IL FARO DEI SOGNI

Libro settimo: UTTARA KANDAM -Dopo l'incoronazione

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Durante il regno di Rama, un giorno si recò da lui una delegazione di parecchi grandi saggi, con a capo Agastya. Il grande saggio disse alla guardia del palazzo: "Ti prego, fa' annunciare a Rama che noi Rishi desideriamo vederlo". Per ordine di Rama, i Rishi furono immediatamente condotti alla sua presenza.
Il re ricevette i saggi con l'onore dovuto. Dopo aver preso posto nella corte reale, essi dissero a Rama: "Noi stiamo bene e siamo felici, e siamo contenti di vedere che anche tu, Rama, stai bene e sei felice. Per fortuna hai ucciso Ravana, il nemico del mondo. Non c'è da stupirsi che tu abbia ucciso Ravana; quando prendi le armi tu sei capace di conquistare i tre mondi. Siamo particolarmente felici per la morte del figlio di Ravana. Quando abbiamo saputo della morte di Indrajit, che per tutti gli altri esseri dell'universo era invincibile, abbiamo gioito; e per questo ti offriamo le nostre più fervide felicitazioni. Invero quella è stata l'impresa più lodevole: con essa hai liberato tutti noi da una grande paura". Rama chiese: "Vi prego, saggi, ditemi perché considerate la vittoria su Indrajit ancora più lodevole di quella su Ravana? Come fece a diventare così potente?".
I saggi risposero: "Prima di narrarti la storia di Indrajit, dobbiamo narrarti quella di Ravana. Ascolta, o Rama. Durante il Satya Yuga (l'età dell'oro) c'era un saggio brahmano chiamato Pulastya. Egli era figlio di Dio e pari al Creatore Brahma. Praticò intense austerità nell'eremitaggio di Trinavindu. In quei giorni, le figlie dei saggi e dei semidèi solevano giocare nelle vicinanze dell'eremitaggio. Questo disturbava le austerità di Pulastya, che pronunciò una maledizione: "Chiunque s'avvicinerà a me rimarrà incinta".
"Tutte coloro che sapevano della maledizione evitavano di andargli vicino. Ma la figlia del saggio reale Trinavindu non ne era a conoscenza. Un giorno ella andò in cerca delle sue amiche. Pulastya era impegnato nella recitazione dei Veda, e la ragazza sedette vicino a lui per ascoltare. Ben presto ella notò che in lei stava avvenendo un cambiamento. Spaventata, corse da suo padre e in risposta alle sue domande gli raccontò l'accaduto. Allora Trinavindu la portò da Pulastya e gliela offrì in matrimonio dicendo: "O santo, quando sarai stanco per le tue austerità, ella ti conforterà".
"Pulastya l'accettò, e lei lo servì con grande amore e devozione. Compiaciuto, il saggio le disse: "Sono felicissimo del tuo servizio devoto. Perciò ti benedico con questa grazia: darai alla luce un figlio a me pari sotto ogni aspetto, egli sarà chiamato Paulastya, e anche Visrava poiché hai concepito mentre ascoltavi la mia recitazione dei Veda".
"La moglie di Pulastya diede presto alla luce un figlio a cui fu dato il nome di Visrava. Il saggio Bharadvaja seppe delle nobili virtù di Visrava e offrì all'asceta la mano di sua figlia.
"Dal loro matrimonio nacque un figlio radioso. Il nonno Pulastya fu lietissimo della nascita del nipote, al quale diede il nome di Vaisravana.
"Vaisravana prese la risoluzione di seguire il sentiero della virtù già da bambino, perché pensò: "Il Dharma è davvero il nobile sentiero, perciò seguirò il Dharma". E si mise a praticare intense austerità per mille anni. Il Creatore Brahma si manifestò davanti a lui insieme a tutti gli dèi e gli chiese di esprimere un desiderio. Vaisravana disse: "Signore, desidererei essere un protettore del mondo e il custode della sua ricchezza". Compiaciuto, Brahma gli rispose: "In verità avevo intenzione di nominare quattro protettori del mondo, tre dei quali li ho già scelti, e cioè: Yama, Indra e Varuna. Tu sarai dunque il quarto protettore del mondo, e sarai il custode della sua ricchezza. Sarai pari agli dèi del cielo". Inoltre Brahma gli fece dono di un aeromobile, il Pushpaka.
"Vaisravana tornò a casa, andò da suo padre e gli chiese d'indicargli un posto dove stabilire la sua dimora. Visrava rispose: "Lungo le rive del Mare Meridionale c'è un monte chiamato Trikuta. In cima a quel monte il divino architetto Visvakarma costruì per i demoni una città chiamata Lanka, pari in splendore alla capitale del cielo. Ma giacché i demoni l'hanno abbandonata per paura del Signore Vishnu, la città è rimasta disabitata. Penso che dovresti stabilire là la tua dimora". Il figlio obbedì".
In risposta alla domanda di Rama riguardo all'origine dei demoni, il saggio Agastya disse: In principio Brahma creò l'acqua, e poi gli altri esseri. Questi, oppressi dalla fame e dalla sete, implorarono: "Ti preghiamo, dicci cosa fare". Brahma rispose: "Proteggete con ogni mezzo". Alcuni dissero: "Noi proteggeremo". Altri risposero: "Noi adoreremo". "Coloro che hanno detto 'rakshama' (proteggere), saranno demoni" - disse Brahma - "e coloro che hanno detto 'yakshama' (adorare), saranno semidèi".
Tra i rakshasa (demoni) ci furono due fratelli: Heti e Praheti. La nuora di Heti aspettava un bambino. Ella indusse prematuramente il parto e, abbandonando il bimbo su un monte, andò con il marito a divertirsi. Il bambino cominciò a piangere. Rudra e Parvati, che passavano da quelle parti, benedissero il bambino perché diventasse subito adulto. Parvati decretò: "D'ora in poi le demonesse partoriranno subito dopo il concepimento dei figli che diventeranno immediatamente adulti".
Quel bambino era Sukesha, che grazie alla benedizione ricevuta da Rudra divenne un giovane nobile. A tempo debito un gandharva chiamato Gramani gli diede in sposa sua figlia Devavati, che in seguito diede alla luce tre bambini: Malyavan, Sumali e Mali. Questi tre demoni, venuti a conoscenza dei doni concessi dal Signore a loro padre, si ritirarono immediatamente nella foresta e praticarono intensissime austerità.
Compiaciuto, Brahma concesse loro il dono che avevano chiesto: "Desideriamo essere invincibili, longevi e uniti". Appena realizzarono il pieno significato del dono che avevano ricevuto, essi divennero impavidi e cominciarono ad opprimere sia gli dèi che i demoni.
