IL FARO DEI SOGNI

America centrale

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L'America centrale o Centro America (alternativamente: Centro-America o Centroamerica) è una delle tre principali macroregioni, distinte per posizione geografica, in cui attualmente viene suddivisa l'intera America (le altre due macroregioni sono l'America Settentrionale e l'America Meridionale).

In particolare l'America centrale rappresenta la parte minoritaria di quello che secondo alcuni geografi è il continente nordamericano mentre secondo altri geografi è il subcontinente nordamericano.[2]

Caratteristica peculiare dell'America centrale è quella di essere un "ponte" fra le due Americhe (l'America del Nord e l'America del Sud) e nello stesso tempo un'area di passaggio fra i due maggiori oceani della Terra, il Pacifico e l'Atlantico, grazie alla presenza del canale di Panama.

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La dominazione europea

Questa regione, in cui anticamente prosperarono le evolute civiltà mesoamericane come la civiltà mexica, la civiltà maya, la civiltà teotihuacana, la civiltà zapoteca, la civiltà mixteca, la civiltà olmeca o la civiltà tarasco, è stata sottoposta per tre secoli (dall'inizio del Cinquecento alla fine dell'Ottocento) alla dominazione spagnola. La lingua e la religione dei conquistatori si sono così imposte nell'area: in gran parte dei paesi dell'America centrale si parla correntemente lo spagnolo e la religione più diffusa è quella cattolica.

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Anche la composizione della popolazione si è profondamente modificata: agli originari amerindi si sono sovrapposti e mescolati i bianchi europei (spagnoli, inglesi, francesi e olandesi) e i neri importati dall'Africa come schiavi per lavorare nelle piantagioni.

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L'egemonia degli Stati Uniti d'America
Il raggiungimento dell'indipendenza, nei primi decenni dell'Ottocento, non ha portato nella regione stabilità e democrazia. La storia di gran parte dei paesi centroamericani è stata infatti segnata, anche nel Novecento, da regimi autoritari, colpi di stato e guerre civili. A partire dal XIX secolo si è affermata nell'area l'influenza dei vicini Stati Uniti d'America, che hanno forti interessi economici, politici e militari nella regione. Gli Stati Uniti d'America hanno costruito il canale di Panama e sono intervenuti più volte, militarmente ed economicamente, per condizionare le politiche di molti paesi dell'area.


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Lineamenti geomorfologici: America Centrale

Con il nome di America Centrale non si dà certo conto dell'originalità e particolarità che caratterizzano la geografia fisica di questa parte dell'America . Strutturalmente essa rappresenta la sezione divisoria e instabile delle due grandi masse continentali, ed è costituita dalle terre istmiche e da quelle insulari raccolte entro un ampio mare chiuso che si può definire “mediterraneo” americano. L'America istmica continua e funge da elemento di raccordo dei due grandi sistemi montuosi cenozoici delle Montagne Rocciose e delle Ande, ma orograficamente si presenta molto varia. Nel Messico essa è formata da due catene che chiudono zolle rigide dislocate verticalmente e costituenti un altopiano posto a quote di poco inferiori ai 2000 m s.m. Dopo il nodo orografico del Messico centrale (l'Anáhuac) dominato da vulcani che si spingono sin oltre i 5000 m s.m., si passa alla sezione istmica vera e propria che già nella sua conformazione a grande S rivela come orogeneticamente si tratti d'una regione instabile, a uno stadio ancora giovanile. Il vulcanesimo è qui ovunque manifestazione caratteristica di tale condizione. Si riconoscono diversi allineamenti vulcanici, più o meno giovani; quelli pleistocenici di più recente origine si trovano sul lato esterno verso il Pacifico. Molti di essi dominano elevati altopiani (come nel Guatemala), bacini di sprofondamento (come nel Nicaragua), zone di frattura. Oltre Panamá, che corrisponde al massimo attenuamento dell'istmo, le cordigliere sono formate da lievi piegamenti e si allacciano ai primi e più erti rilievi andini. L'America Centrale insulare è tutta compresa nel “mediterraneo” più sopra definito. È un mare molto tormentato geologicamente e di ciò sono riflesso gli stessi arcipelaghi che esso ospita. I fondali sono vari e irregolari, rivelano l'instabilità strutturale già riscontrata nell'istmo a cui sostanzialmente l'America insulare si collega. Il legame si ritrova nella continuità geologica di alcune zolle antiche, paleozoiche e prepaleozoiche, situate nella parte istmica e nelle antistanti Grandi Antille. Per il resto si tratta di terre giovani, formate da rocce sedimentarie mesozoiche e cenozoiche emerse in seguito alle crisi orogenetiche del Cenozoico dando origine ai rilievi che formano l'ossatura delle Grandi Antille e che continuano negli archi insulari delle Piccole Antille. Questi archi, di cui uno, il più interno, è sormontato da edifici vulcanici, si saldano alla massa continentale nelle catene che bordano la costa venezolana. L'instabilità della regione insulare è data dal vulcanesimo attivo (memorabile l'eruzione della Montagne Pelée nella Martinica nel 1902), ed è indicata in altro modo dalla fossa sottomarina delle Cayman, nonché dall'intensa attività tellurica riscontrabile in tutta l'area (come per esempio nella forte scossa del gennaio 2010 ad Haiti). Oltre gli archi antillani che chiudono il Mar delle Antille si hanno, nell'area delle Bahama, bassi fondali sedimentari che si connettono ai tavolati calcarei della Florida.



