| Niente soldi I ragazzi contribuirono con cinque rupie a testa per le spese di mantenimento, ma Io non avevo denaro, nemmeno un paisa, per cui escogitai un piano. Io tenevo i Miei libri ordinati e puliti e, a quel tempo, ben pochi alunni potevano permettersi di comprare libri nuovi al passaggio alla classe superiore; per questo si usava comprare libri di seconda mano a costo ridotto e un ragazzo povero Mi chiese di comprare i Miei. Anche per le classi più basse c’erano dei testi ponderosi di materie come Storia, Geografia, Educazione Civica ecc. Il costo dei miei libri ammontava a diciotto rupie ed essi sembravano nuovi di zecca, ma il ragazzo non poteva pagare quella cifra, per cui gli dissi: “Non ti preoccupare, dammi cinque rupie e prendi i libri.” Egli pagò subito la cifra tutto contento. A quei tempi, le banconote erano rare e lui pagò tutto l’ammontare in monetine avvolte in un pezzo di stoffa; il tessuto era vecchio e si lacerò non potendo reggere il peso delle monete che si sparsero per tutta la stanza facendo un gran rumore. La padrona di casa udì il suono, venne lì e chiese: “Dove hai preso tutti questi soldi? Li hai rubati dal mio baule?” - prendendo a rimproverarmi. Io le spiegai: “ No, madre! Io ho venduto i Miei libri a questo ragazzo; è lui che Mi ha dato le monete.” Il compratore che aveva assistito alla scena, disse: “Madre! Io ho dato quelle monete a Râju come prezzo dei Suoi libri che Egli mi ha venduto”, ma ella non gli credette e punì anche lui, portò via tutti i soldi e Io rimasi senza neppure un centesimo.
Un viaggio da solo di notte I ragazzi che partecipavano al campo erano tutti ricchi e ben vestiti; essi vennero a prenderMi a casa, ma, nella situazione in cui mi trovavo, non potevo andare con loro. Se avessi detto che avevo la febbre, avrebbero portato un termometro e controllato la Mia temperatura; se avessi accusato una qualche indisposizione, Mi avrebbero fatto visitare da un dottore e quindi dissi: “Ho mal di stomaco, non posso venire con voi oggi.” I ragazzi si rammaricarono e partirono contro voglia senza di Me. Io partii la stessa notte da solo alla luce della luna; camminai a lungo e raggiunsi Pushpagiri all’alba. Ero molto stanco avendo camminato per undici miglia senza interruzione, avevo fame e sete; per lavarMi la faccia e le mani, cercai dell’acqua, ma non ne vidi. Lì vicino c’era un serbatoio di mattoni con acqua molto sporca che veniva usata per lavare i bovini; non avendo altra possibilità, Mi lavai il viso con quella e ne bevvi anche un po’ per quietare la sete. Poi notai che qualcuno aveva lasciato un pacchetto di bîdi (sigarette rustiche) e una moneta da un anna sul serbatoio; logicamente i bîdi non Mi erano di alcuna utilità. Li gettai via e presi la moneta da un anna e la cambiai in quattro monetine (bottu). Reperire i soldi per alimentarsi Nel tornare, vidi un uomo seduto al lato della strada che giocava a carte sopra una coperta e invitava i passanti a scommettere gridando: “Fiori, picche, quadri ecc.” Egli Mi invitò dicendo: “Râju, Tu sei un ragazzo fortunato. Vieni, vieni! Scommetti su qualunque carta e io Ti darò il doppio se vinci.” Non c’è dubbio che questo fosse un gioco d’azzardo, ma, in quel momento, Io non avevo altra risorsa e cominciai a mettere una moneta su una carta differente ogni volta, riscuotendo sempre il doppio. Giocai finché non ebbi sedici anna, dopodiché decisi che fosse sufficiente e lasciai il gioco tornando con il denaro appena vinto. Dato che avevo fame, comprai tre dosa con un bottu; allora i dosa si pagavano un dammidi (un terzo di bottu) ciascuno e così Mi alimentai ogni giorno con i dosa spendendo due bottu. Pur facendo normalmente attività di servizio come ogni altro ragazzo, nel profondo del cuore ero consapevole del fatto che scommettere è una cattiva abitudine e che non avrei dovuto ricorrervi. Io conoscevo la storia del Mahâbhârata in cui Dharmarâja perse ogni cosa inclusa la moglie, i fratelli e il regno.
Il fratello arrabbiato Alla fine del campo Mi rimaneva un bottu con cui comprai dei dolci, della frutta, dei fiori, del kumkum e dei braccialetti per Mia cognata. Seshama Râju, il fratello maggiore di questo Corpo, andò a fare un corso di addestramento per insegnanti e tornò. Appena entrato in casa, notai che egli stava tracciando delle linee su un quaderno con un righello di legno; era molto arrabbiato del fatto che sua moglie fosse dovuta andare a prendere l’acqua durante la Mia assenza di tre giorni e fosse perciò molto stanca. Quando le offrii i dolci e i frutti che avevo portato da Pushpagiri, ella li gettò in terra e rifiutò perfino il kumkum che è un segno di buon augurio. Dopo questo fatto Seshama Râju si infuriò e Mi colpì all’avambraccio con il righello che si ruppe in tre pezzi. La Mia mano si gonfiò. Io non rivelai questo fatto a nessuno e strinsi da solo una fasciatura sulla mano gonfia con della stoffa bagnata.