Un essere celeste chiamato Narmada aveva tre figlie, che diede in matrimonio ai tre demoni; e dalle loro unioni nacquero altri demoni.





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Gli dèi e i saggi che venivano tormentati dai demoni chiesero protezione al Signore Rudra. Ma Rudra rispose: "Io non posso ucciderli, ma vi darò il mio consiglio. Abbandonando ogni altra attività, andate dal Signore Vishnu; prendete rifugio in lui. Egli distruggerà certamente tutti quei demoni".
E così fecero: andarono da Vishnu e gli raccontarono le atrocità commesse dai demoni. Il Signore li consolò e, dopo aver conferito loro il dono dell'impavidità, disse: "So già che Sukesha è orgoglioso di avere ottenuto un dono da Rudra; conosco anche le malefatte dei suoi tre figli; ma non abbiate timore, vi prometto che li distruggerò tutti". Gli dèi tornarono nelle loro dimore.
Venuto a conoscenza del piano degli dèi, Malyavan informò gli altri due fratelli, che però non se ne curarono, sicuri che nessun potere nell'universo potesse sconfiggerli. Essi giunsero persino a dire: "Non abbiamo fatto nulla che possa aver causato dispiacere al Signore Vishnu; certo egli ha perso la testa montato dalla malizia degli dèi". Perciò decisero di combattere gli dèi.
Migliaia e migliaia di demoni si riunirono a Lanka per far guerra agli dèi. Salendo sui loro velivoli, e armati fino ai denti con armi micidiali, tutti quei feroci e potentissimi demoni volarono verso il cielo (il mondo degli dèi). Guidati dai tre fratelli, essi invasero la dimora degli dèi lanciando urla furiose.
Il Signore Vishnu venne a sapere dell'invasione e presto apparve personalmente sul campo di battaglia, impugnando le sue armi divine e guidando il suo veicolo divino, Garuda, grande quanto una montagna. Gli dèi e i saggi cantarono le sue glorie. I demoni lo circondarono ed egli cominciò a colpirli con le sue armi divine.
I demoni si diressero rapidamente verso il sacro monte chiamato Narayana Giri, scagliandosi contro il Signore Narayana o Vishnu come gli insetti si scagliano contro una fiamma. Il Signore li sbaragliò con una pioggia di missili e suonò la sua potente conchiglia. Quel suono stordì i demoni, che rimasero barcollanti e confusi. Il Signore Vishnu li distrusse a migliaia.
Sumali venne in aiuto dei demoni e fece loro da scudo contro la potenza del Signore. Allora il Signore Vishnu si volse contro il demone e gli staccò gli orecchini e anche i cavalli. Non più sotto il controllo del demone, i cavalli si misero a correre in diverse direzioni, come i sensi di un uomo senza autocontrollo.
Mali corse in aiuto del fratello, e vi fu una cruenta battaglia tra lui e il Signore Vishnu. Un missile del Signore colpì il demone assorbendone, per così dire, il sangue. Mali colpì Garuda, il veicolo del Signore, e con grande gioia dei demoni lo costrinse ad allontanarsi dal campo di battaglia. Non badando alla sconfitta, il Signore Vishnu lanciò contro Mali il suo disco, che possedeva lo stesso splendore del sole. Il demone cadde subito esanime.
Dopo la morte di Mali, Sumali e Malyavan si ritirarono dal campo e si diressero verso Lanka. Nel frattempo Garuda aveva riacquistato la sua vitalità e con la forza del vento che scaturiva dalle sue ali spinse i demoni alla disperazione.
Mentre il Signore Vishnu inseguiva i demoni in fuga, Malyavan gli disse: "Narayana! Non conosci il codice di condotta di un guerriero? Perché, contraddicendo quel codice, vuoi uccidere coloro che si sono ritirati dalla battaglia e che quindi non stanno combattendo?". Il Signore rispose: "Voi siete crudeli, e gli dèi vivono temendovi. La loro protezione mi è più cara della mia stessa vita. Perciò vi distruggerò dovunque vi troviate".
Queste parole scatenarono l'ira di Malyavan, che attaccò immediatamente il Signore con le sue potenti armi. Il Signore ricevette quei missili e li riscagliò contro lo stesso demone. Gravemente ferito, Malyavan rimase stordito per un po', pur riacquistando presto le forze. Quindi, con un potente urlo, egli colpì sia Vishnu che Garuda. Infuriato, Garuda indirizzò una terribile raffica di vento contro Malyavan che fuggì a Lanka. E vedendolo ritirarsi, anche Sumali scappò a Lanka. Incapaci di fronteggiare la potenza suprema del Signore Vishnu, i demoni guidati da Malyavan e Sumali si ritirarono nel mondo degli inferi, lasciando Lanka sotto le cure del signore della prosperità.
Ogni volta che sulla terra c'è un declino del Dharma, il Signore s'incarna per distruggere i demoni e ristabilire il Dharma.




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Sumali rifletté a lungo e profondamente sulla sua posizione. Guardando la bellissima figlia, che era in età da marito, egli si chiedeva chi avrebbe avuto come sposo. Una ragazza crea molta ansia nelle famiglie del padre, della madre e del marito: la reputazione di queste famiglie dipende dalla sua buona condotta. Perciò Sumali disse alla figlia: "Ti prego, vai da Visrava, il figlio del saggio Pulastya, e persuadilo tu stessa ad essere tuo marito".
Kaikasi si recò presto dal saggio Visrava, che allora era impegnato in un grande rituale vedico. Alla conclusione del rito, il saggio le chiese: "Chi sei e perché sei qui?". La ragazza rispose: "Sono Kaikasi, figlia di Sumali. Il motivo per cui sono qui, di certo lo saprai per intuizione". Il saggio si ritirò dentro di sé e, saputo per quale ragione la ragazza era là, le disse: "Poiché hai cercato di me in un momento poco propizio, mentre ero impegnato in un rito terribile, darai alla luce dei figli molto crudeli, ma il tuo ultimo figlio sarà nobile e virtuoso come me".
A suo tempo Kaikasi diede alla luce un figlio o un mostro con dieci teste; e il saggio lo chiamò Dashagriva. Poi nacque Kumbhakarna. Quindi la figlia Surpanakha. Per ultimo nacque il pio Vibhishana. Essi crebbero rapidamente.
