IL FARO DEI SOGNI

Libro settimo: UTTARA KANDAM Questa storia spiega perché Rama non poteva fidarsi di Vali

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[NOTA: Questa storia spiega perché Rama non poteva fidarsi di Vali, che era amico di Ravana. E giustifica anche l'affermazione di Vali che avrebbe potuto chiedere facilmente a Ravana di riconsegnare Sita a Rama.]

Rama disse ad Agastya: "La tua descrizione della forza di Vali e Ravana è stata meravigliosa. Ma sono certo che Hanuman è più potente di tutti questi eroi. Tutto ciò che io ho ottenuto: Lanka, Sita, la vittoria, l'amicizia, e anche il regno, lo devo alla forza di Hanuman; se non fosse stato per lui, forse non avremmo saputo neanche dove si trovava Sita. Eppure, come mai egli non poteva uccidere Vali o Ravana o gli altri?".
Agastya rispose: "Se è tuo desiderio ti racconterò nei dettagli la storia di Hanuman. Sul monte Sumeru viveva un re chiamato Kesari, che aveva una moglie di nome Anjana. Hanuman nacque da lei, come figlio di Vayu, il dio del vento. Mentre la madre era andata a prendere della frutta per dargli da mangiare, il bimbo scambiò erroneamente il sole per un frutto e si lanciò nell'aria per coglierlo. Sebbene il piccolo fosse giunto vicino al sole, quest'ultimo non voleva bruciare quel bimbo innocente. Al lamento di Rahu, intervenne Indra, che colpì il bambino e lo fece precipitare a terra. Nella caduta il suo mento si fratturò, e da questo gli deriva il nome Hanuman.
"Vedendo questo, il dio del vento s'arrabbiò e si ritirò dal mondo. Nessuno poteva più respirare. Allora tutti gli esseri cantarono le glorie del dio del vento e cercarono di propiziarlo. Tutti gli dèi, incluso lo stesso Brahma, andarono a trovarlo. Vayu uscì dalla sua grotta con il bambino privo di sensi. Al tocco del Creatore, il bambino tornò in vita. E il dio del vento tornò a muoversi tra gli esseri quale loro vita.
"Quindi tutti gli dèi glorificarono Hanuman, offrendogli ogni tipo di doni: salute, libertà dalle malattie, lunghissima vita, invulnerabilità nei confronti di fulmini e altre armi del genere, il dono di un potente gada, l'abilità di cambiare la sua forma e quella di muoversi ovunque a volontà, ecc.
"Ricco di questi doni, Hanuman aveva perso la testa e aveva cominciato a saccheggiare le foreste e gli eremitaggi, assalendo persino gli stessi saggi. I saggi sapevano che era invincibile e che godeva della protezione divina. Perciò lo maledirono: "Tu ci molesti facendo assegnamento sulla tua forza straordinaria; d'ora in poi non sarai più consapevole della tua forza per molto tempo". Ma realizzando il grande ruolo che egli doveva svolgere al tuo servizio, i saggi modificarono la loro maledizione: "Quando però la tua forza ti sarà ricordata, la riacquisterai".
"Perciò, benché egli fosse dalla parte di Sugriva nella lotta contro Vali, non si ricordò della sua forza. E solo per amor tuo che Hanuman è nato in questo mondo e gli dèi lo hanno creato".
Dopo aver narrato tutte queste storie, Agastya e i saggi si congedarono da Rama.
Il giorno dopo l'incoronazione di Rama, i bardi di corte cantarono dolcemente le sue glorie per svegliarlo dal sonno: "Signore, se tu dormi, tutto il mondo dorme. Perciò svegliati". Rama si alzò e, dopo le abluzioni, adorò i saggi e Dio.
I re e gli altri ospiti d'onore che erano venuti ad assistere all'incoronazione lasciarono Ayodhya uno dopo l'altro, dopo essere stati debitamente onorati da Rama. Rama disse loro: "Invero il malvagio Ravana è stato ucciso dal Dharma, dalla verità e dalla giustizia, della cui gloria spirituale voi siete manifestazioni; io sono stato un mero strumento, un pretesto". Essi a loro volta lo lodarono, considerandosi davvero fortunati e benedetti.
