IL FARO DEI SOGNI

I Veda

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view post Posted on 16/1/2021, 10:39     Top   Dislike
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I veda sono i testi religiosi che informano la religione dell’Induismo (anche nota come Sanātana dharma, "Ordine eterno" o "Eterno cammino"). Il termine veda sta per “conoscenza”, in quanto si ritiene i testi contengano il sapere fondamentale circa la causa efficiente e finale della personale risposta all’esistenza. Sono considerati, se non i più antichi, tra i più antichi testi religiosi a noi pervenuti. Quantunque il riferimento ad essi quali “sacre scritture” sia accurato per la sacralità attribuita al loro contenuto circa la natura del Divino, diversamente dai testi sacri di altre religioni, i Veda non sono attribuiti dai praticanti a una rivelazione a una o più persone in un preciso momento del passato: è infatti credenza siano piuttosto sempre esistiti ma appresi, ascoltati, captati, per così dire, da uomini saggi durante profondi stati meditativi, prima del 1500 AEC (avanti Era Comune), anche se non c'è consenso circa una datazione.

Storicamente, i Veda erano già esistiti in forma orale e tramandati da maestro a studente per generazioni, quando tra il 1500 e il 500 AEC circa (il cosiddetto Vedismo/Periodo Vedico) furono messi per iscritto in India. La loro forma orale era stata accuratamente preservata dalla sollecitudine con cui i maestri avevano esatto i discepoli li mandassero a memoria da cima a fondo, con particolare enfasi sull’esatta pronunzia, così da preservare intatto anche il suono originario.

Infatti, nell’Induismo i Veda sono inoltre chiamati Shruti (“Ciò che è udito”), in contrapposizione ad altri testi, indicati come Smritis (“Ciò che è ricordato”), e riportanti le storie dei grandi eroi e delle loro gesta in testi come il Mahabharata, il Ramayana, e la Bhagavad Gita (quantunque quest’ultimo sia ritenuto una Shruti da alcune sette induiste).



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I testi che compongono i quattro Veda sono:

Rig Veda (Ṛgveda)
Sama Veda
Yajur Veda
Atharva Veda

ognuno dei quali è ulteriormente suddiviso in generi:

Aranyaka: riti e cerimonie
Brahmana: commentari ai rituali
Samhita: benedizioni, preghiere e mantra
Upanishad: narrazioni filosofiche e dialoghi

Le similitudini tra la religione proto-iranica e l’Induismo protostorico suggeriscono un comune sistema di credenze poi separatesi e sviluppatesi distintamente.

Le Upanishad sono i Veda più conosciuti e più di sovente letti perché strutturati in forma di dialogo/narrazione, e furono inoltre i primi ad esser tradotti in altre lingue. I quattro Veda è credenza siano invece letterale riproduzione del suono del Divino, e, quando recitati o cantati, ricreerebbero le originarie vibrazioni dell’universo — di conseguenza sarebbe impossibile tradurli davvero, e ciò che in traduzione se ne legge andrebbe inteso al massimo quale mera parafrasi.

Le denominazioni indù ortodosse riconoscono i Veda quali significativa autorità spirituale, ma non tutte le sette concordano; i movimenti riformati contemporanei, a partire dal XIX secolo EC, riconoscono più valore alle personali esperienze religiose che ad autorità scritturale e tradizione, e infatti alcune ramificazioni dell’Induismo (come il Bramoismo) rigettano interamente i Veda considerandoli superstizione. Nonostante ciò, i testi seguitano ad esser recitati, studiati e venerati ancora oggi, e restano parte influente delle cerimonie religiose e dei festival indù.