Un giorno Vaisravana (conosciuto anche col nome di Kubera) andò a trovare suo padre Visrava, e Kaikasi gli presentò Dashagriva. Il giovane s'ingelosì di Kubera e decise di superarlo in tutto. Allora i tre ragazzi si misero a praticare austerità. Kumbhakarna praticò il pancagni-tapas d'estate e restò immerso nell'acqua gelida d'inverno. Vibhishana rimase in piedi su una gamba per cinquemila anni. Dashagriva digiunava per mille anni e poi offriva in sacrificio una delle sue teste; in questo modo egli aveva già sacrificato nove teste. Mentre stava per offrire la decima, apparve Brahma e offrì loro un dono: "Esprimete un desiderio, perché i vostri sforzi non siano vani". Dashagriva disse: "Signore, tutti gli esseri temono solo la morte. Non esiste nemico come la morte; perciò io chiedo l'immortalità". Quando Brahma rispose che per le creature è impossibile non morire, egli chiese di non poter venire ucciso da dèi, semidèi, demoni, ecc., e sprezzante tralasciò di menzionare l'uomo. Vibhishana pregò: "Possa la mia mente non deviare dal Dharma, nemmeno di fronte al più grave pericolo".
Prima di offrire un dono a Kumbhakarna, Brahma chiese alla dea della parola di far sì che egli non chiedesse qualcosa che avrebbe potuto causare la distruzione dell'universo. Entrando in lui, la dea intorpidì la sua mente; ed egli chiese: "Possa io dormire per tantissimi anni". Brahma concesse loro i doni prescelti.

[NOTA: Il pancagni-tapas è sedere sulla sabbia rovente circondandosi di fuochi accesi ai quattro lati. Questa storia di Kumbhakarna contraddice la versione precedente. Molti studiosi pensano che l'intero 'Uttara Kandam' sia un'interpolazione, un'aggiunta indegna.]

Sumali chiamò Dashagriva e gli disse: "É una fortuna che tu abbia ottenuto l'ambita invulnerabilità, che certamente ti permetterà di essere il signore dei tre mondi. Il Signore Vishnu ci costrinse a lasciare Lanka, ma ora non abbiamo più paura di lui. Lanka appartiene ai demoni; è il nostro territorio. Dopo la nostra partenza la occupò tuo fratello Kubera; perciò è giusto che tu la reclami da lui, con la negoziazione, con la persuasione o, se necessario, con la violenza".
La prima reazione di Dashagriva fu negativa. "Kubera è mio fratello - disse - come posso combattere contro di lui". Ma Prahasta, un ministro di Sumali, rispose: "Tra gli eroi non vi è affetto fraterno. Un tempo c'erano due sorelle, Diti e Aditi, i cui figli erano rispettivamente demoni e dèi. Poi i fratelli combatterono tra di loro e, con l'aiuto di Vishnu, gli dèi vinsero e divennero signori dei mondi".
Dashagriva si convinse e inviò lo stesso Prahasta come suo emissario a reclamare Lanka da Kubera. Senza alcuna esitazione Kubera rispose: "Lanka mi fu data come dimora da mio padre. Ma torna pure da Dashagriva e digli che da questo momento Lanka è sua". Così Dashagriva ottenne Lanka senza combattere. Kubera andò da suo padre Visrava e lo informò dell'accaduto. Il saggio disse a Kubera: "Sì, Dashagriva me ne ha accennato, e l'ho rimproverato. Ma dal momento che hai già lasciato Lanka, vai al Kailash, che sostiene la terra, e vivi là con la tua gente".
Dashagriva fu incoronato re di Lanka. Poco dopo egli diede sua sorella Surpanakha in sposa al demone Vidyutjihva. Andando a caccia per la foresta un giorno Dashagriva incontrò Maya, uno dei figli di Diti, e gli chiese il motivo del suo vagare. Maya rispose: "A suo tempo gli dèi mi diedero la ninfa Hema, e con lei ho vissuto felicemente per molto tempo. Ma circa quattordici anni fa ella mi ha lasciato per svolgere una missione degli dei. Addolorato per la sua partenza, vago per la foresta insieme a mia figlia. Da lei ho avuto anche due figli: Mayavi e Dundubhi". Dashagriva rivelò la sua identità. Maya gli offrì la mano di sua figlia Mandodari, e Dashagriva l'accettò con gioia.
Mandodari diede alla luce un figlio che quando nacque pianse così forte da far tremare Lanka. Per questo Dashagriva lo chiamò Meghanada.
Per il fratello Vibhishana, Dashagriva ottenne come sposa la figlia del semidio Sailusha, chiamata Sarama. Questa ragazza era nata sulle rive del lago Manasa. Sua madre aveva ordinato al lago: "Saro ma vardhata" (Lago, non gonfiarti); perciò alla bambina era stato dato il nome di Sarama.
E così vissero tutti a Lanka, godendosi la vita.
Su richiesta di Kumbhakarna, Dashagriva fece costruire un palazzo. Quando fu pronto, Kumbhakarna vi si recò felicissimo ed entrò in un sonno profondo per un lunghissimo periodo.
Nel frattempo il potente Dashagriva diede inizio alla sua campagna di distruzione. Egli devastò i giardini e i campi da gioco dei semidèi, ne sradicò gli alberi e ne inquinò i fiumi.
Il capo dei semidèi, Kubera, venne a sapere dei misfatti di suo fratello. Pieno di sollecitudine familiare e sperando di dissuaderlo dal compiere ulteriori malvagità, egli inviò un messaggero alla corte di Dashagriva. Il messaggero fu ricevuto onorevolmente e amabilmente dal nobile Vibhishana, che lo presentò a re Dashagriva.
Il messaggero disse: "O re, ho un messaggio per voi da parte di vostro fratello Kubera. Degnatevi di ascoltarlo mentre lo leggo: "Io credo sia bene che tu ponga fine alle tue attività distruttive: hai già fatto abbastanza in questo senso. Penso anche che, se puoi, dovresti percorrere la via del Dharma. Ho visto la distruzione che hai arrecato ai giardini celesti. Ho anche sentito dire che hai ucciso molti saggi e hai tormentato pure gli dèi.
"Tu mi hai scacciato in molte occasioni; tuttavia non si rinnega un membro della propria famiglia, anche se questi è colpevole di offese. Mi sono ritirato nell'Himalaya, dove ho praticato intense austerità. Altamente compiaciuto di me, il Signore Shiva mi è apparso e mi ha detto 'O signore della prosperità, sono molto compiaciuto delle tue austerità e della tua devozione. Come frutto delle tue austerità io ti considero mio carissimo amico. Con la tua devozione ti sei guadagnato la mia amicizia. D'ora in poi sei mio amico'. Tornando nella mia dimora, dopo essere stato benedetto dal Signore Shiva, ho saputo dei tuoi atti distruttivi. Perciò ti supplico d'abbandonare questa condotta indegna".
