IL FARO DEI SOGNI

Le 108 Upanishad parte 5

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Quando la mente si è calmata nella sua origine e percorre la via giusta, i risultati delle attività
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Parama Karuna Devi
precedenti diventano irreali perché gli oggetti dei sensi rimangono vaghi. (1.8) E' la mente che crea la
vita mondana, perciò la purificazione deve avvenire nella mente. Il colore della mente fa sembrare
colorate le cose: ecco il segreto eterno. (1.9) La purezza della mente distrugge i legami sia con le cose
cattive che con quelle buone: quando la mente è pura la consapevolezza diventa fissa sull'Atman e si
sperimenta una felicità inesauribile. (1.10)
Se la mente di una persona attaccata al campo degli oggetti dei sensi si rivolge verso il Brahman, sarà
sicuramente liberata da ogni legame. (1.11)
Bisogna percepire la presenza del Signore supremo nel mezzo del loto del cuore, come lo spettatore
della danza dell'intelletto, come il supremo rifugio dell'amore, al di là della portata della mente e della
parola, come una scialuppa di salvataggio che dissipa la paura, come la natura stessa dell'Esistenza
radiosa, che è al di là della portata del pensiero, l'indispensabile, immobile, stabile e profondo, né
luce né tenebra, libero dal dubbio e dall'illusione: la consapevolezza fatta di suprema beatitudine.
(1.14) Eterno, puro, sempre attento, libero dai limiti materiali, vero, sottile, supremamente potente,
uno senza secondi, trascendentale, oceano di felicità: questo io sono, l'essenza più intima di ogni
cosa. (1.15)
Come può avvicinarsi a me il pericolo della dualità, dal momento che sono sempre immerso nella
felicità interiore dell'Atman? Al suo cospetto il mondo materiale con le sue illusioni e i suoi desideri
appaiono privi di valore. (1.16) Gli ignoranti che rimangono attaccati alle categorizzazioni sociali
ottengono il risultato delle proprie azioni, mentre coloro che le lasciano per immergersi nella felicità
dell'Atman si fondono nel Brahman. (1.17) Il corpo materiale, con le sue membra e i suoi organi, è
soggetto alle regole di varna e ashrama, ma è temporaneo e causa di molte sofferenze. La felicità
suprema e infinita si trova soltanto quando ci si libera dall'attaccamento al corpo, alla famiglia e alla
società. (1.18)
L'illustre Maitreya andò al Kailasa e avvicinò Mahadeva per apprendere da lui il segreto della Verità
suprema. "Il corpo deve essere considerato come un tempio, nel quale risiede Shiva come il Jiva
Atman. Bisogna eliminare i fiori appassiti costituiti dall'ignoranza dello spirito e adorare il Signore
unendosi a lui nella consapevolezza. (2.1-2)
La vera conoscenza consiste nel superare le differenze in tutto ciò che esiste; la meditazione
profonda consiste nel liberare la mente dai pensieri riguardanti gli oggetti dei sensi; fare il bagno
significa eliminare le impurità della mente e nel controllare i sensi. (2.3) Bisogna assorbire il nettare
del Brahman, tenere in vita il corpo con il cibo elemosinato, dedicarsi esclusivamente al Brahman e
vivere nel luogo solitario dell'unità suprema che è libera dalla dualità. Ecco come deve vivere il
saggio che vuole raggiungere la liberazione. (2.4)
Il corpo materiale nasce e deve morire, ed è generato dalle secrezioni sessuali del padre e della
madre: perciò è impuro. Le abluzioni veramente efficaci consistono nel lavare via l'identificazione e
l'attaccamento al corpo, e il senso di possesso e appartenenza. (2.5)
Il corpo è composto di fluidi primari, soggetto a terribili malattie, temporaneo, pervaso da
sensazioni contrastanti e da pensieri e azioni negative. Bisogna dunque purificarsi con i lavacri di cui
ho già parlato. (2.6)
108
Le 108 Upanishad
Per natura il corpo emette escrezioni e secrezioni da tutte le nove aperture, ed emana cattivi odori a
causa delle impurità. Bisogna dunque purificarsi con le abluzioni della consapevolezza. (2.7) E'
associato alle impurità della madre al momento della nascita, e fin da quel momento si porta dietro
l'inevitabilità della morte. E' dunque necessario purificarsi dal corpo. (2.8)
Considerare il corpo come la propria identità è come spalmarsi di feci e urina considerandole
preziosi unguenti cosmetici. Ho già spiegato quale sia la vera purificazione, mentre la pratica
esteriore del mondo consiste nel lavarsi con acqua e argilla. (2.9)
La pulizia che purifica la mente consiste nella distruzione delle tre tendenze innate che dipendono
dalle convenzioni sociali, dalle regole prescritte e dai limiti fisici. L'acqua e l'argilla usate per questa
pulizia sono la vera conoscenza e il distacco. (2.10)
La percezione della non-dualità è il cibo adatto ad essere consumato, mentre il senso di dualità è
roba marcia e andata a male. Il sannyasi deve elemosinare il cibo a seconda delle istruzioni del Guru e
delle scritture. (2.11)
Dopo aver accettato spontaneamente la rinuncia, il saggio deve lasciare il luogo dov'è nato e andare
a vivere lontano, entusiasta come un prigioniero che sia stato rilasciato. (2.12)
Il sannyasi lascia l'ego come se lasciasse un figlio, le ricchezze come se lasciasse un fratello, l'illusione
come se lasciasse la casa e i desideri come se lasciasse la moglie: immediatamente viene liberato dai
legami del mondo. (2.13)
Come compirò i rituali del sandhya, quando la madre che è l'illusione è appena morta e il figlio che è
il vero risveglio è appena nato, creando così una doppia causa di distrazione? Come posso celebrare i
rituali del crepuscolo, quando il sole radioso della consapevolezza arde nel cielo del cuore, senza mai
tramontare né sorgere? (2.14-15)
La convinzione dell'esistenza di una sola realtà libera dalla dualità, nata dalle parole del Guru, è la
solitudine necessaria per la meditazione: non c'è bisogno di andare nella foresta o in un eremitaggio.
La liberazione viene raggiunta da coloro che sono liberi dal dubbio, mentre chi dubita sempre di
tutto rimarrà legato ai condizionamenti vita dopo vita. Bisogna dunque avere fede. (2.16-17)
La vera rinuncia non consiste nell'astenersi dall'azione o nel recitare dei particolari mantra. E'
piuttosto l'unità del Jivatman, il Sé individuale, con il Param Atman, il Sé universale. (2.18)
E' degno dell'ordine di rinuncia soltanto chi ha vomitato l'orgoglio e l'identificazione con il corpo, e i
desideri primari. (2.19)
Il saggio deve accettare l'ordine di rinuncia soltanto quando la sua mente ha abbandonato il
desiderio per le cose del mondo, altrimenti la caduta è inevitabile. Chi rinuncia alla vita del mondo
per ammassare ricchezze sotto forma di donazioni o anche solo per assicurarsi vitto e alloggio e una
buona posizione in un ashrama è doppiamente caduto e non merita la felicità spirituale. (2.20-21)
I saggi più elevati contemplano la realtà del Brahman, quelli di livello intermedio contemplano le
scritture, le persone ordinarie pensano ai mantra, mentre le persone più cadute si lasciano confondere
dall'idea che un luogo sacro sia sufficiente a conferire la liberazione. (2.22)
Sciocco è chi si delizia all'idea teorica del Brahman senza sperimentarne la reale consapevolezza,
come è sciocco chi pensa di assaporare i frutti di un albero dal loro riflesso nel lago. (2.23)






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Il saggio che desidera la liberazione deve rimanere fedele all'equanimità raccogliendo l'elemosina da
diverse case come l'ape raccoglie il nettare da vari fiori, e non deve abbandonare la serenità che è
come un padre, la fede che è come una moglie e la vera conoscenza che è come un figlio. (2.24)
Coloro che possiedono ricchezze, sono anziani di età ed esperti nella conoscenza possono solo
essere servitori dei discepoli di coloro che hanno raggiunto la maturità della saggezza. (2.25) Persino
coloro che hanno studiato rimangono confusi dall'illusione creata da me, l'Atman onnipresente, e
senza comprendermi vagano come animali interessati solo a riempirsi la pancia. (2.26)
I rituali convenzionali e l'adorazione formale delle immagini divine non sono sufficienti a
raggiungere la liberazione. Il saggio deve dunque compiere l'adorazione soltanto nel proprio cuore,
contemplando la divinità che non è differente dall'Atman. Così facendo sarà liberato dai legami della
rinascita. (2.27)
Chi è soddisfatto interiormente ed esteriormente è come un vaso pieno d'acqua immerso nel mare,
mentre chi è vuoto interiormente ed esteriormente è come lo spazio contenuto in un vaso vuoto.
