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| Pianga il contadino, pianga il bovaro, il capo dei pastori che ti dava da bere birra e miele. Pianga la tua balia, piangano gli uomini e le donne sciogliendosi i capelli. Per te, Enkidu, assieme a tuo padre e a tua madre, io piangerò amaramente nella loro steppa. Ascoltatemi, o giovani! Ascoltatemi, o anziani! Io piangerò per Enkidu, l’amico mio. Come donna gemente lo piangerò e leverò lamenti per lui che fu l’ascia al mio fianco, l’arma del mio braccio, la spada del mio fodero, lo scudo del mio petto, l’amico mio, il mio fratello che inseguiva l’asino in aperta campagna e la pantera nella steppa. Assieme a lui ho scalato la montagna, insieme catturammo e uccidemmo il Toro celeste, insieme abbattemmo Humbaba, l’eroe della Foresta dei cedri. Che sonno è mai questo, che ora ti ha preso? Sei diventato rigido e più non mi ascolti».
Ma Enkidu non sollevò lo sguardo. Gilgameš gli toccò il cuore, ma non batteva più. Allora velò il volto dell’amico come si fa a una sposa, come un’aquila gli volteggiò intorno, come una leonessa a cui sono stati sottratti i cuccioli andava avanti e indietro. Si scompigliò i capelli, si strappò i gioielli.
«Quando morirò, non sarò dunque simile a Enkidu? Il dolore si è impadronito della mia anima, ho paura della morte e vago per la steppa. Nel buio mi sono arrampicato su per le montagne, mi sono imbattuto nei leoni e ne ho avuto paura. Ho pregato la Luna, tutta la notte l’ho pregata, per sei notti e sei giorni ho pianto sull’amico, finché il verme non è caduto sul suo viso. Come posso tacere? come posso star zitto? L’amico che amavo è diventato terra».
fonte https://lartedeipazzi.blog/2017/06/08/epop...ullamico-morto/
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