Udite le parole del messaggero, Dashagriva andò su tutte le furie e, stringendo i pugni e digrignando i denti, gridò: "Né tu né lui siete miei amici. Solo uno stolto si vanterebbe della sua amicizia con il Signore Shiva. O messaggero, finora pensavo di non dover fare del male a mio fratello. Ma udite le tue parole e il suo messaggio, sento che devo abbandonare quest'idea. Sono pronto a conquistare i tre mondi e a cacciare nella dimora della Morte tutti i protettori della creazione!".
Detto ciò, Dashagriva tagliò la testa del messaggero e diede il corpo in pasto ai demoni.
Subito dopo Dashagriva riunì intorno a sé i suoi ministri: Mahodara, Prahasta, Marica, Suka, Sarana e Dhumraksha. Circondato dalle sue forze demoniache, egli si diresse verso la dimora di Kubera, con l'atteggiamento di chi è pronto a dar fuoco al mondo intero. In poche ore egli raggiunse il luogo chiamato Kailash.





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Le sentinelle poste ai confini informarono subito Kubera che suo fratello Dashagriva aveva invaso il Kailash. Seguì una cruenta battaglia tra demoni e semidèi.
Quando Dashagriva forzò l'entrata del palazzo, le guardie lo fermarono e lo colpirono con tutta la loro forza; ma il dono ottenuto dal Creatore lo rendeva immune a tutto. Quando Dashagriva rispose ai loro colpi, i semidèi caddero.
Vedendo questo, Kubera mandò il semidio Manibhadra a difendere il Kailash. Nel frattempo i luogotenenti di Dashagriva avevano ucciso migliaia e migliaia di semidèi. Visto il modo di combattere leale dei semidèi e considerata la forza e la slealtà dei demoni - quale confronto c'era tra le due parti? Manibhadra fu sconfitto.
Facendosi avanti Kubera parlò a Dashagriva, che, illuso dal dono dell'invincibilità ottenuto dal Creatore, continuava a perpetrare crimini di ogni genere: "Peccatore! Tu non dai retta al mio saggio consiglio; ma col tempo realizzerai le cattive conseguenze delle tue malvagie azioni. Chi offende sua madre, suo padre, i santi e i precettori, raccoglierà i frutti di tali azioni quando entrerà nel regno della Morte. Colui che qui non pratica austerità (tapas), con l'ausilio di questo corpo impermanente, dopo aver lasciato questo mondo quel folle sarà bruciato (tapyate). Ad ogni modo questo è certo: ognuno raccoglie inevitabilmente il frutto delle azioni fatte qui".
Udendo queste parole, i luogotenenti di Dashagriva si ritirarono dalla battaglia. Ma lo stesso Dashagriva si fece avanti per combattere contro Kubera. Durante quella battaglia spettacolare, quando Kubera lanciò il missile del fuoco, Dashagriva lo neutralizzò con il missile dell'acqua.
Combattendo, Dashagriva assunse varie forme e infine sconfisse Kubera. Quando Kubera cadde, sconfitto, Dashagriva s'impossessò del suo veicolo, il Pushpaka (un velivolo spaziale che poteva volare, per così dire, alla velocità del pensiero, costruito con metalli e pietre preziose, e resistente al caldo e al freddo), e considerandosi il conquistatore dei tre mondi s'apprestò a fare ritorno alla sua dimora.
Mentre Dashagriva faceva ritorno a Lanka, d'un tratto il Pushpaka andò in stallo. Dashagriva rimase perplesso. Vicino al velivolo apparve: un essere dall'aspetto strano: nano, senza pelo, con gli arti corti, ma molto potente. Era Nandi, il veicolo divino del Signore Shiva.
Nandi si rivolse al re dei demoni: "Torna indietro, Dashagriva. Su quel monte laggiù sta giocando il Signore Shiva. Nessuno può andare oltre questo limite". Udendo queste parole e guardando l'aspetto della strana creatura, Dashagriva rise deridendolo.
Adirato, Nandi maledì Dashagriva con queste parole: "Mi hai trattato con disprezzo perché ho la faccia di un vanara. Perciò, per ucciderti, nasceranno dei vanara dotati della mia forza e vitalità, aventi la mia forma e a me pari in valore. Io stesso avrei potuto ucciderti in questo momento; ma non lo faccio perché ti sei distrutto da solo con le tue azioni malvagie".
Mentre Nandi pronunciava queste parole, gli dèi e i saggi cantarono le glorie del Signore e fecero cadere una pioggia di fiori.
Dashagriva fu molto seccato, e s'accinse a sradicare la stessa montagna che era stata d'ostacolo al suo volo. Il monte tremò, compresi tutti gli esseri che vi dimoravano. Anche Parvati, la consorte del Signore Shiva, ebbe timore. Vedendo questo, il Signore Shiva come per gioco spinse giù la montagna con le dita del piede.
La montagna si assestò. La pressione del piede di Shiva era tale che le braccia di Dashagriva rimasero incastrate sotto! Il demone urlò dal dolore. Udendo il suo urlo fragoroso gli dèi, i semidèi, i demoni e i saggi furono terrorizzati. Essi andarono da Dashagriva e gli consigliarono di propiziare il Signore Shiva, rassicurandolo: "Il Signore è un oceano di misericordia e sicuramente ti darà le sue benedizioni".
Allora Dashagriva cantò le glorie del Signore. Compiaciuto, il Signore Shiva apparve davanti a lui. Liberato dalla pressione della montagna, Dashagriva mise in salvo le sue braccia. Il Signore Shiva gli disse: "Sono contento della tua devozione. Poiché hai gridato forte, facendo scappare tutti gli esseri in ogni direzione d'ora in poi sarai chiamato Ravana (ravah = rumore)".
Dashagriva pregò il Signore di conferirgli altri doni: "Concedetemi di non poter essere ucciso da nessuno se non da un essere umano: infatti non temo gli esseri umani. Vi prego anche di concedermi un'arma divina da usare in guerra". Il Signore concesse a Ravana i doni richiesti e gli diede una spada divina chiamata Candrahasam. Quindi Ravana fece ritorno alla sua dimora.
Mentre girava per la foresta, un giorno Ravana vide una bellissima giovane vestita da asceta.
Spinto dalla forte passione, egli l'avvicinò e le chiese: "Chi sei, donna leggiadra? Tu sei giovane e hai l'aspetto di un'asceta: queste due cose sono contraddittorie! ".
