica e geometria (Definitiones, Geometria, Geodaesia, Stereometrica, Mensurae, Metrica), Erone propone brillanti sistemi per risolvere problemi di misurazione, illustra l'invenzione di un metodo per approssimare le radici cubiche e quadrate di numeri che non sono quadrati o cubi perfetti e individua, inoltre, la formula (nota appunto come formula di Erone) per determinare l'area di un triangolo in funzione dei suoi lati. Di particolare spessore sono anche le ricerche di ottica, giunteci attraverso una versione latina della Catottrica, in cui Erone giunge a definire correttamente le leggi della riflessione. Nel trattato sulla Diottra Erone propone l'impiego di una specie di teodolite, da lui inventato; vi è, inoltre, un capitolo sull'astronomia nel quale fornisce il metodo per calcolare la distanza tra due città, Roma e Alessandria, basandosi sulle diverse ore locali in cui è stata osservata un'eclissi lunare.

Erone scrisse anche trattati su specifiche discipline. La Pneumatica, oggi considerata opera di grande spessore, si apre con un'introduzione teorica seguita dalla descrizione di numerosi dispositivi azionati dalla pressione dell'acqua, del vapore, dell'aria compressa. In quest'opera lo studioso alessandrino palesa le sue capacità di inventore, delineando dispositivi quali l'eolipila e la fontana detta di Erone. L'eolipila, o sfera di Eolo mostra come l'energia termica può essere trasformata in energia meccanica sfruttando la pressione derivante dal riscaldamento di acqua all'interno di una sfera metallica.

Erone ha lasciato anche un trattato sulla costruzione delle macchine da guerra. Nella sua opera Sugli automi illustra teatrini automatici dotati di moto autonomo, rettilineo o circolare, per tutta la durata dello spettacolo.

Il capolavoro di Erone è però il trattato di Meccanica, pervenutoci solo in traduzione araba. In questo testo lo scienziato alessandrino, per primo, porta a sistemazione definitiva l'aspetto teorico e pratico della meccanica, riconducendola alle cinque macchine semplici - leva, argano, carrucola, vite e cuneo - il funzionamento delle quali dipende dal principio della leva. Sopravvivono, inoltre, frammenti dei contributi di Erone su Gli orologi ad acqua, e dei Commentari sugli Elementi di Euclide.
Invenzioni

Al suo ingegno si devono l'invenzione della dioptra, dell'odometro, del paranco a fune e della gru a bandiera. Formulò le leggi della riflessione e la formula che esprime l'area di un triangolo (A) in funzione dei suoi lati (a, b e c) e del semiperimetro p.

A = p × ( p − a ) × ( p − b ) × ( p − c ) {\textstyle A={\sqrt {p\times (p-a)\times (p-b)\times (p-c)}}}

Fu inoltre autore di diversi scritti di geometria, fra i quali Le misure, in tre libri, ed il Commento agli Elementi di Euclide e due libri di Pneumatica, in cui si descrivono numerose applicazioni della pressione. Tra queste, una in particolare, la Macchina di Erone, che serviva ad aprire e chiudere automaticamente le porte di un tempio (una versione tardo ellenistica delle moderne porte automatiche).

Fu sempre Erone ad inventare il tasto per strumenti a corda: egli sostituì il pizzicato con la percussione di una corda musicale, controllata da un tasto che solleva un martelletto da una posizione di riposo in basso verso l'alto a colpire la corda.
Progetti
Ricostruzione dell'eolipila di Erone
Ricostruzione moderna di un organo a vento di Erone

Eolipila, la prima macchina a vapore di cui si abbia notizia
Fontana di Erone[1]
Una pala a vento per il funzionamento di un organo.[2][3]
Macchina teatrale in grado di mettere in scena uno spettacolo, completamente automatizzato, di circa dieci minuti. Consisteva di macchine guidate da antenati delle moderne ruote dentate, corde e nodi, programmabili.[4]
Cheiroballistra (χειροβαλλίστρα), balestra ad uso personale con bracci in fasci di tendini.[5]

Opere scritte
Erone di Alessandria come immaginato in una stampa del 1688

Le opere attribuite ad Erone possono dividersi in tre gruppi principali: uno sui trattati matematici ingegneristici, uno sulla meccanica in generale e uno sui dispositivi concreti.