(2.28) Non cercare di godere dei sensi, non credere ai sensi. Abbandona ogni proiezione mentale e
stabilisciti in ciò che è permanente. (2.29) Abbandona i concetti di dualità tra chi vede, l'atto del
vedere e ciò che viene visto. Abbandona le tendenze della mente, e prendi rifugio solo nell'Atman,
che è l'origine suprema di tutti i fenomeni. La stabilità perfetta, simile alla pietra, in cui tutte le
fantasie si sono calmate e la consapevolezza è libera dalla dualità di veglia e sonno, è lo stato
supremo dell'Atman. (2.3-31)
Io sono io, io sono l'altro. Io sono il Brahman, io sono la fonte di ogni cosa. Io sono il Guru di tutti
i mondi, io sono tutti i mondi. Io sono quello. Io soltanto esisto. Ho raggiunto la perfezione. Sono
puro, sono supremo, e immutabile. Io sono quello. Sono eterno e libero da ogni contaminazione.
(3.1-2) Io sono la conoscenza applicata. Io sono l'unico. Io sono Soma. Io sono tutto. Io sono Shiva.
Io sono libero dalla sofferenza. Io sono consapevolezza pura. Io sono l'imparziale. Non conosco
onore né disonore. Non ho qualità limitanti. Io sono Shiva, libero dalla dualità e dalla non-dualità. Io
sono libero dalle coppie degli opposti. Io sono quello. (3.3-4) Io sono al di là dell'essere e del nonessere. Sono al di là di ogni descrizione. Sono lo splendore, sono il potere del vuoto e del non-vuoto,
e sono al di là del bene e del male, di ciò che è favorevole e ciò che è sfavorevole. (3.5)
Sono oltre i concetti di uguale e non-uguale. Sono eterno, libero da ogni contaminazione, fonte di
ogni buon augurio. Sono libero da tutto e da niente. Io sono stabilito eternamente nel dharma. (3.6)
Io sono oltre il numero uno e anche oltre il numero due. Sono oltre la distinzione tra bene e male, e
libero dalle proiezioni mentali. (3.7)
Sono libero dalle distinzioni delle molte anime, sono la forma della felicità pura. Non esisto (come
entità separata), non sono altro, non sono legato a un corpo. (3.8) Sono libero dal concetto di base e
dal concetto di ciò che appoggia sulla base. Non ho sostegno. Sono al di là dei legami e della libertà,
sono il Brahman puro. Io sono quello. Io sono al di là del piano mentale. Sono il supremo, più
grande del più grande. Sono la forma della ricerca costante, sono libero dal concetto di ricerca. Io
sono quello. (3.9-10) Io sono la forma delle lettere A e U, e sono la lettera M dell'eterno. Sono libero
dal concetto di meditazione, io medito, io sono oltre l'oggetto della meditazione. Io sono quello.
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Le 108 Upanishad
(3.11) Io sono la forma che riempie ogni cosa, che possiede le caratteristiche di Esistenza,
Conoscenza e Felicità. Io sono la forma di tutti i luoghi sacri. Io sono l'Atman supremo. Io sono
Shiva. (3.12) Io sono libero dagli scopi e dalla mancanza di scopi. Sono il gusto che non ha mai fine.
Io sono oltre la misura e colui che misura e ciò che è misurato. Io sono Shiva. (3.13)
Io non sono il mondo. Io sono il testimone di ogni cosa pur non avendo sensi. Io sono immenso.
Sono risvegliato. Sono sereno. Sono Hara. (3.14) Io sono libero dai sensi e compio ogni azione.
Sono l'oggetto della gioia di tutte le Upanishad. Io sono sempre facilmente accessibile. (3.15)
Io sono la gioia e il dolore. Sono l'amico del silenzio. Sono la forma eterna della consapevolezza.
Sono la forma eterna dell'esistenza e della consapevolezza. (3.16)
Non mi manca niente e non ho niente. Sono libero dai nodi del cuore - gli attaccamenti - e vivo nel
mezzo del loto del cuore. (3.17) Io sono libero dalle sei trasformazioni (nascita, ecc), dalle sei
coperture (annamaya, ecc), dai sei nemici interiori (desideri, ecc). Sono il testimone. Sono Dio. (3.18)
Sono libero dallo spazio e dal tempo. Io sono la gioia dei grandi saggi asceti vestiti di aria. Io sono
oltre l'essere e il non essere, io sono libero da ogni negazione. (3.19)
Io sono la forma dello spazio puro e la forma onnipresente. Sono la consapevolezza che si è liberata
dal mondo fenomenico e non sono legato al mondo fenomenico. Io sono la forma di ogni
splendore. Sono la luce della consapevolezza pura. Io sono al di là delle tre dimensioni del tempo. Io
sono libero da passioni e desideri. (3.20-21)
Io trascendo completamente il corpo e colui che abita nel corpo. Sono Uno, senza attributi. Sono al
di là della liberazione, sono libero e sono sempre indipendente dalla liberazione finale. (3.22)
Io sono al di sopra della verità e della non-verità. Io non sono altro che Esistenza pura. Non sono
obbligato ad andare in nessun posto, sono perfettamente libero di muovermi o non muovermi.
(3.23)
Sono sempre equanime. Io sono la pace. Io sono Purushottama, la Persona Suprema. Io sono colui
che sperimenta sé stesso e nient'altro. Chi ascolta questo anche una sola volta diventa uno con il
Brahman. (3.24)
Narada parivrajaka Upanishad
O Deva! Che noi possiamo udire ciò che è di buon augurio. O venerabili! Che noi possiamo vedere
ciò che è di buon augurio. Che noi possiamo godere della pienezza della vita che ci è stata assegnata
dai Deva, glorificandoli con fermezza di corpo e di mente! Che il glorioso Indra ci benedica! Che
l'onnisciente Surya ci benedica! Che Garuda, il tuono che frantuma il male, ci benedica! Che
Brihaspati ci conceda il benessere! Om! Che ci sia pace in me! Che ci sia pace nell'ambiente in cui
vivo! Che ci sia pace nelle forze che agiscono su di me! (Invocazione)
Un giorno Narada, il gioiello tra gli asceti, stava viaggiando come al solito nei tre mondi, purificando
i luoghi sacri con la sua presenza, perfettamente situato nella purezza mentale, libero da ostilità,
sereno, controllato, compassionevole verso le sofferenze altrui, sempre concentrato a riflettere
sull'Atman.





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Giunto nel sacro luogo della foresta Naimisha, famoso per la ricchezza delle pratiche
111
Parama Karuna Devi
spirituali e abitato da santi personaggi, cantò su vari toni musicali le glorie e le gesta del Signore
Vishnu, che suscitano devozione al Signore e ispirano a distaccarsi dalla vita mondana e dagli
attaccamenti materiali. Tutti erano affascinati dalle canzoni di Narada: esseri umani, Deva, Kinnara,
Apsara, e persino gli animali. Saunaka e gli altri grandi Rishi che si erano riuniti per celebrare il
sacrificio che doveva durare 12 anni, tutti asceti dedicati all'austerità e ricchi di saggezza e distacco,
videro arrivare Narada e si alzarono per accoglierlo degnamente. Gli offrirono il loro omaggio e lo
fecero accomodare su un seggio d'onore. Poi, nonostante fossero tutti già molto esperti nella
conoscenza, dissero a Narada, "Illustre signore, figlio di Brahma, ti preghiamo di spiegarci come si
ottiene la liberazione." (1.1)
Narada rispose, "Un nato due volte che appartiene a una buona famiglia, che è stato iniziato allo
studio dei Veda e insignito del filo sacro, che si è sottoposto ai quaranta samskara (rituali di
purificazione) e ha completato i dodici anni di studio come brahmachari servendo personalmente
l'insegnante, passerà poi venticinque anni come uomo di famiglia e altri venticinque vivendo nella
foresta, sempre seguendo il metodo e le regole prescritti. Avrà studiato perfettamente i doveri dei
quattro tipi di brahmacharya, i sei livelli di grihastha, le quattro fasi del vanaprastha, e dopo aver
compiuto adeguatamente tutti i doveri collegati con queste varie fasi, sarà diventato esperto nelle
quattro discipline della conoscenza spirituale, libero dal desiderio in pensieri, parole e opere, nonché
in impressioni latenti (vasana) e impulsi (esana). Sarà libero da ogni senso di ostilità, sarà tranquillo e
composto. Questo perfetto asceta mediterà ininterrottamente sull'Atman rimanendo sul livello più
alto di rinuncia detto Paramahamsa: in questo modo raggiungerà la liberazione al momento di
lasciare il corpo." (1.2)
Saunaka e gli altri Rishi dissero poi al venerabile Narada: "Illustre signore, parlaci della rinuncia."