Il nipotino muore Il giorno dopo, il figlio di Seshama Râju morì ed egli inviò un telegramma al padre affinché venisse subito. A quei tempi, a Puttaparthi non c’era ufficio postale né telegrafico; i telegrammi venivano spediti a Bukkapatnam e da lì un messo li portava a destinazione. Pedda Venkama Râju, padre di questo Corpo, andava regolarmente a Bukkapatnam a comprare il necessario per la fiera del villaggio; vide quindi il telegramma e si precipitò a Kamalapuram. Dopo aver parlato con i membri della famiglia, chiese perché la Mia mano fosse gonfia e fasciata, al che Io cercai di presentare la cosa come di poco conto e dissi che avevo urtato per caso una porta in casa, ma che non era niente di serio. Allora intervenne una vicina che informò Pedda Venkama Râju: “Signore, non si tratta di un fatto isolato; il vostro figlio maggiore picchia il ragazzo ogni giorno e noi soffriamo molto nell’assistere al Suo tormento.”
Molte incombenze e punizioni Seshama Râju era molto in collera con Me perché sua moglie si lamentava di Me tutti i giorni dicendo che non facevo questo o quel lavoro; le Mie incombenze giornaliere in casa loro consistevano nella preparazione dell’acqua calda per il bagno e del caffè il mattino presto per Seshama Râju e sua moglie, nel fare lavori vari inerenti la casa e, cosa della massima importanza, andare ad attingere l’acqua da bere il mattino e la sera da un canale che era a una certa distanza. Per fare tutti questi lavori, e frequentare la scuola in orario, dovevo alzarMi molto presto, circa alle tre. Nonostante questo programma frenetico, ero molto contento che la gente del villaggio fosse buona e Mi amasse molto. Tutti si interessavano affettuosamente del Mio benessere ogni giorno e apprezzavano davvero il Mio cantare. Quando andai a Pushpagiri per il campo scout, tutto questo programma movimentato si arrestò. Nonostante i vicini avessero molta considerazione per il Mio intenso lavoro e per la Mia indole buona, le persone della famiglia di Seshama Râju non sopportavano la Mia assenza e l’interruzione della routine quotidiana; essi Mi sgridavano se in qualunque giorno ero un po’ in ritardo nel portare l’acqua dal canale. Naturalmente Io ignoravo tutto quel gridare e proseguivo nel Mio lavoro pazientemente come al solito.
Il padre Lo vuole riportare a casa Griham Abbâyî (il padre di Baba; letteralmente significa “papà di casa”) Mi disse che quella sera doveva uscire per i suoi bisogni corporali; non c’era luce, era buio tutto intorno e Io portavo una piccola lampada a petrolio in una mano e un recipiente d’acqua nell’altra. Lo accompagnai in un luogo isolato, posai quelle cose per terra e feci per tornare, ma egli prese la Mia mano e, molto addolorato, Mi disse: “Sathya! Ti ho mai percosso in tutti questi anni? Tu stai subendo troppa sofferenza qui nelle mani di questa gente; vieni via da questa casa. Vieni, torniamo a casa domattina presto.” Io cercai di tranquillizzarlo dicendo: “Non è corretto da parte Mia lasciare la casa, specialmente ora che essi sono addolorati per la morte del figlio. Per favore, vai prima tu; Io verrò in seguito”, al che Griham Abbâyî partì per Puttaparthi molto riluttante.
La madre decide che torni Arrivato a casa, informò Griham Ammâyî (la madre di Baba; letteralmente, “mammina di casa”) della situazione; ella non poté trattenere il suo dolore e, piangendo per la Mia sofferenza, gli disse: “Sathya è un ragazzo molto buono; non L’ho dovuto mai battere. Ora sento che Seshama Râju Lo percuote spesso ascoltando le parole di altri e non posso sopportarlo oltre. Possiamo mantenere Sathya in qualche modo, magari vendendo sale, se necessario; non c’è bisogno che Egli dipenda da altri per il Suo mantenimento. Per favore, vai a prenderLo e riportaLo a casa.” Griham Abbâyî cercò di illustrarle la sua impossibilità, ma, a seguito dell’insistenza di lei, dovette inviare il telegramma: “Tua madre ha deciso: vieni a Puttaparthi.” A questo punto non ebbi altra scelta che tornare a casa. A quell’epoca, a Kamalapuram c’era un commerciante di nome Kotte Subbanna che vendeva il famoso ricostituente per bambini “Bâla Bhâskara”; egli ci dette dei soldi per il viaggio verso Puttaparthi dato che né Io né Griham Abbâyî avevamo denaro. Arrivammo ad Anantapuram con notevole difficoltà. Là c’era la famiglia di un avvocato, brava gente, tutti devoti di Swami, che ci invitarono a pranzo a casa loro. Mangiammo assieme e dopo tornammo a Puttaparthi.
segue Ritorno a casa
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