| Allo stesso modo, l'amore spirituale e adultero delle gopī, e tra queste segnatamente di Rādhā, verso Krishna, viene reso come la metafora dell'amore più elevato, perché solo l'amore tra gli amanti che nulla si devono l'un l'altro, a differenza di quello coniugale sicuro ma mediato per mezzo di un accordo, è inteso come il più puro[14].
«Bambino o adolescente, Kṛṣṇa è sempre un ladro, perché è un ladro del cuore. Persino Rādhā, la pastorella che la tradizione considera la sua favorita, patisce frequentemente e potentemente la sua assenza. Molta della poesia dedicata a Kṛṣṇa è un lamento (viraha). Le donne che parlano in queste poesie esprimono desideri inappagati del cuore umano, [...]» (John Stratton Hawley, op. cit.)
«[...] le stravaganze del dio incarnano chiaramente l'idea induista che la vita stessa sia un prodotto del gioco divino (līlā). Abbandonarsi al gioco, ai giochi e alla consapevolezza che tutta la vita è un gioco significa esperire il mondo come è realmente.» (John Stratton Hawley, op. cit.)
Krishna, Dio, conserva in questo ambito una sua assoluta particolarità. Essendo il Bhagavat, Dio, esso non è condizionato dai guṇa ed è libero dal karman. Krishna è quindi svātantrya, libero da qualsivoglia condizionamento o illusione, e in questa sua assoluta libertà egli può concedere la grazia (anugraha), la "liberazione", agli esseri incatenati dalle proprie scelte nel mondo materiale sofferente. Krishna salva quindi i suoi bhakta (devoti), non solo, ma anche chi non lo è. Riferendosi alla nozione di Dio presente nei Purāṇa, Francesco Sferra osserva:
«Nei Purāṇa troviamo numerosi e toccanti esempi di come la semplice recitazione del nome di Dio o un atto di devozione, anche involontario, può conferire la grazia. Anche un peccatore, un reietto, anche chi, agli occhi dell'ortodossia, non sarebbe degno di ricevere l'attenzione delle persone perbene, figuriamoci di Dio, può indurre il Signore a concedergli la grazia. E dunque possiamo descrivere la salvezza non solo come passaggio, ma anche come abbandono fiducioso (prāpatti) in Dio. E questo è il cuore della bhakti» (Francesco Sferra in Hinduismo antico, vol. 1. Milano, Mondadori, 2010, p. XXXVII) La vita di Krishna nella letteratura visnuita La mitologia hindū inerente alla figura del dio Krishna, di volta in volta inteso o come avatara del dio Visnù o come manifestazione del Bhagavat stesso, origina da una composita letteratura che nel suo sviluppo abbraccia oltre un millennio. Partendo dal poema Mahābhārata (IV secolo a.C.-IV secolo d.C.), con particolare riguardo agli insegnamenti religiosi contenuti in quella parte di esso che va sotto il nome di Bhagavadgītā (III secolo a.C. -I secolo d.C.), fino alla sua appendice, lo Harivaṃśa (II-III secolo d.C.), in particolar modo nella sua parte detta Viṣṇu-parvan, continuando, poi, nei vari Purāṇa, con particolare attenzione al Viṣṇu Purāṇa (V secolo d.C.) e al Bhāgavata Purāṇa (IX secolo).
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