Per quanto riguarda i trattati matematici sono presenti:

Metrica, descrizione di tecniche per calcolare superfici e volumi di differenti oggetti, in cui sono presenti dimostrazioni con esempi numerici.
Definizioni.

Appartengono al secondo gruppo:

Sulla dioptra, raccolta di metodi per misurare lunghezze; in questo lavoro viene descritto l'odometro, come pure un apparato che assomiglia ad un teodolite.
Baroulkos, sulla costruzione di una macchina per il trasporto dei pesi.
Catoptrica, propagazione della luce e sua riflessione, uso degli specchi.
Mechanica, manuale in tre libri destinato agli architetti e agli ingegneri, contiene strumenti per sollevare oggetti pesanti. Nel primo libro vengono esposti i teoremi sulla gravità di Archimede; nel secondo è un trattato sui vantaggi delle macchine semplici e delle loro combinazioni; nel terzo si tratta di applicazioni pratiche dei concetti degli altri due libri.

Il terzo e ultimo gruppo comprende:

Belopoeica, descrizione di macchine da guerra.
Pneumatica, descrizione di macchine funzionanti a pressione (ad aria, acqua o vapore), incluso l'hydraulis, l'organo ad acqua.[6]
Automata, descrizione di macchine in grado di creare effetti in diversi contesti d'intrattenimento (banchetti, teatri) per mezzi meccanici o pneumatici (apertura o chiusura automatica di porte, statue che versano vino e latte, ecc.).[7]

Lavori che sono stati attribuiti ad Erone in passato, ma che oggi vengono considerati di altri autori:[8]

Geometria, raccolta di equazioni basate sul primo capitolo della Metrica.
Stereometrica, esempi di calcoli tridimensionali basati sul secondo capitolo della Metrica.
Mensurae, strumenti che possono essere usati per misure, basati sulla Stereometrica e la Metrica.
Cheirobalistra, sulle catapulte
Definitiones, raccolta di definizioni di geometria.

Le opere di Erone pervenute sono state tramandate da manoscritti arabi.
Edizioni

(LA) Liber de machinis bellicis, Venezia, Francesco De Franceschi (senese), 1572.



fonte https://it.wikipedia.org/wiki/Erone_di_Alessandria

 
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Metagene (architetto)


Metagene (in greco antico: Μεταγένης, Metaghénēs; Cnosso, VI secolo a.C. – VI secolo a.C.) è stato un architetto e inventore greco antico.


Biografia
Modellino del tempio secondo le più recenti ipotesi ricostruttive. Si noti la statua della dea al centro del grande edificio, posta in uno spazio vuoto: l'Artemision infatti doveva presentarsi come una sorta di cortile circondato da un immenso portico, il cui aspetto esterno tuttavia rievocava l'immagine canonica del tempio a capanna.
Macchine descritte da Vitruvio in I dieci libri di architettura, utilizzate da Metagene per trasportare pietre di dimensioni significative, dalla cava al tempio.
Una ricostruzione delle macchine utilizzate da Metagene per il trasporto di pietre pesanti.
Una ricostruzione delle macchine utilizzate da Metagene per il trasporto di pietre pesanti.

