IL FARO DEI SOGNI

Categoria:Gruppi etnici in Brasile

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Categoria:Gruppi etnici in Brasile


Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene una categoria sull'argomento Gruppi etnici in Brasile

Sottocategorie

Questa categoria contiene un'unica sottocategoria, indicata di seguito.
N

Nippo-brasiliani‎ (27 P)

Pagine nella categoria "Gruppi etnici in Brasile"

Questa categoria contiene le 200 pagine indicate di seguito, su un totale di 239.
(pagina precedente) (pagina successiva)


Popoli indigeni del Brasile

A

Agavotaguerra
Aikewara
Akwe
Amahuaca
Amanayé
Amikoana
Amondawa
Anambé
Aparai
Apiaká
Apinajé
Apurinã
Aranã
Arapaso
Arará
Araweté
Arutani
Asháninka
Asurini del Tocantins
Asurini dello Xingu
Atikum
Avá-Canoeiro
Awá-Guajá
Aweti

B

Bakairi
Banawá
Baniwa (gruppo etnico)
Barasana
Baré
Bora (popolo)
Bororo
Brasiliani

C

Canela (gruppo etnico)
Caribe
Caritiana
Catawishi
Chamacoco
Cinta Larga
Coripaco

D

Deni (popolo)
Desano
Djeoromitxí

E

Enawenê-nawê

F

Franco-brasiliani
Fulni-ô

G

Galibi
Galibi do Oiapoque
Galibi-Marworno
Gavião Parkatêjê
Gê (popolo)
Guajajara
Guaraní
Guarani Kaiowá
Guarani Mbya
Guarani Ñandeva
Guato

H

Himarimã
Hixkaryana
Hupda

I

Iapama
Ingarikó
Iranxe Manoki
Italo-brasiliani
Itogapuk

J

Jamamadi
Jarawara
Jenipapo-Kanindé
Juma
Jurunas

K

Ka'apor
Kabixi
Kadiweu
Kagwahiva
Kaiabi
Kaingang
Kalapalo
Kama (popolo)
Kamaiurá
Kamba (Brasile)
Kambeba
Kambiwa
Kanamari
Kanoe
Kantaruré
Kapinawa
Karahawyana
Karajá
Karapanã
Karapotó
Karipuna de Rondônia
Karipuna do Amapá
Kariri-Xokó
Karo
Karutana
Katukina do Rio Biá
Katukina Pano
Kawahiva
Kaxarari
Kaxinawá
Kaxuyana
Kayapó
Kinikinau
Kohoroxitari
Kokama
Korubo
Kotiria
Krahô
Krenak
Kreye
Krikati
Kubeo
Kuikuro
Kulina
Kuruaya
Kwazá

M

Makuna
Makurap
Makuxi
Manchineri
Mandawaka
Maragatos (gruppo etnico)
Marubo
Mascho Piro
Matipu
Matipuhy-Nahukua
Matis
Matsés
Mawayana
Maxakali
Mehinaku
Menky Manoki
Miarrã
Migueleno
Miraña
Mirity-tapuya
Morerebi
Munduruku
Mura (popolo)

N

Nadöb
Nambikwara
Naua
Negarotê
Ninam
Nukini

O

Ofayé
Oro Win

P

Palikur
Panará
Pankararé
Pankararu
Papavo
Parakanan
Paranawat
Paresí
Parintintin
Patamona
Pataxó Hã-Hã-Hãe
Paumari
Pemon
Pira-tapuya
Pirahã
Pitaguary
Pokanga
Portoghesi
Puyanawa

R

Rikbaktsa

S

Sabanes
Sakurabiat
Sanuma
Sateré Mawé
Shanenawa
Sikiana
Siriano (popolo)
Surui Paiter
Suya

T

Tapayuna
Tapeba
Tapirapé
Tapuio
Tariana
Taurepang
Tembe
Tenetehara
Tenharim
Terena
Ticuna
Timbira
Tingui-Boto
Tiriyó
Tora (popolo)
Tremembé (popolo)
Truká
Trumai
Tshom-Djapa
Tubarao (popolo)
Tucano (popolo)
Tumbalalá
Tupari
Tupi (gruppo etnico)



fonte https://it.wikipedia.org/wiki/Categoria:Gr...nici_in_Brasile

 
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Agavotaguerra


Gli Agavotaguerra (o anche Agavotokueng) sono un gruppo etnico del Brasile che ha una popolazione stimata in circa 100 individui. Questo gruppo etnico parla la lingua Agavotaguerra (codice: AVO) ed è principalmente di fede animista.

Vivono nel Mato Grosso, tra i fiumi Curisevo e Culuene. Hanno contatti con i Yawalapiti e i Wauja.





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Aikewara


Gli Aikewara (conosciuti anche come Suruí do Pará) sono un gruppo etnico del Brasile con una popolazione stimata in 330 individui nel 2010 (Funasa).[1]


Nome

Uno dei loro nomi alternativi è Suruí ma sono differenti dal gruppo dei Surui Paiter (stanziati nel Mato Grosso e nella Rondônia). Il primo nome conosciuto degli Aikewara è Sororós, un appellativo assegnato loro dal frate Antonio Salas nel 1923. Nel 1950 Gil Gomes, altro frate domenicano, assegnò loro il nome di Surui. Un altro nome alternativo è Mudjetíre, usato in particolare dal gruppo dei Kayapó Xikrin. Negli anni sessanta fu individuata la parola Akwáwa come denominazione più corretta, mentre l'antropologo Iara Ferraz considerò Aikewara il termine più corretto per la loro identificazione.[2]
Lingua

Parlano la lingua Akwáwa che appartiene alle lingue tupi-guaraní, stessa lingua utilizzata dai gruppi Asurini del Tocantins e Parakanã secondo il linguista Aryon Dall'Igna Rodrigues. La grande maggioranza degli Aikewara parla anche il portoghese.[3]
Insediamenti

Vivono nello stato brasiliano del Pará. La loro zona di origine è un'area situata nei pressi di un piccolo torrente conosciuto come Grotão dos Caboclos ma sono ormai da tempo stanziati in un territorio situato nel sud-est del Pará, nel comune di São João do Araguaia, distante circa 100 chilometri dal principale centro urbano della regione, la città di Maraba. L'area è situata all'interno di un territorio indigeno omologato nel 1979 che si estende per 26.257 ettari.[4]





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Akwe


Gli Akwe sono un macro-gruppo etnico storico delle zone centro-occidentali del Brasile.[1]


Lingua

I gruppi parlano vari dialetti della lingua Akwe, lingua che appartiene alla famiglia linguistica Jê.
I gruppi

I gruppi considerati facenti parte del macro-gruppo Akwe sono i seguenti:[1]

gli Xerente
gli Xavante
gli Xacriabá
gli Acroás (estinti)

Sono gruppi considerati culturalmente e linguisticamente connessi ma classificati come etnie diverse dopo le migrazioni forzate avvenute alla fine del XIX secolo a causa delle persecuzioni dei colonizzatori portoghesi (l'area disponeva di notevoli giacimenti d'oro). In questo periodo gli Xavante migrarono verso l'interno del Mato Grosso, nei pressi del Rio das Mortes, mentre gli Xerente rimasero sulle rive del fiume Tocantins.[1]





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Amahuaca


Gli Amahuaca (o anche Amawaka) sono un gruppo etnico delle aree amazzoniche ai confini tra il Brasile e il Perù che ha una popolazione stimata in circa 220 individui. Questo gruppo etnico parla la lingua Amahuaca (codice: AMC), divisa nei dialetti inuvaken e viwivakeu ed è principalmente di fede animista.

Si concentrano soprattutto nei bacini fluviali Mapuya, Curanja, Sepahua e Inuya Yuru. I primi contatti ci sono stati con i missionari francescani nel 1686, i quali li hanno denominati Amahuaca.[1]

Agricoltori, cacciatori e raccoglitori, isolati fino al XVIII secolo, sono attualmente sotto la minaccia di estinzione, a causa di malattie e di violenze perpetrate da estrattori di petrolio e taglialegna illegali. Nel 1998 erano circa 520. La più grande comunità di Amahuaca si trova a Puerto Varadero, una comunità nella giungla peruviana al confine con il Brasile.





fonte https://it.wikipedia.org/wiki/Amahuaca

 
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Amanayé



Gli Amanayé sono un gruppo etnico del Brasile che ha una popolazione stimata in circa 87 individui (2002).[1] Questo gruppo etnico parla la lingua Amanaye (codice: AMA) ed è principalmente di fede animista.

Il nome apparentemente significa "associazione di persone". Parte degli Amanayé possono denominarsi con il termine "Ararandeuara", in riferimento al corso d'acqua vicino a cui vivono.


Posizione

Vivono nei pressi del fiume Capim nella città di São Domingos do Capim, nello stato brasiliano del Pará.
Storia

Gli Amanye sono stati contattati nel 1755, ma per lungo tempo hanno evitato i missionari. Nonostante questo, la maggior parte della etnia originale si dissolse nella popolazione meticcia (mestizo) nel XX secolo.

Sono stati menzionati per la prima volta quando risiedevano ancora in quella che probabilmente è la loro zona di origine, il fiume Pindaré. Graxie a un accordo con padre David Fay, missionario tra i Guajajara, vennero convinti a trasferirsi in un villaggio insieme con i Guajajara, i loro nemici tradizionali. Poco dopo, parte del gruppo si spostò presso il fiume Alpercatas, al confine tra Maranhão e Piauí, stabilendosi nei pressi del villaggio di Santo Antônio. Nel 1815 del gruppo di Santo Antônio solo 20 Amanaye erano rimasti, mescolati con i neri. Gli altri Amanaye stabilitisi lungo il fiume Alpercatas continuarono a migrare raggiungendo poi Piauí nel 1763.

Nel XIX secolo la loro popolazione raggiunse un totale stimato tra i 300 e i 400 individui stanziati in tre villaggi lungo il fiume Caju-Apara. Nel 1873, gli Amanayé uccisero un missionario, Cândido de Heremence, e un ingegnere belga che si trovava nella zona. Le seguenti ritorsioni li costrinsero a nascondersi nei pressi del fiume Ararandeua; alcuni di loro cominciarono ad identificarsi come Ararandeuara o come Turiwara per mascherare la loro identità.

Nel 1880, gli Amanayé uccisero un gruppo di Tembe e Turiwara. Da quel periodo in poi le uniche notizie pervenuteci provengono da alcuni etnologi del Serviço Nacional do Indio che visitarono brevemente la comunità. Si pensa che la maggioranza del gruppo sia poi rimasta sul fiume Capim, Nel 1910 un ispettore del servizio di protezione degli indios si imbatté in un piccolo gruppo di Amanayé guidato da una donna nei pressi del fiume Ararandeua. In seguito anche ad alcuni scontri tra gli Amanayé e altri gruppi di indios stanziati nei pressi del fiume Capim, negli anni cinquanta fu creata una riserva lungo il fiume Candiru-Açu.[2]





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Amikoana



Gli Amikoana (o anche Amikuân) sono un gruppo etnico del Brasile quasi estinto, che ha una popolazione stimata in soli 5 individui.

Vivono nel nord dello stato dell'Amapá.





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Amondawa



Gli Amondawa (o anche Amundava) sono un gruppo etnico del Brasile con una popolazione stimata in 107 individui nel 2010.[1] Parlano la lingua Amondawa (codice ISO 639: ADW) e sono principalmente di fede animista.

Vivono negli stati di Rondônia e Acre, vicino al fiume Jiparaná.