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Origine, datazione e sviluppo

Quantunque l’origine dei Veda non si conosca per certo, numerosi studiosi e teologi hanno avanzato diverse tesi in merito. È più comunemente supposto (ma non universalmente accettato) che il patrimonio orale dei Veda sia giunto in India tramite le migrazioni dei nomadi indoari dall’Asia centrale intorno al III millennio AEC Il parimenti utilizzato etnonimo "ariani" va inteso etimologicamente come lo era dal popolo che lo utilizzava: "liberi" o "nobili" — una classe di genti, non una razza, né caucasici (come affermato da studiosi occidentali di XVIII e XIX secolo EC). Si ritiene questi indoari si siano divisi da un gruppo originario più grande includente anche quegli indoiranici i quali, stabilitisi nella regione dell’odierno Iran, divennero noti attraverso i greci in occidente come persiani. Infatti le similitudini tra la religione proto-iranica (e il successivo Zoroastrismo) e l’Induismo protostorico suggeriscono un comune sistema di credenze poi separatesi e sviluppatesi distintamente.

La teoria della migrazione indoariana sostiene che il sistema vedico si sia sviluppato in Asia centrale e sia stato recato in India durante il declino dell’indigena civiltà di Harappa (o civiltà della valle dell’Indo — 7000 – 600 AEC), rimpiazzandone le credenze. Un’altra teoria afferma invece il sistema fosse originario della stessa civiltà di Harappa, donde sarebbe stato esportato in Asia centrale per poi ritornare in India con le migrazioni del III millennio AEC.

Vi sono solide ragioni che corroborano ambe le teorie, e gli studiosi sembrano sostenere l’una o l’altra più per ragioni personali che per i risultati d’obiettiva ricerca. Allo stato dell’arte, la risposta più ragionevole alla domanda circa l’origine e la datazione dei Veda è che non lo si sa; e tuttavia il bisogno umano di risolvere ciò che appare come misterioso tiene tuttora vivo il dibattito. Gli studiosi Hermann Kulke e Dietmar Rothermund così commentano circa i primi sviluppi della vexata quaestio datazione/origine:

La datazione di questi testi e delle culture che li hanno prodotti è stata dibattuta per lungo tempo dagli indologi. Il famoso attivista e politico indiano Bal Gangadhar Tilak scrisse, ne La dimora artica dei Veda, che questi sarebbero databili al VI o V millennio AEC, in ciò basandosi sull’interpretazione dei riferimenti alla posizione delle stelle nel testo, usati dagli astronomi per un calcolo dettagliato della rispettiva data. L’indologo tedesco Hermann Jacobi è giunto indipendentemente ad una conclusione simile, suggerendo la metà del V millennio quale datazione dei Veda. Invece, un altro indologo tedesco e professore ad Oxford, Max Müller, sostenne una datazione assai più tarda: prendendo in considerazione per il periodo della nascita di Buddha il VI secolo AEC, suggerì che le Upanishad (antecedenti la filosofia buddista) debbono essere state prodotte tra l’800 e il 600 AEC, mentre i più datati testi vedici dei Brahmana e dei Mantra tra il 1000 e l’800 e il 1200 e il 1000 AEC rispettivamente. Le date avanzate dal Müller concordano assai bene con le odierne ricerche archeologiche, le quali mostrano un’interposizione di almeno mezzo secolo tra il declino della civiltà della valle dell’Indo e l’immigrazione di nuovi popoli nomadi potenzialmente identificabili con gli indoari vedici. (34)




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view post Posted on 29/1/2021, 10:22     Top   Dislike
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La storicizzazione del mito non deve però trarre in inganno, secondo quanto il Dumézil stesso insegna: se pure i dotti locali adattarono la loro mitologia a quella grecolatina, creando punti di raccordo e armonie cronologiche, tracce di versioni indigene si trovano in testi fondanti della tradizione germanica, per esempio nella Vǫluspá, che apre l’Eddapoetica e che nulla ha di cristiano. Dopo la grande catastrofe in cui la terra sarà inghiottita e uomini e dèi soccomberanno fra stragi e discordie, si ricreeranno condizioni ideali e un nuovo ciclo comincerà (str. 62):

Munu ósánir akrar vaxa;

bǫls mun alls batna

mun Baldr koma;

búa Hǫðr ok Baldr

Hropts sigtoptir

vel valtívar,

vituð ér enn eða hvat?