Narada rispose, "Per correttezza, dovremmo ascoltare questa conoscenza direttamente
dall'Antenato."
Completato il rituale, Narada accompagnò dunque i Rishi a Satyaloka a incontrare Brahma, e gli offrì
omaggio e lodi com'era giusto. Poi su invito di Brahma si sedette insieme ai Rishi e si rivolse
all'Antenato di tutti: "Tu sei il Padre, tu sei il Maestro, che tutto conosce ed è esperto di tutte le
scienze. Compiaciti di spiegarci questa conoscenza degli stadi dell'ordine di rinuncia, perché nessun
altro è più competente di te."
Dopo una breve meditazione, Brahma concluse che Narada e i Rishi desideravano trovare un
rimedio ai mali della vita materiale, e rivolgendosi a Narada disse, "Figlio mio, ti spiegherò ora
chiaramente il segreto che venne enunciato in origine dall'Essere supremo, il Virata purusha, nella
forma dell'inno chiamato Purusha sukta e della dottrina segreta delle Upanishad. Ascolta con
attenzione questa conoscenza confidenziale." (2.1)
"O Narada, un ragazzo di buona famiglia, obbediente verso i genitori, deve ricevere l'iniziazione alla
scienza vedica con il conferimento del filo sacro. A questo scopo deve avvicinare un buon
insegnante, che sia fedele alla tradizione più nobile, abbia fede e amore per la conoscenza vedica, sia
virtuoso e libero da ogni difetto di comportamento e di carattere. Inchinandosi a lui e servendolo in
modo appropriato a seconda delle occasioni, gli deve comunicare umilmente il suo desiderio di
112
Le 108 Upanishad
apprendimento. Dopo aver completato 12 anni di studi in tutti i rami della conoscenza, sempre
impegnandosi sinceramente nel servizio al maestro, sposerà una ragazza adatta con il permesso del
maestro, e passerà i 25 anni successivi nella vita di famiglia comportandosi in modo irreprensibile.
Astenendosi da qualsiasi vizio, genererà un figlio che porti avanti la tradizione familiare. Al
compimento del suo cinquantesimo compleanno entrerà nella fase di vita del vanaprastha e passerà i
successivi 25 anni in isolamento nella foresta, facendo un bagno completo tre volte al giorno,
consumando un solo pasto nel quarto periodo della giornata (nel pomeriggio) e astenendosi dal
visitare la città o il villaggio come faceva un tempo. Si nutrirà soltanto di ingredienti selvatici (non
coltivati) e dimenticherà ogni desiderio di piacere. Purificato dai rituali di consacrazione, libero da
qualsiasi attaccamento, con la mente pura, brucerà ogni traccia di egotismo, invidia o avidità, e si
dedicherà esclusivamente alla disciplina spirituale." (2.2)
Narada domandò ancora all'Antenato: "Che cos'è la rinuncia, e chi è degno di entrare nell'ordine di
sannyasa?"
"Ti parlerò delle qualificazioni richieste per entrare nell'ordine di rinuncia. Ascolta attentamente. I
codici di legge affermano che il sadhu itinerante è colui che dissipa negli altri la paura e non ha paura
di altri. Le persone che non sono adatte a diventare sannyasi sono gli omosessuali, le persone delicate
o effeminate, le persone che in passato hanno commesso attività illecite o criminali, le persone
deformi o mutilate, le persone troppo giovani, i ciechi, i sordi, i muti, e coloro che non hanno ben
realizzato la cononoscenza vedica. Non dovrebbe prendere sannyasa nemmeno un imperatore, un
insegnante di religione, un seguace della filosofia vaikhanasa, un tantrico, un insegnante a domicilio,
un uomo che è stato circonciso o ha avuto dei problemi sessuali, uno che non serve il fuoco sacro,
uno che è sempre ansioso di chiedere aiuto agli altri, e uno che ha fallito precedentemente
infrangendo il voto di rinuncia. Queste persone non dovrebbero prendere i voti di sannyasi anche se
hanno sviluppato la rinuncia sufficiente, tranne che in caso di emergenza, cioè di imminenza della
morte. (3.1-4)
Quando si trova in punto di morte, chiunque può saggiamente rinunciare al mondo nella maniera
prescritta, recitando i mantra dell'atura sannyasa. Ogni rituale richiede la recitazione dei mantra: senza i
mantra, le oblazioni sono inutili come se fossero offerte alla cenere. Nel caso della rinuncia in una
situazione di emergenza, i mantra sono sufficienti anche senza il rituale. (3.5.9)
Chi si trovasse in una situazione disperata lontano da casa può accettare l'ordine di rinuncia
semplicemente recitando i mantra e compiendo il rituale Prajapatya in un corso d'acqua. Può
celebrare il rituale vedico e offrire le oblazioni prescritte fisicamente o mentalmente, ma è necessario
confermare formalmente l'accettazione dell'ordine di rinuncia qualora si abbia raggiunto il livello di
distacco necessario. Chi non è sufficientemente distaccato non deve mai entrare nell'ordine di
sannyasa, perché le regole del sannyasa lo farebbero cadere dal livello della virtù. (3.12)






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Un brahmana può entrare nell'ordine di rinuncia anche dalla fase di brahmacharya
113
Parama Karuna Devi
(senza prima sposarsi), purché tutti i suoi sensi siano sempre perfettamente sotto controllo -
soprattutto lingua, genitali, stomaco e mani. (3.14)
Per non fallire, è necessario aver realizzato veramente che la vita mondana è totalmente inutile e
insulsa, e dedicarsi costantemente e strenuamente alla realizzazione spirituale, senza alcun altro
pensiero. (3.15) Tutte le attività del mondo richiedono un impegno attivo nell'identificazione
materiale. Solo chi realizza la vera conoscenza trascendentale può diventare davvero rinunciato e
abbandonare il mondo. (3.16)
Solo una persona che vive direttamente l'esperienza del Brahman supremo ed eterno può accettare i
simboli distintivi del sannyasa - il bastone e l'abbandono del filo sacro e della sikha. (3.17)
Chi è esclusivamente attaccato al Param Atman e non si cura di nient'altro, essendo libero da ogni
desiderio e identificazione materiale, ha il diritto di chiedere cibo in elemosina. (3.18)
Una persona può diventare un bhikshu (sannyasi mendicante) soltanto quando, percosso e insultato,
prova lo stesso piacere che si prova quando si viene onorati e accolti rispettosamente. (3.19)
'Io sono il Brahman, indistruttibile, libero dalla dualità, onnipresente e onnipervadente': soltanto
questa ferma determinazione della consapevolezza permette di stabilirsi nella vita del sannyasi. (3.20)
La felicità suprema è a portata di mano per chi è pacifico, sereno, puro, veritiero, diretto, soddisfatto
in sé stesso, e libero dall'orgoglio e dal senso di identificazione e di possesso. (3.21)
Il vero sannyasi è sempre libero da qualsiasi malizia e cattivo sentimento, e non commette mai
violenza verso alcun essere vivente - né con azioni, né con parole né con pensieri. (3.22)
Una persona nata due volte (iniziata come brahmana, kshatriya o vaisya) che compie attentamente tutti
i suoi doveri e manifesta le 10 virtù, ha studiato tutti i testi vedici e ha pagato i tre debiti (verso gli
antenati, verso i Rishi e verso i Deva) acquista il diritto di rinunciare alla vita mondana. (3.23)
Le dieci virtù che costituiscono la base del dharma (comportamento etico) sono: soddisfazione
interiore, capacità di perdonare, autocontrollo, onestà, purezza, controllo dei sensi, umiltà,
conoscenza delle scritture, veridicità e gentilezza. (3.24)
Chi è sulla via della liberazione finale non ricorda i piaceri passati né immagina quelli che non ha
sperimentato, e non esulta in quelli che sperimenta. (3.25)
Chi sa mantenere sempre i sensi rivolti verso l'interno della consapevolezza, separati dagli oggetti
esterni, senza alcuna interazione e reazione tra loro, è sulla via della felicità finale. (3.26)
Proprio come il corpo non sperimenta più piacere o dolore quando l'energia vitale l'ha abbandonato,
il sannyasi rimane costantemente insensibile anche quando l'energia vitale risiede nel suo corpo. (3.27)
Un perizoma, uno scialle rattoppato per l'inverno e il bastone che costituisce l'insegna del suo
ordine: questo è tutto ciò che il sannyasi Paramahamsa può possedere. Le regole delle scritture non
consentono altri effetti personali. Se dovesse procurarsi altri oggetti o comodità cadrà nell'inferno
raurava e in seguito rinascerà come animale. (3.28-29)
Lo scialle usato come abito deve essere ricavato cucendo insieme pezzi di stoffa di scarto
abbandonati dalla gente, purché si tratti di stoffa pulita. Bisogna poi tingere lo scialle di ocra. Il
sannyasi deve indossare un solo pezzo di stoffa o andare nudo. Sempre concentrato sulla liberazione
e libero da ogni pensiero per i piaceri materiali, deve viaggiare sempre e da solo, tranne che durante
114
Le 108 Upanishad
la stagione delle piogge, in cui può fermarsi nello stesso posto per tutto il periodo. (3.30-31)
Non deve più incontrare i parenti, i figli, la moglie o le persone che conosceva in precedenza. Deve
abbandonare il filo sacro, i rituali di sacrificio, lo sudio delle varie scienze vediche, e deve viaggiare
da solo, senza attirare l'attenzione su di sé. (3.32)
Libero dal senso di appartenenza e di possesso (nirmama), il sannyasi deve abbandonare ogni traccia di
passione, collera, orgoglio, avidità e illusione. Deve liberarsi sia dall'attrazione che dalla repulsione,
avere lo stesso atteggiamento verso l'argilla, la pietra e l'oro, astenersi dal fare del male a qualsiasi
essere vivente e rimanere sempre libero da ogni desiderio. (3.34) L'asceta raggiunge la liberazione
quando si è liberato da orgoglio e identificazione materiale, da ostilità e malizia, e possiede tutte le
virtù etiche e la conoscenza trascendentale. (3.35)
L'attaccamento ai sensi porta certamente al disastro, mentre l'autocontrollo conduce alla felicità
suprema. (3.36) I desideri non si vincono dando loro soddisfazione; come il fuoco che viene
alimentato dalle oblazioni, non fanno che diventare più forti. Chi ha vinto i sensi non prova
attrazione o repulsione verso gli oggetti dei sensi, che si tratti di suoni, contatti tattili, sapori,
immagini, forme, odori, e così via. (3.37-38) Chi mantiene sempre la purezza nella mente e nelle
parole e fa sempre attenzione a ciò che fa, pensa e dice, raccoglie tutti i frutti promessi dalla
conoscenza vedica. (3.39) Un brahmana deve sempre fuggire gli onori come se fossero veleno ed
essere felice quando viene trascurato. Chi viene insultato può dimenticare l'insulto e continuare le
sue normali attività e dormire tranquillo, mentre chi l'insultato dovrà pagare il suo debito. (3.40-41)
Quando si viene insultati bisogna tollerare pazientemente e non rispondere mai in modo offensivo.