Secondo una ricerca della università inglese di Portsmouth, pubblicata nel 2011 sulla rivista Language and Cognition, nella cultura di questo gruppo etnico non esiste la concezione del tempo, ossia non esiste la concezione del trascorrere dei giorni e degli anni (non dispongono, quindi, di alcun tipo di calendario), né il trascorrere dell'età dell'individuo. Le varie fasi della vita di una persona, dalla fanciullezza alla vecchiaia, vengono classificate semplicemente cambiando il nome dell'individuo.[2]





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Anambé



I Anambé sono un gruppo etnico del Brasile (Funasa).[1]



Lingua

Parlano la lingua anambé che appartiene alle lingue tupi-guaraní. Negli anni ottanta solo gli anziani utilizzavano la lingua madre mentre i membri al di sotto dei trent'anni utilizzavano prevalentemente il portoghese anche se comprendevano senza problemi l'anambé.[2]
Insediamenti

Vivono nello stato brasiliano del Pará, in un territorio indigeno assegnato loro in via ufficiale.[3]
Storia

Sono originari dell'area del fiume Pacajá, che scorre nei pressi del fiume Tocantins, vicino Portel. Intorno alla fine del XIX secolo, molte famiglie furono disgregate dai coloni che deportavano gli uomini per farli lavorare come rematori o nei rocas (campi di semina). Si trasferirono poi presso le sorgenti del fiume Cururuí, un affluente del Pacajá, dove formarono il villaggio di Tauá. Nel 1852, alcuni gruppi di Anambé giunsero nella zona del Tocantins dove chiesero protezione e furono collocati in un nuovo villaggio, mentre gli altri restarono sul Pacajá. Nel 1874 erano ridotti a 42 membri dopo una violenta guerra con il gruppo indigeno dei Curumbu. In questo periodo furono colpiti anche da un'epidemia di vaiolo. Fino alla fine del secolo continuarono a spostarsi intorno all'area di Baião fino a quando si stabilirono nei pressi del bacino del fiume Moju. Secondo l'antropologo Napoleão Figueiredo si stabilirono in quest'area insieme al gruppo dei Gaviões do Oeste e furono da questi poi cacciati via. Si spostarono quindi verso il fiume Cairari. Intorno agli anni cinquanta e sessanta cominciarono a lavorare come taglialegna per i coloni che erano giunti in zona negli anni cinquanta.[4]

Nel 1982 furono convinti dalla Fundação Nacional do Índio a trasferirsi nel territorio indigeno dell'Alto Guamá occupato anche dai Tembé con cui avevano varie affinità culturali. Tuttavia, tale area si rivelò inadatta al loro stile di vita da pescatori, essendo il fiume vicino povero di pesci, e ritornarono nei pressi del fiume Cairari nel 1983.[5]





fonte https://it.wikipedia.org/wiki/Anamb%C3%A9

 
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Aparai



Gli Aparai sono un gruppo etnico del Brasile che ha una popolazione stimata in 398 individui (2010).[1]


Lingua

Parlano la lingua Aparai, lingua che appartiene alla famiglia linguistica Karib. La maggior parte degli Aparai parla più lingue, tra cui Aparai, Wayana, portoghese e Tiriyó.
Insediamenti

Vivono nello stato brasiliano di Amapá e Pará, in zone in cui sono stanziati anche i Wayana, gruppo correlato agli Aparai per storia e lingua. Queste aree comprendono le parti superiori e centrali del fiume Paru, all'interno del Parco Nazionale di Tumucumaque e del territorio indigeno del Paru Orientale.[1]
Storia

Sebbene secondo molte fonti storiche gli Aparai e i Wayana abbiano avuto origini diverse (gli Aparai sono originari delle zone meridionali del Rio delle Amazzoni e sono poi migrati nelle aree dei fiumi Curuá, Maicuru, Jari e Paru Orientale mentre i Wayana hanno abitato per lungo tempo le zone centrali e superiori del fiume del Paru Occidentale e del suo affluente Citaré e le zone degli affluenti del fiume Jarí, ossia i fiumi the Litani e Paloemeu e altri piccoli affluenti) gli Aparai odierni, insieme al gruppo dei Wayana, rappresentano il risultato di un processo storico di separazione etnica avvenuto dal XVIII secolo in poi. In questo processo gli Aparai assimilarono le etnie Apama, Pirixiyana e Arakaju. Nel corso degli anni settanta, l'antropologo svizzero Daniel Schoepf riunì gli Aparai e i Wayana sotto un unico gruppo denominato "Wayana-Aparai" ma i due gruppi continuarono a definirsi separati per storia, tradizioni e anche dispute tra clan avversi.[1]





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Apiaká


Gli Apiaká sono un gruppo etnico del Brasile con una popolazione stimata in 1.000 individui nel 2009 (Funasa).[1]


Lingua

Parlano la lingua apiaká (codice ISO 639-3 api) che appartiene alle lingue tupi-guaraní. Negli anni ottanta la lingua era sull'orlo dell'estinzione in quanto erano pochi i membri che ancora la utilizzavano, la maggior parte della comunità utilizzava il portoghese.[2]
Insediamenti

Vivono negli stati brasiliani del Mato Grosso e del Pará, sulle rive dei fiumi Arinos e Juruena, compresi i loro affluenti tra cui il Teles Pires. Questa zona è denominata Pontal do Mato Grosso o Pontal dos Apiacás. I villaggi Apiaká sono sette:

Mayrob e Figueirinha, situati sulla riva destra del Rio dos Peixes (territorio indigeno Apiaká Kayabi, Mato Grosso);
Mairowy, sulla riva sinistra del Teles Pires (territorio indigeno dei Kaiabi, Mato Grosso),
Bom Futuro e Vista Alegre, sulla riva destra del Teles Pires (territorio indigeno dei Munduruku, Parà);
Minhocuçu, sulla riva destra del Teles Pires (territorio indigeno dei Kayabi, Parà)
Pontal, sulla riva destra del Juruena, in un'area in corso di identificazione ufficiale da parte del Funai (Mato Grosso).

Altri Apiakà vivono in alcune città del Mato Grosso settentrionale (Porto dos Gaúchos e Juara), del Pará (Jacareacanga, Pimental, Itaituba, Santarém e Belém) e dell'Amazonas (Barra de São Manoel e Apuí). Altri sono dispersi in alcuni villaggi Munduruku (Missão Cururu, Posto Teles Pires e Sapezal) e in un villaggio Kaiabi (Tatuí). Alcuni Apiakà hanno parlato anche di gruppi che vivono in una zona isolata del Pontal do Mato Grosso, nella fitta foresta a nord-ovest dello Stato.[3]





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Apinajé


Gli Apinajé sono un gruppo etnico del Brasile che ha una popolazione stimata in circa 1.847 individui (Funasa, 2010)[1]. Sono principalmente di fede animista.


Lingua

Parlano la lingua apinaye (codice ISO 639: APN) che appartiene alla famiglia linguistica Jê.
Insediamenti

Vivono nello stato di Tocantins, vicino Tocantinópolis, in circa 6 villaggi.[2]
Storia
Sezione vuota

Questa sezione sull'argomento antropologia è ancora vuota. Aiutaci a scriverla!
Organizzazione sociale

Le coltivazioni praticate più comuni sono banane, fagioli, fave, papaie, arachidi, zucche, patate dolci, angurie e patate dolci. Le famiglie allevano bovini, maiali e polli. Caccia e pesca sono un supplemento per l'alimentazione. In passato estraevano noci babaçu e le barattavano e le rivendevano per ottenere altri beni di prima necessità o attrezzi.[2]





fonte https://it.wikipedia.org/wiki/Apinaj%C3%A9

 
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Apurinã



Gli Apurinã (o anche Popengare) sono un gruppo etnico del Brasile che ha una popolazione stimata in circa 3.256 individui (2006).[1] Parlano la lingua Apurina (codice ISO 639: APU) e sono principalmente di fede animista.


Il nome

Apurinã, o nella sua forma più antica, Ipuriná, è una parola dalla lingua Jamamadi. Il gruppo si auto-identifica con la parola "popũkare". Altri testi si riferiscono alla vecchia parola "kãkite" come termine auto-identificativo. Kãkite significa "popolo" ma, secondo alcuni Apurinã, kãkite significa semplicemente "gente", ossia un termine che comprende tutta la specie umana.
Insediamenti

Vivono negli stati di Amazonas e Acre, lungo il fiume Purus, da Rio Branco a Manaus.

Gli Apurinã abitano in 27 territori indigeni; venti di questi sono stati completamente delimitati e registrati a livello ufficiale, tre sono stati marcati a loro esclusivo utilizzo mentre quattro aree sono in fase di studio di identificazione. La superficie totale comprende 1.819.502 ettari. Di queste aree due sono condivise con i Paumari del lago Paricá e con i Paumari del lago Marahã e uno con i Torá.[2] Ma molti vivono al di fuori delle terra indigene ufficialmente riconosciute agli Apurinã oppure in territori non ufficialmente riconosciuti. Questa dispersione migratoria comporta una difficoltà oggettiva nello stabilire con precisione il numero effettivo della popolazione che dovrebbe essere sensibilmente maggiore di quello ufficialmente stabilito dalla Fundação Nacional de Saúde.
Storia

I primi viaggiatori e missionari che salirono il fiume Purus nella seconda metà del XIX secolo, riferirono i componenti di questo gruppo etnico, sebbene vivessero relativamente lontano dal fiume, si recavano regolarmente sulle sue rive per battute di pesca e per cacciare tartarughe. Quando giunsero i primi colonizzatori, molti Apurinã si ritirarono verso zone più interne, sulle rive degli affluenti del Purus, mentre altri piccoli sparuti gruppi si dedicarono in particolar modo alla coltivazione del caucciù.[2]





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Aranã


Gli Aranã sono un gruppo etnico del Brasile composto da 54 individui.(2006)[1]

Il gruppo è stato riconosciuto dalla Fundação Nacional do Índio agli inizi degli anni novanta. Parlano la lingua portoghese e sono principalmente di fede animista.

Vivono nello stato brasiliano di Minas Gerais, nella valle di Jequitinhonha. L'identificazione dell'etnia Aranã è avvenuta solo negli anni novanta dopo la classificazione separata delle due famiglie che componevano questo gruppo, denominate dai locali "índio" o "caboclo".





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Arapaso


Gli Arapaso sono un gruppo etnico del Brasile con una popolazione stimata in 569 individui nel 2005 (Funasa).[1]


Lingua

Parlavano la lingua Arapaso che appartiene alla famiglia linguistica Tucano ma oggi fanno uso soprattutto della lingua tucano.[2]
Insediamenti

Vivono nello stato dell'Amazonas, nei pressi del fiume Uaupés, in villaggi come Loiro, Juca Paraná e São Francisco. Parecchie famiglie vivono anche sul fiume Negro e nel villaggio di São Gabriel. Sono strettamente correlati al gruppo dei Tucano.[3]





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Arará


Gli arará (o anche ajujure) sono un piccolo gruppo etnico del Brasile che ha una popolazione stimata in circa 437 individui (2010).[1] Parlano la lingua arará (codice ISO 639: AAP) e sono principalmente di fede animista.


Posizione

Vivono nello stato di Pará in Brasile e sono correlati al gruppo dei Carib. Mantengono uno stile di vita nomade e spesso sono imparentati con altre tribù.

Ci sono due aree giuridicamente definite per gli arará, con diverse situazioni giuridiche e geografiche: il "Territorio indigeno arará" e il "Territorio Indigeno di Cachoeira Seca do Iriri". La prima area è associata ai sottogruppi contattati tra il 1981 e il 1983, mentre il secondo territorio al sottogruppo contattato nel 1987. Oggi, la maggior parte degli arará vive in un villaggio costruito dal Funai all'interno del "Territorio indigeno arará", situato nei pressi del torrente Laranjal, la cui popolazione ammonta a poco più di 100 individui. Una piccola porzione della popolazione, circa una ventina di persone che in precedenza vivevano nel villaggio Laranjal, è stata trasferita ad una locazione gestita dal Funai accanto all'autostrada transamazzonica, formando così il nucleo di un altro "gruppo residenziale". Un altro sottogruppo, ancora relativamente isolato dal resto degli arará, è quello contattato nel 1987 e che vive in un villaggio vicino al torrente Cachoeira Seca, sul fiume Iriri, nel "Territorio Indigeno di Cachoeira Seca do Iriri". Questo gruppo comprende 56 individui, tutti discendenti di una sola donna ancora viva nel 1994.[2]
Storia

Gli arará appartengono alla stessa sottofamiglia linguistica, chiamata anche arará, che include gli apiacá del Tocantins, gli yaruma (estinti) e gli ikpeng, che vivono oggi nel Parco Indigeno dello Xingu, popoli che vivevano dispersi su un territorio ampio che comprende tutta la valle superiore e media dei fiumi Xingu e Iriri.[3]





fonte https://it.wikipedia.org/wiki/Arar%C3%A1

 
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Araweté


Gli Araweté (o anche Bïde) sono un gruppo etnico del Brasile che ha una popolazione stimata in circa 398 individui (2010).[1] Parlano la lingua Arawete (codice ISO 639: AWT) e sono principalmente di fede animista.