Metagene nacque a Cnosso, nell'isola di Creta, figlio dell'architetto Chersifrone.[1] [2][3]

Metagene fu attivo nella seconda metà del VI secolo a.C.[1][2]

Metagene collaborò con Teodoro di Samo, esperto di fondazioni in terreno paludoso,[4] e col padre alla costruzione dell'Artemisio di Efeso,[3][5] considerato una delle sette meraviglie del mondo antico, e assieme al padre scrisse un documento riguardante questo edificio, di cui parlano Vitruvio e Plinio il Vecchio.[1][2]

Plinio il Vecchio riferisce che il tempio era stato costruito da Chersifrone di Cnosso,[6] che secondo Vitruvio (80 a.C. - 15 circa) fu aiutato dal figlio Metagene.[7] Nel trattato scritto dai due architetti erano descritte le notizie sulle tecniche da loro adottate per trasportare le colonne e poi gli architravi dalla cava[7], grazie all'utilizzo di macchine tirate dai buoi da loro inventate,[3][5] e per innalzare poi gli architravi sulle colonne.[6]

Anche Strabone (ante 60 a.C. - 24 circa) riferisce di Chersifrone come architetto del tempio arcaico, seguito da un altro di cui non fa il nome e che avrebbe allargato l'edificio.[8]

Secondo Diogene Laerzio (180-240)[9] per le fondamenta del tempio collaborò alla progettazione anche l'architetto Teodoro di Samo, figlio di Rhoikos, che aveva lavorato, inizialmente con il padre, anche per l'Heraion di Samo: secondo Plinio,[6] per evitare i problemi posti dal terreno su cui era costruito il tempio, paludoso e poco solido, le fondamenta poggiavano su un letto di carbone schiacciato e lana.[5]

Quando Chersifrone si ritirò, Metagene continuò l'opera iniziata dal padre.[5] Dato che l'edificio era voluminoso, e arduo posizionare le fondamenta a causa del terreno di natura paludosa, Chersifrone si occupò soprattutto della preparazione del terreno e del trasporto delle grosse colonne: Metagene invece realizzò la costruzione vera e propria con l'innalzamento delle colonne, il trasporto e la installazione degli architravi.[1][2]

Gli storici dell'arte ipotizzano che la prima attività di Metagene e del padre si sia effettuata già nella Ionia al tempo di Aliatte II, a dimostrazione della diffusione dell'attività dei Dedalidi di Creta in tutto l'Egeo, e dell'importanza dell'architettura della civiltà minoica assieme a quella anatolica e mesopotamica.[1][2]





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Perillo


Perillo di Atene (... – Akragas, ...; fl. VI secolo a.C.) è stato un inventore greco antico, leggendario ideatore del Toro di Falaride.
Biografia

Egli, quale fonditore di ottone, presentò al tiranno di Agrigento, Falaride, un sistema per giustiziare i criminali. La sua invenzione consisteva nella riproduzione in ottone della sagoma di un toro, cavo all'interno, entro il quale venivano chiusi i condannati a morte: esso aveva la bocca congegnata in maniera tale che, una volta arroventato sopra una pira, i lamenti del malcapitato venissero trasformati in muggiti del tutto simili a quelli di una bestia vera.

Falaride fu ammaliato dallo strumento di tortura ma volle punire l'inventore per la cinicità della sua idea; così, dopo averlo lodato, dispose che il toro venisse provato su Perillo stesso: l'inventore venne rinchiuso nella sua stessa invenzione. Estratto da essa poco prima di esserne ucciso, il perfido tiranno lo condannò a morte facendolo gettare da una rupe.

La leggenda vuole che lo stesso Falaride abbia provato la micidiale esperienza di venire rinchiuso nel toro di bronzo, quando il suo spodestatore Telemaco lo fece giustiziare proprio con questo sistema.





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Enea Tattico


Enea Tattico (... – ...; fl. IV secolo a.C.) è stato un inventore greco antico e un autore di trattati di argomento militare vissuto probabilmente nel IV secolo a.C.