Rama elargì gioielli preziosi ai capi vanara che lo avevano aiutato nella grande battaglia contro Ravana e che erano venuti ad Ayodhya per assistere all'incoronazione. Essi avevano gradito molto il loro soggiorno ad Ayodhya; un mese era trascorso come fosse stata un'ora. Anche Rama era stato felice in loro compagnia.
Quindi Rama diede a Sugriva e agli altri capi vanara il permesso di partire per fare ritorno ognuno al proprio regno.
Egli congedò anche Vibhishana, perché tornasse a Lanka, per governare Lanka secondo il codice del Dharma' . Rama sottolineò: "Che la tua mente non concepisca mai un comportamento ingiusto, o re. L'uomo saggio si attiene al sentiero del Dharma, godendo il governo del regno per molto tempo".
Poi Hanuman s'inchinò a Rama e gli offrì questa preghiera: "Signore, possa esserci in me una devozione suprema nei tuoi confronti; possa la devozione del mio cuore non vacillare mai. Fa' che io viva fintanto che la tua storia e la tua gloria sono cantate in questo mondo".
Rama disse: "Così sia, Hanuman! La mia storia sarà narrata finché durerà il mondo; e la tua gloria continuerà fintanto che la mia storia sarà narrata in questo mondo. Per uno solo dei grandi servigi che mi hai reso, sono tenuto a darti la mia stessa vita; e per i numerosi altri rimarrò sempre in debito con te. Uno che ha ricevuto aiuto, lo restituisce nei momenti di difficoltà dell'altro: ma io spero che tu non abbia mai bisogno del mio aiuto, e che non ti troverai mai in difficoltà".
Così dicendo, Rama abbracciò Hanuman e gli concesse il dono prezioso di una collana che lui stesso aveva portato al collo.
Quindi tutti i vanara e altri capi ancora si congedarono da Rama con le lacrime agli occhi.
Un giorno, mentre era seduto con i suoi fratelli, Rama udì una voce eterea che diceva: "Rama, sono il veicolo spaziale Pushpaka. Secondo il tuo comando, sono stato alla dimora di Kubera; ma egli mi ha rimandato a te, poiché tu hai conquistato Lanka e hai distrutto il malvagio Ravana. Kubera è felicissimo di sapere della tua vittoria e ti prega di usare questo velivolo per muoverti a tuo piacimento nel mondo. Perciò sono tornato qui da te. Ti prego d'accettare i miei servigi".
Rama rese omaggio al velivolo spaziale e poi gli ordinò: "Molto bene, ora vai dove desideri, e torna da me quando ti penserò".
Vedendo i poteri soprannaturali di Rama, Bharata rimase stupefatto, e disse: "Fratello, davanti a te persino le cose inanimate diventano esseri senzienti. La gente che vive nel tuo regno è libera dalle malattie, la durata media della vita s'è allungata. La mortalità infantile è sconosciuta. Ognuno gode di ottima salute. Persino la pioggia e il vento ti favoriscono. I cittadini dicono tra loro: 'Sarebbe bello poter avere per sempre un re così'".
Rama fu felice di udire queste cose.
Più tardi, quello stesso giorno, Rama andò nel boschetto di asoka insieme a Sita. Questo delizioso giardino era pieno di fiori profumati e bellissimi prati verdi, e inoltre era dimora d'innumerevoli uccelli variopinti il cui canto rallegrava coloro che l'ascoltavano.
Rama e Sita sedettero nel giardino. Con infinito amore e affetto, lo stesso Rama porse a Sita la dolce bevanda chiamata maireyakam.
Presto i servitori servirono loro della carne finemente cucinata e varie altre pietanze prelibate, Gli accompagnatori di corte intrattennero Sita e Rama con musica e danze.
Così Rama trascorreva la mattina curando gli affari di corte; e passava le sere in compagnia di sua moglie. Anche Sita trascorreva la mattina al servizio delle suocere e i pomeriggi in compagnia dell'amato marito.
Un giorno Rama disse a Sita: "Mia cara, vedo che aspetti un bambino! Dimmi, che cosa posso fare per renderti felice durante questo periodo particolarmente fausto".
Sita rispose: "Signore, il mio solo desiderio è quello di rivisitare le foreste e i sacri eremitaggi dei santi che vivono sulle rive del sacro Gange".
Rama rispose prontamente: "Certamente, mia cara, partiremo domani stesso".
I giullari di corte intrattenevano Rama e gli altri principi e dignitari con racconti umoristici.