Vivono nello stato brasiliano di Pará, in un unico villaggio, sulle rive del fiume Igarapé Ipixuna, affluente destro del fiume Xingu. Precedentemente erano stanziati presso il fiume Bacajá. Intorno al villaggio ci sono ampie aree di foreste di liane, con una folta vegetazione. La terra è ricca di affioramenti granitici coperti da cactus, bromeliacee e piante secolari.

Gli Araweté sostengono di essere originari del centro della Terra e di vivere ora "ai margini della Terra" a causa di continue migrazioni passate e di fughe da nemici molto potenti. Si ritiene che abbiano vissuto per molti secoli nella folta foresta amazzonica in una zona compresa tra i fiumi Xingu e Tocantins. In un primo censimento del Funai del 1977 il numero totale della popolazione si assestava su soli 120 individui. Si ritiene che in quel periodo molti Araweté furono sterminati a causa di attacchi di gruppi nemici come i Parakanã e di malattie importate dai colonizzatori bianchi.[2]





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Arutani


Gli Arutani (o anche Awakê) sono un piccolo gruppo etnico sud americano dell'Amazzonia stazionati in Brasile e in Venezuela. Erano coltivatori sedentari che praticavano il debbio, il quale richiede un trasferimento periodico quando il terreno diventa esausto, oltre alla agricoltura si dedicavano anche ad attività quali pesca, raccolta e caccia. Gli arutani sono stati influenzati culturalmente dai galibi, iniziarono a praticare la coltivazione solo dopo il XVI secolo, ci un'ulteriore acculturazione in seguito al contatto europeo. Si trovano lungo il fiume Paraguay ed oggi vengono considerati un sottogruppo degli Xiriâna.[1] Nel 1998, il censimento ammontava a 30 in Venezuela e 22 madrelingua in Brasile.

La lingua arutani (ISO 639: ATX) è parlata da soli soli 17 individui ed è ad un passo dall'estinzione.[senza fonte]

Vivono nello stato di Roraima in Brasile.[senza fonte]






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Asháninka


Lingua

Parlano la lingua Asheninca (codice ISO 639: CPB), appartenente alla famiglia linguistica Aruak.
Religione

Quasi tutti i membri Asháninka sono di fede animista.
Insediamenti

Vivono quasi tutti in Perù mentre altri piccoli gruppi sono stanziati nello stato brasiliano dell'Acre al confine col Perù. L'area occupata dagli Ashaninka si estende su un vasto territorio, dalla regione del Juruá superiore e dalla sponda destra del fiume Envira in territorio brasiliano fino alla catena delle Ande in Perù, che copre una parte dei bacini dei fiumi Urubamba, Ene, Tambo, Perene, Pachitea, Pichis e Ucayali e le regioni Montaña e Gran Pajonal. Inizialmente la stragrande maggioranza degli Asháninka viveva all'interno dei confini del Perù, in seguito, a causa delle forte pressioni dei caucheiros, i raccoglitori di caucciù peruviani, in diverse ondate migratorie molti gruppi si spostarono in Brasile (nella regione superiore del fiume Jurua) nel corso del XIX secolo.
Censimenti contrastanti

A causa delle notevoli difficoltà, dati gli spostamenti e le seguenti divisioni in sottogruppi, i censimenti dichiarano cifre differenti per quanto riguarda il numero totale degli Asháninka. Nonostante queste differenze si è però concordi nell'affermare che gli Asháninka sono uno dei gruppi etnici più numerosi della regione amazzonica peruviana. Secondo un censimento del 1993 dell'Instituto Nacional de Estatística e Informatica (INEI) il numero totale toccherebbe le 53.000 unità suddivise in 359 comunità. Nel 2007 la stima è stata portata a 97.477 unità.[2]
Storia

Gli Asháninka sono storicamente conosciuti per essere fieramente indipendenti, e sono stati notati per il loro coraggio dai conquistatori spagnoli. Durante il boom della gomma (1839-1913), gli Asháninka sono stati schiavizzati dai raccoglitori di caucciù e si stima che l'80% della popolazione Asháninka sia stato ucciso. Per oltre un secolo, c'è stata l'invasione delle terre Asháninka da parte dei raccoglitori di gomma, dei taglialegna, di guerriglieri, narcotrafficanti, colonizzatori vari e compagnie petrolifere. Per gran parte della loro storia, hanno resistito alle influenze culturali esterne. Dal 1950 i territori Asháninka sono stati ridotti ed i loro insediamenti sono stati sistematicamente distrutti, con conseguente ritiro nella giungla. Alcuni Asháninka sono fuggiti in Brasile, e ora una piccola comunità di 600 o più ha il diritto di insediamento su alcuni territori nello stato di Acre.

Tra il 1980 e il 1990, il conflitto interno in Perù ha causato spostamenti di massa e numerosi morti tra le comunità Asháninka situato nelle valli di Ene, Tambo e Perene nei pressi della montagna Vilcabamba. Molti fuggirono verso l'interno. Non potevano né cacciare, né pescare in modo efficace a causa del pericolo rappresentato dai gruppi armati nella foresta, e la malnutrizione è diventata sempre più diffusa. Secondo la Comisión de la Verdad y Reconciliación, 10.000 Asháninka sono stati sfollati, 6.000 sono morti, e 5.000 sono stati presi prigionieri dai Sendero Luminoso in questo periodo, e dalle trenta alle quaranta comunità Asháninka scomparse.

A metà degli anni 2000, gli Asháninka hanno ottenuto titolo legale di una parte delle loro terre che sono oggi un parco nazionale e una zona riservata, il Parco nazionale Otishi. Ad oggi la maggior parte degli Asháninka sono tornati alle loro terre ancestrali, alcuni da luoghi lontani come il fiume Urubamba. Molti gruppi sono stati coinvolti in progetti per la preservazione culturale.
Tradizioni

Il tradizionale abito Asháninka, comunemente conosciuto come kushma (una parola quechua), è un abito realizzato in cotone, che viene raccolto, filato, tinto e tessuto dalle donne su telai. In genere gli abiti sono tinti di bruno o di un blu brillante. Le spalle degli abiti sono decorati con semi. Un abito può richiedere fino a tre mesi di lavoro.

Tradizionalmente, le donne portano i capelli lunghi, sopra la spalla, mentre di solito gli uomini portano i capelli corti o a "caschetto" fino a sotto l'orecchio. Intorno al collo portano una grande varietà di collane e bracciali fatti con i semi, denti di tapiro, pecari e scimmie, e piume colorate vivacemente. Tradizionalmente gli Asháninka, uomini, donne e bambini, dipingono la faccia con una varietà di disegni utilizzando semi rossi di Achiote (Bixa orellana) schiacciati. Per scopi cerimoniali, gli uomini indossano anche circoli di foglie di palma decorata con piume sulla testa, e le donne indossano un copricapo di cotone intrecciato.

È sempre più frequente vedere Asháninka, gli uomini più delle donne, vestiti in stile occidentale, soprattutto nelle zone occidentali, dove i missionari cristiani sono stati in grado di esercitare la loro influenza.





fonte https://it.wikipedia.org/wiki/Ash%C3%A1ninka

 
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Asurini del Tocantins


Gli Asurini del Tocantins (Asurini do Tocantins o anche Akuawa) sono un gruppo etnico del Brasile che ha una popolazione stimata in circa 384 individui (2006).[1] Parlano la lingua Asurini (codice ISO 639: ASU) e sono principalmente di fede animista.

Vivono vicino Tucuruí, sul fiume Tocantins, stato di Pará. Sono correlati al gruppo degli Asurini dello Xingu.


Storia

Si suppone che durante i primi decenni del XX secolo, alcuni gruppi di Asurini stanziati nella regione dello Xingu, motivati da una serie di conflitti interni con altri popoli indigeni, abbiano abbandonato la regione e si siano stanziati nei pressi del fiume Tocantins, verso est, occupando le sorgenti del fiume Pacajá e poi le rive del fiume Trocará, dove si trovano oggi. A seguito della costruzione di una ferrovia che attraversava il loro territori, vi furono molti scontri tra gli Asurini del Tocantins e la popolazione locale tra gli anni venti e gli anni quaranta del XX secolo.[2]

Il termine Asurini deriva dalla lingua Juruna ed è stato utilizzato dal XIX secolo per designare i vari gruppi di Tupi che vivevano nella regione tra i fiumi Xingu e Tocantins. Il termine cominciò ad essere utilizzato per il nome di questo popolo nel 1950 dallo SPI (Serviço de Proteção aos Indios) durante il processo di pacificazione. Gli Asurini del Tocantins sono noti anche come Asurini del Trocará (il nome del loro territorio indigeno) e Asurini Akuáwa. Questo nome è stato utilizzato dall'etnologo Laraia Roque nel 1960, in quanto il ricercatore considerava il termine Akuáwa il nome auto-identificativo del gruppo. L'antropologa Lúcia Andrade, nel 1980, ha evidenziato che il termine Akuáwa ha acquisito una connotazione negativa e viene utilizzato per designare 'gli indios della foresta' o 'gli indigeni selvaggi,' ossia quelli solo di recente contattati.[3]





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Asurini dello Xingu


Gli Asurini dello Xingu (o anche Awaeté, Asuriní de Koatinema) sono un gruppo etnico del Brasile che ha una popolazione stimata in circa 124 individui.[1] Parlano la lingua Asurini, Xingu (codice ISO 639: ASN) e sono principalmente di fede animista. Vivono sul Rio Piçava, vicino Altamira, stato di Pará. Sono correlati al gruppo degli Asurini del Tocantins.

L'auto-denominazione del gruppo è Awaeté, che significa "gente vera" (Awa = popolo, ete = suffisso rafforzativo traducibile con "molto").


Storia
Dal XIX secolo, gli indios che predominavano nella regione tra i fiumi Xingu e Bacajá, gruppi oggi noti come Araweté, Arará, e Parakanã, sono stati chiamati Asurini (Asonéri, nella lingua degli indios Juruna), che significa "rosso", secondo l'etnografo Curt Nimuendajú. La riva destra del fiume Xingu è sempre stata chiamata la "Terra degli Assuriní" dagli abitanti della città di Altamira e di altri abitanti della zona dello Xingu. Il viaggiatore francese Henri Coudreau cita gli Asurini come uno dei gruppi che abitavano lo Xingu inferiore. Il villaggio degli Asurini dello Xingu è situato sulla riva destra del fiume Xingu, all'interno della riserva indigena di Koatinemo, una riserva omologata dal governo brasiliano solo nel 1986. Dal 1972 al 1985, il villaggio era situato sulle rive del torrente Ipiaçava, affluente della riva destra del fiume Xingu.





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Atikum


Gli Atikum (o anche Huamuê, Uamué) sono un gruppo etnico del Brasile che ha una popolazione stimata in circa 5.183 individui nel 2010.[1] Parlano la lingua Portoghese (codice ISO 639: POR) e sono principalmente di fede animista. La vecchia lingua Uamué è considerata estinta.

I membri del comunità indigena di Atikum-Uma chiamano loro stessi "indiani dell'Atikum Uma", in riferimento ad un progenitore ancestrale. Secondo gli Atikum, il loro progenitore Uma è stato "il più antico indios" e padre degli Atikum, i cui discendenti sono cresciuti nel villaggio di Olho d'Água do Padre (ex Olho d'Água da Gameleira).


Posizione

Vivono nello stato di Pernambuco, nelle vicinanze di Floresta, e nello stato di Bahia. Secondo la cartografia ufficiale, il loro territorio si trova nelle regioni di Crioulas e Umã, all'interno dei confini del comune attuale di Carnaubeira da Penha, nel sertão dello Stato di Pernambuco.