La ragazza rispose: "Sono la figlia del saggio reale Kusadvaja, figlio di Brihaspati. Mio padre m'istruì nella recitazione dei Veda; perciò fui chiamata Vedavati. Molti dèi e semidèi chiesero la mia mano, ma mio padre desiderava avere come genero il Signore Vishnu e nessun altro. Saputo di questo, un demone chiamato Sambhu uccise mio padre; e anche mia madre, che salì sulla pira funeraria di suo marito. Da allora ho intrapreso intense austerità per onorare il desiderio di mio padre e ottenere come sposo il Signore Vishnu".
Ravana si fece conoscere e si vantò: "Chi è mai questo Vishnu di fronte a me? Vieni, diventa mia moglie e goditi la vita". Ravana l'afferrò per i capelli.
Fortemente adirata dal suo comportamento, Vedavati maledì Ravana con le seguenti parole: "Non desidero preservare questo corpo che tu hai toccato; perciò entrerò nel fuoco sacro. O peccatore, poiché mi hai contaminata, causando con questo la mia morte, io rinascerò per causare la tua distruzione. Se in me è rimasto qualche merito, rinascerò senza essere concepita da una donna".
Detto ciò, ella entrò nel fuoco sacro. O Rama, quella Vedavati è tua moglie Sita; e tu sei lo stesso Signore Vishnu.





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In seguito Ravana si recò in un posto dove il re Marutta stava celebrando un rito sacro assistito dal saggio Samvarta, figlio di Brihaspati. Quando lo videro, tutti gli dèi assunsero forme diverse: Indra divenne un pavone, Yama divenne un corvo, Kubera divenne una lucertola e Varuna divenne un cigno.
Ravana sfidò Marutta. Questi stava per combattere, ma il precettore gli ricordò: "Se lasci questo rito incompleto, la tua famiglia perirà; e poi, avendo intrapreso questo rito sacro, non puoi impegnarti in combattimento". Marutta non reagì.
I demoni dichiararono Ravana vincitore, ed egli divorò tutti i saggi del posto e andò via.
Felici di essere sfuggiti astutamente alla collera di Ravana, gli dèi conferirono dei doni agli animali di cui avevano assunto le forme: da allora il pavone ha occhi sulle penne, il corvo fu liberato dai dolori della morte, la lucertola ottenne il suo riflesso dorato e il cigno il suo colore candido.
Dopo la vittoria conseguita durante il rito sacro di re Marutta, Ravana continuò a girare la terra con l'intenzione di sconfiggere tutti i re del mondo. La maggior parte di essi cedettero alle sue richieste senza neanche bisogno di una sfida.
A suo tempo Ravana giunse ad Ayodhya. Qui egli sfidò il re Anaranya, che però accettò la sfida e combatté contro il demone. Segui una cruenta battaglia tra i due. Ravana distrusse il meglio delle forze di Anaranya, mentre quest'ultimo sbaragliò i luogotenenti di Ravana.
Nella sua rabbia crudele, Ravana assestò un colpo poderoso sulla testa di Anaranya, il quale cadde dal suo veicolo.
Come sorridendo, Ravana disse: "Cos'hai fatto, o re? In tutti i tre mondi non c'è nessuno che mi sia pari in un combattimento corpo a corpo".
Anaranya rispose: "Che posso farci, demone: il Tempo è davvero supremo, e io devo inchinarmi all'inevitabile. Non sono stato sconfitto da te ma solo dal Tempo. Tu sei servito solo come pretesto. Ma ascolta quello che ti dico: nella mia stessa dinastia sorgerà un principe - Rama, figlio di Dasaratha - che vendicherà la mia morte e ti distruggerà completamente".
Detto questo, Anaranya ascese in cielo e Ravana continuò le sue imprese.
Vedendo la perversa distruzione degli esseri umani da parte di Ravana, il saggio Narada lo avvicinò e gli disse: "O re dei demoni, tu hai guadagnato il dono estremamente prezioso dell'invincibilità nei confronti di dèi, semidèi e demoni. Ascolta, vorrei darti un consiglio. Il mondo degli esseri umani è soggetto alla morte; e allora perché indulgi nella loro uccisione? Non è una perdita di tempo uccidere questi stolti esseri umani che sono già soggetti alla vecchiaia, alla malattia e alla morte? E certo che tutti questi esseri dovranno entrare nella dimora di Yama, il dio della morte. Perciò sfida direttamente Yama. Se riuscirai a conquistare Yama, avrai conquistato automaticamente tutti gli esseri mortali".
Il ragionamento di Narada andò a genio a Ravana, che si preparò a partire subito per la dimora di Yama. Egli disse a Narada: "Invero io distruggerò anche i signori della creazione".
Subito dopo la sua partenza, il saggio rimase perplesso: tutti gli esseri hanno paura della morte e nessuno può conquistarla. Cosa avrebbe potuto fare Ravana contro Yama? Anch'egli s'avviò subito verso la dimora di Yama.
Narada disse a Yama: "Il demone Dashagriva sta venendo qui per cercare di sconfiggere te, che sei estremamente difficile da vincere. Perciò anch'io sono venuto qui".
Mentre stava ancora parlando, udirono il rombo del velivolo di Ravana che atterrava nelle vicinanze.
Nella luce emessa dal suo veicolo spaziale, Ravana vide con i propri occhi sia il fato dei malfattori e dei peccatori sia quello delle persone pie. Egli vide come i peccatori venivano torturati nell'inferno, e vide anche come le persone pie gioivano nelle regioni celesti.
Usando la forza, egli fece liberare i peccatori dalla morsa dei servi di Yama. I peccatori furono estremamente felici. I servi di Yama, invece, s'infuriarono e combatterono contro Ravana. Il demone lanciò una scarica di missili potentissimi; stando a terra egli lanciò il terribile missile Pasupata, che arrivò come fuoco accecante circondato da fumo. I servi di Yama cadevano numerosissimi.
Yama udì le grida pietose dei propri servi e si rese conto che Ravana stava avendo la meglio su di loro. Armato di vari missili infallibili, egli emerse dalla sua corte preceduto dalla Morte nella sua vera forma. Vedendo Yama emergere con furore, tutti gli esseri dell'intero universo tremarono per la grande paura.
Ravana fu l'unico a non aver paura. Avvicinandosi a Yama, Ravana lo colpì con varie armi. A sua volta anche Yama andò all'assalto di Ravana con diverse armi. In questo modo i due combatterono per sette giorni e sette notti.





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Ravana lanciò molti missili potenti contro Yama. Vedendo ciò, la Morte disse a Yama: "Ti prego, dammi il permesso di distruggere questo demone malvagio. Nessuno di quelli che cadono sotto il mio sguardo sopravvive, fosse anche per un'ora".