Più tardi Rama chiese alle spie e agli agenti segreti: "Ditemi, che cosa dice il popolo di me, di Sita, e dei miei fratelli Ditemi tutto senza alcuna riserva".
Dopo molta esitazione, Bhadra riferì al re ciò che diceva qualche cittadino: "Rama ha fatto ciò che nessun altro ha mai fatto prima: ha costruito un ponte sull'oceano, è andato a Lanka con l'ausilio delle forze vanara ed altre forze, ha ucciso Ravana e ha riavuto Sita. Non so come faccia ad amare ancora Sita così tanto, dopo che ella è stata rapita da Ravana che se l'è stretta addosso e l'ha tenuta nel boschetto di asoka per tanto tempo. Bene, allora suppongo che d'ora in poi neanche noi possiamo disapprovare questo tipo di condotta da parte delle nostre mogli".
Il volto di Rama mostrava il suo profondo turbamento e la sua ansietà. Egli sciolse il consiglio di corte e chiese ai suoi messaggeri di far venire subito i suoi fratelli. Chiamati d'urgenza, i tre fratelli si precipitarono a corte e rimasero sbigottiti nel vedere il volto ansioso di Rama. Essi s'inchinarono e rimasero rispettosamente a distanza.





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Rivolgendosi a loro, Rama disse gravemente: "Vi prego d'ascoltare ciò che ho appena udito. Lo scandalo pubblico sta divorando il mio cuore. Perché appartengo alla grande dinastia di Ikshvaku; e anche Sita appartiene a una nobile e rispettabile famiglia. Voi sapete come Sita fu rapita da Ravana nella foresta Dandaka e come infine io la riconquistai. Per convincermi della sua purezza, Sita entrò persino nel fuoco. Lakshmana, tu sei stato testimone alla dichiarazione dello stesso dio del fuoco che Sita è pura. Nel mio essere più profondo io so che lei è pura. Perciò l'ho riportata ad Ayodhya con me.
"Tuttavia c'è uno scandalo pubblico riguardo a lei. Chi è soggetto allo scandalo pubblico in questo mondo, va nei mondi inferiori fino a quando dura lo scandalo. L'infamia è derisa dagli dèi, e la fama viene adorata in questo mondo. Invero è proprio per ottenere fama che la gente intraprende varie attività. Per timore dello scandalo io potrei anche abbandonare la mia vita e tutti voi, miei cari fratelli; per non parlare di Sita. Perciò fate come vi dico, e non cercate neanche di consigliarmi contro. Prendete immediatamente Sita e portatela in un posto lontano: accompagnatela all'eremo del saggio Valmiki e lasciatela lì. In effetti, lei stessa desiderava andare a visitare quegli eremi.
"Giuro che non cambierò la mia risoluzione, e vi prego di non cercare neanche di dissuadermi".
Trascorsa quella notte, al sorgere del nuovo giorno Lakshmana chiese a Sumantra di preparare il cocchio reale.
Quando il cocchio fu pronto Lakshmana andò da Sita e le disse: "Tu avevi chiesto a re Rama di farti visitare gli eremi dei saggi che vivono sulle rive del fiume Gange. Il re é stato ben lieto di esaudire la tua richiesta e mi ha comandato di accompagnarti. Perciò o Sita, sali sul cocchio".
Con il cuore colmo di gioia, Sita corse nei suoi appartamenti, prese vestiti, gioielli e altri doni che intendeva offrire ai saggi e alle loro consorti, e ritornò laddove Lakshmana l'aspettava con il cocchio pronto a partire. Non appena vi salì, il cocchio s'avviò rapidamente.
Tuttavia Sita notò dei cattivi presagi e fu in ansia per suo marito e sua suocera. Ella offrì una preghiera per la loro incolumità.
Sita e Lakshmana trascorsero quella prima notte in un ashram sulle rive del fiume Gautami. La mattina seguente ripresero il viaggio.
Quando furono vicini al sacro Gange, guardando il fiume Lakshmana si mise a gemere forte, con grande sorpresa di Sita. Ella gli chiese: "Perché piangi così, Lakshmana? Certo perché senti tanta nostalgia di tuo fratello Rama. Anch'io la sento. Visiteremo gli eremitaggi e passeremo stanotte lì, quindi torneremo ad Ayodhya il più presto possibile".