La comunità Atikum è formata da una ventina di villaggi:

Alto do Uma
Olho d'Água do Padre
Casa de Telha
Jatobá
Samambaia
Sabonete
Lagoa Cercada
Oiticica
Areia dos Pedros
Serra da Lagoinha
Jacaré, Bom Jesus
Baixão
Estreito
Mulungu
Boa Vista
Angico

Sostentamento
L'agricoltura è la base dell'economia Atikum, i rocas (campi delle piantagioni) di manioca, mais, fagioli, riso, semi di ricino e di cotone sono comuni tra le colline di Uma. Inoltre, la marijuana (cannabis sativa) è ampiamente coltivata - sebbene non sempre dagli Atikum - dal momento che la zona, così come i comuni di Carnaubeira da Penha e Floresta, fanno parte del cosiddetto "Poligono della Marijuana ", che comprende diversi comuni dell'interno dello Stato di Pernambuco. La frutta coltivata comprende banane, mango, anacardi, papaia, pinha, guava, cocco, arance e limoni. Anche la produzione di miele è significativa.





fonte https://it.wikipedia.org/wiki/Atikum

 
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Avá-Canoeiro



Gli Avá-Canoeiro sono un piccolo gruppo etnico del Brasile, ad un passo dall'estinzione, che ha una popolazione stimata in circa 16 individui (2006).[1] Parlano la lingua Ava-canoeiro (codice ISO 639: AVV) e sono principalmente di fede animista.


Posizione

Sono originari del Goiás, della zona dell'isola di Bananal (isola fluviale del fiume Araguaia), e lungo la valle del fiume Tocantins.
Storia

Gli Avá-Canoeiro discenderebbero dai Carijó di San Paolo e sarebbero stati portati nello stato di Goiás tra 1724 e il 1726. Furono portati in zona con la bandeira di Bartolomeu Bueno (spedizione di cercatori d'oro) per lavorare in miniera e per la difesa contro altri gruppi di indios locali. Alla fine della spedizione tornarono ad essere un gruppo autonomo e restarono nello stato di Goiás. Tuttavia altri studi linguistici hanno rivelato che il dialetto parlato dagli Avá-Canoeiro era parte della famiglia linguistica Tupi-Guarani del nord del Brasile. Questo contraddice la teoria precedente delle origini meridionali del gruppo e della bandeira e pone ulteriori questioni sulla correttezza della denominazione carijó, affibbiata agli Avá-Canoeiro, che indica i popoli Guarani del sud catturati dai paulistas (abitanti di San Paolo) e utilizzati nelle spedizioni delle bandeira.

Gli Avá-Canoeiro vengono menzionati per la prima volta agli inizi del XIX secolo quando ci furono alcuni scontri con la popolazione locale, in particolare agricoltori e cercatori d'oro, lungo il fiume Tocantins. In seguito gruppi di Avá-Canoeiro furono avvistati tra il fiume Maranhão e le località di Santa Tereza e Amaro Leite, così come in alcuni villaggi sulle rive del fiume Canabrava e in altri luoghi. I conflitti si fecero sempre più violenti perché si trovavano in una posizione strategica per il pascolo del bestiame e in una zona di connessione tra due importanti centri sviluppati, la città di Goiás, e Porto Real, oggi Porto Nacional. Alcuni gruppi di Avá-Canoeiro si spostarono quindi verso le rive del fiume Araguaia. Entro la fine del XIX secolo raggiunsero l'isola di Bananal.[2]

A causa dell'occupazione dei loro territori da parte dei garimpos nel XIX secolo e dell'espansione delle città nel XX secolo, questo gruppo etnico è considerato in via di estinzione.





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Awá-Guajá



Gli Awá-Guajá sono una delle ultime tribù di cacciatori-raccoglitori nomadi del Brasile. Oggi, circa 360 indigeni già contattati vivono suddivisi in quattro comunità e dipendono ancora totalmente dalla loro foresta, per tutto. Un altro 20/25% del popolo resta tuttora isolato, senza alcun contatto con l'esterno[1]. Nel 2012 Survival International, il movimento mondiale per i diritti dei popoli indigeni, li ha definiti “la tribù più minacciata del pianeta”[2].


Lingua

Parlano la lingua guajá (codice ISO 639-3 gvj) che appartiene alle lingue tupi-guaraní. Si auto-identificano con il termine Awá che significa "uomo", "persona".[3]
Insediamenti

Vivono negli stati brasiliani del Maranhão e del Pará, nelle riserve indigene di Alto Turiaçu (530.520 ettari) e Caru (172.667 ettari), in particolare nei pressi dei fiumi Gurupi, Pindaré e Guamá. Altri piccoli gruppi di Guajá sono stati avvistati da membri di etnia Guajajara nella riserva di Arariboia, altri sono stati avvistati nella Reserva Biológica Gurupi[4].
Storia

È molto probabile che centinaia di anni fa gli Awá fossero un popolo sedentario, che coltivava manioca e cereali. Tuttavia, tra il XIX e il XX secolo, nelle loro terre si riversarono ondate successive di coloni che li costrinsero a fuggire per evitare di essere massacrati o ridotti in schiavitù. Per sopravvivere, gli Indiani divennero quindi nomadi.

Negli anni settanta, nella regione del Maranhão, furono scoperti enormi giacimenti di ferro. I ritrovamenti portarono alla nascita del Programma Gran Carajás, un progetto di sviluppo finanziato dall'Unione europea e dalla Banca Mondiale che prevedeva, tra le altre cose, la costruzione di una miniera e di una ferrovia. I finanziatori del progetto posero come condizione la demarcazione della terra di alcuni popoli indigeni, tra cui gli Awá, ma la richiesta rimase inascoltata.

Negli anni ottanta, il FUNAI (il Dipartimento governativo agli Affari Indiani del Brasile) decise di entrare in contatto con gli Awá e insediarli in comunità per proteggerli dall'impatto del Programma Gran Carajás[5]. Le conseguenze furono disastrose. Molti morirono di malattie come l'influenza e la malaria; una comunità awá passò da 91 ad appena 25 membri nel giro di soli quattro anni. Oggi, la maggior parte degli indigeni contattati – e di quelli tuttora incontattati – sono i superstiti di terribili massacri che li hanno profondamente segnati sia mentalmente che fisicamente. Dopo 20 anni di campagne da parte di organizzazioni, come Forest Peoples Programme e Survival International, il governo brasiliano ha ceduto alle pressioni e, nel marzo 2003, ha finalmente demarcato la terra Awá[6].
Problemi attuali

Nonostante il territorio degli Awá sia protetto legalmente, coloni e taglialegna illegali hanno invaso la foresta dove vive la tribù: gli invasori aprono strade, cacciano la selvaggina da cui gli indigeni dipendono e li espongono a malattie e violenze brutali. La terra ancestrale della tribù si sta riducendo sempre più a causa di questa avanzata distruttiva e illegale: i rilevamenti satellitari mostrano che dal 1985 è andato distrutto oltre il 30% della foresta; nel 2009 il territorio Awá ha subito il più alto tasso di deforestazione di tutti i territori indigeni dell'Amazzonia[7].

Gli indigeni che vivono incontattati sono particolarmente vulnerabili agli attacchi, anche perché non hanno difese immunitarie verso le malattie portate dall'esterno. A differenza di altri popoli dell'Amazzonia, gli Awá non hanno più nessun altro luogo in cui rifugiarsi. Numerosi testimoni hanno raccontato che molti incontattati sono stati uccisi dai taglialegna e dagli allevatori, ma non ci sono dati recenti che possano confermarlo perché gli indigeni non costruiscono case (che si potrebbero individuare con voli di ricognizione) e i contatti non vengono denunciati. Nel 2011 alcuni taglialegna illegali hanno bruciato viva una bambina awá di 8 anni che si aggirava nei dintorni del loro villaggio[8].

Survival International ha definito gli Awá: “la tribù più minacciata del mondo”[9][10]. Nell'aprile 2012, l'organizzazione ha lanciato una campagna internazionale per chiedere al Ministro della Giustizia brasiliano di proteggere le terre e le vite degli Awá; la campagna ha come testimonial l'attore Colin Firth[11]. A due anni dal lancio della campagna, nell'aprile 2014, il governo brasiliano ha annunciato di aver sfrattato tutti gli invasori dal territorio degli Awá[12][13]; in gennaio, infatti, nell'area era stata inviata squadra di terra composta da centinaia di agenti per espellere i taglialegna e gli allevatori illegali. Secondo il Direttore generale di Survival International, Stephen Corry, "Questo successo non ci sarebbe mai stato senza il movimento d'opinione che ha spinto il governo brasiliano ad agire. È la prova concreta che la partecipazione corale dell'opinione pubblica è lo strumento più efficace per garantire la sopravvivenza dei popoli indigeni. Ora i sostenitori degli Awá in tutto il mondo devono continuare a fare pressione per assicurare che vengano messe in atto misure adeguate per tenere gli invasori fuori dal territorio della tribù"[14].





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Aweti



Gli Aweti (o anche Awetö) sono un piccolo gruppo etnico del Brasile che ha una popolazione stimata in circa 195 individui (2011).[1] Parlano la lingua Aweti (codice ISO 639: AWE) e sono principalmente di fede animista.


Nome

Gli Aweti si auto-identificano come "Awytyza". Questo nome può essere collegato alla parola ayté, che significa "uomo", mentre il suffisso "za" indica il numero plurale. I gruppi etnici vicini utilizzano nomi simili, come ad esempio "Auyty" o "Ahyty".[2]
Posizione

Vivono nella riserva di Xingú, nel Mato Grosso, lungo il fiume omonimo.
Storia

Questo gruppo etnico ha sofferto una forte diminuzione della popolazione nei primi decenni del XX secolo che ha quasi portato all'estinzione dell'etnia. La prima testimonianza storica dell'esistenza degli Aweti proviene dal ricercatore Karl von den Steinen. Una sua mappa identificava il gruppo degli Aweti tra gli abitanti del fiume Kuliseu. Questa informazione fu confermata nella seconda spedizione, intrapresa nel 1887, quando l'esploratore visitò il villaggio degli Aweti, posto su una riva del fiume Kuliseu, chiamato Tsuepelu, lo stesso villaggio che abitano oggi. I membri della spedizione furono accolti dal capo "Auayato" (Awajatu), che indossava una collana con artigli di giaguaro e un diadema fatto di pelle dello stesso animale. L'esploratore fu colpito soprattutto dalle maschere e dai disegni sugli utensili e dalla notevole quantità di lance che, mentre dai gruppi vicini venivano utilizzate prevalentemente durante i riti tribali e le danze, erano dagli Aweti utilizzate soprattutto come armi da guerra durante i conflitti con altri gruppi di indios. L'esploratore fu inoltre colpito per il numero di esponenti di altre etnie presenti nel villaggio degli Aweti a significare che il villaggio Aweti rappresentava un po' il centro di smistamento per i vari gruppi della zona.[3]

Quando è stato istituito nel 1960 il Parco Indigeno dello Xingu il numero della popolazione Aweti ha recuperato in modo significativo, passando a 176 unità nel 2010. Questo è un risultato, in gran parte, di una migliore assistenza medica offerta dal governo brasiliano. I contatti con il mondo esterno sono anch'essi aumentati minacciando, però, la preservazione della lingua e della cultura del Aweti.





fonte https://it.wikipedia.org/wiki/Aweti

 
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Bakairi


I Bakairi sono un gruppo etnico del Brasile che ha una popolazione stimata in 950 individui (1999).[1]


Lingua

Parlano la lingua Bakairi, lingua che appartiene alla famiglia linguistica Karib. Tutti i Bakairi parlano anche il portoghese. Identificano loro stessi con il termine Kura che significa "persone", "esseri umani".
Insediamenti

Vivono nello stato brasiliano del Mato Grosso, nei territori indigeni Bakairi e Santana. Santana si trova nel comune di Nobres e prende il nome da uno degli affluenti del Rio Novo. La terra indigena Bakairi è quasi interamente situata nel comune di Paranatinga, sulla riva destra del Paranatinga, affluente del Tapajós, e nel comune di Planalto da Serra. Entrambi i territori sono omologati ufficialmente.[1]
Storia

Originariamente i Bakairi erano stanziati nell'area della confluenza dei fiumi Verde e Paranatinga. A causa di conflitti interni e di scontri con altri gruppi indigeni locali, in particolare con i Kayabí, essi migrarono in altre zone in tre diverse fasi. In una prima fase migrarono presso le sorgenti del fiume Arinos, nel XVIII secolo. Questo gruppo fu il primo ad essere raggiunto dai bandeirantes e sfruttato per attività minerarie. Un altro gruppo migrò verso il fiume Paranatinga, in zone sfruttate da minatori, agricoltori e allevatori e furono anch'essi sfruttati in tali attività nei primi anni del XIX secolo. Un terzo gruppo, il più grande in termini numerici, migrò verso le zone superiori del fiume Xingu perdendo ogni contatto con i primi due gruppi. I Bakairi del Paranatinga furono guide, interpreti e produttori di canoa per le spedizioni di Karl von den Steinen intraprese tra il 1884 e il 1887 e per altri esploratori e studiosi negli anni seguenti. Negli anni quaranta del XX secolo, i vari gruppi furono riuniti in un unico insediamento. Una piccola parte fu trasferita in altre comunità di gruppi indigeni diversi.