‘I campi cresceranno inarati,

guarirà ogni male,

Baldr farà ritorno.

Hoðr e Baldr abiteranno

le vittoriose rovine di Hoptr,

felicità dei guerrieri.

Volete saperne ancora?’.

3.1 Mettendo insieme i particolari forniti dalle diverse tradizioni, notiamo due motivi ricorrenti: il trionfo della giustizia, sia essa rettamente esercitata da qualcuno o naturalmente presente fra gli uomini[14], e la produzione spontanea della terra. Entrambi cooccorrono nel passo sanscrito. Il secondo motivo, in particolare, è sintetizzabile con la formula ‘terra inarata’ (akr̥ṣṭapacyā pr̥thivī, tellus inarata, ósánirakrar). Tutti gli aggettivi sono determinanti del sostantivo ‘terra’/‘campi’ e mostrano lo stesso modulo formativo: il prefisso negativo *n̥- seguito da un participio in *-to-/-no– di un verbo che significa ‘arare’ o ‘seminare’.

Ovidio insiste molto sul concetto della ahiṃsā, che egli esprime anche con il sintagma rastroque intacta ‘non violata dal rastrello’ (Met. I,101). Il sanscrito, invece, che ha maggiori potenzialità composizionali, presenta una formazione arricchita da un terzo elemento, la radice pac- ‘cuocere’ (al medio ‘maturare’), e dunque, con strategia quasi polisintetica, condensa un intero periodo in una singola parola: i frutti maturano senza che il suolo venga arato. Dal punto di vista linguistico, l’impiego del prefisso privativo *n̥-(anche nell’aggettivo esiodeo ἀκηδέα) riflette una più generale modalità di rappresentazione dell’età aurea e un’importante chiave di lettura dei relativi testi. L’età dell’oro si configura come quella in cui sono assenti tutti i tratti che nelle età successive caratterizzano sfavorevolmente la natura, l’uomo, la società. Da questo punto di vista il racconto ovidiano è davvero esemplare, perché inanella una catena di negazioni grammaticalmente variate, con sfruttamento a tutto campo di possibilità sinonimiche (nondum … nullaque … non … non … non … non … sine … immunis … intacta): Ovidio potenzia e moltiplica una struttura narrativa già presente nella IV Ecloga virgiliana (vv. 40-42: non rastros patietur humus, non vinea falcem … nec varios discet mentiri lana colores) e nel primo libro delle Georgiche (I,125-154), dove le negazioni si limitano però a un ne … quidem e nullo poscente (vv. 126-128). Anche Tibullo (Elegia I,3,37 ss.) aderisce strettamente a tale architettura discorsiva allorché, malato e solo in un’isola lontana, indulge alla nostalgica rievocazione della Saturnia Tellus (Nondum caeruleas pinus contempserat undas,/ effusum ventis praebueratque sinum,/ nec vagus ignotis repetens conpendia terris/ presserat externa navita merce ratem./ Illo non validus subiit iuga tempore taurus,/ non domito frenos ore momordit equus,/ non domus ulla fores habuit, non fixus in agris,/ qui regeret certis finibus arva, lapis).



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view post Posted on 4/2/2021, 10:29     Top   Dislike
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Il lavoro di Müller seguita ad informare l’odierno dibattito, e le sue teorie, se non proprio aventi certezza, sono generalmente considerate le più plausibili. Ad ogni modo, quali che siano il luogo d’origine e il lasso di tempo della sua esistenza in forma orale, il sistema vedico si sviluppò in India durante il cosiddetto periodo vedico (o anche Era vedica, Vedismo), a seguito dell’arrivo degli indoari.
Il periodo vedico