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Clima: America Centrale

Il clima dell'America Centrale è fortemente condizionato dalla presenza del mare che mitiga e addolcisce gli eccessi della tropicalità, della quale partecipa tutta la regione, che è attraversata nel suo margine settentrionale dal Tropico del Cancro. Nel Messico tuttavia l'estensione delle alteterre, l'altitudine e la chiusura montagnosa determinano una certa continentalità che si misura nel regime delle temperature (le medie di gennaio e di luglio sono rispettivamente di 10 ºC e 22 ºC nel Messico centrale). Stabilizzate mediamente sui 22-26 ºC sono invece le temperature annuali dell'America istmica e caribica, entrambe aperte agli influssi marini . Come tutte le aree tropicali, l'America Centrale è caratterizzata da un clima a due stagioni, determinate dallo spostamento del fronte intertropicale a cui si collega la pronunciata piovosità estiva e la generale aridità invernale. In generale però, sempre a causa dell'accentuata marittimità, mancano gli eccessi propri dell'aridità tropicale; ciò vale in particolare per i versanti insulari meglio esposti verso NE da cui provengono le masse d'aria umida tropicale promosse dall'anticiclone atlantico e che si spostano nella direzione propria degli alisei. Le precipitazioni raggiungono e talora superano (come nelle Grandi Antille) i 1500 mm annui nelle zone più piovose, si abbassano anche al di sotto dei 700 mm nelle zone più al riparo degli alisei. In rapporto allo spirare di questi il grande arco insulare antillano è diviso in isole del Vento e isole Sottovento. Le isole più piovose sono in generale le Grandi Antille, le meno piovose le Piccole Antille vicine alla costa venezuelana che risentono dell'aridità continentale. La sezione istmica di Panamá costituisce, nel contesto centramericano, un'area eccezionale in quanto soggetta al clima equatoriale umido portato dalle masse d'aria del Pacifico: le precipitazioni possono superare i 3500 mm annui e la nuvolosità può perdurare fino a 250 giorni all'anno.



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Idrografia: America Centrale

Fiumi brevi e dal regime irregolare caratterizzano tutta l'America Centrale (nel settore insulare è la stessa esiguità delle superfici a impedire la formazione di importanti corsi d'acqua). La linea spartiacque, quasi ovunque nettamente spostata verso il Pacifico, fa sì che relativamente maggiore sia il tributo all'Atlantico (Golfo del Messico e Mar delle Antille), cui scendono il Rio Grande (Río Bravo), l'Usumacinta, il Motagua, il Coco, ecc. Dei bacini lacustri, oltre a quelli salati dell'altopiano del Messico, si ricordano i laghi di Nicaragua e di Managua, entrambi nello Stato di Nicaragua.



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Flora e fauna: America Centrale

In rapporto alle caratteristiche climatiche le condizioni ambientali variano alquanto all'interno delle stesse regioni istmica e insulare. Nella prima la presenza di altopiani e di alti monti introduce quella classificazione, tipicamente latino-americana, che, in relazione all'altitudine, riconosce tierras calientes, tierras templadas e tierras frías (e anche tierras heladas sulle cime innevate dei grandi vulcani dell'Anáhuac). Nella seconda assumono caratteri nettamente diversi i due versanti insulari posti sopravvento o sottovento. In generale il clima a due stagioni, con la prolungata siccità invernale (verano), determina una vegetazione savanica che assume anche spiccati adattamenti xerofili, come negli altopiani messicani dove le piante più caratteristiche sono le agavi. Savanica è anche la vegetazione delle zone istmiche e insulari: un'associazione caratteristica è il matorral, che ha forma arbustiva e accoglie anche piante caducifoglie come le querce. Nelle aree più piovose si ha la foresta tropicale, nella quale si trovano specie proprie della fascia equatoriale più piovosa, altre che sono tipicamente locali. Tra le essenze pregiate vi sono piante di cedro, di mogano (pregiato è l'acaju) e assai diffusa è la sapodilla da cui si ricava il chicle. Lungo le coste la palma domina sovrana, specie nell'ambiente insulare, dove i coccheti costituiscono una delle risorse locali. Sui rilievi si trovano boschi di conifere, tra cui la specie caratteristica dell'America Centrale, il Pinus cariboea; più oltre, nelle tierras frías si hanno i páramos, tappeti di graminacee. La grande varietà di specie vegetali dell'America Centrale è dovuta non solo alla varietà dei suoi ambienti, ma anche al fatto che la regione rappresenta l'incontro dei due grandi areali biogeografici dell'America Meridionale e di quella Settentrionale (la linea divisoria sembra che possa essere situata nella depressione del Nicaragua), comunicanti appunto tra loro attraverso il cordone istmico, il quale ha funzionato da filtro o da elemento separatore nelle epoche in cui il collegamento veniva interrotto per cause tettoniche. Quanto detto vale anche per la fauna, che è rappresentata sia da specie nordamericane (soprattutto delle Montagne Rocciose), sia da specie sudamericane proprie anche dell'area forestale equatoriale. Esempi nel caso dei mammiferi possono essere rispettivamente il puma e il tapiro. Numerosi sono inoltre in tutta l'America Centrale gli endemismi dovuti alla frammentazione della regione.