Finché si è in questo corpo, bisogna evitare di creare inimicizie e cattivo karma. Non bisogna
rispondere alla collera con la collera. Quando si viene insultati bisogna rispondere con gentilezza e
dire cose benefiche per tutti, e non bisogna mai dire bugie, perché questo stimola i desideri mondani
e apre loro i sette cancelli del corpo. (3.42-43)
Il sannyasi deve viaggiare da solo come mendicante vagabondo, con la sola compagnia dell'Atman,
gustando il piacere della luce suprema, sereno e libero da desideri e ambizioni. (3.44)
Per diventare degno dell'immortalità deve controllare i sensi, astenersi dal fare del male a qualsiasi
essere vivente e soffocare attrazione e repulsione. Questo corpo è una casa fatta di pilastri di ossa
collegati da tendini, intonacata da carne e sangue, e coperta di pelle. E' fonte di cattivi odori, pieno di
urina e di escrementi, soggetto alla vecchiaia e alla malattia, pieno di desideri, temporaneo e
composto di elementi materiali. Non si deve avere alcun rimpianto nell'abbandonarlo. (3.45-47)
L'identificazione con il corpo è la via verso l'inferno kalasutra, la trappola per l'inferno mahavichi e la
foresta infernale dove gli alberi hanno foglie taglienti come spade. Anche a costo di incorrere nella
rovina totale, bisogna fare di tutto per abbandonare l'identificazione con il corpo materiale, che
costituisce la contaminazione più abominevole. (3.49-50)
Astenendosi dall'agire in modo favorevole verso i propri cari e in modo sfavorevole verso le persone
ostili, si raggiunge il Brahman supremo attraverso la meditazione profonda. In questo modo bisogna
abbandonare gradualmente ogni attaccamento e ogni senso di dualità, per stabilirsi esclusivamente
nella consapevolezza del Brahman (3.51-52)






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Parama Karuna Devi
Il sannyasi deve viaggiare da solo, senza alcuna assistenza, perché in questo modo si può concentrare
meglio sulla perfezione dell'unità con il Brahman, che non abbandona mai e non viene mai
abbandonato. (3.53) Usa un teschio umano come ciotola delle elemosine, riposa sotto un albero,
indossa stracci, è solitario e libero dalla dualità: questa è un'anima liberata. (3.54)
Benevolo verso tutti gli esseri, sereno, porta il bastone che è insegna del suo ordine e un contenitore
per l'acqua. Chi è nell'ordine di sannyasa può entrare in un villaggio per chiedere l'elemosina, ma la
sua gioia è soltanto nel Brahman. (3.55)
Come è già stato detto, il sannyasi deve sempre rimanere da solo. Due persone insieme diventano una
coppia e sviluppano attaccamento reciproco. Tre persone insieme fanno un villaggio e cominciano a
litigare. Più di tre persone insieme diventano una città, e si crea confusione e agitazione. (3.56)
I sannyasi che rinunciano alla completa solitudine cadono dalla loro posizione perché vengono meno
al loro unico dovere. E' inevitabile che comincino a parlare di personaggi importanti specialmente
quelli che hanno una posizione nel governo, a paragonare i risultati della raccolta di elemosine, a
raccontare storie e pettegolezzi, e a sviluppare rivalità e favoritismi. (3.57-58)
Perciò il sannyasi deve rimanere sempre solo e non parlare mai con nessuno. Se viene interpellato
deve rispondere pronunciando il nome di Narayana. Deve concentrare la sua attenzione unicamente
sulla contemplazione del Brahman, in pensieri, parole e azioni. Non cerca la morte né si rallegra
della vita, e non misura il tempo che passa. Attende la morte come un servitore attende di ricevere
ordini. (3.59-60)
Certamente un sannyasi raggiunge la liberazione quando si comporta come se fosse privo di lingua,
impotente, storpio, cieco, sordo e ingenuo. (3.62)
E' senza lingua perché mangia senza notare il sapore del cibo e parla soltanto il minimo
indispensabile, pronunciando soltanto poche parole benefiche e veritiere. E' impotente perché non è
turbato dalla vista di una femmina, che sia una neonata, una ragazza di sedici anni o una vecchia di
cent'anni. E' storpio perché si muove soltanto per occuparsi delle necessità fisiologiche, sia per
evacuare che per elemosinare il cibo, e non cammina per più di 13 o 14 chilometri al giorno. E' cieco
perché tiene sempre gli occhi bassi, sia che stia fermo o che cammini, e mantiene il campo visivo
limitato a circa 5 metri di terreno avanti a sé. E' sordo perché rimane ugualmente insensibile quando
sente parole benefiche o negative, piacevoli o spiacevoli o addirittura dolorose. E' ingenuo perché
rimane sempre disinteressato verso gli oggetti dei sensi e non dà loro alcun valore. (3.63-68)
Il sannyasi deve sempre evitare accuratamente gli spettacoli di danza, il gioco d'azzardo, la compagnia
delle donne che conosceva un tempo, i cibi attraenti e abbondanti, le cose piacevoli in generale, e le
donne nel periodo delle mestruazioni. (3.69)
Il sannyasi deve evitare assolutamente anche solo di pensare alle sei azioni proibite: affetto, odio,
sostanze inebrianti, accumulo di possedimenti, inganno o violenza. (3.71) Sei cose provocano la
caduta di un sannyasi: un letto, abiti bianchi, parlare con donne, essere irrequieti, dormire di giorno e
viaggiare in un veicolo. (3.71)
Chi medita sull'Atman deve evitare i lunghi viaggi. Il sannyasi deve praticare sempre le istruzioni delle
Upanishad, che sono il mezzo per raggiungere la liberazione. (3.72) Il sannyasi non deve recarsi nei
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Le 108 Upanishad
luoghi di pellegrinaggio né sottoporsi a frequenti digiuni, non deve dedicare tutto il suo tempo a
studiare le scritture o a parlarne. (3.73) Deve evitare accuratamente ogni azione illecita o immorale,
qualsiasi inganno e bugia, qualsiasi manipolazione, qualsiasi indulgenza verso il piacere dei sensi:
deve ritirare l'attenzione alla realtà interiore, come una tartaruga ritrae le membra nel guscio. (3.74)
Raggiunge la liberazione dai legami del mondo quando la mente e i sensi rimangono in pace e
silenziosi. E' indifferente verso le dualità e gli opposti, verso le occasioni di onore e verso la
possibilità di esercitare il proprio libero arbitrio. E' libero da ogni identificazione materiale, da ogni
senso di possesso e di appartenenza, da aspettative e da ambizioni, e rimane sempre in solitudine.