Il periodo vedico (1500 – 500 AEC circa) è l’epoca di stesura per iscritto dei Veda — datazione, come detto, che niente ha a che vedere con la concezione delle inerenti tradizioni orali. La definizione è un costrutto moderno che si basa sulle prove di una migrazione indoariana, evento il quale, quantunque, come detto, non universalmente accettato, resta afferente la teoria avente più corso e con più accuratezza storica, nonché corroborata dai rinvenimenti archeologici. Lo sviluppo dei testi è così descritto dallo studioso John M. Koller:

L’era vedica ebbe inizio quando i popoli parlanti Sanscrito presero a dominare la vita e il pensiero nella valle dell’Indo — probabilmente tra il 2000 e il 1500 AEC. Gli storici solevano sostenere che questi popoli del Sanscrito, i quali si autodefinivano ariani, giungessero come conquistatori nella valle dell’Indo dall’India nord-occidentale circa 3500 anni fa. Ma ricerche più recenti hanno posto in dubbio questa tesi degli ariani conquistatori. Ciò che sappiamo per certo è che una precedente cultura dell’Indo, fiorente tra il 2500 e il 1500 AEC e, evincendo dalle attestazioni archeologiche, piuttosto sofisticata, prese a declinare in quest’epoca. Sappiamo inoltre che il pensiero vedico e il paradigma culturale del Rig Veda hanno avuto una storia di ininterrotta preponderanza in India lungo gli ultimi 3500 anni. È probabile che le tradizioni culturali dei popoli vedici si siano fuse con usi e tradizioni delle genti della valle dell’Indo. (5)

Le credenze religiose della gente della civiltà di Harappa non ci sono note perché non ce ne pervengono testi. Scavi presso Mohenjo-daro, Harappa ed altri siti suggeriscono un sistema cultuale considerevolmente sviluppato e che includeva abluzioni e una qualche forma di servizio d’adorazione. Ma l’unica davvero inconfutabile prova di credenza e pratica religiosa ci viene dalla statuaria degli yaksha (spiriti della natura), databile già a prima del 3000 AEC e che sarebbe continuata con crescente complessità e raffinatezza, fino al I secolo AEC.





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view post Posted on 8/2/2021, 10:32     Top   Dislike
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Il culto degli yaksha sembra si incentrasse sui bisogni giornalieri (secondo l’interpretazione che li accomuna ai culti degli antenati), ed, essendo questi spiriti sia benevoli che maligni, venivano loro offerti sacrifici sia per ingraziarsene i favori che per placarli e allontanare apotropaicamente il male. Così come nei culti asiatici degli antenati, non veniva posta enfasi alcuna su un "quadro generale" circa la provenienza dell’uomo, il suo scopo o la sua escatologia; a queste domande rispose, fornendo in ciò precedente contenutistico agli altri tre, il primo Veda — il cui nome Rig Veda sta per "Conoscenza sapienziale", "Versi di conoscenza" o, letteralmente, "Lodi/Inni della conoscenza".
I Veda

Come detto, i seguaci del Sanātana dharma (l'Induismo) credono che i Veda siano sempre esistiti. Gli studiosi Forrest E. Baird e Raeburne S. Heimbeck commentano:

Tra i tanti loro testi sacri, gli induisti riconoscono origine sovrannaturale unicamente ai Veda; è credenza solo questi quattro testi rivelino la conoscenza essenziale della vita — una sapienza che essi ritengono eternamente esistita in forma di vibrazioni risuonanti attraverso l’universo. Queste increspature sarebbero rimaste inascoltate e non rilevate fino a che saggi indiani dotati d’udito spirituale non le hanno colte e riformulate nella Lingua sanscrita, fin da 3200 anni fa.