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Ambiente: America Centrale e Meridionale

La colonizzazione coatta del subcontinente da parte degli europei a partire dal XVI secolo è avvenuta nel più totale spregio, oltreché delle culture e delle civiltà locali, anche dell'ambiente naturale. La diffusione dell'agricoltura estensiva e del latifondo, e la messa a coltura di vaste aree della regione, ha profondamente modificato l'aspetto naturale dell'America Centrale e Meridionale. Ma l'accresciuta sensibilità ambientale degli ultimi decenni ha permesso, almeno a partire dagli anni Ottanta, di sollevare (ma non di risolvere) il problema della tutela dell'immensa foresta amazzonica. L'enorme bacino idrografico del Rio delle Amazzoni (il più grande del mondo) e la foresta che lo ricopriva interamente, sono stati, infatti, oggetto delle mire sia delle società produttrici ed esportatrici di legnami pregiati, sia della tensione ad estendere i terreni coltivabili. Oltre a mettere seriamente a repentaglio la sopravvivenza delle comunità indie che abitano l'area, l'inarrestabile disboscamento produce gravissimi effetti non soltanto nella zona, ma addirittura in tutto il mondo, privando la Terra di uno dei suoi grandi “polmoni verdi”. L'aumento dell'urbanizzazione (Lima, Bogotá, Buenos Aires, Rio de Janeiro e San Paolo, per citare i casi dove il fenomeno è maggiormente incidente), analogamente a quanto avviene in altre aree del mondo, ha determinato una serie di problemi sia a livello del controllo della qualità dell'aria, sia per quanto concerne la qualità delle acque: su tutti, si ricorda qui il caso, tristemente noto, del fiume Matanza-Riachuela che, raccogliendo gli scarichi fognari di Buenos Aires, risulta oggi uno dei fiumi più inquinati del pianeta. Gravi danni sono causati anche dall'ampia diffusione delle attività estrattive, attorno alle quali sorgono bidonvilles nelle quali manca ogni rispetto per l'ambiente e per coloro che vi abitano. La recente industrializzazione e il contestuale aumento della popolazione del subcontinente ha, peraltro, aumentato la domanda di energia, per rispondere alla quale è stato, tra gli altri, intensificato il ricorso all'energia idroelettrica, sfruttando il potenziale degli enormi bacini idrici. Le due più grandi dighe del continente, però − quella paraguayano-brasiliana di Itaipú e quella brasiliana di Belo Monte, in piena Amazzonia e non ancora in funzione − hanno attirato le critiche degli ambientalisti, persuasi che queste opere faraoniche sono, e saranno, responsabili di un gravissimo attentato alla biodiversità dell'area.