Oggi i Bakairi sono un popolo essenzialmente fluviale, principalmente dediti alla pesca e in misura minore all'agricoltura e alla caccia. Vivono dispersi in vari gruppi e ogni gruppo dispone di un territorio precedentemente stabilito e di cui è proprietario di ogni risorsa naturale. I territori prendono il nome dai fiumi e dai ruscelli e che ne identificano i confini. c[1]



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Banawá


I Banawá (o anche Banavá-Jafi) sono un gruppo etnico del Brasile che ha una popolazione stimata in circa 158 individui (2010).[1]


Lingua

Parlano la lingua Banawa (codice ISO 639: BNH) che fa parte della famiglia linguistica Arawan.[1]
Insediamenti

Vivono nello stato brasiliano dell'Amazonas, lungo il fiume Jamamadí. Un'altra parte di essi vive lungo il fiume Banawá (da cui prendono il nome), in piccoli gruppi familiari per un totale di due villaggi. Vivono inoltre insieme con gli altri popoli indios abitanti della regione sul fiume Purus e dei suoi affluenti: i Deni, i Jamamadi, i Jarawara, i Kanamati, i Sorowaha, gli Hi Merima, i Paumari e i Kulina. Parlano un linguaggio molto simile a quello del gruppo dei Jamamadi di cui i Banawá sono considerati un sottogruppo. I Jamamadi vivono appena fuori dal confine meridionale del territorio Banawá.[1]
Storia

Il loro territorio è stato invaso negli ultimi decenni del XIX secolo, durante il boom del caucciù in Amazzonia, ma fu solo nel 1990 che lo Stato riconobbe i loro diritti sulla terra. Nonostante il riconoscimento della terra si trovano ancora oggi ad affrontare le invasioni da taglialegna e produttori di gomma.

I Banawá presentano una tendenza alla crescita demografica, dal momento che circa il 50% della popolazione è giovane. D'altra parte, dato che nel 1999 solo il 12% era di 50 anni o più, tra cui il 6% avevano più di 60 anni, l'aspettativa di vita dei Banawá può essere considerata bassa.[1]





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Baniwa (gruppo etnico)


I Baniwa (o anche Maniba) sono un gruppo etnico del Brasile, della Colombia e del Venezuela che ha una popolazione stimata in circa 15.000 individui (2000).[1] Parlano la lingua Baniwa (D:Siusy-tapuya-BAI02) e sono principalmente di fede animista.


Insediamenti

Vivono lungo il corso del fiume Içana, nello stato dell'Amazonas, ai confini con la Colombia e il Venezuela e sulle rive degli affluenti dell'Içana: il Cuiari, l'Aiari e il Cubate, nei comuni di São Gabriel da Cachoeira, Santa Isabel e Barcelos.[2]





fonte https://it.wikipedia.org/wiki/Baniwa_(gruppo_etnico)

 
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Barasana


I Barasana sono un gruppo etnico della Colombia e del Brasile con una popolazione stimata in circa 1.000 individui.[1]


Lingua

Parlano la lingua Barasana che appartiene alla famiglia linguistica Tucano. Si fanno chiamare Hanera.[2]
Insediamenti

Vivono in Colombia (la maggior parte) e nello stato brasiliano dell'Amazonas. Sono stanziati principalmente sui torrenti Tatu, Komeya, Colorado e Lobo, affluenti del fiume Pira-Paraná, e sul corso dello stesso Pira-Paraná, in Colombia. Alcuni gruppi si trovano anche nell'area del bacino del fiume Uaupés, in Brasile.[3]





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Baré


I Baré sono un gruppo etnico del Brasile che ha una popolazione massima stimata in circa 10.275 individui (2005).[1]


Lingua

Appartenenti alla famiglia linguistica Aruak oggi i Barè parlano una lingua franca, lo nheengatu, trasmesso dai Carmelitani nel periodo coloniale.[1]
Insediamenti

Vivono nello stato brasiliano di Amazonas ai confini con il Venezuela, soprattutto nei pressi dei fiumi e Xie e Rio Negro.[1]





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Bora (popolo)


I Bora sono un gruppo etnico della Colombia e del Perù (con piccole comunità anche in Brasile), con una popolazione stimata di circa 1700-2000 persone.

Questo gruppo etnico è per la maggior parte di fede animista e parla la lingua Bora affine al più diffuso Witotan (D:Miranha-BOA02).

Il territorio abitato anticamente dai Bora è minacciato dalla pratica illegale di disboscamento. Queste terre sono localizzate fra i fiumi Napo e Putumayo. I Bora sorvegliano le loro terre sia dall'intrusione degli indigeni sia per il possibile arrivo di forestieri.

Negli ultimi quaranta anni, hanno iniziato a soggiornare permanentemente all'interno della foresta.

La loro religiosità non pone nessuna distinzione fra il mondo materiale e quello spirituale e quindi gli spiriti sono presenti negli oggetti e nei fenomeni del mondo reale.

A livello sociale-relazionale i rapporti familiari sono praticati seguendo le regole dell'esogamia. Sono divisi e politicamente non organizzati. Vivono nell "malocas", antichi rifugi comunitari, abitualmente abitati dall'intera famiglia, carichi di simbolismi religiosi, in quanto rappresentano l'intero universo immaginato dai Bora, sia perché simbolizzano i principi costruttivi che sostengono il cosmo, sia perché ogni elemento del mondo è presente e vive dentro quel luogo.

L'inaugurazione di una nuova "maloca", necessita la pratica e i rituali di una festa particolare, chiamata todzigwa.

La loro economia è basata sulla caccia, sulla pesca e su una rudimentale agricoltura di sussistenza.

L'uomo, abitualmente è occupato nella battute di caccia e nella pesca oltre alla preparazione delle amache, mentre le donne praticano l'artigianato, realizzando vasi di varie forme, cucinano e producono lo yuca (un arbusto contenente sostanze dall'alto valore nutrizionale), i mani (legume contenente semi), il tabacco, la coca, e vari tipi di frutta.

L'arco e la freccia rappresentato i più importanti strumenti culturali utilizzati all'interno della società Bora.

Intorno al XX secolo il boom della raccolta e commercializzazione del lattice ha avuto un impatto devastante sulla vita dei Bora.





fonte https://it.wikipedia.org/wiki/Bora_(popolo)

 
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Bororo



I Bororo (o anche Coroados, Boe, Orarimogodo) sono un gruppo etnico del Brasile che ha una popolazione stimata in poco meno di duemila individui. Parlano la lingua Borôro (codice ISO 639: BOR) e sono principalmente di fede animista.

Vivono sparsi in otto villaggi nelle zone centrali del Mato Grosso. Un esponente famoso di questo gruppo è Cândido Rondon, ufficiale dell'esercito brasiliano e fondatore della Fundação Nacional do Índio (o anche FUNAI).

La cultura Bororo fu studiata da vicino dall'antropologo francese Claude Lévi-Strauss durante la sua spedizione in Amazzonia e nel Mato Grosso (1935-1936), descritta nella sua celebre opera Tristi Tropici (1955).


Lingua

La lingua Bororo (anche Boe, Borôro, Bororó) è una lingua appartenente alla famiglia linguistica Macro-Je (o Macro-Ge) e al sub-gruppo di lingue Bororoane di cui fa parte anche la lingua “Umotina”.[2]

Questa lingua è parlata da circa mille individui che costituiscono un piccolo gruppo etnico dell'Amazzonia denominato popolo Bororo; la sua area di diffusione si trova principalmente nella regione brasiliana del Mato Grosso. Nel 1976 registriamo un numero di parlanti nativi molto basso (quattro persone) nel distretto boliviano di Santa Cruz, nella provincia di Angel Sandoval, vicino al confine con il Brasile; tuttavia in data odierna si suppone che la lingua Bororo sia estinta in Bolivia poiché si pensa sia stata inglobata da altre realtà linguistiche più predominanti.

Oggi la lingua Bororo si parla in Brasile nello stato del Mato Grosso, principalmente nei villaggi di Meruri, Sangradouro e Perigera.

Anche in Brasile questa lingua ha rischiato di essere messa da parte per sempre. Verso la fine degli anni sessanta l'uso della lingua Bororo fu proibita nelle località di Merai e Sangradouro dove operava la missione Salesiana, ma con il passare del tempo fu comunque ripristinata e venne messa in pratica l'educazione bilingue, tutto ciò portò ad una modesta rivitalizzazione della lingua, che però da allora ad oggi rimane parlata da appena 1024 individui, facendo di essa una cosiddetta “lingua in via di estinzione” o minacciata.[3]
Organizzazione sociale

I Bororo sono un piccolo popolo della Foresta Amazzonica che vive nella parte sud-ovest della regione brasiliana del Mato Grosso.

La traduzione letterale della parola “bororo” è “cortile del villaggio”. Non è un caso che le case dei Bororo sono tradizionalmente disposte circolarmente in modo tale da formare un cerchio che sarà per loro una sorta di spiazzale, o patio, che fungerà come spazio principale della vita Bororo. Questa piazza, se così si può chiamare, è così importante da aver trasmesso come identificativo a questo gruppo di persone il suo medesimo nome dato che, è proprio all'interno di quel tipico cortile che il popolo Bororo concentra la maggior parte dei fenomeni sociali e spirito-religiosi.[4]

Nella complessa organizzazione sociale dei Bororo la classificazione degli individui è regolata da alcuni fattori tra i quali troviamo l'appartenenza al clan, la discendenza di sangue, e gruppo di residenza (riferendosi a dove una famiglia abita all'interno del villaggio).

Quest'ultimo dettaglio è importante poiché nella distribuzione spaziale delle case ogni clan occupa un ruolo preciso. L'aldeia (villaggio) è diviso in due metà esogamiche – Exerae e Tugarége -, ciascuna di esse suddivisa in 4 clan, i quali sono costituiti da diverse famiglie.

Un aspetto curioso per un popolo che può sembrare a volte primitivo, è che la donna ha un ruolo molto particolare nella concezione della società Bororo, ed effettivamente la regola della discendenza prevede che questa sia matriarcale, e che quindi il neonato riceva un nome che lo colleghi al clan della madre.

L'importanza di queste regole si fa notare anche nel matrimonio. Dopo un matrimonio Bororo l'uomo dovrà andare a vivere nella casa della sua sposa e avrà anche degli obblighi verso la sua famiglia, come per esempio pescare, cacciare, lavorare e all'occorrenza fabbricare oggetti ornamentali per il fratello della sua sposa.

Sebbene sembri che l'uomo è totalmente devoto e si dedica totalmente alla moglie dopo il matrimonio, è proprio questa complessità delle relazioni coniugali ad essere la causa di frequenti separazioni, rendendo possibile che un uomo possa vivere anche in più case nel corso della sua vita.