I Veda, dunque, sono ritenuti riprodurre l’esatto suono dell’universo stesso dal momento della creazione in avanti, e prendono la prevalente forma di inni e canti. Chi recita i Veda sarebbe letteralmente partecipe della canzone creatrice universale dalla quale tutte le cose visibili e invisibili nacquero all’inizio dei tempi. Il Rig Veda imposta criterio e stile poi sviluppati da Sama Veda e Yajur Veda, mentre l’ultimo testo, l’Atharva Veda, pur sviluppando una sua visione informata dai lavori precedenti, imbocca un percorso originale.


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Il Rig Veda è l’opera più antica e comprende 10 libri (noti come mandala) di 1028 inni composti da 10.600 versi complessivi. Essi esplicano la pratica cultuale precisa, traendola dalle vibrazioni universali colte dai primi saggi — ma si pongono anche delle domande fondamentali circa l’esistenza. Il Koller commenta:

I pensatori vedici si posero delle domande circa sé stessi, il mondo che li circondava e il loro posto in esso. - Che cos’è il pensiero? - Quale ne è la fonte? - Perché spira il vento? - Chi ha posto il sole, emanatore di calore e luce, nel cielo? - Come rinnovare la propria esistenza e diventare “interezza”? Domande di come, cosa e perché che sono al principio di una riflessione filosofica.

Questa riflessione filosofica caratterizza l’essenza dell’Induismo, colto nella messa in dubbio dell’esistenza personale quale avanzamento/liberazione dalla vita dei bisogni basilari verso quella dell’autorealizzazione in unione col Divino. Il Rig Veda incoraggia questo genere di interrogativi attraverso inni a varie divinità, in particolare Agni, Mitra, Varuna, Indra, e Soma — i quali sarebbero successivamente stati interpretati come avatara (incarnazione, apparizione, emanazione) dell’Anima suprema del cosmo, Prima causa e fonte dell’esistenza, il Brahman. Secondo alcune scuole di pensiero indù, i Veda vennero composti dal Brahman, il cui canto fu poi captato dai saggi.

Il Sama Veda ("Sapienza melodica/della melodia" o "Conoscenza del canto") è una raccolta di composizioni liturgiche, inni e testi destinati al canto. Il contesto è quasi interamente derivato dai Rig Veda, e, come osservato da alcuni studiosi, esso ne è fonte testuale rimodulata in accordo con la resa musicale. Comprende 1549 versi divisi in due sezioni: gana (melodie) e arcika (versi). È opinione che le melodie venissero accompagnate da danza, a mo’ di elevazione spirituale.
Lo Yajur Veda consiste in recitazioni, formule d’adorazione, mantra e canti direttamente correlati al rito SACRIFICALE.

Lo Yajur Veda ("Sapienza dell’adorazione" o "Conoscenza rituale") consiste in recitazioni, formule d’adorazione, mantra e canti direttamente correlati al rito sacrificale. Come per il Sama Veda, il contenuto è derivato dal Rig Veda, ma i suoi 1875 versi si focalizzano piuttosto sulla liturgia delle cerimonie religiose. Esso è generalmente considerato constare di due "sezioni" — non vere e proprie parti distinte ma due diverse caratterizzazioni dell’insieme testuale: lo "Yajur Veda nero", i cui passi sono poco chiari o esposti male; e lo "Yajur Veda bianco", i cui versi sono più chiari e l’esposizione lineare.

L’Atharva Veda ("Conoscenza di Atharvan") differisce significativamente dagli altri tre in quanto concerne formule magiche per fugare spiriti maligni e pericoli, canti, inni, preghiere, rituali di iniziazione, cerimonie matrimoniali e funebri, e osservanze religiose giornaliere. Il nome deriverebbe dal noto sacerdote, presunto guaritore e innovatore religioso Atharvan. È opinione il testo sia stato composto da una sola persona (magari lo stesso Atharvan, quantunque questa filiazione non è dimostrata) o da più individui, allo stesso tempo del Sama Veda e dello Yajur Veda — tra il 1200 e il 1000 AEC circa. Esso comprende 20 libri e 730 inni, alcuni dei quali ispirati al Rig Veda. La natura del testo, e il lessico e le forme adoperate hanno spinto alcuni teologi e studiosi a rigettarne l’autenticità; oggi non è accettato da tutte le sette indù a cagione del contenuto incentrato su conoscenze successive "ricordate" e non la primordiale conoscenza "udita".