Sita e Lakshmana salirono sul traghetto per attraversare il Gange. Ancora una volta Lakshmana cominciò a piangere e a gemere forte. Poi disse a Sita: "Il mio cuore è triste, Sita. So che il mondo mi biasimerà per quello che sto facendo. Preferirei morire in questo momento. Sii misericordiosa, perché non è colpa mia".
Così dicendo, egli cadde ai piedi di Sita piangendo amaramente.
Sita divenne ansiosa e si preoccupò moltissimo. Ella chiese a Lakshmana di dirle tutto, senza riserve. Lakshmana si alzò e continuò: "Alla presenza dei membri del suo consiglio, Rama è stato messo a conoscenza di un terribile scandalo pubblico. È qualcosa che i cittadini di Ayodhya e del regno dicono. Rama ne fu molto turbato, poi mi disse qualcosa e si ritirò nel suo appartamento. Non posso ripeterti quelle parole. Posso dirti soltanto che a causa di quello scandalo il re ha deciso di abbandonarti. Ti prego di ricordare che egli non ti accusa, ma ha paura dello scandalo pubblico. Questo è l'ordine del re: devo accompagnarti all'eremo del saggio Valmiki e lasciarti là. Il saggio è un grande amico di nostro padre e certamente avrà la massima cura di te".
Quando udì le terribili parole di Lakshmana, Sita cadde priva di sensi, sopraffatta dal dolore. Dopo un tempo considerevole, ella riprese coscienza e si rivolse a Lakshmana con tono angosciato: "Il mio corpo sembra essere stato creato per soffrire, e io sono un'incarnazione di sofferenza infinita. Quale terribile peccato devo aver commesso in una vita precedente? E chi devo aver privato del suo sposo, per essere soggetta a questo fato pur essendo casta e innocente?
"Ho già vissuto in passato nella foresta, ma allora avevo con me il mio signore Rama. Ora come potrei vivere in questa foresta senza di lui?
"Quando entrerò negli eremi dei saggi, che cosa dirò loro; per quale motivo sono stata esiliata da Rama? Sarebbe stato meglio che mi fossi gettata nel Gange; ma il mio signore mi avrebbe accusato della distruzione della sua dinastia, perché porto in grembo suo figlio.
"O Lakshmana, fa' quello che il Signore ti ha ordinato di fare. Quando tornerai ad Ayodhya porta i miei devoti inchini al signore Rama e a mia suocera, e assicura il mio signore della mia purezza e della mia eterna devozione nei suoi confronti.
"Sono certa che sono stata esiliata solo a causa dello scandalo pubblico e non perché il mio signore abbia il minimo sospetto sulla mia castità. Invero, per una donna casta il marito è dio, i parenti e il guru; egli le è più caro della sua stessa vita; perciò la sua missione è per lei della massima importanza. É in questo spirito che mi congedo da te. Ora puoi andare".
Quando Lakshmana scomparve dalla sua vista, Sita scoppiò a piangere, seduta sulla riva del Gange.
Valmiki andò in riva al Gange e salutò Sita con il dovuto onore e rispetto.
Egli disse: "Io so che tu sei Sita, figlia di re Janaka e nuora di re Dasaratha. Tu sei l'amata moglie di Rama. Sapevo che saresti venuta, e so anche per quale ragione sei qui. Per mezzo dell'occhio dell'intuizione, acquisito con la pratica di intense austerità, io so che tu sei assolutamente pura. Io conosco tutto quello che succede nei tre mondi.
"Vieni! A poca distanza da qui vedrai un eremitaggio di donne ascete che d'ora in poi si prenderanno cura di te. Non essere triste. Considera questa la tua casa".
Valmiki condusse Sita nell'eremitaggio femminile e la presentò alle donne ascete, affidandola alle loro cure.
Quando vide che Sita era entrata nell'eremo del saggio Valmiki, secondo l'ordine di Rama, Lakshmana fu afflitto dal dolore e disse a Sumantra, il fedele auriga: "Guarda, Sumantra: quello stesso Rama che ha conquistato gli dèi, i semidèi e i demoni deve ora patire questa disgrazia. In precedenza era stato bandito dal suo regno, e ora viene separato dalla moglie diletta a causa dello scandalo pubblico. Questo non mi sembra giusto".




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Dopo avere ascoltato la sua afflizione, Sumantra gli rispose: "O Lakshmana, tutto ciò era noto ai saggi da molto tempo. Un giorno il saggio Durvasa rivelò tutto questo a tuo padre, re Dasaratha.