Nonostante tutto ciò finora spiegato possa indurre a pensare che gli obblighi del marito verso sua moglie sono in cima alla piramide in quanto ad importanza, un'altra verità della cultura Bororo è che, un uomo mantiene sempre un legame con la sua famiglia molto più importante di quello che lo lega alla sua sposa. Tant'è vero che un maschio adulto, anche se sposato, mantiene un certo numero di obblighi verso le donne della sua famiglia, ovvero le sue sorelle. Per esempio, è loro costume che un uomo badi più ai suoi nipoti, “iwagedu” in lingua Bororo, che ai suoi stessi figli; l'unico obbligo di un padre verso i propri figli è quello di sfamarli, un obbligo fisico e non culturale.

La complessa organizzazione della loro vita si rispecchia anche in come si vive all'interno delle case. Infatti, nonostante due famiglie di nuclei diversi (che abbiano legami di sangue anche fuori da quel preciso spazio)vivano sotto lo stesso tetto, esse possono dividersi gli spazi interni della casa; non a caso le estremità della casa sono aree più private dove poter mettere in pratica questa divisione, e il centro della casa è uno spazio condiviso dedicato alle visite, ai piccoli riti giornalieri e alla consumazione dei pasti.

La casa Bororo viene solitamente lasciata con porte e finestre aperte perché venga reso possibile controllare cosa accade al suo interno (nel centro), tranne quando al suo interno si svolgono rituali ai quali le donne non possono partecipare o durante i lutti.

Un ultimo aspetto interessante da considerare è che, proprio nei lutti, la casa si trasforma in uno spazio di articolazione tra il dominio domestico e il dominio pubblico-giuridico (come fa osservare Sylvia Caiuby Novaes) in quanto alla fine dei funerali deve essere distrutta dopo essere stata completamente vuota per tutto il periodo di lutto.[5]
Storia

Il primo contatto con i colonizzatori europei ebbe luogo nel XVII secolo con l'arrivo dei missionari Gesuiti. Nel XVIII secolo iniziarono a crearsi siti minerari per l'estrazione dell'oro nel Mato Grosso. Grazie alle pressioni dei “garimpeiros”, ovvero i cercatori d'oro, i Bororo si divisero in due gruppi, quelli dell'est (Coroados), e quelli dell'ovest (Campanhas), i quali una volta separati non tornarono mai più a essere uniti.

I Bororo dell'ovest scomparvero verso la seconda metà del XX secolo in Bolivia. I Bororo dell'est invece rimasero isolati dal mondo fino alla metà del XIX secolo quando fu costruita una strada che collegava la regione del Mato Grosso a São Paulo e Minas Gerais. Questa strada passava proprio della valle di São Lourenço, ossia dove vivevano i Bororo. Questa fu la ragione per la quale si scatenò il conflitto più violento nella storia della conquista del Mato Grosso. Dopo cinquant'anni di guerra i Bororo si arresero allo Stato e dopo quella tregua apparente arrivarono i cercatori di diamanti, i quali anche loro sfruttarono e danneggiarono gravemente il territorio.

Dopo questi conflitti il popolo dei Bororo vide un po' di pace con la missione di pacificazione dei missionari Salesiani; la loro “Cristianizzazione” fu, in ogni caso, un altro avvenimento che contribuì a far sparire quasi del tutto il patrimonio linguistico e culturale dei locali.

In altre parole, possiamo dire che tutti gli incontri con l'uomo bianco sono risultati in una perdita considerevole del territorio da parte dei Bororo, e anche alla quasi totale estinzione del popolo stesso. Infatti, si stima che la popolazione dei Bororo sfiorasse i diecimila individui nel XIX secolo; nel 1979, invece, il numero si è ridotto a 626.

Ovviamente oggi la situazione dei Bororo sembra meno critica rispetto al passato; tuttavia, considerando il piccolo numero dei suoi componenti e dei fenomeni socio-culturali che attraversano i nostri tempi, è opportuno credere che i pericoli per questo gruppo etnico non siano ancora giunti al termine.[6]





fonte https://it.wikipedia.org/wiki/Bororo

 
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Brasiliani



I brasiliani sono i cittadini del Brasile. Il Brasile ha una società multietnica e la maggior parte dei suoi abitanti è di origine europea, indigena e africana. Le persone di origine africana sono molto presenti nel nord-est e nel sud-est, i discendenti degli indios invece si trovano principalmente nel nord.[3]

I brasiliani parlano il portoghese come lingua madre, che è la lingua ufficiale secondo la costituzione federale.


Screenshot_2022-12-10_at_10-11-49_Brasiliani_-_Wikipedia



Screenshot_2022-12-10_at_10-12-50_Brasiliani_-_Wikipedia




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Canela (gruppo etnico)


I Canela sono un gruppo etnico del Brasile che ha una popolazione stimata in 2.722 individui (2010). Il gruppo è composto da due sottogruppi che parlano la stessa lingua e che hanno modelli culturali simili: i Ramkokramekrá e gli Apanyekrá. Fino agli inizi del XX secolo esisteva anche un terzo sottogruppo, i Kenkateyê, poi estintisi.[1]


Lingua

I Ramkokramekrá e gli Apanyekrá parlano la lingua canela, lingua che appartiene alla famiglia linguistica Jê.
Insediamenti

Vivono nello stato brasiliano di Maranhão. Il villaggio principale dei Ramkokamekrá, Escalvado, si trova a circa 70 chilometri a sud-sud-est della città di Barra do Corda ed è conosciuto anche come Aldeia do Ponto. La delimitazione e l'omologazione dei 125.212 ettari complessivi del territorio indigeno dei Canela è avvenuta tra il 1971 e il 1983. In precedenza queste terre erano situate nel comune di Barra do Corda, ma ora si trovano nel nuovo comune di Fernando Falcão, nato dall'espansione della vecchia città di Jenipapo dos Resplandes. Il limite meridionale è in gran parte delimitato dai monti Alpercatas.

Per quanto riguarda gli Apanyekrá, l'omologazione del territorio indigeno Porquinhos, per una superficie totale di 79.520 ettari situati nei comuni di Fernando Falcão e Grajaú, è avvenuta solo agli inizi degli anni ottanta. Il villaggio principale degli Apanyekrá si trova a circa 80 chilometri a sud ovest del comune di Barra do Corda, mentre 75 chilometri di foresta facilmente percorribili separano il territorio dal comune di Grajaú ad est. A differenza dei Ramkokamekrá, gli Apanyekrá dispongono di un ambiente naturale più generoso in termini di campi coltivabili con il taglia-e-brucia e di selvaggina e pesci, con il fiume Corda che scorre all'interno dell'area.[1]
Storia

Fino agli anni quaranta del XX secolo i due gruppi hanno convissuto in maniera relativamente isolata. In seguito ci sono stati numerosi contatti con gli allevatori locali, con missionari e con agenti del FUNAI.[1]





fonte https://it.wikipedia.org/wiki/Canela_(gruppo_etnico)

 
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Caribe



I Caribe, Caribales, Kalinago, Karipuna (tutte denominazioni derivati dal termine proto-caribe karipona "uomini") sono un gruppo di popoli amerindi che attualmente abita molte aree dell'America Centrale e del Sudamerica. Fino al secolo XV avevano una distribuzione molto più ampia che includeva la parte settentrionale del Sud America e molte piccole enclave nel mare dei Caraibi.


Storia

I Caribe o Carib sono considerati i "Naviganti della Preistoria in America", dando ispirazione al nome di un mare e dei circostanti territori, cosa che fa sì che erroneamente vengano circoscritti a questa regione. I loro centri di dispersione includevano le coste del Nicaragua, di Panama, del Venezuela, della Colombia e delle Guiane, e poi in profondità penetrarono nel continente per il fiume Orinoco e nel Brasile per il Rio delle Amazzoni. Specialmente, furono uno dei primi gruppi ad abitare le Antille, giungendo attraverso l'Atlantico ad altri punti come quella che sarebbe diventata la East Coast e infine, attraverso il fiume Mississippi, fino alla futura Louisiana.

Dal punto di vista linguistico sembra che esista un collegamento tra le Lingue caribe e altre lingue dell'America Latina, motivo per cui Rodrigues e altri autori hanno proposto una famiglia linguistica più grande, Yê-Tupí-Caribe, sulla base di corrispondenze morfologiche irregolari comuni.[1] Questa famiglia ipotetica includerebbe anche lingue parlate in Brasile, Paraguay e Uruguay. Oltre alle popolazioni del Pacifico come i tumacos in Colombia, potrebbero mostrare somiglianze linguistiche con le lingue Caribe, le lingue della famiglia del dipartimento di Chocó.
Espansione delle popolazioni caribe

La famiglia linguistica caribe ancora oggi è una delle più diffuse dell'America, non soltanto per il gran numero di lingue e tribù che la compongono, ma anche per una certa tendenza espansionistica dei caribe, che in questo modo fece sorgere differenze culturali molto marcate tra le varie zone di popolamento caribe, in seguito all'adattamento all'ambiente e ai contatti con altre etnie.

«Il navigante caraibico della preistoria penetrò nel continente avventurandosi per le numerose bocche dell'Orinoco, che misteriosamente lo indusse verso l'interno del continente, fino a risalire il fiume Meta dove un aggressivo torrente si oppose al loro addentrarsi, allora formarono la colonia Carichana (Karib-Ana) o Cariben.»
(Miguel Triana)
Toponimi segnati dal suffisso "ima"
Vie di irraggiamento marino e fluviale della cultura Caribe

Nella toponimia karibe, il suffisso ima, registra le regioni raggiunte da questi navigatori precolombiani di mari e fiumi. Nel nordamerica arrivarono a Yak-ima (Yakima), nel Messico a Col-ima (Volcán de Colima), in Colombia a Tol-ima (Tolima), in Venezuela giunsero a Rora-ima (Tepuy Roraima) e spingendosi a sud, fino in Cile, giunsero a Lla-ima (Vulcano Llaima). Abbiamo innumerevoli oronimie nei sistemi montuosi americani; questo suffisso geografico -ima indicherebbe: "grande territorio".

Molti fattori antropologici permisero l'espansione dei Caribe per quasi tutta l'America; il primo e più ovvio, la grande destrezza nella navigazione fluviale e costiera che consentì loro di superare ostacoli naturali e antropologici, fornendo loro la capacità di costituire grossi gruppi d'invasione. Il secondo fattore che li rese forti è stata la pratica della esogamia, che consentiva la creazione di famiglie miste poligamiche con un discreto grado di parentela, che comportava anche l'aumento di molte conoscenze di botanica, ittiologia, medicina e delle tecnologie del neolitico, tramite la transculturazione. Questi incroci tra individui di etnie diverse irrobustì la genetica delle tribù risultanti e portò a una cultura più ampia e diversificata, il tutto sancito dalla abitudine antropofaga con la quale pretendevano (nella loro visione cosmologica) di appropriarsi della sapienza, dei miti e del coraggio delle altre etnie amerindie.

I territori occupati secondo i riscontri storici si estendevano dal nord del Rio delle Amazzoni (carijona, panares), fino alle falde della Cordigliera delle Ande, dove si segnalano le tribù dei yukpas, caras, mocoas,[2] chaparros, caratos, parisis, kiri-kiris, etc.; e dell'altopiano brasiliano fino alle sorgenti del fiume Xingu: palmella, bacairi, nel Río Negro; Yauperis e Crichanas. In Colombia si diffusero per il Rio Magdalena con le stirpi degli ambigues, muizes, kolimas, panches, kimbaes, putimanes e paniquitaes e navigando l'Orinoco nel suo affluente colombiano Rio Meta con i lignaggi dei tamanaco, tamaes, thahamíes, guakaes, koriguages, kalkaes, yaporoges, yaguae e andakes. Nella Guyana francese: galibis, accavois e calinas.

Contatti linguistici della cultura Caribe
Mappa etnografica del Sud America del 1937. La distribuzione delle popolazioni Caribe è evidenziata in rosa scuro.