Incorporati in ognuno dei testi sono gli Aranyaka, i Brahmana, le Samhita, e le Upanishad, da considerarsi quali glosse, estensioni e commentari al testo vero e proprio.

Le Upanishad sono considerate la "fine dei Veda", così come dalle parole di conclusione. Il termine significa "sedersi vicino", così come uno studente al maestro, onde ricevere informazioni non intese per il resto della classe. Le Upanishad in ogni Veda commentano il testo o lo illustrano attraverso dialoghi e narrazioni che chiariscono passaggi o concetti ardui od oscuri.



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view post Posted on 12/2/2021, 10:41     Top   Dislike
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Conclusioni

I Veda, e specialmente le Upanishad, sono col tempo diventati la fondamentale prospettiva del Sanātana dharma, stabilendo indirizzo e scopo per le vite dei credenti. Si sviluppò la credenza in una singola entità originaria, il Brahman, che non solo creò l’esistenza ma è l’esistenza stessa. Ma siccome questa entità è ritenuta troppo grande ond’esser compresa dall’uomo, essa appare attraverso avatara come Brahma (il creatore), Visnù (il preservatore), Shiva (il distruttore), e tutta una serie di altre divinità. Lo scopo della vita umana è il conseguimento di un sé più alto (l’Atman), l’osservanza del dharma (il dovere) attraverso il corretto karma (l’azione), così da liberarsi dal ciclo di morte e rinascita (samsara) caratterizzato dalla sofferenza e dalla perdita di cui si ha esperienza nel mondo fisico. Una volta che l’individuo si è scosso da questi vincoli, l’Atman fa ritorno al Brahman e alla pace eterna.

Questo sistema di credenze poté svilupparsi ininterrottamente fino all’ascesa e all’affermazione dell’Islam nell’India settentrionale tra il VII e il XII secolo EC (Era Comune). Quantunque i dominatori musulmani, anche se solo gradualmente, arrivarono a tollerare l’Induismo, una minaccia assai più significativa al sistema vedico venne dai più tardi colonialismo e imperialismo britannici del XVIII – XX secolo EC; i britannici tentarono di convertire gli indiani al Protestantismo e si sforzarono considerevolmente nella "rieducazione" della popolazione, bollando l’Induismo quale malevola superstizione.

Ciò condusse ad una inevitabile reazione iniziata da movimenti quale il Bramoismo di Ram Mohan Roy (1772-1833 EC) e continuata da altri, come Debendranath Tagore (1817-1905 EC — padre del poeta Rabindranath Tagore), i quali in parte reagirono re-immaginando la propria fede e distanziandola da una forma tradizionale che sembrava esser stata corrotta da influenze esterne. Questa rivisitazione constò anche in un ripudio dell’autorità scritturale — e la levatura dei Veda prese pertanto a declinare. Il Bramoismo, infatti, rigettava interamente i Veda quali insensatezze superstiziose, incentrandosi piuttosto sull’esperienza personale con il Divino — in una maniera in realtà piuttosto simile ai cardini teologici sia del Cristianesimo protestante che del precedente movimento devozionale Bhakti medioevale.

Oggi, ogni setta o movimento indù non osservante i Veda prende le mosse ed eredita bacino di fedeli da fenomeni ottocenteschi e del primo Novecento quali il Bramoismo; gli indù ortodossi seguitano invece a tenere i Veda in gran considerazione come in passato, e i testi continuano ad essere intonati da coloro che riconoscono in essi un mistero di verità ineffabile, offerta senza facile spiegazione ed esperibile anche senza comprensione.



fonte www.ancient.eu/trans/it/1-11715/i-veda/

 
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