"Il saggio predisse che Rama sarebbe stato soggetto a molta sofferenza, che avrebbe esiliato Sita, e più in là anche te. Il re mi ammonì di non rivelare a nessuno questo segreto. Comunque, ora te l'ho detto".
A questo punto Lakshmana era ansioso di conoscere tutta la verità, e Sumantra continuò: "In quel tempo il saggio Durvasa viveva nell'eremo del saggio Vasishtha. Re Dasaratha andò a trovarlo per rendergli omaggio e chiedergli qualcosa sulla sua vita e quella dei suoi figli.
"Allora il saggio Durvasa disse a tuo padre: "Ti dirò qualcosa che ebbe luogo molto tempo fa. Ci fu una guerra tra gli dèi e i demoni. Gli dèi implorarono la protezione del saggio Bhrigu, ma la moglie di Bhrigu concesse rifugio ai demoni. Vishnu divenne furioso e in un accesso di collera recise la testa della donna con la sua arma rotante. Il saggio Bhrigu fu molto contrariato e maledì lo stesso Signore Vishnu: "Poiché hai ucciso mia moglie, nascerai come essere umano e allora sarai separato da tua moglie!".
"Istantaneamente il saggio si ravvide e si dispiacque molto di avere maledetto lo stesso Signore Vishnu. Comunque, per rassicurarlo, il Signore Vishnu gli disse che avrebbe fatto l'uso migliore di quella maledizione, per il beneficio e degli dèi e dei mondi".
"Come risultato di quella maledizione, Vishnu nacque come Rama e ha dovuto bandire sua moglie Sita. Durvasa predisse anche che Rama avrebbe governato il mondo per moltissimo tempo, e avrebbe avuto due figli".
Lakshmana si sentì consolato dalle parole di Sumantra. Il sole tramontò, ed essi decisero di passare la notte sulla riva del fiume Kosi.
La mattina seguente Lakshmana e Sumantra intrapresero il viaggio di ritorno e raggiunsero Ayodhya verso mezzogiorno. Ivi Lakshmana vide Rama che era l'immagine stessa del dolore.
Stringendo con le sue mani i piedi di Rama, Lakshmana offrì questo consiglio al fratello:
"O Rama, obbedendo al tuo comando ho portato via Sita, lasciandola sull'altra riva del fiume Gange, affidata alle cure delle donne ascete che vivono in un eremo là vicino. Ti prego, Rama, non addolorarti per quello che è successo. Gli uomini saggi come te non si addolorano. In questo mondo tutti gli oggetti devono perire, tutte le cose che si elevano devono cadere, ogni incontro deve terminare con la separazione e la vita deve terminare con la morte. Perciò uno non dovrebbe essere eccessivamente attaccato alla propria moglie, ai figli, agli amici e alle ricchezze, poiché è sicuro di doversene separare. Abbandona questo dolore, perché se ti addolori potrebbe esserci maggiore scandalo pubblico; proprio quello che desideri evitare".
Rama si sentì risollevato. Il suo dolore era scomparso. Egli ringrazio e lodò Lakshmana per avergli dato quel consiglio al momento giusto. Rama continuò: "Negli ultimi quattro giorni, afflitto com'ero dal dolore ho trascurato i miei doveri di re. Ti prego di riunire i ministri e tutti gli altri membri della corte reale. Poiché non è saggio trascurare i doveri reali. Il re che non se ne occupa tutti i giorni precipita in un orribile inferno.
"A questo proposito ho udito il seguente racconto: C'era una volta un re chiamato Nriga. Dopo un rito sacro, egli diede in elemosina migliaia di mucche ai sacerdoti. Una mucca che apparteneva ad un brahmana venne in qualche modo mischiata con la mandria e fu data ad un altro brahmana di Kankhal. Il brahmana a cui apparteneva la mucca scoprì il fatto, e andò a reclamarla. L'altro brahmana rispose giustamente, affermando che si trattava di un dono del re. Quindi decisero entrambi di recarsi alla corte del re per risolvere la questione.
"Il re però era assente, e la disputa non poteva essere ascoltata. I due brahmana aspettarono alcuni giorni, ma quando videro che neanche allora il re s'era fatto vivo gli lanciarono la maledizione che il sovrano sarebbe nato come lucertola e sarebbe rimasto invisibile in un buco (così com'era rimasto invisibile per tutti quei giorni). Tuttavia i brahmana dissero che il re sarebbe stato liberato dalla maledizione quando il Signore Vishnu si sarebbe incarnato come Vasudeva. Tale è il fato di quei re che trascurano i loro doveri".