(3.75-76)
Si può rinunciare alla vita del mondo dalla fase di brahmacharya, di grihastha o di vanaprastha, purché si
sia disciplinati e sempre attenti a vivere in modo irreprensibile, capaci di portare a termine i propri
compiti. Sono necessarie saggezza, devozione e un senso spontaneo di rinuncia. Chi desidera
sperimentare tutti gli stadi della vita umana passerà dal brahmacharya al grihastha al vanaprastha e poi al
sannyasa, ma chi è interessato solo alla liberazione può entrare direttamente nell'ordine di sannyasa da
qualsiasi posizione di vita. Nel momento stesso in cui si sente di aver chiuso con la vita del mondo si
può diventare rinunciati, sia che si sia completata la serie dei rituali di purificazione, o che si abbia
smesso di celebrare i rituali del fuoco alla morte della moglie o per qualche altro motivo. Alcuni testi
raccomandano di celebrare il sacrificio Prajapatya (in omaggio al creatore Brahma) prima di prendere
i voti di rinuncia, ma non è obbligatorio. Si può semplicemente celebrare il sacrificio Agneyi,
dedicato al fuoco, che non è differente dal Prana, perché in questo modo si rinforza l'energia vitale.
Poi si può celebrare il sacrificio Traidhataviya (in omaggio a Indra), perché in questo modo i tre
fluidi vitali si rafforzano. (3.77)
Dopo aver completato il rituale aspirerà il fumo del fuoco sacro recitando il mantra: "O Fuoco, il
prana è la tua origine, e risplendi al momento giusto. Che tu possa fonderti nel prana e alimentare la
nostra ricchezza nella realizzazione trascendentale. Svaha."
Se non fosse in grado di celebrare il rituale nel fuoco, offrirà l'oblazione nell'acqua, perché l'acqua è
la dimora di tutti i Deva. Recitando il mantra, "Offro l'oblazione a tutti i Deva. Svaha", verserà
l'offerta e poi raccoglierà una piccola quantità di ciò che è rimasto, e lo mangerà mescolandolo con
l'acqua. Questo avanzo del sacrificio è molto benefico e aiuta a raggiungere la liberazione. Dopo aver
tagliato la sikha, essersi liberato del filo sacro, aver lasciato la famiglia, la casa, i genitori, il figlio, la
moglie, e aver abbandonato le attività ordinarie come l'occupazione professionale, lo studio e le
cerimonie rituali, si può entrare nell'ordine di rinuncia. In questo modo si raggiunge la liberazione."
(3.78)
Narada domandò ancora all'Antenato: "Com'è possibile che un uomo senza filo sacro sia
considerato un brahmana?"
Brahma rispose, "Il filo sacro esteriore, chiamato sutra, è soltanto un simbolo che rappresenta il
Brahman trascendentale e indistruttibile, la posizione suprema. Soltanto chi comprende questo ha
perfettamente appreso l'intera conoscenza vedica. (3.79-81)






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L'asceta che conosce lo yoga e percepisce direttamente la verità possiede quel filo che tiene insieme
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Parama Karuna Devi
tutti i mondi, come le perle sono legate insieme da un filo. Quando si è stabilito al livello più alto
dello yoga, il saggio non ha più bisogno di simboli esteriori, perché il filo interiore lo mantiene
sempre perfettamente puro. Il vero filo sacro è soltanto quello interiore, mentre quello esteriore non
è che una sua immagine. (3.82-84) Il ciuffo di capelli (la sikha) è il simbolo della conoscenza che
pone l'individuo su un livello più alto, e se la conoscenza interiore è assente non ha molto
significato: non è altro che uno stile di pettinatura. Se invece la conoscenza interiore arde radiosa
come un fuoco, si può anche fare a meno del simbolo esterno. (3.85-86)
Coloro che sono stati iniziati e si impegnano nei rituali vedici devono indossare il filo sacro, perché
fa parte integrante della cerimonia. Ma chi conosce il Veda considera la realizzazione trascendentale
come il vero filo sacro e la conoscenza come la vera sikha. (3.87-88)
Il sannyasi diventa un sadhu itinerante e rinuncia ad ogni cosa. Abbandona gli abiti e rimane sempre
nudo oppure si copre sommariamente con un perizoma e al massimo con una pezza di stoffa. Tiene
la testa rasata in segno di austerità e accetta soltanto il cibo che gli è indispensabile per sopravvivere,
abbandona ogni contatto con la famiglia e gli amici e il luogo dove era nato e vissuto, e ogni
attaccamento a qualsiasi luogo o cosa. Deve essere capace di tollerare ogni dualità, caldo e freddo,
piacere e dolore, onore e disonore, fame, sete, malattia, vecchiaia, e tutte le altre avversità della vita
umana. Ha abbandonato l'identificazione con il corpo, l'egotismo, le rivalità, l'orgoglio,
l'ostentazione, le critiche, l'odio, l'amore, la collera, il desiderio e l'illusione. Deve pensare al proprio
corpo come a un cadavere e concentrare la consapevolezza soltanto sull'Atman sia interiormente che
esteriormente. Non deve inchinarsi dinanzi a nessuno, non deve lodare o condannare nessuno, né
cercare di propiziare i Deva o i Pitri. In questo modo diventa completamente indipendente da
qualsiasi influenza esterna.
Soddisfatto di ciò che gli arriva spontaneamente, accetta soltanto il cibo necessario per sopravvivere
e rifiuta ogni altro dono, che sia in denaro (oro) o in beni o proprietà. Non si occupa dell'adorazione
rituale, né di mantra, meditazione o altri impegni. Non ha casa, e di notte dorme sotto un albero, in
una casa abbandonata, in un tempio, nella capanna di un vasaio, sulla riva sabbiosa di un fiume, in
una cantina, in una grotta, o nei pressi di una cascata o in una foresta. Può anche non mantenere i
segni distintivi dell'asceta come facevano i grandi Rishi del passato - Svetaketu, Ribhu, Nidagha,
Rishabha, Durvasa, Samvartaka, Dattatreya e Raivataka. Il suo comportamento è incomprensibile
per le persone ordinarie, e pur essendo perfettamente sano di mente si comporta come se fosse
pazzo. Pronunciando il mantra svaha, offre in oblazione alle acque la ciotola delle elemosine, il vaso
dell'acqua, il perizoma e il bastone da sannyasi. (3.98-90)
Viaggia così, libero da ogni possedimento e dualità, sempre perfettamente consapevole della propria
identità trascendentale, desideroso soltanto di sradicare il ciclo di azioni buone e cattive, e
mangiando ciò che trova per strada senza nemmeno mendicare. Ricordando soltanto il Brahman
nella forma del Pranava Omkara, abbandona il corpo attraverso la rinuncia consapevole. Chi
raggiunge questo livello di realizzazione non ha più bisogno di un corpo." (3.91)
"Chi abbandona i tre mondi, i Veda, gli oggetti dei sensi e i sensi stessi, e si stabilisce esclusivamente
nell'Atman raggiunge la destinazione suprema. (4.1) Un vero yogi non risponderà mai a chi gli
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Le 108 Upanishad
chiede il suo nome, la sua famiglia, la sua discendenza, il suo luogo di nascita o qualsiasi altra
informazione personale. Non dirà mai quali scritture ha studiato, quali voti osserva o ha osservato,
quanti anni ha, cosa fa, dov'è stato e per quanto tempo, e così via. (4.2) Non si intratterrà a
conversare con donne né ricorderà le donne che aveva incontrato in passato, eviterà di parlarne e
persino di guardarne le immagini, perché la sua mente non ne venga disturbata. (4.3-4)
Un sannyasi cade dalla sua posizione trascendentale se viene anche solo toccato dal senso di
identificazione con il corpo, dal senso di possesso o di appartenenza, da avidità, collera, falsità di
qualsiasi genere, accumulo di beni, illusione, attrazione o repulsione, desiderio o passione. Deve
astenersi rigidamente dall'accettare regali, dall'avere preferenze di qualsiasi genere, dal praticare la
medicina o le arti magiche, dal rimproverare altri o correggerli in qualche modo, dallo spiegare o
giustificare il proprio comportamento o le proprie convinzioni, dal viaggiare in località impure e dal
dare benedizioni. (4.5-6) Non dirà mai a nessuno le parole 'vieni', 'vai', 'fermati', 'smettila',
'benvenuto', o 'amico'. (4.7) Un sannyasi non accetterà mai doni di alcun genere, né chiederà o
convincerà sottilmente altri a fargli doni: nemmeno in sogno. (4.8) Sentendo notizie buone o cattive
delle persone che conosceva un tempo - moglie, figli, fratelli, parenti ecc - rimarrà sereno e