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Cenni antropologici

Il problema del popolamento dell'America è tuttora oggetto di ricerche e di studi, anche se è certo che avvenne a partire da un periodo non anteriore a 60.000 anni fa, quando si costituì, in seguito alla glaciazione würmiana, un largo corridoio di terre emerse, denominato Beringia, che collegò il continente all'Asia, favorendo l'arrivo dell'uomo . Secondo alcuni studiosi questo si verificò in due ondate successive a partire da ca. 20.000 anni fa: la prima di nomadi cacciatori affini agli Australoidi, la seconda costituita da protoagricoltori di ceppo mongoloide. Secondo altri studiosi, soprattutto europei, la diffusione dell'uomo in America è avvenuta in tempi diversi a partire da 50.000-40.000 anni fa: per prime giunsero “famiglie” di raccoglitori di Homo sapiens sapiens arcaico, come sembra testimoniare il reperto trovato nello Stato di Alberta, in Canada (bambino di Taber, datato a ca. 40.000 anni fa). Seguirono poi piccoli gruppi di raccoglitori-cacciatori paleomongolidi (reperti di Lagoa Santa, in Brasile, e di Punin, in Ecuador), quindi di cacciatori evoluti (reperti della California e del Messico) tutti riferibili a periodi anteriori a 15.000 anni fa. Sul finire della glaciazione würmiana giunsero anche cacciatori paleosiberiani portatori di caratteri europoidi (reperti del Minnesota, USA) che si attestarono nella parte settentrionale del continente. Dopo l'VIII millennio a. C. lo stretto di Bering, che si stava costituendo, divenne transitabile solo da parte di esperti navigatori polari, quali gli eschimesi e gli aleutini, che si possono considerare gli ultimi a essere giunti in America; questi, infatti, sono antropologicamente affini a popolazioni attualmente viventi in Siberia (ciukci, kamčadaly). Questa seconda tesi trova sempre nuove conferme: infatti, sono stati portati alla luce numerosi siti databili fra 35.000 e 20.000 anni fa; si tratta d'insediamenti di genti dedite alla raccolta e alla caccia, che svilupparono tecniche di lavorazione della pietra scheggiata tipiche e differenziate da luogo a luogo. I più significativi, in ordine di antichità, sono: Toca de Esperança e Boqueirao da Pedra Furada (Brasile), Old Crow (Canada), vari siti della Pennsylvania (USA), Garzon (Colombia), Exacto (Ecuador), Pichimachay (Perú), Alice Boer (Brasile), Guatchi (Cile). Insediamenti di epoca successiva sono più frequenti e diffusi nelle regioni andine, nel Messico, nel S-W, S-E ed E degli Stati Uniti fino al Canada, nonché in Amazzonia e lungo le regioni atlantiche del Brasile fino all'Argentina (qui, l'insediamento più antico, quello di Los Toldos, risale a ca. 12.000 anni fa). Significativo il ritrovamento in vari siti dello Stato di Piaui (Brasile) di graffiti e pitture rupestri datate a 17.000 anni fa, più recenti, quindi, di quelle della Tanzania, ma coeve con quelle del Tassili, del Levante spagnolo e dell'Asia meridionale. Tuttavia, i resti fossili dell'uomo preistorico americano sono ancora troppo pochi per poter stabilire se i tipi umani amerindi attuali derivino solo da uno o da più gruppi di uomini arcaici: la grande varietà di forme rilevate in tempi storici può essere dovuta sia a molteplici rimescolamenti fra popolazioni diverse, sia ad adattamenti all'ambiente, sia a entrambe le cause. Significativo in proposito il fatto che del vasto raggruppamento di genti pueblo-andine, tutte annoverate in un solo tipo umano, soltanto quelle abitanti nelle alteterre del Sud presentano il peculiare carattere di adattamento all'ambiente costituito dall'elevato numero di globuli rossi necessario per l'ossigenazione del sangue a quelle altitudini. In base ai caratteri morfologici prevalenti (statura, colore della pelle, corporatura, tratti somatici ecc.) le popolazioni autoctone americane sono tradizionalmente suddivise in alcuni “tipi umani” che, a partire dal Nord, vengono designati con i nomi di eschimidi, columbidi o aleutini, appalacidi o alleganici, planidi o Dakota, sonoridi, istmidi, pueblo-andidi, amazzonidi o amazzonici (anche brasilidi), lagidi o lagoani, pampidi o pampeani, fuegidi o magellanici. Fatta eccezione per gli inuit e gli aleutini, i gruppi stanziati nell'America Settentrionale vengono designati con il nome collettivo di nativi americani, pellirosse o anche indiani − a causa dell'erronea convinzione di Cristoforo Colombo, che allo sbarco sul nuovo continente era in realtà convinto di essere giunto in Asia − mentre quelli stanziati dal Messico all'America Meridionale sono detti Indios; nell'insieme vengono chiamati amerindi o amerindiani. Secondo alcune valutazioni, prima dell'arrivo dei bianchi, i nativi americani assommavano a circa 3 milioni d'individui, mentre gli indios superavano i 12 milioni. All'inizio del Novecento, i primi erano ridotti a poco più di 350.000 individui confinati entro “riserve” negli USA e nel Canada; in tutto il Nordamerica si stima la presenza di poco più di 3,5 milioni tra nativi americani e popolazioni dell'Alaska. Diversa la situazione degli indios: i pueblo-andidi, dopo la paurosa decimazione seguita alla conquista spagnola, hanno registrato un progressivo aumento demografico dovuto soprattutto a un vasto processo di meticciamento, tanto che in alcuni Paesi andini, nel Messico e nell'America Centrale costituiscono la maggioranza della popolazione. Gli altri gruppi etnici indios, invece, sono andati sempre diminuendo non solo per le stragi, ma anche per le malattie e la scomparsa dell'ambiente originario; recenti valutazioni indicano in ca. 300.000 unità il numero degli eredi delle popolazioni autoctone, mentre indefinibile è il numero dei meticci. Da un punto di vista antropologico, l'America attuale presenta anche un aspetto peculiare diverso da quello degli altri continenti dovuto all'immissione forzata di neri africani “importati” in qualità di schiavi, in particolare negli USA, in Brasile e nell'America insulare, e alla massiccia immigrazione di genti asiatiche, soprattutto negli Stati Uniti. La presenza dei neri, tuttora all'origine di conflitti sociali e razziali negli USA (nonostante l'elezione, nel 2008 di Barack Obama come primo presidente nero della storia degli Stati Uniti), è andata crescendo dal sec. XVII, tanto che nell'America insulare i discendenti degli schiavi si sono completamente sostituiti ai gruppi autoctoni in numerose isole (Hispaniola, Giamaica, Piccole Antille), meticciandosi solo in parte con gli indios, quasi ovunque sterminati dai bianchi prima dell'arrivo degli schiavi neri, e con i coloni bianchi. Diversa è la situazione del Brasile dove il meticciamento è stato rilevante sia con gli indios sia con i bianchi. Negli USA, invece, la segregazione razziale ha limitato fino al XX secolo il meticciamento tanto che la “popolazione nera” si presenta ancora abbastanza omogenea: solo il 30% ha tra gli ascendenti un bianco e il 3,4% un asiatico o un indiano. Mentre la popolazione di origine nera assomma, secondo l'ultimo censimento ufficiale (2000), a oltre 34 milioni d'individui, gli asiatici sono oltre 10 milioni, in prevalenza residenti nelle grandi città della California e in alcune dell'E: fra di essi, le comunità cinesi e giapponesi, per la loro struttura chiusa, sono poco meticciate, mentre le altre etnie sono in gran parte fuse con i neri e, soprattutto, con i latino-americani e quindi di difficile valutazione dal punto di vista quantitativo; gli hawaiani sono solo circa il 3,5% della popolazione dello Stato. La popolazione bianca presenta, nell'America Latina, i caratteri tipici delle genti mediterranee (vengono detti creoli); abbastanza elevato è stato il meticciamento con gli indios, rilevante a Cuba e negli Stati Uniti sud-occidentali. Negli USA e nel Canada prevale il tipo fisico nordico rappresentato da anglosassoni, tedeschi e scandinavi; molto forti sono le minoranze di origini francese, italiana e slava, ma sono rappresentati tutti i gruppi etnici europei.