Yama rispose: "Aspetta, adesso guarda il mio valore". Dicendo questo, Yama sollevò la più micidiale delle armi, conosciuta come kaladanda, che uccide tutti gli esseri anche al solo vederla.
Proprio in quel momento apparve sul posto Brahma, il Creatore, che pacificò Yama con le seguenti parole: "Yama, non dovresti uccidere Ravana, che è protetto dal dono che gli ho concesso. Metti via il kaladanda. Esso è infallibile. Se lo usassi contro Ravana; sia che egli sopravvivesse al colpo sia che ne morisse, la mia parola si rivelerebbe falsa".
In obbedienza al consiglio di Brahma, Yama mise via il kaladanda. Neppure Yama però poteva essere sconfitto; perciò egli semplicemente svanì da quel luogo. Considerandosi il vincitore, Ravana salì sul Pushpaka e andò via.
In seguito Ravana conquistò i Naga. Poi si recò nel territorio dei Nivatakavaca. Anch'essi avevano ricevuto un dono dal Creatore Brahma e godevano di un suo favore speciale. Ravana andò da loro e li invitò a combattere. Le due forze furono impegnate in battaglia per oltre un anno, ma nessuna delle due poteva vincere.
Il Creatore Brahma apparve sul posto e disse ai Nivatakavaca: "Voi non potete vincere Ravana in battaglia. Credo che sia una buona soluzione unirvi in un'amicizia reciproca. Infatti è solo attraverso l'amicizia che la gente ottiene la prosperità".
Quindi, avendo il fuoco sacro come testimone, Ravana concluse un patto d'amicizia con i Nivatakavaca.
Uscendo da lì, Ravana incontrò gli esseri chiamati Kalakeya. Mentre combatteva contro di loro, egli perse il cognato Vidyutjihva (il marito di Surpanakha) e anche moltissimi soldati. Ma alla fine Ravana sterminò i Kalakeya.
Da lì egli si recò nel regno di Varuna. Qui incontrò i figli di Varuna, che combatterono bene contro di lui. Essi gli dissero che loro padre Varuna era andato alla corte di Brahma ad ascoltare un concerto di musica. Tuttavia, avendo sconfitto i figli di Varuna, Ravana si considerò il conquistatore del mondo e quindi fece ritorno a Lanka.
Dovunque andasse, quando vedeva una bella ragazza, Ravana la rapiva e la portava con sé. Così moltissime ragazze erano state portate via da lui con la forza. Figlie di naga e di gandharva, figlie di saggi, di demonesse e di dee - il Pushpaka le aveva portate via tutte ed era stato inondato dalle loro lacrime . Tutte gridavano: "Il peccato di violare le mogli altrui è veramente senza pari nella sua gravità, e Ravana vi trova diletto. Perciò egli morirà a causa di una donna".
Quando rientrò a Lanka, Ravana trovò che sua sorella Surpanakha era inconsolabilmente addolorata. Alla domanda del fratello ella rispose: "O re, tu sei la causa della mia vedovanza; tu sei responsabile della morte di mio marito. Il tuo dovere era quello di proteggermi, ma in realtà hai rovinato la mia vita".
Ravana le rispose con calma: "Tuo marito è stato ucciso in battaglia; io non avevo alcuna intenzione di farlo morire. Comunque, tutto questo è passato. Adesso farò di tutto per renderti felice. Vai a vivere con nostro fratello Khara; i quattordicimila soldati del suo esercito saranno per te come fratelli. Tu sarai per loro come una madre".
Poco tempo dopo Ravana entrò in uno dei parchi di divertimento di Lanka il cui nome era Nikumbhila. Là vide suo figlio Meghanada impegnato a celebrare un elaborato rito religioso. Vide che Meghanada indossava una pelle di daino e aveva l'aspetto di chi è impegnato in un rito religioso ortodosso. Egli l'abbracciò con affetto e poi gli chiese: "Che cos'è quello che stai facendo, figlio mio?",
Usana, il sacerdote officiante, rispose: "Signore, tuo figlio ha completato con successo questi sette riti sacri: l'agnistoma, l'asvamedha, il bahusuvarnaka, il rajasuya, il gomedha, il vaishnava e il mahesvara. Egli ha ottenuto le benedizioni dello stesso Signore Shiva, e quindi potrà muoversi secondo la sua volontà, volare nell'aria e compiere molti trucchi di magia".
Ravana espresse un leggero dispiacere: "Tutto ciò è indegno di te, figlio mio. Tu hai offerto sacrifici ai nostri nemici, gli dèi. Ad ogni modo, tutto ciò che hai fatto è ben fatto. Torniamo a casa".
Raggiunto il suo palazzo, Ravana fece scendere dal Pushpaka le numerose donne che aveva rapito. Vedendole, Vibhishana si rammaricò immensamente e ammonì gentilmente il fratello maggiore: "Sicuramente è peccato rapire le mogli degli altri. E noi dovremo pagare caro questo peccato. Anzi, la cosa è già evidente! Fratello, nostra cugina Kumbhinasi è stata rapita dal demone Madhu. Sono certo che il fatto è collegato direttamente al rapimento di queste donne pie da parte tua. Meghanada era impegnato nel rito sacro, io ero impegnato nella meditazione e Kumbhakarna dormiva profondamente. Madhu s'è portata via Kumbhinasi. Quando l'ho saputo, ho pensato che forse stavano bene l'uno con l'altra".
Ravana però reagì in maniera diversa. Egli ordinò all'esercito di prepararsi ad invadere il territorio di Madhu; e fece persino svegliare Kumbhakarna. Con l'aiuto di tutti - eccetto Vibhishana, che custodiva Lanka durante l'assenza degli altri fratelli - egli invase Madhupura.
Ravana non riusciva a vedere Madhu. Kumbhinasi però corse incontro a Ravana, cadde ai suoi piedi e pianse, implorando: "Ti prego, concedimi la grazia che non mi farai restare vedova. Per una donna onesta non c'è sventura più grande che restare vedova; questa è la causa principale di ogni paura e tristezza". Ravana promise di risparmiare la vita a Madhu. Allora Kumbhinasi tornò dentro e svegliò il marito che dormiva.
Ella presentò Ravana a Madhu: "Questo è mio fratello Ravana, che ha bisogno del tuo aiuto nella sua lotta contro gli dèi". Madhu ricevette Ravana con grande affetto e ospitalità.
In una notte di luna piena, Ravana stava riposando sul monte Kailash. I soldati delle sue forze armate dormivano.





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La luna piena e la brezza soave, la fragranza dei fiori di campo e la musica degli esseri celesti ebbri d'amore, risvegliarono la sua passione.
