| Quando la persona si placa nella sua ricerca di affermazione, definizione e senso, può cominciare ad aprire gli occhi sui singoli fatti che le si presentano, senza avere la necessità di indagare, spiegare, connettere fatto a fatto. Ma quando un pensiero, un’emozione, un’azione sono vissuti per quel che sono, quando non portano con sé un passato e non si proiettano in un futuro, che cosa diventano? Diventano fatti, qualcosa che accade adesso e subito lascia il posto a qualcos’altro che accade adesso e il precedente è già scomparso. Costantemente, inarrestabilemente il nuovo sorge alla percezione e scalza e sostituisce il vecchio che se non è trattenuto dal “voler ricordare” e dal “voler ricondurre a sé”, subito non è più. La realtà del presente è sempre nuova se non viene attribuita ad un soggetto ma viene lasciata alla vita. Quanto è profonda la realtà, la natura di un fatto? Quanto può essere percepito di un evento presente, quanto si dischiude alla fruizione, comprensione, contemplazione? La realtà è un processo di svelamento: l’osservazione, la meditazione e la contemplazione sono gli strumenti dello svelamento. La persona identificata nei suoi processi coglie la realtà attraverso i sensi fisici, attraverso il sentire emotivo, attraverso la capacità cognitiva. Più la persona impara a disidentificarsi dai suoi processi, più emerge un’altra comprensione della realtà basata sull’intuizione e su di un “sentire” che non è legato alla sfera emotiva. Non è corretto parlare di profondità della realtà, è invece corretto parlare di profondità dello sguardo sulla realtà: il reale può essere compenetrato fino a livelli inimmaginabili di esperienza. Può essere compenetrato o ci compenetra? Siamo noi che penetriamo nelle viscere della realtà oppure, nel momento in cui ci disponiamo al presente sapendo che è l’unica realtà che esiste e lo osserviamo, lo consideriamo come il rilevante, la vita che accade, lì, in quel gesto, apre un varco nella mente sempre protesa e ci offre la possibilità del sorgere della visione contemplativa? Quella visione ci compenetra, giunge a noi, non possiamo evocarla. Ma il termine giunge è riduttivo, quella realtà è sempre stata lì, ora testimonia il suo essere: “Sono sempre stata qui e tu non mi hai mai visto, ho sempre parlato del mio esserci e tu eri soltanto attento a definirmi e a comprendermi!” Quando noi ci disponiamo al presente senza aspettativa e giudizio, senza connetterlo a ciò che è stato e sarà, quel presente si manifesta a noi in maniera tanto più grande quanto più noi ci abbandoniamo ad esso. Più è profonda la resa dell’osservatore al fatto che accade (pensiero, emozione o azione), più l’osservatore è disposto a farsi investire, a lasciare che la vita si manifesti a lui, più la vita lo invade, lo compenetra, lo impregna del suo essere altro, mistero inconoscibile, sacralità, stupore, infinita profondità e vastità. Quando sei davanti a qualcuno che ti porta il suo mondo interiore ed esteriore, ti impatti con tanti “fatti” che l’altro porta e con altrettanti “fatti” che sorgono nel tuo interiore. Tutto questo è vita che si manifesta, è ciò che definiamo “ la realtà che canta se stessa”. E’ quello, oggettivamente: realtà del pensiero, dell’emozione, dell’azione. Quella realtà, se la interpreti, la giudichi, diventa altro da ciò che è; diventa interpretazione, non è più un fatto e basta, ma un fatto interpretato, connotato personalmente: non è più realtà. Ma se non la interpreti essa è se stessa, priva di connotazione, è quello che è, quello che è, in un attimo eterno.
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