IL FARO DEI SOGNI

Epopea di Gilgameš (12) – Gilgameš alla dimora di Utnapištim

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view post Posted on 12/7/2021, 17:13     Top   Dislike
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Utnapištim osserva la scena da lontano, poi tra sé e sé
riflettendo dice: «Perché sono state divelte le stele di pietra
a cui era attraccata la nave e senza le quali non è possibile
attraversare il mare? Costui che viene non è dei miei,
lo guardo, ma non lo riconosco. Chi viene da me?».
Poi, rivolto a Gilgameš, domanda: «Perché le tue guance
sono così emaciate e la tua faccia stanca?
Perché il tuo cuore è confuso e il tuo sguardo assente?
Quale angoscia regna nel profondo del tuo essere?».

Utnapistim-arca

Gilgameš così rispose a lui, a Utnapištim:
«E come potrebbero le mie guance non essere emaciate
e la mia faccia stanca? Non dovrebbe il mio cuore
essere confuso e il mio sguardo assente? Sì, l’angoscia
regna nel profondo del mio essere, perché Enkidu,
l’amico mio, la pantera della steppa, che amo sopra ogni cosa
e che con me ha condiviso ogni sorta di avventure,
ha seguito il destino dell’umanità. E adesso la sua sorte
pesa su di me: l’amico mio è diventato argilla,
ed io non sono come lui? Non dovrò giacere anch’io
e non alzarmi mai più, per sempre? Per giungere fino a te,
Utnapištim, di cui grande è la fama tra gli uomini,
ho fatto un lungo viaggio, ho traversato paesi
pieni di insidie e navigato per tutti i mari;
il mio viso non assaggiò un istante il dolce sonno,
per la stanchezza mi sono ammalato e ora la mia pena
è più grande di prima. Che ho guadagnato con le mie fatiche?
Non fui accolto bene dalla taverniera, perché i miei vestiti
erano laceri. Possa la sua porta essere sbarrata dall’angoscia,
con pece e bitume sia resa impermeabile!
Per me non c’è stata alcuna protezione,
e le mie disavventure mi hanno ridotto in miseria!».





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Udite le sue parole, Utnapištim così parlò a Gilgameš:
«Perché, Gilgameš, vuoi prolungare il tuo dolore?
Perché ti sei ridotto a fare il vagabondo? Per te
un trono è stato approntato nel consesso degli dèi,
mentre per il vagabondo feccia è destinata in luogo
dell’ambrosia, rifiuti e immondizia invece del nettare.
Vestito di stracci, dove credi di andare? Perché tanto
ti sei agitato? Che cosa hai ottenuto? Hai solo provato
nuovi affanni, hai solo riempito il cuore di angoscia,
hai solo avvicinato il giorno lontano della verità.
L’umanità è recisa come canne in un canneto.
Anche il nobile è preda della morte. Eppure non c’è
chi veda la morte, chi ne scopra la faccia. La morte,
nessuno la sente. La morte malefica recide l’umanità.
Noi possiamo costruire una casa, possiamo farci un nido,
i fratelli possono dividersi l’eredità, vi può essere guerra
nel paese, i fiumi possono ingrossarsi e inondare,
ma in fondo tutto somiglia alle libellule in volo:
il loro sguardo si volge al sole, e subito non c’è più nulla.
Il dormiente e il morto si assomigliano, eppure nessuno
sa disegnare il volto della morte. I giudici divini
decretano all’uomo destino di morte, ma a nessuno
rivelano il giorno della morte».