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Le culture autoctone

Ancora in questi primi anni del Duemila in America, fra i pochi gruppi etnici amerindi sopravvissuti, sono rappresentate tutte le forme di organizzazione socio-culturale originarie, dai semplici raccoglitori ai cacciatori nomadi, dai coltivatori seminomadi agli agricoltori sedentari; questi ultimi, presenti nell'America Latina, hanno in gran parte acquisito costumi moderni cercando in alcuni casi di fondere le loro tradizioni con il modo di vivere dei bianchi (per esempio, Quechua, Aymará, Araucani) oppure adattandole a quelle dei conquistatori (Nahua, Maya). La ricerca archeologica e la raccolta di miti e leggende hanno messo in luce che le varie popolazioni svilupparono nel tempo, spesso in modo autonomo, sia le proprie strutture sociali sia le tecniche connesse con il tipo di economia sulla quale era basata la loro società. Tutte, comunque, avevano una vita spirituale assai ricca, spesso complessa, che si espresse al massimo grado nelle civiltà urbane precolombiane (Aztechi, Incas, Olmechi, Maya, Zapotechi ecc.) che conobbero la scrittura, la pratica astronomica ed elaborarono un'arte raffinata. Le diversità, tuttavia, erano notevoli anche nell'ambito di gruppi appartenenti alla medesima famiglia etno-linguistica: fra gli amazzonici, per esempio, ancor oggi si annoverano cacciatori e raccoglitori nomadi e coltivatori seminomadi; fra le genti di lingua algonchina vi erano tribù agricole sedentarie, altre di cacciatori-coltivatori seminomadi, altre ancora dedite alla caccia (come è il caso di Irochesi, Ojibwa, Cheyenne). Discordi sono le ipotesi relative al formarsi delle grandi civiltà urbane, vista l'eterogeneità degli ambienti in cui si svilupparono (altopiano messicano, foreste del Guatemala-Yucatán, alteterre della Cordigliera Andina centro-settentrionale): comune è la loro antichità, poiché appaiono insediate nei rispettivi territori, almeno quali gruppi etno-linguistici, fin dal II millennio a. C. Tutte avevano quale base economica l'agricoltura che, nell'area messicana, era praticata fin dal IV millennio a. C. Durante la fase urbana le società divennero fortemente gerarchizzate e strutturate in città-Stato che solo molto tardi, con gli Aztechi e gli Incas, raggiunsero un'organizzazione statale unitaria. Nel Sud-Ovest degli Stati Uniti e nel Messico settentrionale prevalsero insediamenti agricoli fin dal I millennio a. C.; la struttura sociale di queste genti era di tipo comunitario, molto più semplice di quella dei loro vicini meridionali dai quali probabilmente avevano acquisito le tecniche colturali. Per costoro è stata messa in luce una certa continuità con le culture preistoriche Anasazi, Hokokam e Mogollón, agricoltori seminomadi le cui origini sono sconosciute. Queste genti sono ancor oggi rappresentate dalle tribù hoka, hopi e pueblo e si deve a loro la costruzione di tipici villaggi in mattoni addossati ai fianchi dei monti (pueblos) nonché di rudimentali sistemi di canalizzazione che permisero di sfruttare terreni altrimenti aridi. Ancora incompleta è la ricostruzione dello sviluppo delle comunità un tempo stanziate nell'America Settentrionale, anche se sono quelle meglio studiate e la ricerca degli insediamenti preistorici molto avanzata. Le varie scoperte hanno permesso la ricostruzione del cosiddetto “ciclo paleoindiano”, suddiviso dagli autori statunitensi in alcuni periodi: della “Caccia grossa”, datato fra 12.000 e 7000 anni fa, tipico di genti dedite alla caccia, soprattutto di bisonti, condotta allo stato nomade; della “Vecchia Cordigliera”, datato fra 7000 e 3000 anni fa, in cui compaiono le prime macine a sella in pietra, indice di forme arcaiche di utilizzazione di vegetali da parte di comunità allo stato nomade e sviluppatosi nel Canada orientale, negli USA orientali e sudorientali; il “Ceramico”, datato fra il II e la prima metà del I millennio a. C., durante il quale compaiono insediamenti di coltivatori seminomadi sia in Georgia e in Florida sia nel Sud-Ovest, con produzione di ceramica lavorata, mentre nelle aree centrorientali si diffondono gruppi di cacciatori nomadi. Sul finire di quest'ultimo periodo si moltiplicano i siti abitati da genti agricole in tutto l'E fino al Canada (dove vennero messe a coltura varie piante domestiche locali, fra le quali il riso selvatico), mentre nel bacino del basso Mississippi si diffusero piccoli gruppi di cacciatori e coltivatori nomadi. Probabilmente tra la fine del I millennio a. C. e il 500 d. C. si vennero formando e si differenziarono le tribù indiane conosciute poi dai bianchi (periodo “Formativo”): in tale periodo vennero costruiti nel S-E degli USA villaggi stabili con caratteristiche case a pozzo e grandi tumuli sepolcrali (mounds), il più noto e imponente dei quali è quello di Cahokia (Illinois). Queste genti, come i loro vicini dell'E e del N, lavoravano il rame nativo e, oltre a domesticare il riso selvatico, coltivavano il tabacco per usi cerimoniali; usavano strumenti di pietra levigata di ottima fattura e producevano una bella ceramica dipinta. Lungo le Montagne Rocciose e sparse nelle pianure e foreste di tutto il subcontinente vivevano tribù nomadi di cacciatori e di raccoglitori; le zone costiere del Pacifico erano abitate da piccole tribù di raccoglitori e pescatori arcaici, accanto a pescatori-cacciatori evoluti (i cosiddetti “Popoli del salmone”). Nell'America Centrale e Meridionale, oltre alle genti Chibcha di cultura assai elevata, esisteva (ed esistono ancora in piccole aree) una miriade di tribù nomadi o seminomadi di raccoglitori, cacciatori e coltivatori. Particolari aspetti hanno le culture degli aleutini e degli eschimesi, tipici cacciatori artici di mammiferi marini, che ormai sono acculturati ai costumi nordamericani. Peculiare, infine, era il modo di vivere dei fuegini, gruppo etnico praticamente estinto, che rappresenta il più meridionale insediamento dell'uomo. Le strutture sociali di tutti questi gruppi etnici erano di tipo comunitario, con capi elettivi; le forme di discendenza potevano essere matrilineari o patrilineari e in alcuni casi la posizione della donna era molto elevata (per esempio, fra gli irochesi); al Nord esistevano anche delle strutture sociali con clan totemici, mentre ovunque era molto diffusa l'organizzazione in fratrie e classi matrimoniali. Notevole importanza avevano gli sciamani, che potevano essere anche donne, i quali sopraintendevano ai vari culti animisti , sebbene molti popoli ammettessero l'esistenza di un Essere Supremo, cosa che ha favorito la diffusione del cristianesimo e la comparsa di numerosi culti sincretisti. Agli amerindi si deve la domesticazione di numerosi vegetali oggi largamente usati, dal mais ai fagioli, dalla patata ai pomodori, dal cacao alle arachidi, dalle banane al tabacco. Tipiche elaborazioni tecniche sono entrate nell'uso comune, come la canoa e il kayak, l'amaca e i mocassini. Le culture ancestrali sono oggi vive solo tra pochi gruppi etnici dell'America Meridionale, anche se fra i pellirosse e nei Paesi latino-americani si stanno sviluppando correnti culturali che nelle tradizioni degli antenati precolombiani ricercano l'affermazione di una propria identità etnica.