distaccato da illusione e tristezza. (4.9)
Non commetterà mai alcun atto violento, non farà mai del male a nessuno, osserverà
scrupolosamente la veridicità, sarà sempre franco e diretto, eviterà di impossessarsi di ciò che non gli
appartiene, osserverà strettamente i voti di continenza anche mentalmente, rimarrà libero da ogni
desiderio di acquisizione. Sarà equilibrato e stabile, sereno, umile, pacifico, amabile, tollerante,
compassionevole, modesto e allegro. Servirà e onorerà le persone rispettabili, rimarrà sempre libero
da ogni attaccamento affettivo e da ogni senso di lealtà di parte. La conoscenza, la saggezza, la fede e
la devozione saranno il suo sostegno, la contemplazione del Brahman nello yoga supremo sarà il suo
unico impegno, e si accontenterà sempre di un vitto modestissimo e di qualsiasi condizioni di vita si
trovi ad affrontare. Questi sono i requisiti indispensabili per un sannyasi. (4.10-12)
Sempre libero dalla dualità e dalla differenziazione, fermamente stabile nella virtù, equanime in ogni
situazione, il sannyasi Paramahamsa è il riflesso visibile del Signore Narayana. (4.13)
Tranne che durante la stagione delle piogge, in cui può fermarsi nella stessa località per 4 mesi, il
sannyasi rimarrà una sola notte in un villaggio piccolo o fino a cinque notti in una città grande. (4.14)
Se rimanesse in un villaggio per più di una notte potrebbe sviluppare attaccamento per il posto o per
le persone che vi abitano, cosa che lo condurrebbe a una situazione infernale. (4.15)
Si accamperà alla periferia del villaggio, in un luogo isolato, e si inoltrerà nell'area abitata solo per
chiedere l'elemosina. (4.16)
Camminerà sulla terra indossando un solo pezzo di stoffa o niente del tutto, mantenendo
l'attenzione fissa sul Brahman soltanto, libero da qualsiasi desiderio, senza mai commettere azioni
contrarie all'etica, sempre immerso in profonda contemplazione. (4.17)
Eseguirà i doveri essenziali (evacuare, lavarsi ecc) in un luogo pulito, poi si rimetterà in viaggio,
tenendo lo sguardo a terra. (4.18) Non viaggerà di notte, a mezzogiorno, all'alba o al tramonto. Non
viaggerà in zone desertiche, impraticabili o pericolose per gli esseri viventi.





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A seconda della
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grandezza dell'insediamento urbano che incontra, potrà fermarsi una notte, due notti, tre notti o fino
a cinque notti se la città è grande. Durante la stagione dei monsoni, si accamperà in un luogo dove
c'è abbondanza di acqua potabile. (4.20) Percorrerà la terra considerando tutti gli esseri viventi come
non differenti da sé stesso; si comporterà come se fosse cieco, sordo, muto, stupido e pazzo. (4.21)
Un sannyasi Bahudaka che vive nella foresta deve fare il bagno tre volte al giorno, nei momenti di
passaggio del giorno e della notte, un sannyasi Hamsa fa il bagno una volta al giorno, e il
Paramahamsa non ha regole da seguire in merito alle abluzioni. (4.22)
Il sannyasi deve osservare sette regole: silenzio, controllo del corpo (asana), profonda meditazione,
tolleranza, solitudine, assenza di qualsiasi desiderio, equanimità verso tutti gli esseri. (4.23)
Tutte queste regole e limitazioni servono ad elevarsi al di sopra del piano mentale, fino al momento
in cui la mente diventa perfettamente silenziosa. (4.24)
Che differenza c'è tra i germi che nuotano nell'acqua sporca e i materialisti che si deliziano nel corpo,
che è fatto di carne, sangue, ossa, midollo, tendini, feci e urine? (4.25) Il corpo materiale è fatto di
elementi impuri, mentre ciò che si percepisce come splendore, fascino e qualsiasi altra qualità
positiva nel corpo è dovuto esclusivamente all'Atman. Uno sciocco che trae piacere e orgoglio dal
corpo, che è fatto di carne, sangue e altre sostanze impure, si troverà in una situazione infernale.
(4.26-27) Non c'è molta differenza tra un orifizio del corpo e una ferita aperta, ma i materialisti si
eccitano con le fantasie della mente. Non è che uno squarcio su tratto di pelle, reso odoroso dal
passaggio dell'apana, ma i materialisti impazziscono ossessionati dal desiderio. (4.28-29)
Il sannyasi non ha alcun dovere da compiere, nessun impegno, nessuna affiliazione, nessun emblema
o distintivo. E' completamente libero da ogni senso di appartenenza o di possesso, e quindi è sereno
e non prova paura o senso di dualità. Accetta il cibo senza preoccuparsi delle regole sociali, indossa
un semplice pezzo di stoffa o niente del tutto, ed è sempre immerso profondamente nella
meditazione. Soltanto dedicandosi completamente alla saggezza trascendentale può rimanere sul
piano del Brahman. (4.30-31)
La sua posizione liberata è dovuta alla conoscenza spirituale, non all'appartenenza a qualche ordine
religioso o alle apparenze esteriori, che hanno ben poco significato. (4.32)
Il vero brahmana, colui che conosce il Brahman, vede con occhio equanime ogni essere, senza farsi
confondere dalle qualità esteriori, dal comportamento o dal livello evolutivo degli altri. (4.33)
Perciò il sannyasi viaggia modestamente, senza portare alcun emblema o segno distintivo,
comportandosi sempre in modo etico, dedicandosi all'unica attività di realizzare il Brahman, e
meditando sulla dottrina segreta. (4.34) Percorrerà la terra senza farsi conoscere da nessuno,
rimanendo al di fuori del sistema dei varna e degli ashrama, come se fosse cieco, muto e stupido.
(4.35) Osservando la serenità della sua mente, i Deva desiderano diventare come lui. Poiché non fa
discriminazioni, raggiunge la felicità suprema." (4.36)
Narada chiese ancora a Brahma: "Ti prego, spiegaci il metodo della rinuncia."
Brahma rispose: "Chi desidera entrare nell'ordine di sannyasa, secondo la sequenza normale o in caso
di emergenza, dovrebbe compiere le otto cerimonie religiose per gli antenati (asta sraddha) nonché
un'espiazione generale (kriccha prayascitta), gli otto rituali di sacrificio per onorare i Deva (Vishnu,
120
Le 108 Upanishad
Brahma, Shiva), i Rishi (Devarshi, Rajarshi ecc), gli Upadeva, gli esseri umani, i cinque elementi
materiali e i sensi ad essi associati, gli antenati (in linea paterna e materna), il padre, la madre e il sé.
Onorerà anche i due brahmana che lo assisteranno nelle cerimonie, poi si raserà completamente,
eseguirà i rituali del sandhya della sera recitando il Gayatri mille volte, e infine celebrerà l'ultimo
sacrificio rituale per propiziare Agni e Soma, consumerà l'orzo rimasto dopo l'offerta, e poi si siederà
a nord del fuoco ascoltando la recitazione dei Purana. Alla fine distribuirà doni a tutti e installerà il
fuoco sacro e i Deva all'interno del proprio corpo, recitando i mantra appositi: 'Che i Marut
riuniscano le mie arie vitali (prana), che Indra, Brihaspati, Agni mi diano forza e vita. O Agni, entra
nel mio corpo e benedicimi prendendo la forma di Yajna, la personificazione del sacrificio.'
Dopo aver così trascorso la notte in attività religiose e spirituali, all'alba si congederà dal mantra
Gayatri recitandolo per mille volte, offrirà oblazioni d'acqua ai guardiani delle direzioni e fonderà le
vyahriti (bhuh, bhuvah, svah) del mantra Gayatri con i vari livelli dell'universo. Mediterà quindi
sull'albero universale, sulla realtà dell'Atman- Brahman, e sulla natura immortale dello spirito.
Così disse Trishanku: 'L'Atman, il Pranava Omkara, è la suprema espressione dei Veda,
onnipresente, manifestato dalla consapevolezza. Che il Signore mi dia la vera intelligenza. Che mi dia
la saggezza che porta all'immortalità, che il mio corpo sia attivo e funzionale, che le mie parole siano
dolci. Che io possa usare le orecchie per ascoltare la ricchezza della conoscenza vedica. Tu sei la
copertura del Brahman, nascosto dall'identificazione con la materia. Proteggi la mia saggezza nata
dallo studio delle scritture. Ora mi sono elevato al di sopra di tutti i desideri materiali e non ho più
legami con la gloria del mondo, la ricchezza o l'amore del mondo. Om bhuh, ho rinunciato. Om
bhuvah, ho rinunciato. Om suvah, ho rinunciato. Che tutti gli esseri siano liberi dalla paura, tutto
emana dalla memoria soltanto. Svaha.'