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view post Posted on 18/7/2021, 17:54     Top   Dislike
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Allora Gilgameš così parlò a Utnapištim il lontano:
«Ti guardo, Utnapištim, e il tuo aspetto non è diverso dal mio,
uguale a me tu sei! Il mio animo brama di misurarsi con te,
e tuttavia il mio braccio è inerme contro di te!
Dimmi: come sei entrato nel consesso degli dèi?
Come ottenesti la vita eterna?». E a lui Utnapištim:


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«Una cosa nascosta, Gilgameš, un segreto degli dèi
ti voglio rivelare. La città di Šuruppak che tu conosci,
sulla riva dell’Eufrate, era ormai vecchia quando gli dèi
bramarono nel cuore di provocare il diluvio.
Giurarono Anu, il loro padre, ed Enlil, l’eroico consigliere,
Ninurta, il ministro portatore del trono, ed Ennugi,
l’ispettore dei canali; con essi giurò anche il principe Ea,
ma le loro intenzioni le rivelò a un canneto:
“Canneto! Canneto! Muro! Muro!
Canneto, ascolta! Muro, comprendi!
Uomo di Šuruppak, figlio di Ubaratutu,
abbatti la tua casa, costruisci una nave,
lascia la ricchezza, cerca la vita!
Abbandona i tuoi beni, salva la vita!
Fa’ salire sulla nave tutte le specie viventi!
Prendi attentamente le misure della nave che farai:
lunghezza e larghezza siano uguali!
Fa’ che il suo tetto sia l’abisso”.





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Io compresi e così parlai al mio signore Ea:
“O mio signore, quello che mi hai detto
io l’osserverò! Ma che dirò alla città,
agli artigiani e agli anziani?”. Ea aprì la bocca
e disse, parlò a me, al suo servo: “Tu dirai loro:
Forse Enlil è adirato con me. Più non resterò
nella vostra città, nella terra di Enlil più non poserò
il piede. Scenderò nell’abisso ad abitare con Ea,
il mio signore. Su di voi farà piovere abbondanza
di uccelli e di pesci, vi darà ricchezza e raccolto.
Al mattino farà piovere focaccia, la sera
farà cadere su di voi una pioggia di grano”.

Quando spuntò l’alba, la gente del paese di radunò.
Il falegname portò la sua ascia, il muratore
portò i mattoni, il garzone portò il bitume,
il povero portò il necessario. Al quinto giorno
tracciai lo schema della nave: la circonferenza
era di un ikû, i suoi fianchi erano alti 120 cubiti,
il bordo del suo tetto era anch’esso di 120 cubiti.
Tracciai il progetto, feci il disegno, suddivisi la superficie
in sei comparti, la divisi in sette piani. Divisi inoltre
il suo interno per nove volte e vi infissi i pioli per le acque;
scelsi le pertiche e approntai tutto il necessario.

Versai nel forno tre šâr di bitume, la gente portò
tre šâr di olio: uno fu consumato, gli altri due šâr
il battelliere li mise da parte. Macellai dei buoi,
e uccisi pecore giorno dopo giorno,
mosto, vino, olio e birra offrii da bere agli artigiani:
si festeggiò come per l’anno nuovo. All’alba, feci un’unzione;
al tramonto, la nave era finita. Il varo fu difficile:
le lanciammo corde sopra e sotto.
La caricai di tutto ciò che avevo, argento e oro.
La caricai di tutti i semi che avevo. Poi vi imbarcai
la mia famiglia, il bestiame della steppa e gli artigiani.





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view post Posted on 22/7/2021, 17:25     Top   Dislike
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L’inizio del diluvio me l’aveva indicato il Sole:
“Al mattino farò piovere focacce, alla sera farò cadere
una pioggia di grano: sali sulla nave, chiudi la porta!”.
Venne il momento indicato: al mattino piovvero focacce,
di sera ci fu una pioggia di grano. Il tempo, quel giorno,
incuteva paura: salii sulla nave e chiusi la porta.
Una nuvola nera si levò all’orizzonte, tuonò
e la tempesta infuriò. Gli dèi del temporale corrono
per monti e paesi. Nergal strappa via il palo d’ormeggio;
arriva Ninurta e fa cedere le dighe; gli Anunnaki
sollevano le torce, infiammando il paese;
il mortale silenzio di Adad si leva fino al cielo
e muta in tenebra tutto ciò che riluce, come un vaso
frantuma il paese. Per un giorno la tempesta infuriò.