Da evidenze linguistiche si ricostruisce l'estensione della cultura Caribe ai seguenti territori occupati: in America equatoriale e insulare troviamo i linguaggi: Pemón, Ye'kuana o Maquiritare, Tamanaku, Chaima, Cumanagoto, Japrería (del Venezuela); i Tukana, il linguaggio Tama, carare-Opone, i Yukpa e i Carijona (in Colombia); akawaya, Macushi-Kapon, Kapon, Patamona, Macushi, Waimiri, Atruahí, Waiwa, Sikiana (in Guayana); i Salumá, Sikiana, Waiwai, Wama, Akurio, Wayana-Trio, Apalaí, Arára, Pará, Ikpeng, Tiriyó, Wayana, Galibi, Kariña, Mapoyo, Eñepa, Yabarana (in Brasile e Guyana francese). Nell'America australe troviamo i linguaggi: Hixkaryána, i Wichí, Kaxuiâna, i Chiquitano, Bakairí, Kuikúro-Kalapálo, Matipuhy, al sud dell'Amazzonia e nel Gran Chaco argentino.
Aspetti culturali
Giovane donna Embera di Panama in abbigliamento da danza.
Organizzazione sociale

I Caribe si raggruppavano in clan familiari chiamati cacicazgos, mantenendo alleanze come popoli federati. Non risiedevano in villaggi, ma le loro gigantesche capanne costruite in fango rinforzato con foglie di palma (sistema noto come "bahareque") erano distanti tra di loro. Nella costruzione impiegavano travi portanti in legno, tetti in palma intrecciata, divisori e pareti interne di canne intrecciate, canna brava, alcuni tipi di cactus. Le aree di lavoro annesse all'abitazione venivano chiamate caney.
Attività economica

L'abbondanza nel mare dei Caraibi di grosse specie ittiche (curvina, ròbalo, mero, tartaruga marina, wahoo), tanto negli oceani come nei fiumi, consentì loro un'alimentazione altamente proteica. Gli indiani caribe conservavano per lungo tempo il pescato grazie a procedure come la salatura, l'esposizione al sole e al forte e costante vento, in qualche caso affumicavano il pesce. Cucinavano tramite la grigliata barbacoa, ossia utilizzando un tavolo di legno coperto di sabbia di spiaggia (che manteneva e distribuiva omogeneamente il calore). Spesso avvolgevano i cibi in foglie di banana, procedura che portò lentamente agli involtini di mais noti come hallaco iritari.

Nell'agricoltura, come in America centrale, dominava il mais. Ma inoltre si nutrivano di patate, "arracachas", "uchuvas", "yucca", mandioca, coca, tabaco, algodón, cacao, aji, "achira", "avocado", fagioli, "qhuyama", "guayanas", "guaiaba", "mameys".
Decorazioni corporee

In genere queste etnie delle regioni tropicali avevano l'abitudine di non coprire i genitali o le natiche, e attraverso la nudità venivano distinte le classi di età. Anziani e adulti si coprivano con gonnellini di foglie o pelle, mentre le giovani donne non sposate rimanevano nude, come anche i giovani divenuti guerrieri da poco. Anche i bambini erano nudi fino a che non compivano quindici anni. Adoperavano pigmenti vegetali e minerali per la creazione di tinte cosmetiche, che oltre a fornire protezione contro insetti, erano principalmente un identificativo della famiglia, della tribù e del clan davanti alle altre etnie. Il tatuaggio sulla faccia, identificativo del nome di famiglia, è stato ampiamente descritto da ricercatori che hanno studiato i popoli koriguages; questa tribù utilizza disegni stilizzati di colore nero, rappresentanti l'animale caratteristico della loro famiglia. Tra i disegni più comuni: pipistrello, giaguaro, ragno e scimmia, molto simili a quelli usati dagli Embera e Karajá del territorio del Rio delle Amazzoni e da un buon numero di famiglie appartenenti all'etnia caribe.
Aspetti antropologici

La modificazione del cranio è un aspetto culturale inequivocabile che permette identificare questi naviganti in tutte le regioni d'America, dal momento che usavano tavolette ortopediche sin da bambini per modificarne la forma.
(ES)

«... por la disposición de cuerpos y cabezas porque en lo que mas cuidado ponen en naciendo los niños es en entablarles la cabeza con dos tablillas...»
(IT)

«...per la disposizione dei corpi e le teste poiché pongono la massima cura alla nascita dei bambini nel rinchiudere loro la testa con due tavolette...»
(Fray Pedro Simon[3])

Modificavano la forma delle loro braccia e gambe con l'uso di strette pitas (corde di fibre intrecciate), perforavano il naso e il lobulo dell'orecchio, usavano corone in diversi materiali, maschere, diademi di penne, braccialetti e altri pendenti. In generale i caribe utilizzano spesso le decorazioni con penne di uccelli (nel fabbricare le quali sono molto esperti), principalmente tra le tribù ojonas e macusis. Fabbricavano le hamacas delle dimensioni da un letto a quelle di una culla (tessute in telaio con fibre vegetali). L'incoronamento di cacicchi, altri riti e atti vari si tramutavano in feste, dove danzavano al ritmo di maracas, fotuto, yaporojas e altre tamboras, utilizzando bevande fermentate (Chicha) provenienti da diverse piante. Queste feste erano animate da canti e da musica, ballavano danze imitando gli animali. Erano nuotatori molto abili. Tra le armi utilizzate da queste genti troviamo: lance, bodoqueras, archi e frecce, oltre alle macanas, le fionde e la cerbottana.

Una delle tradizioni per noi più inquietanti è la tassidermia umana, vincolo etnico dei Caribe, da loro giustificato come mezzo per catturare l'essenza totale o spirito della vittima, che gli europei, non comprendendo la dimensione spirituale di questi oggetti, giudicarono come macabri amuleti. Ad esempio possiamo citare l'ostentazione delle teste dei nemici ridotte a minime dimensioni, in uno stato superiore di mummificazione, con propositi religiosi.
Unioni familiari

Le etnie dei Caribe praticavano la poligamia maschile per endogamia ed esogamia, quest'ultima con dimensioni antropologiche molto significative, in rapporto intimo con il carattere espansionista di quest'etnia. Si verifica anche l'esogamia in casi di unioni consensuali, raramente il matriarcato e più frequentemente varianti del tipo patriarcale, seguendo accordi tra le famiglie (ad esempio possiamo menzionare il lignaggio dei Tama). Nelle unioni non consensuali, i Caribe dominavano le popolazioni nemiche, sterminando tutti gli individui di sesso maschile (nemmeno i bambini erano risparmiati), lasciando in vita soltanto le donne dell'etnia sottomessa, assicurando così la trasmissione del materiale genetico in modo patrilineare.
Antropofagia

Le cronache dei primi storici li descrivono come un popolo praticante l'antropofagia:

«Vedrai come molti popoli antropofagi aprono - o aprivano - il cranio dei loro nemici per mangiare parte del loro cervello, in un intento di impossessarsi così della loro sapienza, dei loro miti e del loro coraggio»
(Fernando Savater.)

Dal loro nome: Karib, i conquistadores spagnoli chiamarono questa condotta "caribelismo", che finì per evolversi nella parola spagnola: caníbal, presto estesa ad altre lingue ("cannibalismo" in italiano).

La pratica del cannibalismo e altre caratteristiche come la diffusione per via marittima e fluviale, sostengono alcuni autori, mettono in relazione gli Ana-Zasi o Yuma (penetrati dal Golfo della California) con i lignaggi dei caribe in America del Nord, che navigando attraverso l'Oceano Pacifico raggiunsero la Bassa California e successivamente l'intera costa occidentale del continente americano.

Le loro modalità espansionistiche li condussero a conquistare gli abitati che permettevano l'esogamia pacifica. Nei villaggi dove questa non era loro consentita arrivarono a compiere stragi di inaudita violenza. Oltre a eliminare i maschi adulti uccidevano gli anziani. Risparmiavano solo le giovani donne e le bambine, mentre persino i bambini maschi erano massacrati senza pietà. Alcuni antropologi avanzano dubbi rispetto alla veridicità ed estensione di questi comportamenti.

Molti ricercatori si domandano quali fossero gli strumenti utilizzati da queste etnie per i sacrifici, alcuni pensano che usassero coltelli in selce, teoria ritenuta da molti come priva di fondamento. In effetti nei musei esiste un grande inventario di strumenti per il taglio, fabbricati dalle etnie karibe, costruite in oro, come quelle fabbricate dalla cultura Pijao della Colombia.[4]

Nel manico recano la figura zoomorfa connessa al cacicco proprietario dell'utensile. Alcuni attrezzi, di grosse dimensioni, erano utilizzati nei sacrifici umani tramite sgozzamento. Lo sgozzamento si realizzava partendo dal basso in alto, con la vittima immobile inginocchiata o in piedi, senza decapitazione. Spesso tramite studi di archeologia forense nell'area dei Caraibi si sono osservate le tracce lasciate dalla lama nelle prime vertebre cervicali.

Le vittime più frequenti nei sacrifici umani Caribi erano i bambini maschi dei popoli sconfitti. Quando non erano trucidati insieme agli altri, i bimbi venivano presi prigionieri. Dopo alcuni giorni venivano fatti inginocchiare, nudi e immobili, e poi erano sgozzati o strangolati. Altre volte, dopo essere stati denudati, erano colpiti alla testa e poi lasciati morire dissanguati, poco a poco.




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Lingua caribe
Estensione delle lingue caribe in America Meridionale

Sicuramente esiste un'appropriazione delle lingue straniere tra le etnie caribe. L'uso di stranierismi con la frequente appropriazione dei vocaboli, molto comune al giorno d'oggi, nel corso dei secoli è stato potenziato dalla familiarità nata da unioni matrimoniali, le quali hanno consentito un grande intercambio culturale, non escludente la lingua, ma nonostante ciò queste famiglie hanno mantenuto una riserva di vocaboli di grande antichità, che spesso si è stimato (e calcolato per deriva fonetica) appartenenti a una lingua ipotizzata come paleoamericano (o paleoindio) antica da 5.000 a 8.000 anni, caratterizzata dalle oronimie peculiari Ima, Gua e Ana.

Le lingue caribe formano una famiglia linguistica che attualmente comprende circa 30 lingue derivate dal "proto-caribe". La stima di antichità del proto-caribe lo colloca a circa 3.700 anni fa. Questa famiglia è una delle maggiori dell'America se ci atteniamo alla sua estensione geografica all'arrivo di Cristoforo Colombo. Alcuni autori raggruppano distintamente queste e altre lingue dentro una famiglia più ampia che chiamano Yê-tupí-caribe, basandosi su alcune evidenze indirette, ma questa parentela è ancora oggetto di indagine.
Fonologia

Le vocali sono: /i, i, e, a, o, u/ (i, è una vocale alta, chiusa, centro-posteriore, non arrotondata). La lingua yukpa possiede vocali orali e nasali, ma manca della /i/.

L'inventario consonantico di una lingua amazzonica può giungere ad avere i fonemi descritti della seguente tavola:

Screenshot_2022-12-15_at_11-06-11_Caribe_-_Wikipedia


I fonemi senza parentesi si riscontrano in tutte le lingue caribe, i fonemi tra parentesi son presenti soltanto in alcune di queste lingue.

La formula sillabica è più complessa rispetto a quella che si osserva in altre famiglie delle lingue amazzoniche: (C)(C)V(V)(C).
Morfologia della lingua caribe

Molte tra le lingue caribe hanno un interessante sistema per designare il soggetto e complemento del verbo che presenta ergatività scissa. Solitamente le forme in prima e seconda persona vengono designate mediante un sistema tipicamente nominativo-accusativo quando sono agenti e con un sistema tipicamente ergativo quando sono passivi. In alcune lingue i fattori che decidono quando si utilizza una designazione di tipo accusativa o ergativa dipendono dal tempo verbale.

Le radici verbali vengono modulate da prefissi o suffissi; ad esempio, il prefisso wos- introduce la nozione di azione reciproca, come negli esempi e:ne "vedere", wos.e:ne "vedersi reciprocamente". Il prefisso we- e le varianti indicano che l'azione espressa dalla radice non coinvolge seconde o terze persone, come exke:i "cucinare" (per altri), woxhe:i "cucinare" (per il proprio consumo). Il suffisso -poti esprime un'azione iterativa, come e:nepoti "andar vedendo" mentre il suffisso -kepi indica l'interruzione dell'azione, come nella forma ene:kepi "non vedere più".