Biografia

Alcuni studiosi ritengono che Enea fosse un generale peloponnesiaco contemporaneo di Senofonte e lo identificano con Enea di Stinfalo, in Arcadia, citato da Senofonte (Hellenica, 7, 3, 1) fra i comandanti della seconda Battaglia di Mantinea (362). Senofonte racconta che Enea, nel 366 a.C., nel corso dei conflitti interni al Peloponneso, riunì l'esercito e i cittadini più influenti sull'acropoli di Sicione, richiamando anche i cittadini esiliati senza decreto. Sempre dalla sua opera superstite possiamo dedurre ch'egli abbia combattuto anche nell'Egeo e in Asia Minore.
I Poliorketikà

Di Enea ci resta una sola opera, Poliorketikà, che tratta prevalentemente di argomenti inerenti agli assedi.

Da Polibio (10, 44) sappiamo che il trattato giunto a noi è in realtà una sezione di una più ampia opera di carattere militare, il cui titolo completo sarebbe stato Tὰ περὶ τῶν στρατηγικῶν ὑπομνήματα (Commentari di tattica militare). Nella sezione pervenutaci si trovano infatti riferimenti a trattazioni di altri aspetti di tecnica militare, come i preparativi, la questione delle risorse economiche e altro, che forse, più che opere a sé stanti, potrebbero interpretarsi come sezioni diverse dell'opera più ampia citata da Polibio.

La composizione dei Poliorketika viene verosimilmente collocata a cavallo del IV secolo a.C., in un periodo successivo all'episodio tramandato da Senofonte, ma precedente Filippo II, che non viene mai nominato nella parte dell'opera che ci si è conservata. La datazione trova sostegno anche nella lingua usata da Enea, l'attico, che sta evidentemente già assumendo il ruolo di dialetto internazionale, anticipando la koiné.

Lungi dall'essere un'opera strettamente tecnica come quelle di alcuni dei suoi successori (che si specializzeranno soprattutto nella descrizione delle macchine da guerra), i Poliorketikà di Enea sono per certi versi più affini alle trattazioni degli storiografi. I precetti tecnici sono infatti uniti ad un'esposizione delle cause di guerra interne ad una città, e specialmente ai fattori economici alla base delle discordie intestine: del resto, sostiene Enea, sono sempre ragioni economiche a decidere dell'attribuzione delle cariche militari.
Le telecomunicazioni in battaglia
Ricostruzione del sistema di Trasmissioni con telegrafia ottica di Enea

Polibio cita Enea come inventore di un sistema di telecomunicazioni, i cui dettagli erano esposti nell'opera più ampia: l'autore ne fa una descrizione (Pol. X, 44), ritenendolo un sistema approssimativo perché aveva la limitazione di consentire solamente la trasmissione di messaggi preimpostati. La strumentazione, che deve essere in possesso sia del mittente che del destinatario, consisteva in:

due recipienti colmi d'acqua e con un foro nella parte inferiore;
due basi di sughero con diametro inferiore a quello dell'apertura dei vasi;
due aste suddivise in sezioni riportanti, in ogni sezione, una lista concordata di eventi (per esempio, “arrivano i cavalieri”, “arriva la fanteria pesante”, “fanteria leggera”, “fanteria e cavalleria”).

Il fine della trasmissione consisteva nel far pervenire al destinatario uno dei messaggi preimpostati e scritti sull'asse. Si procedeva nella maniera seguente:

per prima cosa, l'asse veniva inserito nella base di sughero;
poi, il mittente alzava la torcia e altrettanto faceva il destinatario del messaggio; entrambi iniziavano a far uscire il liquido dal vaso, con il conseguente abbassamento della base di sughero e dell'asta solidale con questo;
infine, quando la parte dell'asta con il messaggio che si voleva comunicare arrivava all'altezza del bordo del vaso, il mittente alzava la torcia, segnalando di arrestare la fuoriuscita del liquido. Il destinatario poteva così individuare quale fosse la comunicazione in oggetto tra tutte quelle segnate sull'asta.





fonte https://it.wikipedia.org/wiki/Enea_Tattico

 
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