|
Zenone di Cizio (in greco antico: Ζήνων ὁ Κιτιεύς, Zēnōn ho Kitieus, in latino detto Zeno Citieus; Cizio, 361[1] o 336/335 a.C. – Atene, 263 a.C.) è stato un filosofo greco antico di origine fenicia, nativo di Cipro e considerato il fondatore dello stoicismo, della cui scuola fu il primo capo.
Biografia
Ad oggi la fonte più importante sulla vita di Zenone è la biografia scritta da Diogene Laerzio, nel libro VII della sua opera Raccolta delle vite e delle dottrine dei filosofi, che ce lo presenta così: (GRC)
«Ζήνων Μνασέου ἢ Δημέου, Κιτιεὺς ἀπὸ Κύπρου.» (IT)
«Zenone fu figlio di Mneseo o Demeo, e nacque a Cizio, su Cipro.» (Diogene Laerzio)
Come Talete, Zenone non era di origine greca, ma fenicia. Cizio (odierna Larnaca) era una località dell'isola di Cipro, che all'epoca costituiva un importante crocevia dei commerci tra l'Occidente e l'Oriente del Mediterraneo. Nacque forse nel 361 a.C., sebbene alcuni posticipino la sua nascita al 336-335 a.C. Istruitosi ai testi dei filosofi socratici, una volta trasferitosi ad Atene, Zenone divenne allievo del filosofo cinico Cratete e, successivamente, di Polemone, scolarca dell'Accademia platonica nell'ultimo quindicennio del IV secolo. Intorno al 300 a.C. fondò la Stoà, ovvero la scuola filosofica così chiamata dalla Stoà Pecìle (in greco Stoà Poikìle), che era il portico dipinto dell'agorà di Atene in cui egli teneva le sue lezioni, poiché in quanto straniero non poteva possedere una vera casa.
I suoi allievi principali furono Cleante di Asso e Crisippo di Soli, destinati a succedergli alla guida della scuola. Si lasciò morire da suicida in seguito a una grave indisposizione, in accordo peraltro con i dettami della sua stessa dottrina, o forse morì consunto per l'età avanzata. Quando Zenone morì aveva secondo alcune fonti circa 72-73 anni, secondo altri addirittura 98; così Diogene Laerzio descrive il suo decesso:
«Mentre andava via dalla scuola incespicò e si ruppe un dito. Batté allora la terra con la mano e pronunciò quel verso della Niobe: "Vengo, perché mi chiami gridando?" e, soffocato il grido, morì all'istante.» (Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, VII, 28)
Alcuni pensano che Zenone si sia lasciato morire di fame, altri che la traduzione letterale e verbale del passo di Diogene non sia "soffocato il grido" ma "soffocò, strangolò" e quindi: «"Vengo, perché mi chiami?", e subito dopo morì impiccandosi».[2]
Egli fu onorato da tutti gli ateniesi, che gli costruirono una statua in bronzo, gli concessero già in vita onorificenze (come l'esenzione dal giuramento in caso dovesse testimoniare in tribunale), e lo seppellirono nella necropoli del Ceramico a spese pubbliche, nonostante le sue origini straniere; la sua memoria restò nei secoli.
Zenone è forse citato (potrebbe trattarsi anche di Zenone di Elea), da Dante nel Canto IV dell'Inferno (Divina Commedia), fra gli spiriti magni che quest'ultimo incontra nel primo Cerchio o Limbo; il poeta lo descrive accanto a Democrito, Anassagora, Talete, Empedocle, Eraclito e Diogene di Sinope (o Diogene di Apollonia):
«Democrito che 'l mondo a caso pone, Dïogenès, Anassagora e Tale, Empedoclès, Eraclito e Zenone.» (Inferno, IV, vv. 136-138)
segue
|