| Non vedendo Sita, Rama considerava il mondo vuoto; e, sopraffatto dal dolore, non aveva pace. Egli non prese in considerazione la possibilità di pensare ad un'altra come moglie, e quindi, per la celebrazione dei riti religiosi, usò un'immagine di Sita fatta d'oro. Rama governò la terra per moltissimo tempo. Durante l'intero periodo del suo regno tutti gli esseri godettero di ottima salute e lunga vita. Dappertutto vi era giustizia e rettitudine. La terra era prosperosa. La pioggia cadeva nella misura necessaria e veniva al momento giusto. Nessuno soffriva di alcuna sventura. Dopo aver goduto della sua vita con Rama, i suoi figli e i suoi pronipoti, la madre di Rama - Kausalya - salì in cielo. Dopo aver condotto una vita retta, anche Sumitra e Kaikeyi andarono in cielo. Tutte si riunirono in cielo con re Dasaratha. E Rama propiziò tutti con le doverose e regolari celebrazioni delle cerimonie che si praticano ogni anno in onore degli antenati defunti. Dopo diversi anni, lo zio di Rama Yudhajit mandò dal nipote il proprio guru con un messaggio e un grande carico di coperte di lana, pietre preziose, indumenti e anche cavalli, come suoi doni per Rama. Il santo messaggero fu ricevuto con il massimo rispetto, con grande reverenza e amore. Quindi Rama lo fece sedere su un seggio appropriato ad un ospite di riguardo e gli chiese come stava suo zio. Infine egli chiese al brahmana: "Qual era il messaggio di mio zio per me?". Il reverendo messaggero disse: "Sulle rive del fiume Sindhu vive un gandharva chiamato Sailusha, che ha con sé trenta milioni di soldati eccezionalmente forti. Ti preghiamo di conquistarli con la tua forza, ed espugnare le città dei gandharva. All'infuori di te, non abbiamo nessun altro che possa riuscire in quest'impresa". Rama diede subito il suo consenso, e fece mandare a chiamare Bharata insieme ai suoi due figli Taksha e Pushkala. Indicandoli, Rama disse al brahmana: "Questi due giovani, insieme al loro padre Bharata, conquisteranno presto le schiere dei gandharva". Detto questo, Rama fece incoronare i due ragazzi come re del territorio dei gandharva, anticipando così la loro vittoria. Quindi il reverendo messaggero fece ritorno nel regno Kekaya (di Yudhajit), e Bharata e i suoi due figli partirono per la loro spedizione di guerra. In quindici giorni, Bharata raggiunse il regno Kekaya e unì il suo esercito a quello di Yudhajit. Insieme i due eserciti attaccarono le forze dei gandharva. La feroce battaglia che seguì durò sette giorni. Volendo porre fine alla lotta, Bharata usò il missile mortale chiamato Samvarta; e in un batter d'occhio sterminò i trenta milioni di gandharva. Poi Bharata entrò nel territorio dei gandharva insieme ai suoi due figli. Egli insediò suo figlio Taksha come re di Takshasila, e suo figlio Pushkala come re di Pushkalavata. Le due città prosperarono grandemente sotto il loro dominio. Bharata trascorse cinque anni con i suoi figli nei loro nuovi territori, e dopo aver reso stabile la loro amministrazione tornò ad Ayodhya. Egli si prostrò davanti a Rama e poi lo mise al corrente di quanto era accaduto. Rama ne fu felicissimo. Quindi Rama desiderò insediare i due figli di Lakshmana, Angada e Candraketu, come sovrani di due principati idonei a loro. Rama disse a Lakshmana: "I tuoi due figli sono forti e valorosi, e sono all'altezza di governare i loro territori. Li nominerò re. Pensa ad un territorio adatto per ciascuno di loro. La regione prescelta dev'essere tale che i sovrani non dovranno avere alcun problema nel governarla, e gli eremitaggi dovranno essere tranquilli e liberi da ogni molestia". Non appena furono trovati i territori adatti, Rama stesso incoronò re i due ragazzi. Il territorio governato da Angada fu chiamato Angada, e Candraketu fu installato sul trono di Candrakanti. Lakshmana rimase con i suoi figli per un po' di tempo, e quando l'amministrazione dei due regni cominciò a funzionare senza problemi, egli fece ritorno ad Ayodhya e da Rama. Mentre Rama continuava ad amministrare il suo impero, il Tempo (o la Morte) si presentò alle porte del suo palazzo sotto le spoglie di un asceta. L'asceta disse a Lakshmana: "Ti prego, informa Rama che è arrivato un messaggero da