Poi scioglierà la sikha (il nodo di capelli) offrendo acqua all'oriente e recitando Om svaha. Spezzerà il
filo sacro recitando il mantra che ne descrive le glorie, e pregandolo di entrare nel suo corpo insieme
con saggezza, intelligenza, forza e rinuncia. Poi offrirà alle acque il filo spezzato, recitando il mantra,
'Om bhuh, raggiungi il mare. Svaha. Om bhuh, ho rinunciato. Om bhuvah, ho rinunciato. Om suvah, ho
rinunciato.'
Similmente affiderà alle acque il suo abito, recitando "Om bhuh svaha", e infine si incamminerà verso
nord, con la mano alzata e immerso nella contemplazione dell'Atman. (4.37)
Dopo aver ricevuto dal Guru le istruzioni necessarie sul Pranava Omkara e sui maha vakya o Grandi
Aforismi della meditazione, viaggerà facendo brevi tappe, percependo soltanto l'Atman in tutto ciò
che esiste. Si nutrirà di frutta, foglie e acqua, vivendo sulle colline, nelle foreste e nei templi. Infine
smetterà di viaggiare e si ritirerà in qualche grotta di montagna, meditando costantemente
sull'esperienza della felicità suprema e nutrendosi di frutta, foglie, tuberi, cortecce morbide e acqua,
fino al momento di lasciare il corpo. (4.38) Se il sannyasi desidera dedicarsi alla coltivazione della
conoscenza (vividisha sannyasi), riceverà il bastone, il perizoma, la stoffa color ocra da usare come
abito, la cintura e il vaso per l'acqua. Offrendo il proprio omaggio a questi oggetti come simboli
spirituali pronuncerà i voti di rinuncia e seguirà le regole prescritte (4.39)
Narada si rivolse di nuovo a Brahma: "Il sannyasi rinuncia ad ogni attività, ma hai detto che bisogna






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Brahma rispose, "L'essere vivente sperimenta quattro stati - veglia, sogno, sonno e lo stato chiamato
turiya - e agisce di conseguenza nelle sue attività quotidiane, nella conoscenza e nel distacco."
Narada domandò ancora, "Devono quindi esserci diversi tipi di rinuncia e differenti tipi di pratiche.
Ti prego, parlamene." (5.1)
Brahma proseguì: "La rinuncia è in realtà una sola, ma prende aspetti diversi quando è associata a
una imperfezione nella conoscenza (vidvat), a una qualche incapacità (vividisha) o al fallimento
nell'azione (atura) e quando si manifesta nelle quattro fasi associate a distacco, saggezza, distacco e
saggezza uniti, e rinuncia all'azione. (5.2)
La rinuncia associata al distacco si ha quando l'uomo è libero da passioni negative e grazie
all'influenze delle sue buone azioni precedenti diventa indifferente verso gli oggetti dei sensi. (5.3)
La rinuncia associata alla saggezza si raggiunge attraverso la realizzazione della conoscenza delle
scritture, analizzando le esperienze positive e negative del mondo, e ritraendosi dalle emozioni
negative come collera, invidia, intolleranza, egotismo e arroganza. Chi raggiunge questo livello
trascende l'attrazione verso la vita coniugale, le proprietà e la gloria del mondo, l'erudizione
accademica e la posizione sociale, considerando tutti questi piaceri come fonte di contaminazione e
di illusione. (5.4)
Chi ha studiato adeguatamente tutte le scritture e sperimentato la vita familiare e sociale nel modo
prescritto, arriva sul piano di saggezza e distacco grazie alla profonda meditazione sull'Atman. (5.5)
Dopo aver completato i doveri prescritti per le fasi di brahmacharya, grihastha e vanaprastha, l'uomo
entra normalmente nella fase di sannyasa; se il suo distacco non è completo e perfetto, si dice che ha
semplicemente rinunciato alle attività del mondo. (5.6) La rinuncia all'identificazione con il corpo e
alle attività dei sensi si basa sul distacco. Quella ispirata dallo studio delle scritture si basa sulla
saggezza. La semplice rinuncia alle attività del mondo e alla vita sociale è macchiata dalla mancanza
di conoscenza. (5.7) La rinuncia all'azione può essere di due tipi: dovuta a una causa precisa o a un
immediato pericolo di morte, oppure dovuta a un sentimento generale di delusione. Chi si trova in
una circostanza di afflizione estrema tralascia tutti i rituali, ma diventa consapevole che tutte le cose
create sono effimere e quindi non vale la pena di restarvi attaccati. (5.8)
L'Atman individuale non è differente dal Brahman, pervade lo spazio puro, è il sole (Vasu) fisso nel
cielo, il Fuoco che riposa sull'altare dell'universo, l'Ospite che risiede nella casa del sacrificio. Vive
negli esseri umani così come nei Deva, nella Verità, nel cielo, nell'acqua, nella terra, nelle montagne e
in ogni altra cosa. (5.9) Chi si rende conto che soltanto il Brahman è eterno e immutabile raggiunge
un livello di rinuncia all'azione ispirata da un senso generale di distacco. (5.10)
I sei livelli di rinuncia si chiamano Kutichaka, Bahudaka, Hamsa, Paramahamsa, Turiyatita e
Avadhuta. (5.11)
Il sannyasi Kutichaka mantiene filo sacro e sikha, porta il bastone che è simbolo del suo stato, ha un
vaso per l'acqua, indossa un perizoma e una pezza di stoffa rattoppata. Si dedica al servizio del
Guru, del padre e della madre, consuma sempre i pasti nello stesso luogo, porta sulla fronte un
segno verticale di pasta di sandalo, e il suo bastone è triplice. (5.12)
122
Le 108 Upanishad
Il sannyasi Bahudaka segue quasi le stesse regole del Kutichaka; si nutre di 8 bocconi di cibo raccolte
in luoghi diversi come fanno le api (madhukari) e ha sulla fronte tre linee orizzontali di ceneri sacre.
(5.13) Il sannyasi Hamsa porta i capelli incolti, indossa semplicemente un perizoma e tiene una pezza
di stoffa sopra la bocca. Si nutre di cibo raccolto in elemosina dove capita, e porta sulla fronte un
segno orizzontale di cenere sacra o verticale di sandalo. (5.14)
Il sannyasi Paramahamsa si rasa completamente la testa, consuma soltanto un pasto serale
elemosinando in cinque case, indossa un perizoma e una sola pezza di stoffa, non ha una ciotola per
le elemosine ma riceve il cibo direttamente nelle mani, si spalma il corpo di cenere sacra e porta un
bastone unico. (5.15)
Il sannyasi Turiyatita consuma il cibo senza usare le mani; generalmente mangia frutta selvatica
oppure chiede l'elemosina in tre case. Tratta il proprio corpo come se fosse un cadavere, facendo il
minimo indispensabile per tenerlo in vita e non curandosi di vestirlo. (5.16)
Il sannyasi Avadhuta non segue regole e si mantiene in vita con ciò che gli arriva spontaneamente,
come fa un pitone, accettando le offerte da persone appartenenti a qualsiasi classe sociale, tranne che
da criminali o persone degradate. Si occupa esclusivamente della realizzazione dell'Atman. (5.17)
Una persona che soffre molto può rinunciare al mondo accettando dal Guru le istruzioni sul
Pranava Omkara e sui maha vakya. (5.18)
Le fasi chiamate Kutichaka, Bahudaka e Hamsa sono successive l'una all'altra, in modo simile alla
serie dei quattro ashrama - brahmacharya, grihastha, vanaprastha. (5.19)
I sannyasi possono continuare lo studio delle scritture fino al punto in cui si sentono completamente
soddisfatti, poi abbandoneranno ogni proprietà personale, affidando tutto alle acque. I Paramahamsa
non portano cintura, perizoma o altri abiti, vaso per l'acqua o bastone. Rimangono sempre nudi, e
chiedono l'elemosina da qualsiasi categoria di persone. Non studiano né insegnano, e non ascoltano
nulla. La loro meditazione sarà fissa esclusivamente sul Pranava Omkara e non parleranno
nemmeno delle scritture vediche, ma rimarranno sempre rispettosi dell'insegnamento dei grandi
maestri. Non comunicheranno con nessuno, né con parole né con gesti delle mani o altri tipi di
linguaggio. Non chiederanno l'elemosina a persone degradate o contaminate. Il sannyasi non
partecipa all'adorazione dei Deva, né ai festival religiosi, né ai pellegrinaggi. (5.20)
Di regola, il sannyasi Kutichaka chiede l'elemosina da una sola casa, il Bahudaka raccoglie a caso qua
e là come l'ape prende il nettare dai fiori, l'Hamsa si nutre di otto bocconi ricevuti ciascuno in una
casa diversa, il Paramahamsa da cinque case senza usare ciotola per le elemosine, il Turiyatita mangia
frutta direttamente con la bocca, senza usare le mani, e l'Avadhuta consuma soltanto ciò che gli
arriva spontaneamente, senza chiedere a nessuno. Il sannyasi non deve mai rimanere a lungo nello
stesso posto. Non deve inchinarsi a nessuno, specialmente considerando che una persona che ha
realizzato l'Atman è sempre più anziana e venerabile di chi è ancora identificato con la materia, a
prescindere dall'età biologica del corpo. Il sannyasi non attraverserà un fiume a nuoto né si
arrampicherà su un albero, e non viaggerà in veicoli. Non dovrà mai impegnarsi nel commercio di
qualsiasi genere, nemmeno nel baratto o nello scambio, a qualsiasi livello. Non dirà mai menzogne e
non si darà mai delle arie.