Esempi di suffissi sono pa:to 'al lato di', ta 'in', uwa:po 'vai', comr yu:wa:po "davanti a me", ayu:wa:po "davanti a te".

La numerazione dal 1 al 10 è la seguente: ōwibß (carijona: te'nyi, yukpa: ikúma), ōko (carijona: saka'narI, yukpa:kósa), ōruwa, o:kopaime, aiyato:ne, o:winduwo:piima, o:kotueo:oIima, o:ruwatuwo: piima, o:winapo: sikiri, aiyapato:ro.
Lessico spagnolo proveniente dalla lingua caribe

Dalle lingue caribe sono stati trasferiti allo spagnolo (specialmente al castigliano parlato in Colombia e del Venezuela) vari termini (americanismos), passati successivamente ad altre lingue: Ajì, balaca bahareque, barbacoa, boga, cabuya, cacique, caney, canìbal, canoa, chicha, fotuto, guaca, huracán, iguana, maiz, manati, maracas, piragua, pisca, tabaco.
L'arrivo degli europei

«I Caribe, soprattutto verso la fine del XV secolo e inizi del XVI, si trovavano in una fase di piena espansione territoriale, all'estremo che i conquistatori spagnoli e quelli di altre nazionalità europee descrissero la supposta "ferocia" degli indigeni Caribe, che navigavano in modo organizzato nelle loro canoe "curiaras", armati e disposti ad affrontare in modo violento ogni estraneo che invadesse i loro territori oppure, scesi a terra, lottavano in feroci corpo a corpo con chiunque gli si opponesse. Attorno al loro coraggio, si formarono numerosi miti e venivano considerati non soltanto "selvaggi" come il resto degli indigeni, bensì antropofagi sempiterni»
(Domingo Sánchez P.)

«Gli europei attribuivano ai Caribe ogni genere di malefatte e atrocità per far diventare un fatto naturale che i conquistadores avessero il diritto sulle vite e proprietà degli indigeni, nel nome dei re di Spagna e della cristianità, convinzione che fece perpetrare loro un autentico genocidio ovunque passavano e calpestavano»
(Domingo Sánchez P.[5].)

I caribe, come classe navigante del Mare dei Caraibi e dei fiumi e dominatori delle altre etnie stanziali vennero rapidamente spiazzati dai conquistadores e in seguito sono stati sterminati quasi totalmente durante il periodo coloniale (Pijao). Nonostante questo sono stati capaci di conservare alcune isole, come Saint Vicent, Dominica, Santa Lucia e Trinidad. I caribe di pelle nera (garifuna) di Saint Vicent che si erano meticciati con gli schiavi neri di un naufragio vennero deportati nel 1795 all'isola Roatán dell'Honduras, dove i loro discendenti, i garífuna, sono ancora presenti al giorno d'oggi. I britannici percepirono una minore ostilità nei caribi di Saint Vicent e permisero loro di rimanere nell'isola. La fiera resistenza dei caribe rallentò l'insediamento degli europei nell'isola di Dominica e le comunità Caribe che rimanevano in Saint Vicent e Dominica conservarono un discreto grado di autonomia nel XIX secolo. Attualmente in Dominica ci sono circa 3000 caribe, anche se non rimane alcun indigeno che conosca la lingua originale (la lingua dei caribi venne dichiarata estinta nel 1920).
Alcuni famosi cacicchi dell'etnia Karib

Indio Guaicaipuro, cacicco "capo dei capi", della tribù Teques, che combatté nel XVI secolo contro gli Spagnoli del conquistador Diego de Losada. Guaicaipuro morì in uno scontro con i conquistadores, che ne sezionarono il cadavere.

Indio Mara, forse mitico, che si oppose alla colonizzazione spagnola. Forse il suo nome è alla radice del nome della città di Maracaibo.

Indio Tamanaco, cacicco che si oppose alla colonizzazione del centro del Venezuela e che riuscì ad invadere la Caracas di Diego de Losada.





fonte https://it.wikipedia.org/wiki/Caribe#Lingua_caribe

 
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Caritiana



I Caritiana (o anche Karitiana, Carútana) sono un piccolo gruppo etnico del Brasile che ha una popolazione stimata in circa 360 individui.

Parlano la lingua Karitiana (codice ISO 639: KTN), suddivisa nei dialetti Adaru, Arara, Dzaui (Dzawi), Jauarete (Yawarete Tapuya), Jurupari (Yurupari Tapuya), Mapache, Uadzoli (Wadzoli), Urubu. I Caritiana sono principalmente di fede animista. Vivono a nord-est dello stato brasiliano dell'Amazonas, vicino Curripaco. Sono correlati ad altri gruppi: i Curripaco e i Baniwa.





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Catawishi



I Catawishi (o anche Katawixi) sono un piccolo gruppo etnico del Brasile, vicino all'estinzione, che ha una popolazione stimata in circa 10 individui. Parlano la lingua Katawixi (codice ISO 639: QKI) e sono principalmente di fede animista.

Vivono nello stato brasiliano dell'Amazonas.





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Chamacoco



I chamacoco sono un gruppo etnico nativo del Gran Chaco, nella zona di Fuerte Olimpo, in Paraguay, al confine col Brasile.

La parola chamacoco è un esoetnonimo di etimologia incerta. Il corrispondente endoetnonimo è ɨshɨro /ɨɕɨro/, plurale di ɨshɨrc, /ɨɕɨrʨ/, che significa ‘persona’, ma attualmente viene impiegato anche con il significato di ‘indigeno’ in opposizione ai paraguaiani (Maro). La lingua chamacoco è chiamata dai parlanti ɨshɨr ahwoso.[1][2]

Organizzazione sociale

Attualmente i Chamacoco sono divisi in due gruppi, Ebitoso (propriamente: Ɨbɨtoso) e Tomaraho, formati rispettivamente da 1468 e 103 persone.[1]

I Chamacoco erano seminomadi e praticavano la raccolta, la caccia e la pesca. La popolazione era ripartita in clan patrilineari ed esogami.[1]

Le pratiche religiose e mitologiche prevedevano una rigida distinzione tra i sessi. Per gli uomini era prevista una cerimonia di iniziazione a partire dalla quale si potevano apprendere i segreti della religione e della mitologia, che erano invece preclusi alle donne. Nella loro religione lo sciamano (konsehet) aveva un ruolo centrale, in quanto doveva combattere contro gli spiriti maligni che portavano sventure e malattie. I Chamacoco si servivano del canto degli uccelli per trarre segni premonitori. La loro cultura materiale si distingueva da quella di altre etnie del Chaco per la realizzazione di oggetti di piume.[1]
Storia

I Chamacoco sono menzionati per la prima volta in un documento del 1795. I primi contatti stabili con i bianchi sono avvenuti a partire dagli anni '80 del XIX secolo. Un punto di svolta nei contatti tra i Chamacoco e la civiltà occidentale è dovuto all'esploratore e fotografo italiano Guido Boggiani, che alla fine del secolo diede inizio agli studi linguistici ed antropologici su questa etnia e fondò Puerto 14 de Mayo e Puerto Esperanza, prima di essere ucciso dai Chamacoco durante una spedizione nel Chaco.[1]

Anticamente i Chamacoco erano divisi in due gruppi in lotta tra loro, Chamacoco mansos e Chamacoco bravos. Mentre i primi entrarono in contatto con i bianchi e corrispondono agli attuali Ebitoso, i secondi, antenati degli odierni Tomaraho, vivevano isolati all'interno del Chaco. Entrambi hanno preso parte alla Guerra del Chaco (1932-1935), combattuta tra Paraguay e Bolivia. Gli Ebitoso hanno in seguito conosciuto l'evangelizzazione da parte dei missionari delle New Tribes, che sono riusciti a far cessare le celebrazioni rituali. A causa del lungo contatto con i bianchi, gli Ebitoso hanno subito un processo di disintegrazione culturale, mentre i Tomaraho, a causa del loro isolamento, hanno preservato in misura maggiore la loro identità etnica. A partire dagli anni '80 i Tomaraho si trasferirono a Puerto Esperanza e attualmente vivono a Puerto María Elena.[1]
Lingua

Parlano la lingua chamacoco, che è classificata come facente parte della famiglia linguistica zamuco, della quale fa parte soltanto un'altra lingua ancora parlata, l'ayoreo. La lingua si sta estinguendo.

Il chamacoco è una lingua a preminenza modale, in cui il verbo non esprime né tempo né aspetto.[3] I nomi possedibili dispongono di prefissi per mezzo dei quali concordano con il proprio possessore.[4] In sintassi, la lingua chamacoco mostra strutture paraipotattiche analoghe a quelle osservabili nell'italiano antico o nelle lingue romanze.[5]
Insediamenti

I Chamacoco abitavano tradizionalmente la zona costiera del dipartimento dell'Alto Paraguay (Paraguay). Oggigiorno le principali comunità degli Ebitoso sono a Fuerte Olimpo, Puerto Caballo, Puerto Diana, Puerto Esperanza, Puerto 14 de Mayo e Santa Teresita, ma negli anni recenti vi sono state emigrazioni verso la zona metropolitana di Asunción e il Brasile.[1][6]





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Cinta Larga


I Cinta Larga sono un gruppo etnico del Brasile con una popolazione stimata in 1.567 individui nel 2010 (Funasa).[1] Il nome deriva dal fatto che i membri di questo gruppo sono soliti portare una sorta di cintura fatta di corteccia intorno alla vita. Il nome fu inventato dalla popolazione del luogo e adottato poi dalla Fundação Nacional do Índio.[2]

Lingua

Parlano la lingua Cinta Larga che appartiene alla famiglia linguistica Monde, una lingua che condividono, con lievi variazioni, con i loro vicini Gavião, Suruí e Zoró.[3]
Insediamenti

Vivono negli stati brasiliani di Mato Grosso e Rondônia. In particolare, sono stanziati sulla riva sinistra del fiume Juruena, nei pressi del fiume Vermelho, fino alle sorgenti del fiume Juina Mirim, dalle sorgenti del fiume Aripuanã fino alla cascata di Dardanelos; sui fiumi Marques Tenente e Cardoso Capitão e nelle zone dei fiumi Eugenia, Amarelo, Amarelinho, Guariba, Branco do Aripuanã e Roosevelt. I territori indigeni che occupano, tutti omologati ufficialmente e comprendenti un'area di circa 2,7 milioni di ettari, sono il Roosevelt, la Serra Morena e il Parque Aripuanã.[2]

Le comunità sono distribuite in vari villaggi che si dividono in[2]:

Villaggi di Paábiey ("quelli in alto"), o Obiey ("dalle sorgenti"), a sud, nelle zone intorno al Marques Tenente e all'Eugenia.
Villaggi di Pabirey ("quelli di mezzo"), alla confluenza dei fiumi Cardoso Capitão e Roosevelt.
Villaggi di Paepiey ("quelli di sotto"), a nord, sui fiumi Vermelho, Amarelo e Branco.

Gruppi

Sembrano non avere auto-designazione o etnonimo. Infatti, i gruppi indigeni chiamati "Cinta Larga" si possono distinguere in tre sottogruppi che hanno occupato (prima del contatto con il FUNAI) territori esclusivi: i Kaba (senza suddivisioni), i Kakinada (con alcune suddivisioni) e i Mam (con varie suddivisioni: Dal Poz, 1991).
Storia
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Nel 1969 il numero totale di Cinta Larga fu stimato in circa 2.500 persone; nel 1981 la popolazione scese a circa 500 individui. Da quel momento la popolazione ha ripreso la sua crescita, raggiungendo circa 1.300 persone nel 2001.[3]

Fin dal 1920, la tribù è spesso entrata in conflitto violento con i cercatori di gomma naturale, oro o diamanti e i taglialegna che cercavano di entrare nella regione. Nel 1960, i conflitti culminarono nel cosiddetto "Massacro dell'11º parallelo" (Massacre do Paralelo 11) in cui i cercatori di gomma uccisero molti membri dei Cinta Larga.[4]





fonte https://it.wikipedia.org/wiki/Cinta_Larga

 
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