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view post Posted on 21/12/2019, 22:03     Top   Dislike
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Demografia: America Centrale e Meridionale

L'America Centrale e Meridionale, pur così dissociate e varie dal punto di vista della geografia fisica, hanno oggi una loro indubbia unità sul piano culturale. L'America Latina, come si definisce – in modo forse non del tutto esatto ma non facilmente sostituibile – la grande area che va dal Messico e dai Caraibi sino alla Patagonia e alla Terra del Fuoco, è in effetti profondamente segnata da una certa colonizzazione che le conferisce, anche al di là di alcuni legami come le lingue dominanti (spagnolo e portoghese), caratteri abbastanza omogenei per quanto riguarda la vita politica, sociale ed economica. Come l'America Latina sia venuta caratterizzandosi nel tempo lo si spiega con le stesse forme di conquista del continente da parte dei conquistadores, che hanno introdotto la loro legge predatoria, rifiutando l'attività del “colonizzatore paziente” così frequente invece nell'America anglosassone. Ma sulla particolare evoluzione del subcontinente hanno certamente inciso gli elementi fisici, come ostacoli alla realizzazione di un disegno unitario e organico di conquista umana (già reso problematico dalle contese territoriali tra spagnoli e portoghesi) e in taluni casi addirittura repulsivi, come la grande foresta amazzonica, le alteterre andine, gli stessi vasti e monotoni bassopiani interni. Prima dell'arrivo degli europei l'America Centrale e quella Meridionale ospitavano ca. 8 milioni di persone. Le maggiori concentrazioni si avevano sulle alteterre messicane, le pianure dello Yucatán e le alteterre andine fino all'istmo di Panamá, cioè là dove si erano sviluppate le civiltà urbane precolombiane degli Zapotechi, dei Toltechi, degli Aztechi, dei Maya, degli Incas, dei Chibcha ecc. Altrove la popolazione era più rada, disseminata su vasti spazi in relazione alle attività itineranti (agricole, di raccolta e di caccia) praticate. Di certo gli squilibri distributivi dipendevano non solo dalle condizioni ambientali, per cui per esempio la foresta amazzonica poteva difficilmente ospitare forme di vita organizzata, ma soprattutto dalla possibilità di contatti culturali vivificatori, che specialmente tra America istmica e America andina trovarono modo di esplicarsi tra civiltà essenzialmente sedentarie e urbane. Sugli altopiani messicani fiorì la cerealicoltura, che di quelle civiltà fu il fondamento economico. Nelle aree di maggior popolamento precolombiano, tra Messico, terre istmiche e andine, iniziarono nel sec. XVI anche la penetrazione e l'insediamento europei al di là dei primi avamposti caribici. Dopo quelli nelle Grandi Antille, gli stanziamenti si ebbero sugli altopiani messicani e poi nella regione andina, raggiunta attraverso le valli del Magdalena e dai porti del Pacifico (come Lima) guadagnati superando l'istmo panamense. E proprio sul lato del Pacifico si ebbero le basi della prima organizzazione territoriale avviata dai colonizzatori spagnoli. La fondazione dei centri atlantici fu successiva e iniziò con la creazione, da parte dei portoghesi a cui spettava di diritto, per via del Trattato di Tordesillas (1494), tutta la parte orientale del continente, dei primi centri portuali nel Pernambuco, poi via via sulle coste più meridionali, dove ben presto il Río de la Plata, in mano agli spagnoli, divenne uno dei vertici di tutto il continente, legato con vie transcontinentali alle Ande e alla sponda opposta del Pacifico. L'apporto umano europeo nei primi secoli non fu numericamente molto consistente. La stessa colonizzazione portoghese sulla costa atlantica, che avviò per prima lo sfruttamento di piantagione (le Ande furono sempre terre di sfruttamento minerario), non favorì un cospicuo insediamento europeo. In effetti i grandi proprietari delle piantagioni, che costituirono dei veri e propri feudi (sulla base delle encomiendas, assegnazioni gratuite delle terre) intorno alla loro dimora, la Casa Grande, si valevano di schiavi indios. Il contatto tra indios ed europei, che nell'America Settentrionale si risolse in una graduale estromissione dei primi per far posto al colono bianco, nell'America