In quel mentre passava vicino a lui una ninfa celeste chiamata Rambha. Ella era vestita in maniera seducente; e il suo aspetto e il suo portamento erano tali da sollevare la passione in chi la guardava.
Ravana l'avvicinò e le chiese: "Dove stai andando, o donna leggiadra? Chi è quella persona fortunatissima che oggi godrà con te dei piaceri sensuali? No, non andartene lasciandomi qui. Vieni, divertiamoci insieme. Chi è pari a me nei tre mondi?".
Avvicinata in questa maniera da Ravana, Rambha cominciò a tremare per la paura; e gli disse: "Sii benevolo con me, signore! Tu sei il protettore di tutti; non proteggerai forse tua nuora? Io sto andando a incontrare Nalakubara, il figlio di tuo fratello, e perciò sono tua nuora. Ti prego, lasciami andare".
Ravana però non era dell'umore di ascoltare questo sermone. Sopraffatto dalla lussuria, egli afferrò Rambha e la violentò.
Quando la liberò, dopo averla violentata, Rambha era come una ghirlanda imbrattata o dell'acqua infangata.
Ancora tremante per la paura e la vergogna, ella andò da Nalakubara e gli narrò tutto quello che le era successo lungo la strada.
Poi cadde ai suoi piedi piangendo, e implorò il suo perdono.
Quando seppe che Ravana aveva osato violare Rambha, Nalakubara entrò per un po' di tempo in profonda meditazione,
Egli 'vide' tutto ciò che era accaduto a Rambha. Sopraffatto da una collera immensa, prese dell'acqua con le mani e pronunciò solennemente questa terribile maledizione:
"Poiché ti ha violentato senza che tu, Rambha, lo desiderassi, egli non potrà più godere di alcuna donna che non lo desideri. Se mai provasse a violentare una donna che non lo desiderasse, la sua testa scoppierebbe in sette pezzi".
Appena Nalakubara pronunciò questa terribile maledizione, tutti gli dèi, a partire dal Creatore Brahma, gioirono e fecero scendere una pioggia di fiori.
Quando Ravana venne a sapere di quest'infallibile maledizione, cominciò a frenarsi dal molestare qualsiasi donna non lo desiderasse.
Ravana rivolse i suoi occhi al cielo e decise di conquistare anche quello. Quand'egli entrò nel regno degli dèi con il suo potente esercito , i cieli tremarono e lo stesso Indra rimase scosso sul suo trono. Egli ordinò a tutti gli dèi di prepararsi a combattere contro Ravana.
Quindi Indra, il dio del cielo, tremante di paura andò subito dal Signore Vishnu e si sottomise umilmente a Lui, dicendo: "Di grazia, Signore, dicci che cosa dobbiamo fare. Ravana, che in virtù dei doni che ha ricevuto si considera invincibile, è venuto a combattere contro di noi. Tu sei il nostro solo rifugio, la nostra sola forza e il nostro unico sostegno. Tu sei il Signore supremo; in te dimorano tutti i mondi. L'universo ha origine da te e in te ritorna. Ti prego, dimmi che cosa vuoi che facciamo con questo Ravana".
Il Signore Vishnu rispose: "Conosco già i misfatti di Ravana. Ma in questo momento non scenderò in battaglia contro di lui. Io, Vishnu, non potrei mai tornare dal campo di battaglia senza avere ucciso il nemico; ma adesso questo è impossibile, poiché Ravana è protetto dal dono ricevuto da Brahma. Comunque ti prometto che lo distruggerò presto, per la redenzione degli dèi. Perciò per il momento combattilo tu stesso insieme agli dèi".
Tutti gli dèi scesero in campo guidati da Indra. Nello stesso tempo i demoni, con a capo Ravana, fecero il loro ingresso nei cieli.
Allora il potente demone Sumali entrò nel campo di battaglia e provocò molta distruzione tra le forze degli dèi. L'ottavo Vasu, di nome Savitra, distrusse il veicolo di Sumali. Poi, lanciando un missile estremamente potente chiamato gada, il Vasu colpì Sumali. Il fuoco sprigionato dal missile consumò interamente il demone.
Vedendo che il loro capo Sumali era stato ucciso, gli altri demoni fuggirono in tutte le direzioni.
A questo punto entrò in campo Meghanada. Indra rassicurò gli dèi dicendo: "Non temete: guardate mio figlio Jayanta che entra in campo per affrontare Meghanada".
La battaglia tra Meghanada e Jayanta fu molto aspra. Quando Meghanada usò i suoi poteri magici, vi fu una totale confusione e gli dèi si uccisero persino tra di loro!
Indra stesso entrò in campo con il suo velivolo celeste. La battaglia ebbe un nuovo culmine quando Kumbhakarna e altri demoni mostrarono tutto il loro valore. Vi fu molta distruzione da ambo i lati.
Durante quella spaventosa battaglia, una volta Indra circondò Ravana con le sue forze divine. Quando Meghanada lo venne a sapere si precipitò sul posto. Egli usò i suoi poteri magici: nessuno riusciva a vederlo. Con il suo potere illusorio, Meghanada catturò Indra e lo fece prigioniero. Poi si rivolse a suo padre Ravana e gli disse: "Vieni, torniamo a casa, ho catturato lo stesso Indra".
Tutti gli dèi, guidati dallo stesso Creatore Brahma, andarono a Lanka. Brahma supplicò Ravana: "Il valore di tuo figlio è altamente encomiabile. E poiché ha conquistato lo stesso Indra, d'ora in poi egli sarà chiamato Indrajit. Lascia libero Indra, perché continui a svolgere le sue funzioni nei cieli. Che Indrajit scelga in cambio qualsiasi dono".





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Felicissimo di questo, Indrajit chiese il dono dell'immortalità. Ma Brahma puntualizzò: "L'immortalità è impossibile in questo mondo mortale, sia per gli uccelli, gli animali e tutti gli altri esseri. Perciò ti prego di modificare la tua richiesta".
Indrajit rispose: "Prima d'affrontare un'impresa importante praticherò regolarmente i riti sacri. Se riuscirò a completarli in tempo, sarò invincibile; in caso contrario resterò vulnerabile. Inoltre dovrò restare invulnerabile finché rimarrò seduto nel mio velivolo".
Brahma gli concesse quanto chiesto. Indrajit disse: "La gente cerca l'immortalità praticando austerità e propiziando gli dèi; ma io diventerò immortale per mezzo dello sforzo personale e della vigilanza".