parte di uno che è supremamente potente; digli che desidererei parlare con lui". Lakshmana informò Rama dell'arrivo dell'asceta. Seguendo le istruzioni di Rama, Lakshmana fece entrare l'asceta e lo condusse alla presenza del fratello. Rama ricevette l'asceta con grande reverenza e lo fece sedere su un seggio d'oro. Infine Rama gli chiese di comunicare il messaggio che aveva per lui. L'asceta però gli rispose: "Posso trasmettere il messaggio soltanto in privato, o Rama. Perché chiunque lo ascoltasse o ci osservasse mentre parliamo dovrebbe essere subito messo a morte". Rama acconsentì a questa condizione. Egli pose Lakshmana fuori della stanza con l'ordine preciso: "Non permettere ad alcuno di entrare e interrompere quest'importante conversazione. Chiunque entrerà nella stanza sarà messo a morte". Poi, rivolto all'asceta, Rama disse: "Ora ti prego, comunicami l'importante messaggio che hai per me". Quando furono soli, l'asceta rivelò la sua vera identità come Tempo (o Morte) e disse a Rama: "O Signore, il Creatore Brahma mi ha mandato a te con il seguente messaggio: "Un tempo tu avevi ritirato l'universo dentro di te e riposavi sul grande oceano. Quindi, per mezzo della tua Maya, tu creasti due esseri potenti, Madhu e Kaitabha. Dopo la loro distruzione, questa terra fu modellata con la loro carne. Tu stesso affidasti il compito di proteggere questo mondo a me, che nacqui dal fiore di loto emerso dal tuo ombelico. E io ho cercato di fare il mio dovere, ponendo il fardello sulle tue spalle. Nel corso del tempo tu ti sei incarnato sulla terra, insieme ad altri esseri divini, per la distruzione di demoni come Ravana. Tutto questo è stato fatto, e ora s'avvicina il tempo del tuo ritorno. Se tuttavia desiderassi continuare a vivere sulla terra, naturalmente potresti farlo. Se invece desideri tornare in cielo, in modo che il cielo possa accoglierti come suo sovrano, che così sia". Quando Rama udì questo messaggio, rispose: "La mia manifestazione è per la protezione dei tre mondi, non solo per la protezione di questa terra; perciò presto lascerò questo mondo. Farò esattamente come ha detto il Creatore Brahma". Mentre erano ancora impegnati in conversazione, si presentò all'ingresso della loro stanza Durvasa, il grande saggio famoso per la sua terribile collera. Egli ingiunse a Lakshmana: "Portami subito da Rama". Quando Lakshmana cercò di discutere umilmente: "Potrei trasmettere il tuo messaggio a Rama, perché adesso egli è impegnato in un incontro importante? Oppure, non potresti attendere pochi minuti?", il saggio divenne estremamente furioso e disse: "Comunica subito a Rama che io sono qui. Se non lo farai, maledirò lui, te, i tuoi fratelli e tutta la famiglia reale. Non posso contenere la mia ira". Udendo queste parole spaventose, Lakshmana rifletté un istante: "È meglio che io muoia, piuttosto che questo saggio maledica l'intera famiglia reale". E presa questa decisione, Lakshmana entrò nella stanza in cui stavano conversando Rama e l'asceta, e informò il fratello della visita di Durvasa. Rama congedò l'asceta e uscì; poi s'inchinò davanti al saggio, che gli disse: "Ho digiunato per mille anni; desidero interrompere il mio digiuno proprio ora. Dammi da mangiare". Rama gli servì devotamente del cibo. Durvasa mangiò e quindi andò via. Pensando alla terribile promessa che aveva fatto all'asceta (che chiunque avesse interrotto la conversazione sarebbe morto), Rama divenne triste. Lakshmana comprese lo stato d'animo di Rama, gli si avvicinò con reverenza e disse: "Non preoccuparti per me; tutto questo è predestinato ad accadere. Scacciami, Rama, e onora la tua promessa; perché quando un uomo disonora la propria promessa va all'inferno". Rama riunì in consiglio i ministri e i saggi e li informò dell'accaduto. Allora il saggio Vasishtha prese la parola e disse: "O Rama, vedo che si sta avvicinando la fine: e ora anche Lakshmana dev'essere bandito. Questo dev'essere fatto, per amore del Dharma. Se il Dharma venisse abbandonato, vi sarebbe la distruzione universale". Quindi Rama disse a Lakshmana: "L'esilio equivale alla pena capitale. Perciò, o Lakshmana, ti bandisco dal regno".
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