Meridionale si esplicò come sfruttamento dell'indio nei lavori minerari e di piantagione. Ma fu un contatto altrettanto pernicioso. Le malattie si diffusero con estrema facilità. Il problema della loro difesa non fu risolto neppure dalla creazione delle reducciones a opera dei gesuiti, cioè dall'organizzazione di comunità autonome come fu tentato specialmente nel Paraguay. Da ciò prese il via l'introduzione di schiavi neri dall'Africa, auspicata dal vescovo B. Las Casas, che si protrasse per secoli, immettendo nell'America Latina l'elemento africano, componente fondamentale di quel tríptico racial (indios, bianchi, neri) che caratterizza in diversa misura il subcontinente. I bianchi puri sono massicciamente insediati nelle zone ambientalmente più favorevoli, dove si hanno anche le maggiori concentrazioni umane. La composizione dei bianchi per nazionalità vede in primo piano spagnoli, portoghesi e italiani, sovrappostisi ai creoli, cioè ai bianchi di più antica immigrazione e in generale rimasti immuni da meticciamenti con indios e neri. La grande immigrazione latina nell'America Meridionale in effetti è iniziata a partire dalla fine del sec. XIX. Le prime grandi ondate sono state spagnole, dirette prevalentemente a Cuba, in Argentina, Uruguay e Brasile: complessivamente hanno raggiunto l'America Latina ca. 2 milioni di spagnoli. I portoghesi, insediatisi massimamente in Brasile, sono stati 1,2 milioni. L'immigrazione italiana, sospinta nell'America Meridionale specie dopo le restrizioni imposte dagli Stati Uniti, è avvenuta specialmente nel Novecento e ha portato nel subcontinente ca. 2,6 milioni di persone, insediatesi in prevalenza nel Brasile e nell'Argentina. Sempre all'immigrazione recente si deve l'apporto francese (circa mezzo milione), tedesco, scandinavo, slavo, anglosassone. Ogni nazionalità si è diretta preferibilmente in certi Paesi formando delle comunità che hanno conservato la loro individualità, specie nelle zone di colonizzazione più isolate (tedeschi del Paraguay e del Cile, italiani dell'Argentina nordoccidentale, ecc.). Nel caso dei francesi e degli inglesi, come degli olandesi, occorre tener conto dell'attrazione esercitata dai loro possedimenti coloniali (Guyane e isole caraibiche). L'esiguità dell'originario velo umano, l'ampiezza delle superfici e la molteplicità delle popolazioni successivamente immigrate furono i fattori che diedero al popolamento del continente quei caratteri di libertà che risaltano ancor oggi nel suo tessuto geografico. Vi è stato cioè un adattamento ambientale via via suggerito dalle opportunità economiche e commerciali; il tutto agevolato dalle prime scoperte industriali che sono un aspetto inscindibile della “conquista” del continente. Alla metà dell'Ottocento l'America Latina ospitava complessivamente 33 milioni di abitanti; oggi essa accoglie quasi 550 milioni di ab. e, pur avendo riscontrato un rallentamento della dinamica naturale (la quasi totalità dei Paesi centroamericani e alcuni sudamericani fanno comunque registrare tuttora valori di natalità compresi fra il 15 e il 30‰ annuo), ha visto la propria popolazione crescere in media, nel periodo 2002-07, di percentuali l'1 e l'1,6%; e se anche si avverasse la proiezione secondo cui questo tasso dovrebbe scendere dopo il 2010, il carico demografico passerebbe a cifre attorno ai 700-750 milioni di ab. nel 2025: quantità del tutto sopportabile in considerazione delle risorse potenziali (la densità relativa si aggirerebbe attorno ai 35 ab./km², contro i ca. 25 attuali), ma non della capacità di utilizzazione delle stesse che il subcontinente è finora riuscito a esprimere. Un grave problema socio-demografico che, a partire dagli anni Duemila, si sta ulteriormente normalizzando, è dato dalla mortalità infantile, che sfiora ancora il 50‰ in grandi Paesi latino-americani come la Bolivia, aggirandosi attorno al 20‰ in numerosi altri; mentre, per confronto, l'America anglosassone si trova al di sotto del 7‰, ovvero su un valore considerato fisiologico.



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view post Posted on 23/12/2019, 14:48     Top   Dislike
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Distribuzione della popolazione e forme d’insediamento: America Centrale e Meridionale