Indra fu rilasciato. Brahma gli disse: "Ora ti dirò perché sei stato preso prigioniero. In principio creai gli esseri e li creai tutti uguali, dello stesso colore e della stessa forma. Poi contemplai la mia creazione e desiderai creare un essere particolare. Volli la certezza che quest'essere particolare fosse assolutamente immacolato (a = senza; halya = macchia). Era una donna e il suo nome era Ahalya. Ella divenne la moglie del rishi Gautama. Sopraffatto dalla passione per lei, un giorno tu la seducesti, approfittando dell'assenza di suo marito. Il saggio vi sorprese entrambi; e quando scoprì il tuo misfatto, ti maledì: "Poiché hai sedotto impavidamente mia moglie, sarai preso prigioniero dal tuo nemico". Gautama maledì anche sua moglie: "Poiché hai fatto questo, orgogliosa della tua bellezza, non sarai l'unica donna bella del mondo e così perderai la tua unicità". Perciò, Indra, ricorda il tuo misfatto. Tu sei stato sconfitto dal tuo misfatto, non da qualcun altro. Adora immediatamente il Signore celebrando il sacro rito Vaishnava, e così sarai purificato da ogni peccato".
Indra seguì il consiglio di Brahma.
Una volta Ravana andò in una città chiamata Mahismati, la capitale del regno Haihaya, il cui re era Kartavirya Arjuna. Giunto là, Ravana gridò: "Chi è quell'Arjuna che governa questa città?". Gli fu detto che Arjuna si stava divertendo nel fiume Narmada.
Ravana andò immediatamente al fiume, e dopo aver fatto il bagno adorò il Signore nella forma del Linga che pose sulla sabbia.
Poi Ravana notò un fenomeno inspiegabile: il flusso del fiume s'era improvvisamente arrestato. Tramite le sue spie egli apprese che Kartavirya Arjuna, che si stava divertendo con delle donne nel fiume, ne aveva arrestato il corso con le sue stesse mani e aveva creato un lago artificiale per il proprio piacere.
Udito questo, Ravana desiderò sfidare Kartavirya Arjuna in combattimento. Tuttavia i ministri di quest'ultimo pregarono il demone d'accettare la loro ospitalità, passare la notte lì e quindi sfidare il re la mattina seguente. Essi argomentavano: "Non è eroico sfidare un guerriero che si sta divertendo con delle donne!".
Ravana era propenso ad accettare, ma nel frattempo il suo esercito aveva già cominciato a combattere contro i soldati di Kartavirya Arjuna, creando molto frastuono.
Anche i principali luogotenenti di Ravana erano entrati nella battaglia. I ministri di Kartavirya Arjuna lo informarono della battaglia, e anch'egli si precipitò a combattere.
La battaglia fu sanguinosa. Kartavirya Arjuna tirò un potente colpo con il suo gada e fece perdere i sensi a Prahasta. Tutti gli altri demoni, incluso Ravana, corsero ad aiutare Prahasta.
Allora Kartavirya Arjuna diresse la sua attenzione verso Ravana, e con molta facilità lo catturò. Egli legò Ravana come Narayana aveva legato il re dei demoni Bali.
In quel momento gli dèi e i semidèi fecero scendere una pioggia di fiori dicendo: "Ben fatto". I demoni gridarono invano: "Liberalo, liberalo".
Il saggio Pulastya seppe della cattura di Ravana dagli dèi e andò a intercedere di persona da Kartavirya Arjuna. Quest'ultimo ricevette il saggio con tutto l'onore e la riverenza dovuti e, dopo averlo pregato d'accettare la sua ospitalità, gli chiese; "Che cosa posso fare per te, o santo?".
Il saggio lodò Kartavirya Arjuna per il suo valore e quindi lo pregò di liberare suo figlio Ravana dalla prigionia. Senza indugio Kartavirya Arjuna acconsentì alla richiesta del saggio.
Incurante dell'ignominia subita per mano di Kartavirya Arjuna, Ravana continuò a girare per il mondo in cerca di nuove battaglie e nuove conquiste.
Una volta egli giunse nel regno di Kishkindha, governato dal potentissimo vanara Vali. Egli gridò a squarciagola, sfidando Vali a farsi avanti e a combattere contro di lui. Un ministro di Vali informò il demone che il suo re era uscito dalla capitale per andare a compiere l'adorazione serale che celebrava quotidianamente. "Se puoi aspettare un po', lo vedrai di certo", egli disse, e aggiunse: "Lascia però che ti avverta! Vedi quella montagna di ossa laggiù: esse appartenevano ad altri eroi che come te hanno voluto sfidare Vali. Anche se avessi bevuto il nettare dell'immortalità, il suo effetto durerebbe solo fino a quando non affronteresti Vali. Se comunque avessi fretta di morire, allora recati all'Oceano Meridionale, dove troverai Vali".
Ravana non si fece impressionare dalle minacce. Salì sul Pushpaka e si diresse verso sud. Infine scorse Vali che offriva le sue preghiere vespertine, e s'avvicinò a lui senza fare il minimo rumore. Per caso lo vide anche Vali. Senza alcuna difficoltà, Vali imprigionò Ravana sotto la sua ascella e si librò nell'aria. Tutti gli altri demoni si misero a urlare e a inseguire Vali, ma invano.
Dopo averlo portato su tutti gli oceani delle quattro direzioni e avere offerto le sue preghiere a ciascun oceano, sempre tenendo Ravana sotto l'ascella, Vali fece ritorno a Kishkindha. La, nel suo giardino, Vali lasciò cadere Ravana, e poi gli chiese: "Da dove sei venuto".
Pieno di ammirazione, Ravana disse a Vali: "Che forza, che valore, e quanta maestà! E incredibile che qualcuno abbia potuto tenermi nella sua morsa come una bestiolina e portarmi fino ai quattro oceani ai quattro angoli della terra. Tu sei davvero un eroe eccelso. Avendo avuto prova della tua straordinaria potenza, desidero concludere un patto d'amicizia con te. D'ora in poi noi due godremo ogni cosa in maniera indivisa, avremo cioè in comune mogli, figli, città, regno, piaceri, cibo e rifugio".
Poi essi alimentarono il fuoco sacro e davanti ad esso si strinsero la mano e conclusero un patto d'amicizia. Ravana visse nella dimora di Vali per un mese, godendo della sua ospitalità, e infine fece ritorno a Lanka. Tale era, o Rama, la potenza di Vali, che tu hai ucciso con tanta facilità.
Così il saggio Agastya concluse la sua narrazione.





fonte www.terralab.it/esoterica/Ramayana.htm#GG

prossimamenta [NOTA: Questa storia spiega perché Rama non poteva fidarsi di Vali

 
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