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| Il rifiuto della madre Ninsun (132-155)
"Egli è potente nella montagna, egli possiede la forza. La sua forza è così grande come il firmamento di An. La saggia madre di Gilgamesh che conosce ogni cosa comprese; così parlò a suo figlio; La saggia Rimat-Ninsun che conosce ogni cosa, comprese; così parlò a Gilgamesh:
"Figlio mio [ ] amaramente [ ] 135 [ ]" Egli prese [ ] egli lo condusse alla sua porta [ ] egli (= Gilgamesh) piangeva amaramente: "Enkidu non ha né padre né madre, 140 i suoi capelli cadono sciolti, egli è nato nella steppa e chi può batterlo?".
Enkidu stava con lui, ascoltava ciò che egli diceva, fu preso da paura e si sedette per terra. I suoi occhi si riempirono di lacrime, 145 le sue braccia si abbassarono, la sua forza diminuì; allora essi si abbracciarono l'un l'altro e si strinsero le mani [ ] 150 Lacuna di 31 righe (Gilgamesh per rincuorare l'amico gli propone di recarsi nella Foresta dei Cedri per uccidere il mostro Khubaba; Enkidu però lo mette in guardia dai pericoli di una tale impresa).
Il mostro che incute paura (184-195)
"Per proteggere la Foresta dei Cedri, per incutere timore agli uomini, lo ha destinato Enlil. Khubaba, il cui grido è il diluvio, il cui soffio è fuoco, il cui respiro è morte, può udire a una distanza di sessanta leghe attraverso gli alberi della Foresta: chi può dunque addentrarsi nella sua Foresta? 185 Per proteggere la Foresta dei Cedri, per incutere timore agli uomini, lo ha destinato Enlil. e una spossatezza fisica si impadronisce di chi osa penetrare nella sua Foresta" Gilgamesh parlò a lui, ad Enkidu, al suo amico rivolse la parola: 190 "Amico mio! Chi dei mortali può salire al cielo?" 195 Lacuna di 19 righe (Gilgamesh fornisce la motivazione che lo spinge a recarsi nella foresta dei cedri: il desiderio cioè di acquisire quella fama che lo renderà immortale. In Sap 2001, p. 55, il discorso di Gilgamesh, integrato da recenti ritrovamenti, così prosegue:
Perché, amico mio, ti lamenti miserevolmente, la tua bocca è abbandonata e ti lasci andare? L'umanità conta i suoi giorni e qualunque cosa faccia è vento!
Vieni, amico mio! [...] alle fornaci, davanti a noi si ammucchino le asce!
La fama di gloria è sottolineata dal poema paleobabilonese (tavoletta di Yale) che, in questo passo, recita (Sap 2001, p. 66):
Io taglierò i cedri e mi farò un nome eterno! Se io cadrò, (almeno) mi sarò fatto un nome.
Le argomentazioni sembrano convincenti, tanto che, quando il testo riprende, gli artigiani sono già all'opera). Gli artigiani sedettero e rifletterono sul da farsi; Essi forgiarono una grande ascia bipenne, un'ascia-pashu dal peso di un talento di bronzo forgiarono, le loro spade ciascuna dal peso di un talento forgiarono, le loro guaine pesano ciascuna un talento. 215 hepi eshshu (=rottura recente) 220 Quest'ultimo verso è stato aggiunto dallo stesso scriba assiro che diligentemente ricopiava il testo, evidentemente rotto!
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segue
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