Rama continuò: "Nriga riunì i suoi ministri e disse loro: "Vi prego, installate immediatamente mio figlio Vasu sul trono e incoronatelo re. Ordinate anche ai nostri architetti reali di costruire per me una buca nella quale possa vivere abbastanza comodamente durante l'intero periodo della mia vita maledetta come lucertola. Là trascorrerò i miei giorni finché non sarò liberato dal corpo di lucertola per grazia del Signore Vasudeva".
"Poi Nriga disse al re suo figlio: "Ti prego, figlio mio diletto, aderisci rigorosamente al codice del Dharma. Non deviare dal sentiero della giustizia. Fa' che il mio fato sia per te un ammonimento: vedi che cosa ha provocato nel mio caso anche una piccola trasgressione! Però non addolorarti per me. E esattamente come dev'essere: ogni azione è seguita dalla reazione a lei appropriata. Si ottiene ciò che si deve ottenere, si va dove si deve andare, e si riceve qui (sia come piacere che come dolore) quello che è giusto che si ottenga. Tutto questo è in perfetta armonia con la giustizia divina, per il proprio bene". Dopo avere consigliato suo figlio in tal modo, Nriga andò a ritirarsi nella sua buca".
Rama continuò a narrare a Lakshmana storie simili, per illustrare come persino grandi saggi avevano maledetto altri, e come in seguito le loro maledizioni che a prima vista sembravano un male si erano dimostrate delle benedizioni mascherate per tutti coloro ai quali erano state rivolte.
Quindi Rama continuò, raccontando la storia di re Nimi:
"Nimi era il dodicesimo figlio del grande re Ikshvaku. Un giorno egli entrò nella sua capitale chiamata Vaijayanti insieme al saggio Gautama e ad altri. Entrando in città, egli decise di celebrare un rito sacro. Per questo invitò suo padre Ikshvaku e chiese al saggio Vasishtha di officiare il rito. Il saggio gli fece sapere: "Sono già impegnato a condurre un rito sacro per Indra; verrò da te non appena avrò concluso quel rito".
"Nimi continuò comunque il suo rito sacro per cinquemila anni. Quando Vasishtha tornò là, dopo aver concluso il rito di Indra, scoprì che il suo posto era stato preso dal saggio Gautama. Vasishtha s'adirò molto; e inoltre vide che, nonostante fosse giorno, Nimi dormiva profondamente. Questo lo irritò maggiormente e preso da un'incontrollabile ira lo maledì: "Tu mi hai offeso, prima invitandomi e poi ignorandomi. Possa il tuo corpo rimanere senza vita". Nimi sentì che era ingiusto ricevere quella maledizione dal saggio, e pronunciò una
contro-maledizione: "Possa anche tu essere privato del corpo". E subito rimasero entrambi senza corpo".
Su richiesta di Lakshmana, Rama continuò: "Il radioso saggio Vasishtha si recò da suo padre Brahma, il Creatore, e gli fece presente la sua condizione: "Signore, davvero infelice è la sorte di coloro che sono stati privati del corpo; senza il corpo non si può compiere nessuna azione. Perciò ti imploro, indicami il modo per ottenere un altro corpo".





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"Brahma rispose: "Ottieni un corpo dalle energie combinate di Mitra e Varuna, e sarai incarnato senza essere stato concepito da una donna. Con quel corpo farai grandi azioni virtuose e poi tornerai da me".
"In quel tempo Mitra e Varuna vivevano insieme, devotamente adorati da tutti gli dèi. Un giorno la ninfa celeste Urvasi capitò per caso da quelle parti. Varuna la vide, s'innamorò di lei a prima vista e le chiese di stare con lui. La ninfa però rispose che, prima di lui, Mitra le aveva già chiesto di essere sua moglie. "Io ti amo con tutto il cuore - ella disse a Varuna - ma il mio corpo appartiene a Mitra".
"Incapace di controllarsi davanti a lei, Varuna fece cadere la sua energia in un vaso (che già conteneva l'energia di Mitra) .