Le capacità di contenimento dell'America Meridionale e Centrale sono ancora enormi e il popolamento si spinge, sia pur lentamente data la povertà degli incentivi economici, verso le zone spopolate dell'interno, in particolare dell'Amazzonia, sulla scia dei primi pionieri, i bandeirantes. Quest'ultima spinta è naturalmente imposta dallo stesso rapidissimo sviluppo demografico, che registra nell'America Latina valori tra i più alti della Terra (escluso il caso africano). Il tasso annuo di incrementosi aggira attorno all'1,5% e in alcuni Paesi, come l'Honduras, raggiunge il 2,3%. La grande crescita demografica non è più determinata oggi dall'immigrazione, ma è quasi interamente sostenuta dall'elevata natalità, che è il risultato di particolari condizioni sociali e in ogni caso esprime le caratteristiche proprie dei Paesi in via di sviluppo. La distribuzione umana rispecchia ancora le strutture proprie dell'epoca coloniale, sebbene tanti aspetti della vita e della geografia latino-americane siano mutati. Le aree più densamente popolate sono, sul lato dell'Atlantico, la regione platense e la costa brasiliana, cioè là dove si sono formati i primi importanti vertici dell'organizzazione territoriale coloniale, che aveva nei porti i maggiori centri d'interesse. In quest'area si trovano le più grandi città dell'America Meridionale, tutte portuali, tranne San Paolo, metropoli che ha proposto la prima grande conquista dell'interno. Altra area di popolamento si trova sulla costa venezuelana, nel Mar delle Antille, e continua verso le vallate del bacino fluviale del Río Magdalena fino alle alteterre di Bogotá e a quelle ecuadoriane, dove la popolazione si concentra nelle conche e nei versanti delle tierras templadas. Sulla costa del Pacifico si hanno aree di elevato popolamento intorno al porto di Guayaquil; altra regione densamente popolata è quella di Santiago. In tutte queste zone si hanno tra i 50 e i 200 ab./km². Altrove si registrano densità bassissime, come nell'Amazzonia (meno di 1 ab./km²). La percentuale di popolazione residente in città è notevolmente aumentata nei decenni recenti, e i maggiori Paesi, come Messico, Brasile e Argentina sono giunti ad avere percentuali di popolazione urbana superiori al 75% (Messico 77%, Brasile 86%, Argentina addirittura 92%). L'urbanesimo ha origini antiche: è stato impostato dai primi conquistadores con il piano di costruzione di Città del Messico ispirato alle città spagnole, di pianta quadrata, con calles e avenidas che si incrociano ad angolo retto, e con un centro dove sorgono gli edifici governativi e la cattedrale. Le prime città spagnole furono centri minerari e alcune, come Potosí in Bolivia, divennero popolosissime già nel sec. XVI. Le principali furono però quelle sorte come porti che legavano l'America all'Europa: Lima, Buenos Aires ecc. L'urbanesimo moderno è fiorito sulle premesse economiche coloniali e si è sviluppato più o meno in rapporto alle attività dell'entroterra: Buenos Aires come sbocco delle ricche pampas, al pari di Montevideo; Rio de Janeiro e San Paolo come poli dell'area del caffè ecc. Alcune sorsero sulla spinta di fortune provvisorie ed effimere, come Manaus, la capitale amazzonica del caucciù. Oggi nell'America Latina vi sono circa 45 città milionarie e l'urbanesimo è in continua crescita, ponendo problemi assai gravi quali la diffusione delle favelas, delle villas miserias, delle quebradas, città provvisorie, di casupole, ai margini delle strutture urbane dei grandi centri, ricettacolo di gente non integrata nella vita delle città. Queste hanno in generale centri moderni, vivacissimi, con grattacieli e architetture talora spregiudicate, come per esempio San Paolo, Caracas, Santiago ecc. Mentre alcuni governi (per es. di Argentina, Brasile, Colombia e Venezuela) adottano incentivi per lo sviluppo delle città piccole e medie, continua quel processo di concentrazione che ha portato Città del Messico e San Paolo, con oltre 20 milioni di ab., a costituire alcune delle massime agglomerazioni urbane del mondo intero, Buenos Aires a sfiorare i 13 milioni e Rio de Janeiro a superare gli 11, Lima gli 8,6 e Santiago i 6 milioni. L'analisi relativa all'evoluzione del fenomeno urbano evidenzia che resta valido lo schema concettuale che distingue nettamente il processo di urbanizzazione, ormai del tutto maturo nell'America anglosassone, da quello di urbanesimo, tipico dell'America Latina. Sorprende, pertanto, riscontrare ancora macroscopiche confusioni terminologiche, per cui si arriva a definire “megalopoli” una Città del Messico che rappresenta il fenomeno esattamente opposto, quello dell'agglomerazione, cresciuta a macchia d'olio, fino a contare un numero di abitanti neppure esattamente precisabile, e comunque, come si è detto, superiore ai 20 milioni. Esempio-limite di crescita monocentrica, questa enorme concentrazione si diversifica, in effetti, dalle città-fungo africane o asiatiche (dove le attività economiche sono limitate per lo più all'apparato burocratico e commerciale) in quanto vi operano ca. 27.000 stabilimenti industriali e vi circolano diversi milioni di autoveicoli, determinando tassi di inquinamento paurosamente elevati. Pur in sé drammatica, questa situazione – che si riproduce, in diversa misura, nelle altre grandi agglomerazioni latino-americane con popolazione milionaria – dà il segno di uno sviluppo in atto, certamente caotico, da cui si possono però ricavare prospettive di una crescita finalmente più solida. Già la regione di San Paolo vede numerose città con oltre 100.000 ab. manifestare la tendenza a un'integrazione funzionale con la metropoli centrale, la quale, a sua volta, inizia a deglomerare le proprie attività; lo stesso accade nell'area metropolitana di Lima, mentre altri grandi Paesi, come Venezuela e Colombia, mirano a rafforzare una rete urbana sempre più diffusa sul territorio. Si tratta, auspicabilmente, della prima fase di quel processo di urbanizzazione che, nell'America anglosassone, ha condotto alla formazione delle megalopoli propriamente dette. Nelle campagne la popolazione vive in villaggi o in fattorie (fazendas o haciendas, in portoghese o in spagnolo), le cui caratteristiche variano alquanto da zona a zona. Nella regione andina il villaggio ospita comunità che vivono ancora secondo modi tradizionali e presenta quindi spesso le caratteristiche più autentiche dell'insediamento agricolo. Altrove si tratta di centri rurali che ospitano anche attività commerciali e artigianali; ovunque però l'abitazione è modesta e senza caratteri originali, tranne là dove meglio si è conservata la tradizione india o dove le comunità d'origine europea hanno ripetuto fedelmente i modelli della madrepatria.



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