Perfino gli dèi ebbero paura del diluvio. Fuggirono,
salirono al cielo di Anu; gli dèi si accucciarono come cani
e si gettarono a terra sconvolti. Ištar allora gridò
come una donna in travaglio, la signora degli dèi dalla bella voce
si lamentò: “Perché non si è tramutato in argilla
il giorno che nell’assemblea degli dèi decisi un simile male?
Perché ho comandato come in guerra di distruggere il mio popolo?
Io, proprio io, ho procreato questo mio popolo
e ora i miei figli, come pesci, riempiono il mare!”.





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Allora tutti gli dèi Anunnaki piansero assieme a lei;
gli dèi sedevano chini e piangenti, secche erano le loro labbra.
Sei giorni e sette notti infuriò la tempesta,
l’uragano livellò il paese. Al settimo giorno, infine,
il diluvio cessò, si calmò il mare, si chetò il vento.
Regnava il silenzio: l’umanità era diventata argilla.

Aprii lo sportello: la luce cadde sul muro del mio naso.
Mi abbassai, mi inginocchiai e piansi.
Sul muro del mio naso scorrevano due fiumi di lacrime.
Scrutai la distesa delle acque, a dodici leghe di distanza
scorsi un’isola. La nave s’incagliò sul monte Nisir,
per sei giorni vi rimase bloccata. Al settimo giorno,
feci uscire una colomba, la liberai. La colomba
andò e ritornò: un luogo su cui posarsi non lo trovò
e fece ritorno. Feci uscire una rondine, la liberai:
un luogo su cui posarsi non lo trovò e fece ritorno.
Feci uscire un corvo, lo liberai. Andò il corvo, vide
che l’acqua defluiva, mangiò, gracchiò, sollevò la coda
e più non fece ritorno. Allora aprii la nave e ne feci uscire
gli occupanti ai quattro venti. Offrii un sacrificio,
posi l’offerta sulla cima del monte. Quattordici vasi
vi collocai: dentro vi versai canna, cedro e mirto.
Gli dèi annusarono il profumo: era un buon profumo!





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Gli dèi si raccolsero come mosche attorno al sacrificatore.
Venne la Signora degli dèi e scacciò le mosche
che Anu aveva fatto per la sua gioia: “O dèi, disse,
fate che io non dimentichi il lapislazzuli del mio collo!
Che io ricordi per sempre questi giorni e più non li dimentichi!
Vengano gli dèi all’offerta, tutti tranne Enlil
che ha suscitato il diluvio e destinato la mia gente alla rovina!”.

Ma venne Enlil, vide la nave e si infuriò,
di ira si riempì il suo cuore: “Qualcuno è scampato?
Eppure nessun uomo doveva sopravvivere alla rovina”.
Ninurta aprì la bocca e così parlò a Enlil: “Chi se non Ea
ha potuto escogitare una simile cosa? Solo lui conosce
tutti i sotterfugi”. Ea allora prese la parola e disse a Enlil:
“Tu, il più saggio degli dèi, l’eroe, come hai potuto
suscitare il diluvio? Al colpevole imponi la sua pena,
a chi si macchia di un delitto imponi il filo del suo delitto:
piegalo, ma non fino al punto di spezzarlo.
Anziché mandare un diluvio, era meglio se un leone
avesse assalito gli uomini o che un lupo li sbranasse!
Meglio sarebbe stato decimarli con una carestia o una peste.
Io non ho tradito il segreto degli dèi. Ho rivelato un sogno
all’uomo sapiente ed egli ha compreso il segreto.
Ora però prendi una decisione per lui!”.

Enlil salì allora sulla nave, prese la mia mano,
mi fece salire, prese mia moglie e la fece inginocchiare
al mio fianco. Toccò la nostra fronte e ci benedisse:
“Prima Utnapištim era uomo, ora lui e sua moglie
siano simili a noi dèi. Dimori Utnapištim lontano,
alla confluenza dei fiumi”. Poi mi presero e mi portarono
lontano, alla confluenza dei fiumi».





fonte https://lartedeipazzi.blog/2017/08/11/epop...-di-utnapistim/

 
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