"Mitra se la prese con Urvasi anche per questa parziale trasgressione e la maledì a nascere sulla terra come essere umano, e sposare Puruvara (il figlio di Budha) e vivere sulla terra per un periodo di tempo. Così ella cadde dal cielo sulla terra.
"Dal vaso emerse un saggio raggiante, il saggio Agastya, che disse a Mitra: "Non sono tuo figlio!", e andò via. Dopo un po' di tempo da quel vaso venne fuori il saggio Vasishtha.
"Intanto, sulla terra, i saggi che avevano visto Nimi cadere senza vita conservarono il suo corpo imbalsamato, e continuarono il loro rito. Alla conclusione del rito, il saggio Bhrigu disse: "Riporterò Nimi in vita".
"Anche gli dèi furono lieti di questo miracolo, e chiesero a Nimi: "Dove vorresti dimorare?". Nimi rispose: "Dimorerò negli occhi di tutti gli esseri".
Gli dèi esaudirono il suo desiderio e decretarono: "Grazie a te tutti gli esseri batteranno le ciglia, aprendo e chiudendo gli occhi, in modo che gli occhi possano godere di un po' di riposo in questi intervalli".
"Essi avevano ancora il corpo di Nimi. Gli dèi 'rimestarono' quel corpo e da esso emerse un essere. Poiché era nato (janana) dal rimestare (mathana) e dal disincarnato (videha) Nimi, l'essere nato in quel modo fu chiamato Janaka Vaideha di Mithila.
Lakshmana chiese a Rama: "Come mai Nimi, nonostante fosse impegnato a celebrare un rito religioso, non riuscì a controllare la sua collera e a trattenersi dal pronunciare la sua
contro-maledizione?"
Rama rispose: "La tolleranza non è cosa abituale a tutti, Lakshmana. La collera è difficile da controllare per la maggior parte delle persone. Per illustrare questo fatto, ti racconterò la storia di re Yayati. Ti prego d'ascoltare.
"Viveva anticamente un re di nome Yayati, che era figlio di Nahusha. Yayati aveva due mogli: la prima si chiamava Sarmishta, figlia di Vrishaparva, e l'altra era Devayani, figlia di Usana. Egli ebbe un figlio da ciascuna delle due mogli: Sarmishta diede alla luce Puru e Devayani diede alla luce Yadu.
"Il re Yayati amava più Sarmishta che Devayani. Un giorno Yadu disse alla madre Devayani: "Tu sei nata da nobili saggi e sei nobile tu stessa. Com'è possibile che sopporti quest'offesa da parte del re senza dire una parola di protesta o di dispiacere? Io penso che noi due dovremmo gettarci insieme nel fuoco, e morire bruciati. Lasciamo che il re si diverta con Sarmishta, senza il minimo ostacolo. Comunque, se vuoi tu puoi sopportare quest'offesa e questi maltrattamenti; io non posso, e quindi ti lascerò".
"Udendo le parole del figlio, Devayani andò a chiedere aiuto a suo padre, il saggio Bhargava o Usana. Quando udì i fatti, il saggio s'adirò molto e lanciò una maledizione: "Possa Yayati, che preso dal godimento dei piaceri con Sarmishta trascura il tuo benessere, essere immediatamente sopraffatto dalla vecchiaia".
"A causa della maledizione del saggio, Yayati divenne subito vecchio. Tuttavia, per ritardare il giorno fatale, egli chiese ai suoi giovani figli di prendere per qualche tempo su di loro la sua maledizione, mentre lui avrebbe continuato a godersi i piaceri della vita. Egli andò da Yadu, che però non volle nemmeno ascoltarlo. Poi andò dall'altro figlio, Puru, che invece acconsentì prontamente e si considerò benedetto dal padre.
"Yayati tornò di nuovo giovane, mentre Puru portava il peso della sua vecchiaia. Dopo essersi divertito per moltissimo tempo, Yayati restituì la giovinezza a Puru e si riprese la sua vecchiaia. In cambio di questo favore, Yayati incoronò Puru re al suo posto. Ma riguardo a Yadu, Yayati lo maledì: "Tu non hai avuto alcun rispetto per me, che sono tuo padre. Perciò sarai padre di moltissimi demoni".
"Dopo un po' di tempo Yayati ascese in cielo; e Yadu ebbe moltissimi demoni come figli".





fonte www.terralab.it/esoterica/Ramayana.htm#GG

[NOTA: Yadu era un demone.

 
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