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view post Posted on 2/2/2023, 10:31     Top   Dislike
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Non ha doveri da compiere e quindi si impegna soltanto nella meditazione
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Parama Karuna Devi
interiore. Se si impegnasse in altre attività religiose verrebbe inevitabilmente a contatto con altre
persone, cosa che lo attirerebbe a sviluppare affinità con loro. (5.21)
Coloro che rinunciano al mondo nell'imminenza della morte e i sannyasi Kutichaka raggiungono
rispettivamente i livelli chiamati Bhuh e Bhuvah, mentre il Bahudaka raggiunge Suvah (Svarga). Il
sannyasi Hamsa raggiunge Tapoloka, il Paramahamsa raggiunge Satyaloka, la dimora di Brahma. Il
Turiyatita e l'Avadhuta raggiungono l'estasi suprema nell'Atman. (5.22)
Il proverbio della vespa e del verme insegna, "Qualsiasi condizione o situazione si ricordi all'istante
di lasciare il corpo, diventa la destinazione dopo la morte. Gli insegnamenti delle scritture sono
sempre validi." (5.23)
Pur conoscendo le procedure richieste per i rituali e le attività religiose, il sannyasi si dedicherà
esclusivamente alla meditazione sulla natura dell'Atman. La liberazione è raggiunta naturalmente
attraverso la saggezza e il distacco, perciò le altre pratiche risultano superflue. L'anima incarnata
attraversa le fasi di veglia, sogno e sonno profondo: allo stato di veglia percepisce l'individualità di
ogni esistenza nell'universo (visva), nel sogno percepisce l'essenza sottile della luce (taijasa), mentre
nel sonno profondo è a contatto con la conoscenza trascendentale (prajna). Queste variazioni nella
consapevolezza producono le differenze nelle rappresentazioni di Isvara, perché la differenza negli
effetti rispecchia la differenza nelle cause. Nei tre stati della consapevolezza individuale la causa
materiale è l'attività dei 14 sensi di percezione, inclusi la mente (manas), l'intelletto (buddhi), l'ego
(ahankara) e la coscienza (citta). (5.24)
Il Jivatman è sveglio quando risiede nell'occhio, quando entra nel sogno si trova nella gola, quando
entra nel sonno profondo è nel cuore, ma nel quarto stato trascendentale detto turiya rimane nella
testa. (5.25)
Chi comprende che il turiya è il Brahman indistruttibile rimane indifferente a tutto ciò che vede o
sente, come se fosse immerso in un sonno profondo, anche se è perfettamente sveglio, o persino
durante il sonno dei sogni. E' detto che questa persona è un Jivanmukta, liberato già in questa vita.
Le scritture affermano che solo un Jivanmukta raggiunge la liberazione. Un sannyasi non aspira a
questo mondo o ai pianeti superiori, ma se desiderasse ancora raggiungerli li otterrebbe facilmente,
anche senza compiere i rituali prescritti. Ma chi si impegna in attività che non siano la realizzazione
trascendentale dell'Atman - pratiche yoga, sankhya, mantra o rituali - sta decorando un cadavere,
perché il risultato di tali attività religiose è temporaneo e rientra nell'ambito dell'universo materiale.
Perciò il sannyasi deve abbandonare tutte le attività interessate e rinunciare a tutti gli attaccamenti del
mondo, rimanendo in vita indifferente all'idea della morte, come un servitore in attesa di ordini.
(5.26)
Chi si presenta come un asceta e vive di elemosine ma non possiede saggezza, distacco, tolleranza,
serenità di mente e così via, deve essere considerato un pessimo esempio e una vergogna per tutti i
sannyasi. (5.27) Non si ottiene la liberazione semplicemente accettando i simboli esteriori del sannyasa,
né con una falsa rinuncia, né con un comportamento ipocrita. (5.28) Chi porta il simbolo del
bastone che rappresenta la saggezza, ma è privo di conoscenza e saggezza, e mangia qualsiasi tipo di
124
Le 108 Upanishad
cibo, è destinato a una condizione infernale. (5.29)
Una posizione stabile in una matha è considerata disprezzabile come gli escrementi di un maiale:
perciò il sannyasi deve spostarsi costantemente. Il sannyasi Turiyatita userà solo il cibo e la stoffa per
coprirsi che gli arrivano spontaneamente, senza chiedere, e farà il bagno quando gli sarà possibile.
(5.30-31)
Il sannyasi che rimane in uno stato di consapevolezza costante anche durante i sogni è considerato il
migliore tra coloro che seguono le conclusioni dei Veda. (5.32) Non si rattristerà quando non riceve
elemosine né si rallegrerà di riceverne. Si manterrà semplicemente in vita, evitando qualsiasi
attaccamento alle cose materiali. (5.33) In ogni caso eviterà gli onori e il rispetto della gente e di
eventuali seguaci: il sannyasi che accetta tali onori è destinato a cadere nuovamente nella rete
dell'illusione. (5.34)
Per la propria sopravvivenza, il sannyasi elemosinerà alla casa delle persone iniziate (nate due volte)
all'ora giusta, cioè al termine del pasto della famiglia, dopo che il rituale del fuoco è stato completato.
(5.35) Il sannyasi riceverà il cibo elemosinato nelle proprie mani e chiederà l'elemosina soltanto una
volta al giorno. Può mangiare stando in piedi o camminando, e non ha bisogno di compiere le
purificazioni previste per i pasti. (5.36)
I sannyasi che hanno una mente pura si comportano sempre in modo corretto e in accordo alla
moralità, proprio come il sole non esce mai dalla sua orbita. (5.37) L'asceta che consuma il cibo
direttamente con la bocca, senza usare le mani, deve essere equanime verso tutti gli esseri viventi:
soltanto così diventa degno dell'immortalità. (5.38)
Eviterà di chiedere l'elemosina in case proibite. Entrerà nella casa soltanto se la porta è già aperta, e
non si avvicinerà mai a una casa se la porta è chiusa. (5.39)
Per la notte si riparerà in una casa abbandonata, dove tutto è coperto di polvere, oppure dormirà
sotto un albero, senza avere preferenze. (5.40)
Il luogo dove passare la notte sarà semplicemente quello in cui si trova al momento del tramonto del
sole. Non avrà fissa dimora e vivrà soltanto di ciò che gli arriva spontaneamente, sempre
mantenendo il perfetto controllo sui sensi e sulla mente. (5.41)
L'asceta che si allontana dalle zone abitate per vivere nella foresta, che possiede la vera conoscenza e
controlla perfettamente i sensi può concentrarsi nella contemplazione del Brahman. (5.42)
Il sannyasi itinerante che evita accuratamente di causare paura ad altri esseri viventi non ha niente da
temere dagli altri esseri viventi. (5.43)
Libero dall'orgoglio e dall'identificazione materiale, indifferente verso la dualità, sempre illuminato
dalla consapevolezza trascendentale, il sannyasi non si arrabbia mai, non odia nessuno, non desidera il
male di nessuno e non dice mai bugie. (5.44)
L'asceta che cammina in luoghi puri, non causa alcun male a qualsiasi essere vivente e chiede
l'elemosina al momento giusto può concentrarsi nella contemplazione del Brahman. (5.45) Non
entrerà mai a contatto con i vanaprastha o con i grihastha, ma si muoverà senza attirare l'attenzione, e
rimarrà insensibile a qualsiasi piacere. Senza fretta, come un verme, percorrerà la terra sulla via
indicata dal Sole. (5.46)






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